XIV. Addio

Aveva bussato, una volta e solo un'altra in più, alla porta dell'aula, prima di arrendersi all'evidenza che Draco preferiva restare da solo. Non aveva insistito ad aprire con la magia, perciò non aveva neanche verificato se lui avesse posto un incantesimo a bloccare l'ingresso oppure contasse sulla sua correttezza.

Tornandoci in seguito, aveva trovato la soglia spalancata e l'interno deserto.

Stava bussando, una volta e un'altra in più, alla porta della sua camera, risoluta a offrirgli vicinanza. Non sapeva se avrebbe insistito ad aprire con la magia, ma non ebbe bisogno di domandarselo.

Il viso di Draco si rivelò davanti ai suoi occhi.

Quale fosse il modo più opportuno di reagire al decesso di una moglie in qualche modo già compianta, era una conoscenza che Hermione non aveva mai trovato in alcun libro letto. Osservò il volto assolutamente neutro dell'uomo, considerò la sua espressione misurata e rifletté che lei non sarebbe riuscita a mantenerla.

«Sarei venuto a cercarti.»

Hermione aveva sentito la voce di Draco Malfoy, quando era turbato, e non era quella.

Si fece da parte per permetterle di accedere alla stanza e chiuse l'uscio dietro di sé.

«Draco...» iniziò, cauta, muovendo un passo per avvicinarsi. «Come stai?»

La interruppe con un gesto brusco della mano.

«Posso confermarti che il miele prelevato dalle cucine era di rododendro» disse, mentre camminava per accomodarsi alla scrivania.

Quale fosse il modo più opportuno di reagire, era una conoscenza che Hermione non aveva trovato in alcun libro letto. Ma che tipo di persona, ricevuta una notizia tragica, pure se attesa, si impegnava con fredda razionalità a ultimare un lavoro a metà?

Si guardò intorno: si sarebbe aspettata un bagaglio ai piedi del letto, cassetti dischiusi e ante aperte, ma non vide niente di tutto quello. Che tipo di persona non si precipitava a raccogliere il necessario per andare subito via?

Tuttavia lei si era ripromessa di conoscerlo, anche quando sembrava inafferrabile come un Boccino d'Oro – che lui aveva inseguito per diletto e lei non avrebbe inseguito mai.

Lo raggiunse, restando in piedi e fissando dall'alto capelli perfettamente in ordine e occhi asciutti. Avrebbe voluto stringergli una mano, ma lui teneva la propria impegnata con una piuma, così la sua rimase sul legno freddo e ruvido. Una piccola imperfezione, sfuggita agli artigiani magici oppure creata dall'usura, le graffiò un polpastrello.

«Draco, non dovevi, me ne sarei occupata io.»

Lui scrollò le spalle e rispose senza alzare gli occhi dal foglio: «È stato rapido verificarlo, confrontandolo con le tracce già esaminate sulla signorina Steeval.»

«Ma tu» deglutì, «hai altro a cui pensare, adesso.»

Non riuscì a evitare l'ombra di sconcerto che le macchiò la voce, così cerco di ripulirla. Alzò un palmo, ma lui mosse il busto di lato, a scansare un tocco nemmeno accennato, senza spostare lo sguardo dalla pergamena. Le dita orfane si ripiegarono sulla pelle e Hermione ritirò il pugno.

«Risparmiami ulteriori dettagli sulla mia insensibilità. Non ho tempo.» La sua mano accelerò i movimenti nell'abitudine con cui riprodusse la sua firma alla fine del foglio.

«Come posso aiutarti?»

«Non puoi.» Ripiegò la lettera su se stessa per imbustarla. Era alienante offrire il proprio appoggio a qualcuno che non lo considerava che con un'occhiata fuggevole.

«Io voglio aiutarti.»

Allora lei sentì l'urgenza di forzarlo ad accettare il suo tocco e gli prese una mano, anche se il conforto che poteva esprimere era meramente simbolico. Allora lui la guardò fisso e l'immagine di imperturbabilità del suo volto si crepò, lasciandole intravedere qualcosa di estraneo.

«Devo contattare il preside di Durmstrang, non posso dare la notizia a Scorpius tramite una lettera. Devo informare il Ministero. Devo far pubblicare un necrologio sulla Gazzetta del Profeta. Devo organizzare un funerale privato. Dimmi, cosa puoi fare tu?»

«Io voglio esserci per te. Per qualunque cosa.» Gli strinse la mano più forte e fece per portarla alla bocca, però Draco la ritrasse.

«Ma io non voglio.»

Una volta, da bambina, si era arrampicata per raggiungere uno scaffale in alto e si era accidentalmente tirata addosso dei libri, pesanti per le sue piccole braccia; suo padre era accorso, le aveva applicato del ghiaccio e poi l'aveva rimproverata. Il ghiaccio nella voce di Draco Malfoy, più freddo di quello delle iridi, non recava alcun sollievo.

«Non vuoi» ripeté, piano, per se stessa. Se lui si fosse espresso in Rune Antiche, avrebbe avuto bisogno di un dizionario, ma ne avrebbe afferrato il significato. Chinò il capo e deglutì il gelo. Non voglio.

Quando aveva creduto di essere preso in giro da lei, quando Ron era stato a Hogwarts, Draco l'aveva allontanata – Non ti scomodare, tornatene dal tuo affettuoso marito. Era stata lei a imporgli la propria volontà – Non voglio – ma quella di lui, celata, era in realtà affine.

Adesso che era lui a intimarle un distacco, Hermione avrebbe voluto farlo ancora, perché non era da lei rinunciare. Era fatta così: non si tirava indietro, per gli altri – cuore di Grifondoro e coraggio nei sentimenti. Fin dal primo anno di scuola, per raggiungere una Pietra Filosofale con furbizia e tanti libri; durante l'ultimo, speso a cercare degli Horcrux con abnegazione e pochi indizi. Chi la conosceva sapeva di poter contare su di lei.

Draco, forse la conosceva, forse non abbastanza, ma dal suo viso le pareva evidente che non voleva contare su di lei.

Il fruscio della punta che riprendeva a scivolare sulla pergamena.

«Quando andrai via?»

L'incrocio regolare delle mattonelle, l'increspatura nella voce.

«Presto.»

«E non vuoi che venga con te, o che ti raggiunga?»

Draco sbuffò. «Non ne ho bisogno» pronunciò in tono noncurante.

«Io so che potresti farlo anche da solo, ma voglio starti vicino.»

Quando aveva creduto di essere preso in giro da lei, Draco l'aveva allontanata ed era stata lei a costringerlo a toccarla. Piegò il busto in avanti per avvicinarsi e gli prese il viso tra le mani. «Potrei occuparmi di tutta la burocrazia al Ministero, mi basterebbe dare un ordine. Potrei sfruttare i contatti che ho alla Gazzetta del Profeta per il mio lavoro. E se anche non potessi fare niente di tutto ciò, vorrei comunque starti vicino

Draco le affondò la testa in grembo, con un sospiro che volle interpretare come una resa. Si concesse un attimo per crollare sul suo addome e lei occupò quel silenzio con un tocco gentile tra i capelli. Infine, prese un profondo respiro e lei vide le spalle che si sollevarono, prima del torace che tornò dritto a poggiarsi allo schienale.

«Basta.»

La sedia scivolò all'indietro con un rumore brusco, ma le orecchie furono più ferite dalla sua freddezza. L'uomo si mise in piedi e allungò una mano in un gesto ampio verso la porta.

Hermione inclinò il capo di lato, confusa. «Cosa?»

«È stato divertente tra noi, Granger» sollevò un angolo della bocca, «ma ora basta.»

«Divertente?» alzò la voce. «Cosa stai dicendo?»

«Io sentivo di non avere più una moglie ed ero solo da troppo tempo: sei ricomparsa tu, c'erano dei trascorsi e mi sono lasciato andare. Ma ora ho da fare, come puoi immaginare. Basta.»

Hermione impiegò qualche secondo per riuscire a dare un nome al peso che le opprimeva la gola: era il rifiuto, un macigno che la trascinava a fondo, in un baratro in cui era considerata una bambina pedante e opprimente da tenere a distanza.

Si strinse tra le braccia. Lei era stata disposta a dare una possibilità al dilemma che loro due erano stati ed erano, ma Draco aveva mentito in ogni momento in cui si era avvicinato, se adesso chiedeva basta. Si era preso la donna che era più facile da avere, a portata di mano, una con cui aveva già un passato indistinto. Le aveva messo in subbuglio la vita per potersi svagare un po' e relegarla a un angolo quando era la sua, di vita, a perdere l'equilibrio.

Fece un passo verso di lui, che rispose con uno speculare. Raccolse la sua bacchetta dalla scrivania. «Prendila!» Allungò il braccio. «Obliviami, allora, se di nuovo hai voluto soltanto toglierti uno sfizio.»

Draco mosse la mano solo per intascare la bacchetta. «Non funzionerebbe, lo sai.»

Lo sapeva, altrimenti non l'avrebbe mai sfidato. «È solo per questo che non lo faresti, stavolta?»

Io non dimenticherò. Non farlo neanche tu.

Draco chinò gli occhi sulle scarpe, per nasconderle tutte le emozioni che non provava. «Un Incantesimo di Memoria ha i suoi limiti. Non sono stati pochi minuti di incoscienza, ma interi giorni.»

Pochi minuti di incoscienza cristallizzati in un bacio desiderato in un bagno in disuso e l'intenzione di cancellarlo subito dopo, la paura di ammetterlo.

«Incoscienza?»

Si avvicinò, inclemente. Allungò una mano verso un braccio, anelando la destinazione straniera che era il suo petto. Lo toccò sulla pelle che, in un altro futuro, sarebbe stata marchiata con l'evidenza dei suoi errori, ma l'unico sbaglio che avrebbe avuto rilevanza, tra i contorni macabri di quel simbolo, sarebbe stato l'esistenza stessa di lei. Nella realtà, Hermione non doveva scusarsi della magia che le scorreva nelle vene, non fango marcio, ma viva possibilità. Però, forse, Draco voleva che lei si scusasse per aver osato pensare di stargli accanto. E non ne era la magia la causa, fecondità e creazione, ma la morte, aridità e distruzione.

Scivolò con il palmo sull'avambraccio, ma raggiunse un pugno chiuso, gemello di quello dell'altro arto, e si ritrasse, sconfitta.

«Preferisci una definizione diversa? Qualunque cosa fosse, è finita.»

Hermione aprì la bocca, ma tutta l'aria intorno sapeva di lui. «Io ho detto di volerti conoscere, e anche tu! Hai detto che mi avresti scritto, quando sarei andata via da Hogwarts.»

Draco fece una smorfia, come se non volesse ricordarlo. «Eri tu per prima a dire di non volere niente di tutto ciò: finito qui, potrai tornare da Weasley, sarai contenta.»

«Sei un...» iniziò, ma si interruppe, perché insultarlo quando aveva appena ricevuto una notizia spiacevole era troppo per lei.

«Dillo» insisté invece lui, con un sorriso sfacciato.

Egoista. Falso. Approfittatore.

«Che persona pensi che sia, a uscire e rientrare in un matrimonio con la stessa facilità con cui si apre e chiude un libro?» domandò, invece.

«Una persona che non mi interessa approfondire.» Un volume che non gli interessava sfogliare.

Hermione incassò il colpo, mantenne la schiena rigida per puro sforzo di volontà.

Aveva ritrovato la stessa noncuranza del giovane che aveva tentato di portarle via i ricordi di labbra che non avrebbero dovuto volerla. Neanche stavolta ci sarebbe riuscito, ma anche stavolta l'epilogo sarebbe stato ovvio. Si era illusa.

Draco continuò: «Tu sei venuta qui per le tue indagini. Sono solo uno dei veleni che hai trovato a Hogwarts, a intossicare la tua perfetta vita familiare. Riprenditela.»

«Io ho creduto che avremmo potuto assemblare un antidoto per ognuno dei modi in cui sapevamo avvelenarci» parlò a se stessa, non c'era più forza nel suo tono. Non era un'obiezione, solo un'amara constatazione.

«Ti sei sbagliata.»

Lasciami stare.

Lo farò, però devi essere tu a volerlo.

Alla fine, l'aveva voluto lui.

«Questo è evidente.»

Non avevano mai avuto alcuna possibilità, allora come anni prima. Lui non l'aveva voluta.

«Lasciami ora, ho ben altro a cui pensare.»

Hermione non poté ribattere. Era vero, lui aveva altro a cui pensare, e non voleva pensarci con lei.

Qualunque cosa fosse, ancora non avrebbe saputo dirlo, ma, dopo anni, sarebbe riuscita a spiegare come era iniziata. Però era finita.

Di nuovo.

La dita di Draco scivolarono per un delicato istante dalla tempia alla guancia: furono così rapide che Hermione non ebbe neanche il tempo di alzare le proprie per trattenerle.


Con l'approssimarsi del fine settimana libero da lezioni, le mura di Hogwarts risuonavano di progetti, ma non c'era niente di simile quel giorno. I passi compiuti da Hermione, in solitudine, non erano stati scanditi da conversazioni frenetiche tra studenti, discussioni leggere e risate. Persino i personaggi dei dipinti sui muri erano più taciturni del solito e le ombre dei fantasmi condividevano con la Dama Grigia il suo impalpabile distacco. L'aspetto desolante dei corridoi aveva i contorni onirici degli incubi più distanti e l'aspetto dei ricordi più vividi. Non era mai una buona giornata a Hogwarts, se le lezioni erano sospese.

Alcuni genitori erano giunti al castello per portare via i figli, non appena si era diffusa la notizia della morte di una studentessa, e la preside, pur contando sull'appoggio del consiglio di amministrazione della scuola, non aveva potuto fare niente per evitarlo. Nemmeno le rassicurazioni del Ministro della Magia avrebbero sortito un risultato e Hermione, da madre, ne comprendeva la ragione. Così, ai quattro tavoli nella Sala Grande, i posti a sedere liberi erano sprazzi di vuoto nell'abisso più profondo che avvolgeva i muri, sorretti da magia e mestizia. A cementare lo stato d'animo comune della popolazione scolastica, lutto e sconcerto. Lutto e sconcerto a fortificare la sua volontà di mettere un punto alla situazione.

Da sola.

I signori Steeval avevano acconsentito a una cerimonia commemorativa, prima di riportare la figlia in una casa dove non avrebbe più vissuto, da parenti che non avrebbe più abbracciato. Gli studenti rimasti avrebbero mostrato la loro vicinanza pronunciando alcune parole in suo ricordo, perché era un membro della loro comunità che se n'era andato. Anche chi non conosceva di persona la signorina Steeval non faticava a immaginarlo: avrebbe potuto essere una compagna di banco, di stanza, di amicizia, per ognuno di loro. Hermione sapeva che sarebbe stato lo stesso per lei, se avesse ancora avuto una divisa scolastica da vestire. Hogwarts intera piangeva una studentessa – ma si stringeva attorno ai suoi genitori, perché lei non avrebbe più potuto udire le reazioni umane. I riti seguivano logiche meno razionali dell'interpretazione delle cifre in Aritmanzia o delle leggi di Golpalott nella teoria degli antidoti.

Quel silenzio denso nella Sala Grande aveva pochi precedenti, e nessuno lieto. I volti che incrociava, i tavoli sparecchiati, i fantasmi immobili sopra di essi: era tutto fuori posto.

Lei era fuori posto, se la solita seduta che aveva occupato negli ultimi giorni non contemplava più Draco accanto.

Le usuali candele accese a mezz'aria, più che un'illuminazione scenografica, parevano un'offerta funebre. Hermione ebbe la vivida e paradossale sensazione di respirare l'odore di fiori in decomposizione, però non c'era nessun tipo di pianta, perché quella commemorazione non era un funerale e le file di sedie davanti ai tavoli non erano file di tombe. Trattenne un sorriso amaro, che sarebbe risultato terribilmente fuori luogo: un prodotto derivato da un vegetale aveva ucciso Myrtle Steeval e altri vegetali ne avrebbero vegliato il sonno mortale.

Stringere mani, imbastire una conversazione con estranei: non erano occupazioni inusuali per un Ministro, ma quella circostanza le pesava più del dovuto. Se le mani da stringere erano quelle che avrebbero accarezzato per un'ultima volta un volto gelido, se la conversazione doveva includere parole di condoglianze, allora Hermione, che pure non se ne tirava indietro, lo faceva con un peso sul cuore. Le braccia quasi le dolevano per la necessità di stringerle attorno al torace dei suoi bambini, non appena avrebbe concluso il proprio dovere.

Nonostante ciò, era più facile concentrarsi sull'addio a una ragazzina che aveva solo brevemente incrociato, che indugiare sulla fine di un intreccio che l'aveva riguardata più da vicino, nello stesso periodo. Era stato semplice raggiungere la Sala Grande dalla Torre Sud seguendo una strada ormai memorizzata – percorsa, da sola e accanto a lui, più volte negli ultimi giorni – per l'esigenza fisica di mettere uno spazio tra loro due, mentre lui si preparava ad andare via. Senza di lei.

Draco non aveva superato Astoria. Era quello, il pensiero costante aggrappato ai polmoni, insinuatosi nello stomaco. Magari aveva mentito, ingannandola, oppure si era illuso lui, ma Draco non aveva superato sua moglie e Hermione non poteva farci niente. Non poteva esistere competizione con un fantasma, ma senza competizione era anche impossibile vincere.

Non era una combattente incline alla fuga, per quanto sangue e sudore fosse richiesto, ma aveva anche abbastanza acume da rendersi conto di quando era inutile stringere i denti, se uno scontro non esisteva. Avrebbe combattuto di più per il matrimonio con Ron, se avesse ritenuto che quello era un reale desiderio in fondo al proprio cuore. L'avrebbe fatto per Draco, nella maniera meno violenta che conosceva, standogli accanto, se avesse compreso di poter ottenere qualcosa.

Lui non la voleva. Era un fatto evidente, di una logica inoppugnabile e crudele. Benché Hermione amasse l'intrigante piacere di un ragionamento, talvolta il pensiero più ovvio era proprio quello da prendere in considerazione, come un Bezoar era l'ovvia soluzione a un veleno di ignota natura.

Le ultime parole spontanee che le aveva donato, non incrinate di rifiuto, erano state riguardo all'arma dolce e crudele che aveva ucciso Myrtle Steeval. Per quelle, per la giovane studentessa, lei avrebbe continuato un'indagine che l'aveva condotta a lui. E, da sola, sarebbe giunta alla verità.

«La ringrazio» sussurrò una voce spezzata davanti ai suoi occhi, roca e logorata di pianto, in risposta alle condoglianze offerte dalla professoressa Hanover.

«Grazie» le fece eco un'altra, un timbro maschile che tornava da luoghi della memoria lontani.

In piedi davanti al tavolo degli insegnanti dove Hermione era seduta, la signora Steeval era appoggiata al marito come se non avesse la forza di reggersi in piedi – e probabilmente era vero. Gli occhi gonfi e arrossati, una mano conficcata sul braccio di Terry, le unghie curate sulla manica della sua giacca; accanto a lei, il coniuge esibiva un contegno che doveva strappare al dolore con sforzo. Hermione non lo vedeva da anni, e non aveva mai conosciuto la moglie, ma il suo lavoro la portava spesso a ritrovare vecchie conoscenze, nelle più diverse circostanze: quella era una delle situazioni che avrebbe evitato volentieri – ma non l'avrebbe mai fatto, per puro senso del dovere.

Se tutto fosse finito prima, nessun veleno sarebbe arrivato nelle cucine di Hogwarts e Myrtle Steeval sarebbe stata ancora viva. Se tutto fosse finito prima, Rose non avrebbe avuto necessità di due giorni di degenza in infermeria, vittima di una bevanda portata via dalla Sala Grande. Se tutto non fosse mai iniziato, Peter Horton non avrebbe perso i sensi sulla tavola di Grifondoro durante un pranzo. Se tutto non fosse mai iniziato, lei non avrebbe avuto occasione di condividere ulteriore tempo e spazio con Draco Malfoy a Hogwarts.

«I suoi compagni» disse la direttrice della Casa di Corvonero, «hanno preparato questo album e vorrebbero che voi lo aveste. Hanno raccolto le foto dei momenti passati insieme durante l'anno.»

Porse loro un volume sottile con una copertina blu come la Casa a cui apparteneva e Terry staccò una mano dal braccio della moglie per prenderlo. Carezzò con le dita caratteri che Hermione non riuscì a leggere.

«Grazie» ripeté ancora una volta, con tono identico.

«Non anche i compagni che la prendevano in giro, spero! Con quale faccia tosta!» inveì la signora Steeval.

«Tesoro» la ammonì il marito. «Non serve più, ormai.»

La professoressa apparve costernata nel rispondere: «Mi dispiace venirlo a sapere ora, avrei preso dei provvedimenti. La signorina Steeval non mi ha mai riferito niente.»

La madre di Myrtle agitò un palmo per interromperla ed esclamò: «Perché se ne vergognava.» Guardò negli occhi l'insegnante e Hermione rilevò la sua capacità di restare professionale di fronte a un'espressione così devastata. «Io glielo dicevo che quel suo vizio del cibo le avrebbe fatto male, ma questo!» Indicò con un'occhiata il drappo nero che rivestiva il leggio posto di fronte ai tavoli degli studenti.

«Non era un vizio, tesoro.» Terry Steeval le portò all'indietro una ciocca di capelli e lei serrò gli occhi e chinò il capo. L'uomo sospirò. «Vieni, sediamoci.»

Si allontanarono per prendere posto. Su quel lato, anche la professoressa Cooman si stava accomodando, per una volta vestita in maniera meno colorata ed eccentrica. Il tavolo non era ancora al completo: la preside, sommersa dalla corrispondenza con i genitori in ansia, doveva ancora arrivare, come il professor Switch, il professor Paciock. Anche la professoressa Sinistra non era ancora presente: i suoi abiti, invece, perennemente scuri, sarebbero stati quanto mai appropriati.

Riportando lo sguardo davanti a sé, sulla strega che stava controllando con le dita l'abbottonatura di una manica mentre osservava gli studenti sotto gli stendardi di Corvonero, Hermione commentò: «È stato un bel gesto. Quei genitori saranno contenti di avere dei ricordi, un giorno.»

La donna la considerò con un'occhiata. Per una volta, avrebbe avuto ogni ragione per un commento acido – Hermione aveva ascoltato una conversazione in cui non era coinvolta – tuttavia si limitò a scuotere appena la testa. «Se avessi saputo, avrei fatto altro.»

«A volte non vediamo ciò che è proprio davanti agli occhi.»

Draco non aveva superato Astoria. Era così ovvio, ma l'aveva dissimulato bene.

Margaret Hanover arricciò il labbro con sdegno, e infine Hermione la riconobbe. «Questo non lo era» commentò, sferzante, e lei intuì che aveva letto il suo commento come una critica. Prima di avere l'opportunità di porvi rimedio, la professoressa continuò: «A volte riempiamo lo stomaco di cibo perché non ci sia spazio per altro e il segreto diventa una consolazione.» Per un istante contemplò la punta di una scarpa, poi sospirò e riavviò la lunga chioma sulle spalle. Hermione mise un freno alla propria curiosità.

La professoressa le rivolse un freddo sorriso di circostanza, perché il precedente sfoggio di sensibilità non la ammorbidisse troppo, e parlò in tono lezioso: «Mi perdoni, Ministro, devo scendere a dare ordini agli Elfi. La preside mi ha chiesto di farlo per lei: sa, a noi insegnanti gli elfi di Hogwarts sono obbligati a obbedire» si vantò, prima di allontanarsi.

Hermione ne aveva avuto prova dalle abitudini serali della principessa strega: sottostavano ai comandi dei docenti per ogni sorta di necessità, frivola o giustificata che fosse. Lei, che pure non si sarebbe mai sognata di disturbarli per simili amenità, aveva incontrato più difficoltà.

Però ne aveva avuto anche un'altra prova.

Atropa Belladonna. Taxus Baccata. Rhododendron.

Le cucine di Hogwarts.

Gli Elfi Domestici.

L'illustrazione della pianta di rododendro sul testo di veleni le era risultata familiare, ma non vi si era imbattuta in una delle numerose letture di approfondimento passate.

Si guardò intorno, considerò i presenti.

I resti di una fetta di torta al miele erano attorno alla mano fredda di Myrtle Steeval, ma le briciole che non aveva seguito erano quelle che conducevano, forse, alla verità. Talvolta il pensiero più ovvio era proprio quello da prendere in considerazione, per quanto le ragioni sembrassero oscure. A volte non vediamo ciò che è proprio davanti agli occhi.

«Devo andare» sussurrò a se stessa.


Il profumo di fiori non era la più orribile delle condanne, le loro forme e colori non dipingevano immagini brutali, ma i vegetali potevano uccidere, se manipolati con perizia.

Le serre di Erbologia avevano pareti trasparenti, convogliavano la luce solare sugli arbusti al loro interno e il verde appariva sfumato sotto un velo di condensa. I vetri della serra numero tre, tuttavia, non erano appannati al punto da impedirle di individuare una figura umana muoversi al loro interno.

Hermione camminò con passi leggeri sul terreno umido, tuttavia quegli stessi vetri non poterono mascherare nemmeno il suo arrivo. Dalla soglia, scambiò uno sguardo neutro con l'occupante della serra, che poteva essere ancora del tutto ignaro dei suoi sospetti. Poi gli occhi di lei si soffermarono sulla pianta magica di cui si stava occupando e immaginò che l'attimo successivo in cui la riconobbe dovette leggersi chiaramente sul suo viso, gli occhi inorriditi e la bocca spalancata in un'espressione di allarme.

«Expelliarmus!» Fu quello stesso istante di ragionamento a impedirle di rispondere a un attacco fulmineo: la sua bacchetta volò nel guanto da giardinaggio di Neville Paciock, che la ripose in una tasca.

Hermione si mosse all'indietro, ma il mago agitò la propria e lei sentì la porta della serra sbattere dietro di sé.

«Neville, che cosa fai?» Non dovette fingere sconcerto nella voce. Hermione poteva essere arrivata a un sospetto, ma un'aggressione le confermava che c'era qualcosa che non andava, a dir poco.

«Secondo me hai capito, sei così intelligente. Io ti ho sempre ammirata per questo.»

L'uomo posò la bacchetta sul banco e tornò a osservare la pianta. Hermione rifletté su quanti passi li separavano, quanto avrebbe impiegato a correre per afferrarla prima che lui potesse reagire, quanta potenza poteva imprimere a una magia compiuta con una bacchetta che non era la propria. Non abbastanza.

«Quella è una Tentacula Velenosa.» Il colore rosso intenso, i tentacoli aguzzi erano caratteristici: ne aveva letto in proposito proprio di recente, nel libro che aveva ricevuto da Draco.

«Esatto. Mi servono i semi.» Neville avvicinò ai denti della pianta la mano protetta dal guanto e poi la ritrasse, sorridendo del rumore che produssero quando si serrarono attorno al vuoto.

«Sono tossici. E sono una sostanza non commerciabile di classe C» puntualizzò per prendere tempo.

«Non ho intenzione di venderli» replicò tranquillo. Prese una piccola pala per togliere un mucchio di terra dal vaso e spostarlo in un altro.

«Cosa vuoi farci?» chiese Hermione perché continuasse a parlare, mentre si guardava intorno. L'unico ingresso della serra era quello bloccato alle sue spalle.

«Usarli per i loro effetti tossici» rivelò senza neanche alzare gli occhi dalla pianta.

«Belladonna, Taxus Baccata, rododendro» enunciò lei. Alcuni strumenti da giardinaggio erano riposti in un angolo, ma le pareti della serra sarebbero state abbastanza fragili da rompersi o erano rinforzate con la magia? Cercò di ricordare se quel dettaglio fosse scritto in Storia di Hogwarts.

«Sì, ho usato anche quelle» commentò distrattamente.

L'Essenza di Belladonna, un ingrediente che il professore di Erbologia preparava per le scorte dell'aula di Pozioni. Uno degli esemplari secolari di Taxus Baccata in Scozia era nel parco di Hogwarts, intorno alle serre. Nella serra numero uno Hermione aveva visto un arbusto basso, con fiori colorati e insetti che volavano intorno a essi, ma non aveva riconosciuto sul momento la pianta come una di rododendro e gli insetti come le api che producevano il miele.

Tutti veleni di origine vegetale. Ovvio.

Glielo fece notare, a voce alta, e lui rispose: «Sono quelli che conosco. Mi aiuterai tu a usarne altri, sei più intelligente di me.»

Hermione non aveva idea di cosa lo spingesse a comportarsi in quel modo, ma di una cosa era certa: quello non era il Neville Paciock che aveva conosciuto da ragazza. Quel Neville, così buono e gentile, riservava l'impeto a guerre combattute per cause nobili, ma quale ragione poteva giustificare l'avvelenamento di ragazzini? Quel Neville non avrebbe mai potuto credere che lei si sarebbe unita a un proposito del genere.

«Chi è stata la prima persona che hai invitato al Ballo del Ceppo?»

«Che cosa?» domandò lui, incapace di cogliere la motivazione di quella domanda fuori contesto.

«Sai rispondere?»

«Certo che so rispondere. Ci sono andato con Ginny Weasley, ma ho invitato te prima.»

Quel Neville non era impersonato da un altro mago con una Pozione Polisucco.

«Vuoi ricordare i vecchi tempi? Anche io. Siamo amici: continuiamo a combattere insieme.» La calma esibita fino a quel momento fu rimpiazzata da fervore.

«Combattere chi, Neville?»

«I Mangiamorte che hanno preso possesso della scuola. Non possiamo sfidarli apertamente, ma esistono modi più sottili. Perciò i veleni, capisci?»

Hermione qualcosa capiva: di quel Neville iniziava a dubitare della salute mentale, ma ciò non lo rendeva più innocuo o ragionevole. I Mangiamorte si erano insinuati nelle giornate di un anno scolastico che lei non aveva vissuto e lui sì, ma erano passati anni di pace da allora. Però non nella sua testa, non sempre.

Non smettere mai di combattere, Harry, aveva detto al suo amico, quando si erano incontrati. E in quell'occasione Neville saliva dai sotterranei con una tazza in mano, ancora dalle cucine.

«Hai avvelenato tu i bicchieri nelle cucine, prima che fossero Materializzati in Sala Grande?» Se avesse continuato a farlo parlare, e convinto della propria disponibilità ad aiutare, forse lui si sarebbe fidato al punto da restituirle la bacchetta.

«Sì, quando era ancora permesso entrare.» Neville spezzò un ramo con un paio di cesoie, la mano animata da ferma determinazione. «Loro sono persino al nostro tavolo, tra i Grifondoro!» Strinse nel pugno lo strumento.

«Perciò anche Peter Horton? E mia figlia?» chiese sforzandosi di moderare il tono, nonostante l'ira per l'avvelenamento di Rose, per non metterlo in allarme: lui aveva due bacchette e lei nessuna.

«Quale figlia?»

Prese un respiro nel tentativo di controllare i propri lineamenti: aveva sempre trovato conforto nella razionalità e la sua perdita le incuteva terrore. Dalla faccia sinceramente confusa del mago, Hermione comprese che non c'era una reale ragione da ricercare in Rose.

«Lascia perdere, mi sono sbagliata.» Hermione avanzò appena verso di lui. «In seguito non avresti più potuto giustificare la tua presenza all'interno delle cucine con la banale richiesta di un caffè e perciò hai dovuto consegnare agli elfi stessi il miele di rododendro.»

Neville sorrise, ammirato – un'espressione familiare su un compagno di scuola divenuto estraneo. «Molto bene. Possiamo davvero essere una bella squadra» annuì, contento.

Hermione fece un altro passo in avanti. «Gli Elfi Domestici di Hogwarts sono vincolati a eseguire gli ordini provenienti dall'autorità dei professori. Pitts non ha mai saputo di aver riposto nella dispensa un barattolo di miele tossico.» Mentre lei lo interrogava, la creatura aveva fatto quanto gli veniva detto solo quando l'ordine proveniva da Neville – Smetti di colpirti, Pitts risponderà, Resta qui, Falla passare.

«Non avremo più bisogno degli elfi, con tutte le tue conoscenze troveremo un altro modo per colpire i Mangiamorte.»

L'aveva visto trattare quelle creature in maniera efficiente fin dal proprio arrivo a Hogwarts, quando avevano consumato insieme un rapido pranzo prima di salire a controllare la stanza di Peter Horton nel dormitorio di Grifondoro. Sempre lui aveva accompagnato la preside, quando si era trattato di interrogare gli elfi su se avessero notato qualcuno avvelenare le stoviglie sui tavoli e di impartire l'ordine che avrebbe da quel momento in poi vietato l'ingresso nelle cucine.

Hermione allungò una mano verso di lui, come in un invito amichevole. «Ma certo, Neville. Vinceremo contro ogni residuo di Voldemort nel Mondo Magico.»

La bacchetta del suo compagno di scuola schizzò verso un punto alle spalle di Hermione e lei si voltò d'istinto, anche se significava rivolgere la schiena all'unica minaccia che vedeva in quella serra.

«No!» urlò Neville.

Draco Malfoy ruppe l'incantesimo di Disillusione e il primo movimento del suo braccio, tornato visibile, servì a un incantesimo non verbale con cui le spedì, nella mano che prima aveva proteso, la bacchetta di cui era stata disarmata.

Affrontare i nemici richiede notevole ardimento. Ma altrettanto ne occorre per affrontare gli amici.

«Incarceramus!» Hermione immobilizzò subito Neville, mentre sentiva la tensione raggiungere i punti giusti del suo corpo, le braccia morbide nei movimenti e il petto più leggero, animato di determinazione.

«No, Hermione, anche tu!» urlò lui.

Lo ignorò, dopo averlo reso inoffensivo, per guardare l'uomo che l'aveva supportata nella ricerca della verità, fino alla fine. Indossava un mantello da viaggio e, a terra, c'era un bagaglio di ridotte dimensioni, sicuramente dotato di un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Ammirò la sua competenza: aveva mantenuto invisibile se stesso e la valigia durante una parte o tutta la sua discussione con Neville e contemporaneamente aveva disarmato il collega con un incantesimo potente a sufficienza pur essendo non verbale.

«Ero... volevo salutarti. Poi ti ho vista con lui e ho sentito tutto.»

La consapevolezza che Draco avesse inteso cercarla, prima di lasciare Hogwarts, la riscaldò e non riuscì a impedirsi di illudersi ancora una volta.

Gli si avvicinò e lui rimase immobile, osservandola da dietro un'apparenza di perfetta cordialità. Cosa nascondesse, Hermione non avrebbe saputo dirlo: non era certa di essere mai riuscita a conoscerlo nel profondo, al punto da poter intuirlo.

Fu istintivo desiderare seppellire il sollievo tra le sue braccia, ma lui intuì l'intenzione nei suoi gesti accennati e si ritrasse. Come se lei fosse un veleno pericoloso, di cui avrebbe patito le conseguenze se l'avesse toccata e avesse poi portato quelle dita inconsapevolmente alla bocca. Come se lei non avesse, nell'intimo, alcun antidoto da offrirgli – un Bezoar, un antidoto universale efficace su qualunque tipo di minaccia dolorosa lui avesse visto in lei.

«Draco» sussurrò, sorda alla presenza di Neville poco lontano. «Grazie, ancora.»

Hermione si sorprese della forza dei propri impulsi, anche quando erano stati generati nel tempo di una prossimità, tutto sommato, breve. E accidentale.

Si stupì che il suo istinto di autoconservazione – lui non la voleva – fosse quietato da altri più vigorosi, come allungare una mano e percorrergli una tempia con delicatezza, scendere sulle guance e proseguire.

Quello era un uomo che stava soffrendo ed era un uomo a cui avrebbe voluto restare vicino.

«No.»

Ed era un uomo che non lo voleva.

Draco le diede le spalle e sparì; Hermione vide con dolorosa chiarezza che, se anche avesse potuto permettersi di lasciare da solo il professor Paciock, che aveva costituito a tutti gli effetti una minaccia per la scuola, non sarebbe riuscita a raggiungerlo. Lui non voleva essere raggiunto.

Restò per qualche secondo ancora a contemplare la figura che si allontanava, avvolta dalla scarsa luce del sole: l'oro nei suoi capelli era solo oro dei Lepricani.





_______________

Note:
"Furbizia e tanti libri" è una citazione dal film Harry Potter e la Pietra Filosofale.
"Affrontare i nemici richiede notevole ardimento. Ma altrettanto ne occorre per affrontare gli amici" è una citazione da Harry Potter e la Pietra Filosofale, pronunciata da Albus Silente nell'attribuire punti alla Casa di Grifondoro proprio grazie a Neville Paciock.
La metafora sull'oro dei Lepricani si spiega banalmente perché quelle monete (citate per la prima volta in Harry Potter e il Calice di Fuoco) hanno la caratteristica di scomparire dopo poche ore, perciò hanno un valore effimero.
Adesso che è (quasi) tutto rivelato, posso fare un commento sulla scelta dei cognomi di Peter Horton e Jack Broadmoor, gli studenti di Grifondoro (personaggi originali) presentati dall'inizio, per il primo avvelenamento. Sono entrambi due cognomi che esistono realmente, nel Mondo Magico (come accennato in una nota precedente, sono i cognomi di due giocatori di Quidditch del passato) e Babbano. Uso come fonte Wikipedia: dall'inglese antico, Horton può essere interpretato come "farm on muddy soil", il che voleva essere un riferimento alla terra, alle piante, all'Erbologia. Broadmoor Hospital è il più antico dei tre ospedali psichiatrici di massima sicurezza in Inghilterra: voleva essere un accenno a crimini commessi per una salute mentale compromessa.

Pubblico questo capitolo con la stessa tensione di quando l'ho scritto. È il momento in cui ho "tirato i fili", almeno la maggior parte. Qualche altra questione andrà a posto nei prossimi e spero di non aver tralasciato niente.
Posso scrivere con certezza che mancano esattamente due capitoli e un epilogo alla fine della storia.
Grazie, come sempre, a chi continua a seguire questa storia.
Alla prossima! Nel mentre, mi trovate anche su Facebook come Legar Efp e su Instagram come __legar__.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top