XVI. Inaspettato
«Sono sorpresa della sua convocazione, Ministro.»
Dalla sedia davanti alla scrivania, Rose Zeller la guardava senza mostrare apertamente la propria curiosità, a dispetto delle parole. Congiunse le mani sul grembo e abbassò gli occhi su un'ombra più scura del legno. Non avrebbe neanche avuto il coraggio di tenere la schiena dritta sullo schienale, se non per educazione – Hermione non l'aveva mai vista meno che composta, nelle numerose volte in cui avevano condiviso una scrivania e lavoro e alacre impegno.
La luce proveniente dalla finestra dietro la poltrona del Ministro le accendeva i capelli di riflessi scuri che esistevano solo al sole, come se unicamente quei raggi potessero disvelare le tonalità segrete del suo aspetto. L'animo della sua precedente assistente celava sfumature inafferrabili – e insospettabili prima che il fuoco del tradimento le palesasse, bruciando un'affidabile apparenza come le mani colpite dalla Maledizione Flagrante.
«Credo che abbiamo lasciato un discorso in sospeso.»
Incastonata nella parete di fronte a Hermione, la porta dell'ufficio era serrata. Un calendario era appeso sulla superficie lignea dall'altro lato, nella stanza dell'assistente; un altro più piccolo, da tavolo, posava sul ripiano della scrivania. Hermione li aveva collegati con un Incanto Proteus perché le annotazioni scritte su uno si trasferissero istantaneamente anche all'altro. Accanto a esso una cornice racchiudeva una foto magica, scattata da Ron qualche anno prima, di lei con Hugo stretto al petto e Rose per una mano. L'uomo che era stato suo marito era già assente dalle memorie private collezionate sul luogo di lavoro e lei neanche se ne era resa conto.
Le mura erano rivestite di pietra nuda e su una delle pareti il grigio continuava sulla superficie grezza del camino, impiegato come mezzo di trasporto più che come fonte di calore; era lo stesso che avrebbe utilizzato, in caso di emergenza, per entrare in contatto con il Primo Ministro Babbano, lei che in quel mondo era nata. Le era stato domandato se preferisse un rinnovamento dell'ambiente, colori, materiali, arredamento, quando aveva assunto l'incarico. Hermione si era ripromessa che il suo impatto al vertice del Ministero della Magia britannico sarebbe stato ben più evidente della ristrutturazione di un ufficio privato e che il suo successore avrebbe ereditato un'istituzione riorganizzata nel concreto più che nell'apparenza.
«Immagino voglia chiedermi una spiegazione» commentò Rose con un filo di voce, la bocca poco incline al sorriso.
Hermione cercò, dalla pila di documenti posata in un angolo sullo scrittoio, quelli che aveva richiesto al tribunale dei maghi, l'organo indipendente del Ministero da lei guidato che amministrava il potere giudiziario.
Li posizionò tra loro due, lasciando bene in vista il logo del Wizengamot in cima al foglio. Una sua rappresentazione materiale era nell'aula in cui Rose era stata esaminata, incisa sulla pietra, e le dimensioni imponenti erano il promemoria del peso della rettitudine.
«Sei stata giudicata colpevole di furto, commesso in due occasioni a Hogwarts.»
Rose non rispose, ma arrossì di vergogna e tenne il capo chino.
Hermione voltò una pagina del fascicolo. «Le indagini hanno accertato che hai rivenduto la refurtiva del primo sul mercato nero a Notturn Alley.»
La donna si agitò appena sulla sedia, ma non la interruppe.
«Un testimone ha dichiarato di averti pagato un totale di trenta galeoni.» Prese una veloce annotazione su un foglio di pergamena, ragionando tra sé che avrebbero dovuto essere indagati pure i traffici di quel mago. Le vendite illegali non solo danneggiavano l'economia sana – e lo Speziale di Diagon Alley in quel caso pagava le conseguenze di ingredienti per le pozioni svenduti a prezzi inadeguati – ma quei prodotti sfuggivano anche ai rigidi regolamenti e ai controlli di qualità del Ministero.
Puntò infine gli occhi su Rose e, sotto la severità del suo sguardo, la donna non poté fare altro che sostenerlo. «Perché?»
La donna prese un respiro e le spalle che si sollevarono avevano più audacia della sua espressione dimessa. «Trenta galeoni sono solo una parte della cifra che ho cercato di accumulare.»
«Mi stai dicendo che hai rubato anche altro?»
«Le sto dicendo che si arriva a fare persino qualcosa che va contro i propri principi, per disperazione.»
Hermione aveva dalla sua una morale ben salda: persino intrufolarsi senza autorizzazione nell'ambiente protetto della Gringott era stata un'azione ponderata e dettata da un fine estremo durante la ricerca di un Horcrux, un singolo passo per la conclusione della guerra.
«Io voglio capire. Parla. La persona che ho conosciuto non mi sembrava onesta solo in campo professionale.»
Rose si passò una mano tra i capelli e sospirò. «Ha continuato il progetto per l'assistenza sanitaria ai Babbani?»
Hermione incrociò le braccia al petto. Quel cambio di argomento giungeva inatteso, ma intendeva darle la possibilità di spiegarsi a modo suo, visto che quella colpa pareva metterla a disagio. «Lo farò. Anche senza di te» rispose severa.
Era stata la loro collaborazione più interessante e non doveva arenarsi per i demeriti di colei che l'aveva proposta. I Babbani colpiti da incidenti magici non lo meritavano, era doveroso agire sulle falle del sistema sanitario perché loro non ne pagassero il prezzo.
Rose annuì. «Mi fa piacere che abbia preso a cuore la causa. Non ho mai dubitato della sua integrità.»
«Invece perché hai portato me a dubitare della tua?»
La strega distolse lo sguardo per un istante. «Non le ho proposto questo tema per senso di giustizia, non solo. Io so cosa vuol dire un'assistenza sanitaria indifferente.»
Hermione si chiese che cosa, nella foto immobile dei propri genitori su uno scaffale della libreria, scattata da una macchina fotografica Babbana su una spiaggia australiana, l'avesse spinta continuare. Inclinò il capo con aria interrogativa, attendendo che argomentasse.
«Lei sa che i miei genitori sono americani.»
«Pensavo si fossero trasferiti negli Stati Uniti.»
Rose scosse la testa. «Sono americani, ma il lavoro di mio padre li ha portati qui quando io ero molto piccola. Ho frequentato Hogwarts e in seguito ho cercato un'occupazione nel Regno Unito, che è il mio Paese. Invece loro sono tornati a casa.»
Le dispiaceva che la sua unica famiglia fosse lontana, perché un oceano di distanza era esistito tra lei e i signori Granger, ai tempi della Seconda Guerra Magica, e, allora, pensare a loro era affogare in ogni goccia salata che li divideva e le segnava le guance. Si domandò se fosse per i signori Zeller, il francobollo delle Poste Babbane trovato durante la perquisizione del suo baule a Hogwarts.
Non disturbò la sua confessione e l'altra continuò a parlare, il tono più basso e gli occhi sui fogli che le separavano, la prova di carta della ragione di un allontanamento imprevedibile, prima. «Mia madre è molto malata.» Deglutì vistosamente, ingoiando dolore. Hermione non sapeva che sapore avesse: stavolta fu lei a indirizzare un breve sguardo alla foto dei propri genitori in salute. «Ha bisogno di lunghi cicli di terapia» spiegò, «e costosi.»
Ebbe l'istinto di raggiungerla, nel posto buio in cui la serenità quotidiana veniva relegata dall'ansia per la sorte di un familiare. Le avrebbe stretto una mano, perché, per quanta delusione avesse ricavato dalla sua ultima azione, i mesi precedenti con Rose non erano del tutto adombrati. Però la strega teneva le braccia rigide, adese al tronco, e i palmi erano a una scrivania di distanza, invisibili.
«È stata colpita da una malattia con una causa magica?» indagò, muovendosi in punta di piedi sulla sua angoscia, richiamando alla mente il forte interesse per il tema del loro progetto di riforma.
«No» scosse la testa. «L'avrei trovato più tollerabile, e avrei fatto tutto il possibile per lei. Invece la mia madre Babbana sta morendo di una lenta agonia completamente Babbana. Ha un adenocarcinoma pancreatico.»
Un tumore del pancreas, rifletté Hermione, e non c'era magia conosciuta che potesse qualcosa contro un gruppo di cellule sfuggite al dominio dell'organismo. Per la prima volta, considerò che la maggiore aspettativa di vita dei maghi non era sempre una benedizione per quelli che avevano parenti Babbani, con un corpo sensibile a insulti fisici e nessuna protezione magica a rafforzarlo. Non esisteva un incantesimo capace di risparmiare la morte, tuttavia per loro era più distante, se niente interferiva con il placido corso dell'esistenza, come invece era accaduto alla sfortunata Myrtle Steeval.
Rose le rivolse un sorriso triste. «Ho mandato a memoria questa definizione, e suona così strana qui, nel cuore del Mondo Magico.»
Non l'aveva mai vista così provata, lei che usava incedere con sicurezza all'interno del Ministero e nel suo ufficio, ma sedeva a disagio sulla sedia in cui si confidava.
«Mi dispiace tanto. Come sta?»
«Non bene. I cicli di chemioterapia sono debilitanti, per il corpo e per la mente.»
Hermione annuì. Poi, prima che potesse scavare nella sua mente per trovare parole di conforto adeguate, se ne esistevano, Rose raddrizzò di scatto il collo.
«Sa quanto costa un'assicurazione sanitaria negli Stati Uniti?» Increspò le labbra e imbrigliò la propria irritazione nei palmi che strinse sui braccioli. «Sa che esistono Paesi tanto avanzati in cui l'accesso alle cure non è tuttavia equo e universale?»
Hermione sapeva, ma probabilmente non a sufficienza. Agli occhi di un inglese, il pensiero che la salute fosse un diritto da acquistare era intollerabile. Glielo rivelò, e Rose le fece intendere con un cenno del capo che condivideva le sue parole. L'aveva detto, che il Regno Unito era casa sua: il luogo in cui era cresciuta aveva plasmato le sue convinzioni e il suo modo di essere, più dell'ascendenza.
«Sto cercando di mettere da parte tutto quello che posso per sostenerli economicamente, perché mia madre abbia almeno la possibilità di provare a curarsi. Ma mi creda» la guardò con occhi imploranti, «mi creda, mi vergogno tantissimo di averlo fatto anche in modo non pulito.»
Gli ingredienti che Rose aveva trafugato erano tra i più preziosi e costosi sul mercato: doveva essersi informata sul loro valore grazie al libro trovato nel suo bagaglio a Hogwarts.
Hermione puntò un gomito sulla scrivania e poggiò il mento su un palmo. Scrutò il viso della donna con cui aveva lavorato per lungo tempo senza un problema, gli occhi scuri adombrati di tormento, le labbra piegate in basso.
«Lei mi crede, vero?» domandò Rose, allarmata, mostrando di trovare intollerabile il contrario. Estrasse la bacchetta e la puntò verso un angolo vuoto. «Guardi. Expecto Patronum!»
Un fascio luminoso eruppe dalla punta della bacchetta, disegnò una scia informe nell'aria, ma non aveva abbastanza consistenza da assemblarsi in una creatura corporea; Hermione sapeva già che lei non ne era in grado. Un mero alito di magia l'aveva avvisata del primo avvelenamento avvenuto in Sala Grande e il medesimo andava indebolendosi davanti ai suoi occhi in quel momento: non avrebbe protetto un mago da un Dissennatore, non originava da un pensiero abbastanza felice da alterare l'atmosfera della stanza. Mentre quel soffio di magia si esauriva, Rose spiegò: «È così da quando mia madre ha ricevuto la diagnosi. Riuscivo a produrre un Patronus corporeo, prima: è indicato anche nel curriculum con cui mi sono proposta al Ministero, può consultarlo.»
«Non andrò a consultarlo» ribatté tranquilla.
«Ministro, la prego. Non sopporto che lei pensi così male di me, la ammiro troppo. È solo per la vergogna che non gliel'ho detto prima.»
«Ti credo, Rose.»
La strega aprì la bocca senza parole; il secondo dopo, il sollievo fu evidente nel busto rilassato e in un lieve sospiro.
Hermione tornò a sfogliare i documenti relativi al suo processo e raggiunse l'ultima pagina. «Il Wizengamot non assegna condanne ad Azkaban per un furto di modesta entità, senza precedenti o aggravanti.» Picchiettò con un polpastrello sul rigo in cui era indicata la pena e le comunicò la propria decisione. «E io credo nella riabilitazione. Sconterai la tua condanna a lavori di pubblica utilità qui nel mio ufficio.»
Rose si illuminò. «Posso tornare a lavorare per lei?»
Hermione le sorrise. «La mia agenda ha bisogno della tua direzione.» I risultati caotici dati dell'inesperienza del suo nuovo assistente le erano bastati per concludere che sarebbe stato ricollocato presto in un altro dipartimento del Ministero.
«La ringrazio! Non è una condanna, se posso tornare a un lavoro che amo.»
«Al termine del periodo stabilito dal Wizengamot firmerai un nuovo contratto di assunzione. Il tuo stipendio mensile sarà aumentato di» scorse con il dito fino a indicare la cifra della sanzione pecuniaria riportata sui documenti, «questa cifra, direi. Il tuo lavoro è indispensabile, qui.» Rose avrebbe potuto ripagarla in un mese e nei successivi avrebbe messo da parte il denaro per le spese sempre più ingenti richieste dalla progressione di una malattia oncologica.
La donna restò senza fiato, sorpresa e incredula. «Io non so cosa dire.» Si portò le mani al cuore. «Non so come ringraziarla.»
«Non ce n'è bisogno. Tienimi informata sulla salute della signora Zeller.»
Senza parole, la sua assistente si limitò ad annuire con rapidi cenni del capo.
«In qualunque momento potrai prendere qualche giorno libero, anche senza preavviso, se avessi la necessità di partire per gli Stati Uniti.»
Il suo sorriso era raggiante e riempiva l'aria tra loro di gratitudine, calore, come il suo Patronus imperfetto non era stato in grado di fare.
«Lei è davvero una persona meravigliosa, Ministro.» In uno slancio di confidenza di cui probabilmente si sarebbe pentita, la sua integerrima assistente si corresse: «Signora Granger-Weasley.» Al nome non sarebbe arrivata mai, nonostante i passati tentativi di Hermione di imporglielo.
Ridacchiò, nervosa: «Solo Granger.»
Rose rispose solo con una sillaba sorpresa, per ricomporsi subito dopo, come sempre rispettosa della sua vita privata.
«Anzi, solo Hermione» riprovò.
La strega rise e scosse il capo. «No, non potrei mai.»
Sarebbe rimasta il Ministro per lei, o la signora Granger. Hermione indirizzò uno sguardo fugace alla libreria lungo la parete, colma di volumi. Sullo scaffale più in alto, che non riusciva a raggiungere senza l'ausilio della bacchetta, aveva sistemato un libro raro sui veleni. Per quello, a casa non aveva trovato posto. La provenienza di quel volume era la ragione per la quale il suo cognome era cambiato di nuovo, così come l'abitazione. E lei.
Cara mamma,
no, non ho perso troppo tempo a disperarmi per la sconfitta di Grifondoro nella Coppa di Quidditch e sì, ho già programmato la ripetizione per gli esami di fine anno.
Sono a buon punto in tutte le materie, però per Pozioni sarò costretta a un ripasso più breve del previsto. Il professor Malfoy si è assentato quando mancavano ancora due capitoli da spiegare dal libro di testo. Ieri è tornato e abbiamo iniziato il penultimo, ma oggi è andato via di nuovo, a quanto pare. Spero che torni presto, non vorrei finire il programma a solo pochi giorni dall'esame. Però deve essere terribile perdere una moglie così giovane. Alice mi ha detto che Jasper le ha detto che ha un figlio della mia età, lo sapevi?
Ti sto scrivendo nell'ora libera della sua lezione, poi ne approfitterò per rileggere il tema sulla Conferenza Internazionale dei Maghi del 1289. Dopo c'è Erbologia: la nuova professoressa mi ha dato un'impressione positiva, come ti dicevo. Non mi dispiacerebbe se restasse anche l'anno prossimo.
Ieri sera ho cercato di convincere James a giocare un paio di partite a scacchi, visto che quella di Quidditch gli è andata male. Volevo tirarlo su di morale, ma ha rifiutato. Dopo l'ho visto sdraiato sul divano della Sala Comune, con la testa sulle gambe di... mi ha fatto promettere di non dire niente!
Perciò sono andata a dormire presto. Meglio così: ho più tempo per studiare, se mi sveglio prima. L'obiettivo è il massimo dei voti per ogni materia, ma già averli tutti più alti di Mathilda Higgs mi andrebbe bene. Ti immagini la sua faccia?
Non vedo l'ora che arrivi l'ultimo giorno di scuola. Lo stress delle ultime settimane è aumentato rispetto all'anno scorso, gli argomenti non finiscono mai. Appena torno a casa facciamo qualcosa di carino, noi tre? Voglio passare una bella giornata. Che ne pensi di un'escursione nella foresta di Dean? Non ci siamo più tornati, dopo quella volta con i nonni. Potremmo approfittare di una giornata di sole estiva.
Ti mando un abbraccio. E uno anche a Hugo!
Rose
Hermione non si era accorta dell'esatto momento in cui, durante la lettura, la bocca si era aperta in un sorriso. I suoi bambini avevano la misteriosa capacità di alleviare i turbamenti e al tempo stesso la terrificante possibilità di generarli.
Sfiorò con il polpastrello uno dei nomi citati, dove l'inchiostro era scivolato con sicurezza, senza lasciare macchie, perché sua figlia non aveva alcun motivo di indugiare con la punta bagnata della piuma sul cognome di un insegnante.
La corrispondenza quotidiana con Rose e il tempo con Hugo, che si divideva tra le due abitazioni dei genitori, erano i momenti in cui poteva permettersi di non indugiare sugli eventi, così dinamici e inevitabili, che l'avevano travolta. Il sonno in un letto troppo largo per il suo corpo, le labbra orfane di contatto: un giaciglio coniugale respinto, un bacio mancato. Aggirarsi tra le stanze di una casa nuova e avere specchi e vetri a riflettere nient'altro che lei stessa. Perdere nello spazio di un'evoluzione del cuore due uomini, così diversi ma accomunati nel distacco, imposto o subito.
L'impatto di una brusca frenata le sembrava più doloroso, quando procedere non era stato camminare, ma precipitare: lasciarsi andare, farsi trascinare da un'immagine maturata in maniera inconcepibile, un'evoluzione di un passato insospettabile. Era volare su un manico di scopa, con lo stesso brivido e la medesima incoscienza, e trovare la superficie dura della realtà ad arrestare la caduta. Solo nelle fantasie sopravviveva un bacio a mezz'aria.
Era possibile sentire la mancanza di qualcosa mai posseduto davvero? Un'idea non concretizzata, esistita solo nel tempo beffardo di giorni; se il ricordo delle labbra tormentate di un giovane studente era sopravvissuto negli anni a seguire, in un anfratto recondito, in quale spazio avrebbe conservato il tocco ingombrante di quell'uomo cresciuto, impigliato in un groviglio di pensieri impolverati?
Era stata lacerata dalla curiosità di scoprire cosa era rimasto di quel passato inconfessato, sotto una chioma bionda che serbava la stessa impalpabile tonalità dorata e dietro un paio d'occhi rimasti della medesima sfumatura di grigio. E poi la curiosità non era bastata, il desiderio non era solo fisico, ma lui non l'aveva voluta più.
Però Hermione avrebbe continuato a volere, a desiderare, a vivere.
Aprì un cassetto della scrivania per estrarre un foglio di pergamena intonso e lo affiancò a quello riempito dalla grafia ordinata di Rose. La piuma era accanto a una boccetta di inchiostro piena per metà di un liquido di un nero insondabile. Accanto agli strumenti da scrittura, la sua assistente aveva lasciato due fascicoli contenenti proposte di legge da analizzare e firmare. Una copia aperta della Gazzetta del Profeta era poggiata in un angolo: al centro della pagina la signora Steeval muoveva la bocca con rabbia e la ragione della sua espressione era esplicitata dal titolo virgolettato, in cui considerava un'ingiustizia che l'assassino della figlia non fosse ad Azkaban.
«Mi dispiace, ma non è possibile!»
Da oltre i muri dell'ufficio, il tono alterato di Rose Zeller la mise in allerta. Bloccò la mano in procinto di raggiungere la piuma e voltò il capo verso l'origine del rumore.
«Nessuna eccezione.»
Aggrottò le sopracciglia: la sua assistente non perdeva mai la pazienza. Chiunque fosse in sua presenza, doveva essere piuttosto esasperante. Indirizzò un'occhiata al calendario e verificò, come in effetti ricordava, che non aveva fissato alcun appuntamento per lei in quel giorno e a quell'ora.
Sarebbe rimasta seduta, lasciandola da sola a occuparsi dell'inaspettato ospite, se un tonfo contro la porta non avesse attirato nuovamente la sua attenzione. Non poteva semplicemente ignorarlo.
Si mise in piedi e raggiunse con rapidi passi l'ingresso. Posò il palmo sulla maniglia, la tirò appena verso di sé.
«Glielo ripeto per un'ultima volta: io devo entrare» pronunciò una voce maschile inattesa. Nell'udirla, il cuore tradì le ambizioni della mente, pulsando per sconcerto, irritazione, illusione.
La prima immagine rilevata dai suoi occhi fu quella della schiena di Rose, le mani sui fianchi, la nuca lasciata scoperta dall'acconciatura raccolta. Si era posizionata come se con il proprio corpo potesse coprire l'intero ingresso dell'ufficio del Ministro.
«Che cosa sta succedendo?» domandò Hermione, spalancando del tutto l'uscio.
Il secondo successivo Rose si stava voltando, udita la sua voce. Quando fu di profilo, sgombrando il suo campo visivo, Hermione scoprì che il mago insistente di cui aveva riconosciuto la voce aveva anche le fattezze di Draco Malfoy.
Nella fumosità di un pensiero, l'avrebbe presentato ai propri figli, non come professore, rassicurandoli che avrebbero continuato ad avere un padre anche quando quell'uomo avrebbe iniziato a passare sempre più tempo con lei. Nelle inclinazioni dei propri desideri, lei avrebbe conosciuto Scorpius e mostratogli con infinita pazienza che non era in compagnia di suo padre per sostituire la donna che l'aveva messo al mondo. Nella vaghezza di un dubbio, avrebbe spiegato le evoluzioni del proprio cuore agli amici, che si sarebbero trovati a spartire il loro tempo tra due persone che non stavano più insieme. Avrebbe dovuto fare posto a Draco nella propria vita in infiniti modi pratici, perché l'unico a contare sarebbe stato lo spazio libero di cui si sarebbe privata, stretta fra le sue braccia.
Sarebbe stata disposta a farlo, ma lui non aveva voluto.
Perciò che cosa ci faceva al Ministero della Magia, sulla soglia del suo ufficio?
«Granger, ti dispiace dirle di lasciarmi passare?» Per lui era sempre stata solo Granger, da subito, anche quando il suo cognome contava un'aggiunta agli occhi della legge.
Con il tono tranquillo e le mani infilate nelle tasche, non sembrava nemmeno considerare l'ipotesi che lei potesse non avere voglia di farlo, quando era stato lui ad allontanarla. Hermione aveva davvero pensato che quella fosse l'ultima volta in cui si sarebbero visti, e si era affannata per accettare l'idea, perciò come poteva lui presentarsi nel suo Ministero con quella serenità, come se avesse fissato un appuntamento?
«Ministro,» intervenne Rose, «lei non mi ha detto di aspettare qualcuno, perciò l'ho fermato.»
«E hai fatto bene» la rassicurò, senza muovere gli occhi dall'uomo.
«Ministro» la appellò lui, sorprendendola anche con le parole: mai si era riferito a lei pronunciando la sua carica istituzionale con quel tono serio e rispettoso. «Posso essere ricevuto?» Nemmeno lui spostò lo sguardo, l'unica cosa che, nella totale libertà di cedere, le aveva mai imposto – almeno fino a quando l'aveva costretta alla lontananza.
Non gli rispose, ma si rivolse alla segretaria: «Assicurati che non sia disturbata, per favore.»
Gli diede le spalle, certa che l'avrebbe seguita, e rientrò nell'ufficio. Fu lui a chiudere la porta e, solo dopo averne udito il rumore, Hermione si voltò. Incrociò le braccia al petto e attese: era lui che aveva qualcosa da dire.
«Non avevi licenziato la signorina Zeller?»
«Sei qui per discutere delle mie decisioni professionali?»
«Sono qui per una collaborazione.»
Hermione inarcò le sopracciglia per la sorpresa, ma si riprese subito e gli rispose in tono neutro: «Questo genere di questioni passa per Rose, prima. Puoi mandare un gufo al mio ufficio e lei eventualmente fissa un appuntamento in agenda.»
«Non potevo aspettare.»
«Parla, allora» gli concesse. «Sei già qui.»
Draco liberò una mano dai pantaloni: nel palmo teneva una piccola boccetta. L'etichetta ne identificava il contenuto, la superficie liscia del liquido era stata messa in agitazione dal gesto. Per la sua natura, era il tremore di un inganno svelato.
«In segno della mia fiducia, se l'avessi persa.»
Hermione scosse la testa, mostrandogli un sorriso amaro come il rifiuto che ancora inaspriva le dita da lui rigettate. «Veritaserum? Non è così che si costruisce la fiducia, mi sembra di avertelo già detto.»
«Mi hai detto che non crederesti mai che io mi possa proporre di assumerlo, a meno che non sia allenato a resistere.»
Hermione annuì distrattamente e lui continuò: «Ti sbagli. Non sono in grado di evitarne gli effetti.»
Non aveva idea di quale fosse il suo fine, perciò restò in silenzio.
«È il progetto a cui sto lavorando: sto mettendo a punto un antidoto per il Veritaserum.»
Per un momento Hermione ammirò a bocca aperta l'ambizione nel suo intento, successivamente gli pose la domanda che la assillava, da quando lui aveva iniziato a parlare, da quando si era presentato al Ministero: «E io che cosa c'entro?»
Draco fece un passo nella sua direzione, poi un altro, e lei non riuscì a spostarsi. Per un istante il suo sguardo la percorse tutta, come nell'ispezione di un'immagine ritrovata, ma quando parlò, lo fece fissandola semplicemente negli occhi. «Sono tornato a Hogwarts, ho fatto lezione nell'aula di Pozioni, ho ripreso a lavorare all'antidoto nel mio ufficio e in ognuno di questi luoghi ho sentito la tua mancanza.»
«No» lo frenò, ritraendosi, scuotendo la testa e mostrandogli i palmi. «Non voglio sentirlo. Io non voglio niente da qualcuno che intende usarmi come un passatempo, per mettermi da parte quando inciampa in una complicazione e riprendermi quando la risolve.»
L'uomo si lasciò andare a una risatina beffarda. «Tu pensi che sia tutto risolto? Che seppellire qualcuno basti?»
Hermione si rimproverò mentalmente: un mucchio di terra su un cadavere era unicamente il termine di una trafila burocratica.
«No» ammise. «Soprattutto per tuo figlio, immagino» aggiunse, in tono più comprensivo. Si voltò di lato e prese un respiro, poi tornò a guardarlo. «Ma non capisco, dove vuoi arrivare?»
«A te.»
Lui non l'aveva voluta.
Non si aspettava coraggio nelle ammissioni, da lui che ne aveva sempre avuto poco, ma quanto valore potevano avere le sue parole, se discordavano con le azioni?
Affondò i polpastrelli nei palmi, ricordando a se stessa per cosa trattenersi. Erano passate due settimane, insufficienti a dimenticare il calore del suo corpo, che sembrava mettere in tensione fiamme e folate inesistenti nella stanza. Un metro tra loro era una crudele tentazione, il suo petto un ricordo e un miraggio.
Draco scrutò per un momento la pozione, con la stessa attenzione con cui avrebbe ammirato inafferrabili sfumature di colore, poi qualcosa nel liquido trasparente dovette ispirarlo. «Voglio che tu segua con me la mia ricerca, voglio che mi supporti e che esulti insieme a me per i risultati – perché ci saranno, li sento vicini. Voglio una nuova collaborazione con te perché io ho giocato per anni a Quidditch e so come funziona una squadra e tu e io, Granger, siamo una bella squadra.»
Ogni memoria appassionata si raffreddò di fronte al suo mero pragmatismo. «Vuoi che collabori a un tuo progetto?»
«Non ne ho bisogno» precisò.
Hermione socchiuse le palpebre. «Stai offendendo la mia mente o elogiando la tua?»
«Tu mi offendi se pensi che io possa trovare interessante una donna priva di cervello.»
«Io sono il Ministro.» Gli indicò vagamente la scrivania. «Non mi serve altro lavoro.»
Lui la fissò come se avesse fatto un'affermazione ovvia – il che era vero. «Il mio progetto è proiettato verso la fase finale. Io ho già un antidoto e si tratta di ultimarne la sperimentazione.» Fece un altro passo in avanti. «Ma non ho te.» Le sfiorò in punta di dita il mento e lei si ritrasse. «Non mi serve che lavori con me, ma che tu abbia dei momenti per me. Puoi accettare l'idea di una nuova collaborazione, se non vuoi vederla in altro modo? Le cose migliori tra noi succedono quando abbiamo un compito da portare a termine.»
Un antidoto composto, un'indagine complessa.
Cedere avrebbe significato gettare all'aria ogni frammento di amor proprio, e non poteva permetterselo. Si mosse ancora all'indietro fino a che non raggiunse il sostegno – rassicurante e fasullo – del bordo della scrivania dietro la schiena. Lo afferrò tra le dita. «Tu non mi hai voluta al tuo fianco.» Avrebbe voluto saper nascondere la nota che le incrinò la voce, ma gli celò solo i propri occhi.
«Ho creduto che sarebbe stato più facile. Avevo un figlio da sostenere, un funerale da organizzare, familiari da incontrare e ho pensato che avere anche te fosse troppo. Per Scorpius e per tutti. Trovare spiegazioni da dare, giustificazioni per la tua presenza.» Draco sospirò. «Invece mi sbagliavo, perché non è stato affatto più facile senza di te.»
«Io non avrei preteso niente, ti sarei stata accanto senza impormi. Credevi che non potessi capire che un figlio ha la priorità?»
«Sono stato egoista, pensando alle conversazioni che non avrei voluto avere, e poi mi sono rimproverato per non essere stato abbastanza egoista da tenerti, se era evidente che ti volevo. È stato così palese, quando Scorpius è tornato a scuola e io pure e nei corridoi di Hogwarts desideravo vederti e tu non c'eri. Ho ripreso in mano l'antidoto e riuscivo solo a concentrarmi su come era stato lavorare con te – e io ci ho sempre lavorato da solo.»
«Astoria...»
«È il mio passato, e lo è da un po'» la interruppe. «Non so cosa tu possa aver pensato, ma non ho mai mentito su questo. Potrò avere una morale grigia, ma non nei suoi confronti e non con te.»
Hermione scosse la testa, rifiutando l'immagine di una reciproca prossimità che lui vi stava infilando a forza. Poteva concedersi di credere che volessero la stessa cosa? «Io ho avuto un matrimonio, ed è finito, ma tra ciò che non andava non c'è mai stato il timore di non poter contare su un uomo che, prima di tutto, è mio amico.» Era. «Non voglio scendere a compromessi, non voglio fughe o impegni a metà. Le relazioni non vanno avanti con pozioni o maledizioni.»
«Peccato» ironizzò, con la faccia di uno che non avrebbe trovato del tutto sgradito quel modo manipolativo di condurle. Tornò più serio: «Sono qui e ti ho parlato di qualcosa che non sa ancora nessuno.» Accennò alla pozione nella sua mano. «Tu vuoi qualcuno su cui poter contare e io ti sto provando che sono disposto a volere lo stesso.»
E non era quello, il principio di ogni rapporto, quando l'attrazione istintiva diventava consapevolezza? Due persone inclini a provare, insieme?
Indugiò per un istante sulla bocca che le offriva promesse a cui voleva disperatamente credere. Scappò da quella vista, nel timore che la dolcezza fosse un inganno, come il miele di rododendro.
«Hai presente il Bezoar?»
Hermione aggrottò le sopracciglia, confusa dal repentino cambio di argomento.
«Tu sei come un Bezoar» aggiunse.
«Una cosa dura e raggrinzita?»
Draco rise, poi iridi scurite percorsero il suo busto, accelerandole il cuore, e lui non ebbe bisogno di parole per negare che aveva di lei un'immagine per niente orribile.
«Come un antidoto per i tormenti che nemmeno conoscevi, anni fa e sempre. Il veleno che corrodeva il mio passato smetteva per un po' di agire, quando tu c'eri. E di velenoso è rimasto solo il modo in cui è nata ogni nostra interazione, a undici anni, non quello che è diventata, non quello che potrebbe diventare.»
Le offrì sul palmo aperto le proprie promesse, racchiuse in una boccetta etichettata come "Veritaserum".
Hermione le accettò, prendendo la pozione.
Cadde sul pavimento in un fragore di cocci rotti, quando Draco la tirò a sé con irruenza. «Poco male, ne ho altra pronta» mormorò distrattamente, quando la stava già per baciare.
Attese tuttavia il suo assenso, prima di congiungere le loro bocche. Hermione chiuse gli occhi e lo portò, con le mani sulla nuca, a colmare l'ultima, infinitesimale distanza rimasta.
Dietro le palpebre chiuse conservò l'immagine dei frammenti del contenitore di vetro e sperò che non fossero il presagio di parole infrante. Ma, si disse, al principio di ogni relazione c'era sempre un atto di fiducia e aspettativa e speranza. E per fortuna lui aveva abbastanza ambizione da desiderare che funzionasse e lei abbastanza coraggio da agire perché procedesse.
«Non è poco professionale baciare una collaboratrice sul lavoro?» lo provocò, sfuggendo alle sue labbra.
«Quello che ti farò è ancora meno professionale» la minacciò, prima di avvicinare nuovamente i loro visi. Intrecciò due dita nella chioma riccia e le inclinò il capo affinché le loro bocche si incastrassero nel modo più intimo possibile. A dispetto dell'avvertimento lussurioso, la baciò con calma, con dolcezza, gustandola, ritrovandola. Era il sapore che Hermione si era proposta di non cercare più, perché ne era stata privata. Ma l'aveva cercata lui.
Draco lasciò la sua bocca ma non la pelle: vi impresse le labbra con circospezione, a ridisegnare le linee del viso, i muscoli facciali, uno zigomo. Le sussurrò in un orecchio: «Granger, d'ora in poi mi aspetto di poter entrare qui quando voglio, anche senza appuntamento.» Accennò lievemente con il capo in direzione della porta chiusa. «La signorina Zeller è peggio di un Dissennatore a fare la guardia.»
Hermione rise. Scivolò con un palmo sulla sua guancia, raggiunse il mento, allungò un polpastrello a sfiorare la smorfia sarcastica che gli piegava la bocca. La ricambiò. «Questo non posso promettertelo.»
Tutto quello che aveva chiesto sì, e sarebbe bastato, tanto per cominciare.
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Note:
L'adenocarcinoma pancreatico è un tumore maligno caratterizzato da un'elevata mortalità, perché è in molti casi inoperabile alla diagnosi. A questo stadio, la chemioterapia è una delle opzioni terapeutiche possibili, ma solo a scopo palliativo.
Il National Health Service del Regno Unito è simile nei principi fondanti al SSN italiano. L'approccio alla sanità negli USA, invece, è notoriamente ben diverso.
I dettagli sulla giustizia nel Mondo Magico, in questo caso relativi al reato di furto, sono di mia invenzione, così come i dettagli sul mercato clandestino.
La foresta di Dean è uno dei luoghi in cui Hermione si Materializza con Harry in Harry Potter e i Doni della Morte, dicendo di esserci stata in campeggio con i genitori.
È l'ultimo capitolo e io non so bene cosa dire, se non che spero che questo sia un finale che vi soddisfi. Un finale che è un inizio, di una relazione e di un futuro insieme per Draco e Hermione.
Un piccolo pezzo di futuro si aprirà nell'epilogo, ambientato alcune settimane dopo. Quello sarà anche l'ultimo aggiornamento della storia.
Grazie per aver letto fin qui. A presto per l'epilogo, dal titolo "L'antidoto alla verità"!
Come sempre, mi trovate anche su Facebook (Legar Efp) e Instagram (__legar__).
Legar
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