XII. Immobile
Hermione si piegò sulle ginocchia e le dita corsero a estrarre la bacchetta.
«Innerva!»
Nessun movimento del corpo riverso a terra rivelò gli effetti dell'incantesimo sperati.
Draco, accanto a lei, imitò la sua posizione e allungò un palmo verso il cappuccio che era scivolato a coprire il volto sul pavimento: era imbrattato di sangue fresco e lei fissò con gelido raccapriccio i suoi polpastrelli che si sporcavano. L'uomo che in passato aveva fatto proprio del sangue una questione vitale si mostrò imperturbabile mentre scostava il tessuto del mantello, scuro ma non abbastanza da nascondere le macchie. Anche i capelli bruni si erano inumiditi di tracce scarlatte e, quando con molta delicatezza Draco voltò quel viso, notò come le ferite deturpavano la pelle, sulla metà della faccia che poteva vedere.
Hermione riconobbe la studentessa di Corvonero che aveva consolato dai dispetti di Pix: i lineamenti infantili erano fissi e rilassati, come strappati a un sonno senza incubi, non presentavano l'espressione di dolore che avrebbe associato alle escoriazioni sul cranio. Steeval, la figlia di un suo compagno di scuola, ricordò.
«Innerva!» ripeté con più vigore, concentrando tutta la magia di cui disponeva nella mano con cui stringeva la bacchetta.
Draco posò due dita sul collo della giovane strega per valutarne il polso. Lei lo osservò, e quando lui le ritrasse incrociò il suo sguardo serio: l'uomo scosse la testa, piano, e una ruga di preoccupazione solcò la fronte pallida. Hermione rabbrividì.
I maghi nei dipinti alle pareti non smettevano di urlare. Lei non smetteva di farlo: «Innerva! Innerva!»
Myrtle Steeval restava nella sua fissità.
Draco le bloccò il polso con gentilezza e fermezza insieme; lo spostò di lato. Erano entrambi consapevoli che l'incantesimo poteva far ristabilire un mago da una perdita di coscienza solo se una coscienza era ancora rimasta.
Hermione si sentì terribilmente impotente, tenne la fronte con un palmo e vi affondò i polpastrelli. Le mura del castello che un tempo era stato palcoscenico di devastazione tornavano a vedere morte, ma quella volta la guerra era subdola.
Il professore si alzò in piedi e si pulì le mani con un incantesimo non verbale. Si accostò a una cornice – un cavaliere su un destriero bardato per un combattimento, sullo sfondo di una foresta – e ordinò: «Vai a chiamare la preside.» Mentre il protagonista della tela eseguiva lanciando al galoppo il cavallo, Draco si rivolse al ritratto accanto, intimando a una dama di avvertire Madama Chips in infermeria, e l'immagine della donna annuì solerte.
Hermione posò una mano dove era stata quella di lui, percependo sotto di essa la cute del collo immobile. La trascinò verso l'alto in una carezza, su una guancia, su una tempia, ravviando all'indietro una ciocca di capelli dalla fronte sporca di sangue. La portò sul busto morbido, coperto dal mantello della divisa, registrando senza sorpresa che non si sollevava al ritmo di un respiro che non esisteva più.
«Non spostiamola fino a che non arrivano» gli disse, con una calma che era propria della strega, dell'eroina di guerra, del Ministro. La madre piangeva, il dispiacere era inafferrabile – un'altra madre era ancora ignara.
Avvolto dal mantello, le mani nelle tasche, lui annuì. Si guardò in giro e l'indumento si mosse con lui: non c'erano altri umani nei dintorni.
Ritornò anche lei in posizione eretta e fissò le mani che si erano sporcate, ruotando i polsi con lentezza. Draco le si avvicinò, le loro spalle quasi si toccavano, e pronunciò con un filo di voce l'incantesimo con cui le ripulì. I palmi tornarono lindi, anche quando tracce vermiglie erano ancora intorno a loro, e lui ne strinse uno per un attimo.
Hermione si portò davanti alla cornice che fronteggiava esattamente le scale e si rivolse al gruppo di uomini e donne che si erano accalcati per poter avere la migliore visuale possibile: «Voi che cosa avete visto?»
«Io sono appena arrivato, non so niente» obiettò uno.
«È davvero orribile!» esclamò una ragazzina.
«Si riprenderà?» chiese con apprensione una donna più anziana.
Era impossibile discernere le informazioni utili in quel vociare confuso, di cui riusciva a distinguere solo poche battute per volta. Prima che potesse intervenire, fu Draco, che si era fatto al suo fianco, ad ammonirli, severo: «Se non avete qualcosa di rilevante da dire, fate silenzio.»
Tutti si ammutolirono di colpo, scrutandosi tra loro con curiosità. Hermione stentava a credere che nessuno avesse notato qualcosa di utile e batté un piede sul pavimento, irritata. Prese un profondo respiro. «Di chi è questa cornice?» ricominciò.
Un mago si fece avanti e gli altri lo lasciarono passare. Era vestito secondo la moda medievale, sembrava uscito dalle illustrazioni di un volume di Storia della Magia. Si tolse il capello in segno di saluto e carezzò il paio di baffi curati che esibiva con un certo orgoglio.
«Buona giornata, mia signora. Mi permetta di presentarmi...»
«Non c'è tempo» tagliò corto Hermione. «Era qui, prima? Che cosa ha visto?»
Il mago gonfiò il petto e si schiarì la voce. «Sono stato qui tutta la mattina, dovevo evitare Lady Elizabeth, che per motivi che mi sfuggono sembra non gradire la mia corte e...»
Hermione udì lo sbuffo sfuggito a Draco, ma non si girò a guardarlo.
«Perciò che cosa ha visto?» ripeté.
«Aspetta, raccontalo anche alla preside» disse Draco in tono brusco, e Hermione allora voltò il capo per vedere la professoressa McGranitt che, seguita dall'anziana infermiera della scuola, avanzava spedita verso di loro.
Madama Chips si precipitò a esaminare il corpo ai piedi delle scale: si inginocchiò e la gonna dell'abito lungo si allargò sul pavimento. Estrasse la bacchetta.
Hermione riportò l'attenzione sul viso della preside: la sua espressione mostrava una severità più pronunciata del solito, le rughe parevano più profonde, il piglio più duro. «L'abbiamo trovata così poco fa, il professor Malfoy vi ha subito mandate a chiamare. Stavo chiedendo una testimonianza» affermò, accennando al ritratto.
«Parli, Sir Albert» lo incalzò la professoressa.
«La fanciulla è caduta dalle scale, ha battuto la testa sulla pietra e non si è più mossa. A parer mio, era piuttosto disorientata: parlava da sola, rideva e compiva movimenti confusi. È inciampata sui suoi passi.»
«C'era qualcuno con lei?» lo interrogò Hermione.
«Non ho visto o udito nessun altro. Voi due» e indicò anche Draco, «siete stati i primi a rinvenirla in queste condizioni. È deceduta?» domandò, abbassando rispettosamente la voce sulle ultime parole e portando una mano al petto.
Si voltarono tutti a guardare l'infermiera della scuola, che doveva aver analizzato il corpo mentre ascoltava al tempo stesso la conversazione. Aveva fatto Evanescere il mantello e, nei gesti con cui l'aveva esaminato, gli arti erano stati lievemente spostati dalla posizione originale.
La strega si era rimessa in piedi, la bacchetta ancora in una mano e il volto oscurato da un'ombra che Hermione non tardò a identificare: era avvezza a ogni sorta di ferita, infortunio, malattia, ma nemmeno una professionista poteva mantenersi del tutto imperturbabile dinanzi a una scena drammatica che coinvolgeva una studentessa che era poco più che una bambina. Hermione si chiese se, come lei, l'anziana strega stesse pensando a una figlia.
«Non c'è più niente che io possa fare» annunciò. Per Hermione il senso della tragedia si concretizzò in un brivido freddo che le scivolò lungo la schiena, nell'udire dalla sua bocca esperta una verità che aveva già compreso da sola.
La professoressa McGranitt prese un brusco respiro. «Poppy, com'è potuto accadere?»
«Il colpo alla testa è stato fatale, vedete» illustrò, indicando con un gesto della mano le condizioni di un corpo che doveva essere definito cadavere.
Hermione intervenne: «Ma come spiegare le condizioni in cui l'ha vista Sir Albert? Potrebbe essere stata attaccata con un Confundus potente? O addirittura un Imperius, ad alterare la sua lucidità?»
L'infermiera si prese un momento per ponderare la domanda e lanciò un'altra occhiata compassionevole alla ragazzina a terra. «È possibile. Una forma di incoscienza, o di allucinazione.»
«Bisognerà avvertire la famiglia» disse Draco in tono pragmatico.
«Li convocherò non appena tornerò nel mio ufficio» rispose la preside.
Si voltarono tutti all'unisono verso il rumore di passi affrettati sulla pietra: la professoressa Hanover correva poco aggraziata, i capelli sciolti si agitavano attorno al viso, le fattezze delicate trasfigurate dalla preoccupazione.
«Ho sentito un dipinto parlare di uno studente che è stato trovato ferito» iniziò, allarmata, ma non appena riconobbe il volto dell'alunna in questione spalancò la bocca. «La signorina Steeval!» esclamò, portando una mano al cuore. Corse verso di lei, si accovacciò accanto all'allieva della sua Casa e, se non l'avesse vista con i propri occhi, Hermione pensò che non l'avrebbe mai ritenuta in grado di muoversi con una tale noncuranza nei confronti dei vestiti eleganti sul pavimento. «Che cosa le è successo?» chiese, la voce acuta, e Draco le si fece accanto per aggiornarla su quanto avevano appreso.
Hermione li guardò conversare sommessamente – l'espressione composta dell'uomo, quella sconvolta di lei – mentre udiva la preside rivolgersi a uno dei dipinti: «Vai ad avvertire anche i professori Paciock e Switch.»
Si avvicinò a passi lenti ai due mentre ascoltava la professoressa McGranitt ragionare a voce alta: «Le lezioni dovranno essere temporaneamente sospese e ogni attività ludica prevista per il fine settimana sarà cancellata. Dovrò trovare il modo migliore di annunciarlo al corpo studentesco.»
Quasi calpestò della carta poco distante dalla mano destra di Myrtle Steeval, che prima non aveva considerato perché concentrata sulla più forte evidenza del corpo disteso e immobile sul pavimento. Si piegò sulle ginocchia per poter osservare di cosa si trattasse, sotto lo sguardo incuriosito di Madama Chips.
«Portiamola su un letto dell'infermeria» propose la preside, mentre lei esaminava i resti di una fetta di torta mangiata quasi per intero: alcune briciole si erano sparse sul pavimento, probabilmente durante la caduta in cui il dolce era scivolato dalla sua presa.
Le si strinse il cuore, al pensiero che il motivo per il quale la signorina Steeval si trovava in giro per i corridoi da sola, nell'intervallo tra una lezione e la successiva, potesse essere da ricondurre alla golosità. L'ultima azione che aveva compiuto, forse, era stata scendere nei sotterranei, a solleticare la pera raffigurata nel quadro che celava l'accesso alle cucine di Hogwarts per chiedere dalla soglia una merenda di metà mattina.
Quando l'aveva incontrata, l'aveva vista soffrire per offese riguardo la forma fisica: Pix gliene aveva rivolte in quella che le era sembrata un'orribile consuetudine, piuttosto che un insulto occasionale. Hermione sapeva quanto le parole potessero ferire a quell'età, quando colpivano in punti che erano così parte integrante di se stessi da essere difficili da limare.
Non c'è da stupirsi che nessuno la sopporti. Quella ragazza è un incubo, parola mia.
So-tutto-io.
Senza nessuno con lei per dare l'allarme, riversa a terra in un corridoio poco frequentato, era l'immagine straziante della solitudine. Dov'erano i suoi amici? Consumava i suoi spuntini da sola per timore che anche i compagni la criticassero? Era sgattaiolata via per cedere in segreto alle proprie preferenze? Hermione sospirò: un profondo senso di tristezza la assalì, incastrandosi dietro la gola e raffreddandole il cuore.
L'uomo che, da giovane, non aveva avuto particolari remore a insultare le si avvicinò e le toccò brevemente il braccio per richiamare la sua attenzione. Un tempo non si sarebbe mai permesso quel misero distacco, e lei non gliel'avrebbe mai concesso.
«Aveva una torta in mano» gli disse, e se lui si accorse del suo tono incrinato non lo diede a vedere.
Draco considerò per un attimo i resti di cibo, che rimasero sul pavimento mentre Madama Chips incantava il corpo di Myrtle Steeval per poterlo trasportare in infermeria e le dita della giovane strega si separavano per sempre dall'ultima cosa che avevano toccato con piacere. «Una torta al miele, impossibile non riconoscerne la vista e l'odore» commentò, arricciando il naso.
«Non ti piace?»
«Lo detesto.»
Per un istante Hermione si distrasse inseguendo il proposito che aveva deciso di abbracciare: conoscerlo, apprendere ogni sfumatura della sua voce, il corso dei suoi pensieri, la vastità dei suoi gusti. Draco Malfoy era come un libro avvincente, che era stato chiuso di scatto a una pagina a metà, non oltre il primo capitolo: riaprirlo anni dopo e ritrovare un volume più lungo la invitava solo a leggere con più voracità. Riporre in uno scaffale del proprio cuore l'opera che aveva per titolo il nome di Ron Weasley era stata una scelta dolorosa e necessaria, perché una vita non era sufficiente per l'intero patrimonio letterario e perciò era doveroso interrompersi quando gli occhi si posavano su pagine meno coinvolgenti.
«Io preferisco i dolci al cioccolato» gli comunicò, e lui accennò un sorriso in risposta.
«Questo può sparire allora, sto soffrendo.»
Hermione alzò gli occhi al cielo, mentre l'uomo esplicitava il proprio dramma riuscendo quasi a farla ridere, in un momento in cui le sembrava l'ultima cosa che fosse in grado di fare.
Draco alzò la bacchetta per l'incantesimo Evanesco, ma una riflessione improvvisa la spinse a bloccarlo.
«Aspetta!»
Lui la guardò con aria interrogativa, inclinando appena il capo, ma abbassò la mano.
Il ricordo di una lettura recente mise in moto i suoi piedi, rapidi, impedendole di coinvolgerlo nei dubbi che intendeva verificare. «Devo controllare una cosa» si affrettò a dire, limitandosi a una stringata comunicazione.
Si era già allontanata di qualche passo, perciò dovette alzare la voce per aggiungere: «Non far sparire quel dolce, assicurati di conservarlo.» Pensava, e annuiva a se stessa. «Devo controllare una cosa» ripeté, e si premurò di accertarsi che lui avesse compreso la sua urgenza prima di voltarsi e accelerare la camminata.
Solo quando la sua attenzione venne richiamata da alcuni colpi alla porta, Hermione alzò gli occhi dal paragrafo che stava rileggendo per accertarsi di non aver ignorato nessuna informazione utile. Riconosciuta la voce di Draco oltre la soglia, lo lasciò entrare, ma gli chiese di non distrarla. Lui si avvicinò alla scrivania per prendere una piuma e un paio di fogli di pergamena intonsi e lei non si preoccupò neanche di vedere dove si sistemasse nella sua stanza e a fare cosa. Registrò distrattamente i rumori lievi derivanti dalla sua presenza – il respiro calmo, la punta sul foglio, il fruscio dei vestiti – mentre era concentrata sulle pagine, tenendo il segno con un dito.
Era intenta nella terza rilettura quando due mani si allungarono, dai lati della sua sedia, per sfilare il libro e chiuderglielo davanti agli occhi. Si poggiarono sul ripiano di legno, tenendo il bordo tra il pollice e le dita, e non si mossero.
«Mi hai ignorato abbastanza.»
Hermione sbuffò e rovesciò il capo all'indietro, estendendo il collo: invece del soffitto, trovò il viso di Draco più vicino di quanto avesse immaginato. In piedi dietro lo schienale della sedia, aveva piegato il tronco per chinarsi verso di lei. Si approssimò alle sue labbra.
«Basta lavoro, Ministro» sussurrò Draco, insolente, direttamente sulla sua bocca.
Il bacio che si scambiarono li vide simmetrici e contrapposti, com'erano sempre stati. Hermione sentì la pressione gentile sulle labbra, mentre il naso inspirava l'odore del dopobarba maschile e un lieve accenno di peluria sul mento si strofinava contro di esso. Circondata dalle sue braccia che non la toccavano, la nuca piegata per andare incontro alla sua bocca, si concesse la distrazione di un momento – respiri leggeri che non si incastravano nel turbamento, labbra che si dilettavano in tocchi delicati.
Si separarono e lui non accennò ad abbandonare quella posizione, muovendo solo la testa appena all'indietro per poterla guardare negli occhi.
«Bene. Tornando a questioni più rilevanti...» La voce le uscì meno severa di quanto avesse voluto, addolcita dal sapore di lui, e Draco reagì con una bassa risata.
«Cosa leggi?» le chiese. Allungò un braccio a prendere una sedia vuota sistemata lungo il muro per accomodarsi accanto a lei.
«Mi concedi di riaprire il libro?» domandò Hermione. Senza attendere davvero la sua risposta, ritornò alle pagine che stava consultando prima che lui decidesse che era fondamentale interromperla.
Lui ricambiò la sua ironia: «Non sono io, tra noi due, ad avere il potere di dare ordini, Ministro.»
«Potresti almeno fingere rispetto, invece di dirlo con quel tono dannatamente divertito» lo rimproverò, senza troppa serietà.
«Intendi denunciarmi per questo?» Draco si portò una mano al petto, fingendo preoccupazione, e lei dovette mordersi l'interno di una guancia per trattenere una risata.
«Lascerò correre. Non mi sembra il caso di riaprire i tuoi trascorsi con la giustizia» pronunciò in tono leggero, permettendosi un'allusione che non faceva più male: lui non aveva ricevuto condanne dopo la guerra ed era stato accertato, come lei aveva avuto chiaro sin da quando si era ritrovata spettatrice inaspettata dei suoi tormenti in un vecchio bagno in disuso, che le sue azioni più riprovevoli non corrispondevano a intenzioni.
«Sei molto magnanima» commentò, posando un braccio sullo schienale della sedia di lei e portando il viso in avanti per poterla baciare in una posizione più comoda.
Hermione, tuttavia, si sottrasse all'ultimo dall'avanzata della sua bocca e riportò lo sguardo sul paragrafo inerente il Rhododendron. L'illustrazione della pianta le risultava familiare, ma non riusciva a ricordare in quale delle altre numerose letture di approfondimento passate l'avesse incontrata.
«Ho iniziato a leggere un po' del tuo libro» esordì, mentre lui si rassegnava a ritrarsi e si metteva più comodo, distendendo le lunghe gambe sotto la scrivania e riposando un braccio sopra di essa. Non spostò l'altro, attorno alle sue spalle.
«Del tuo libro» la corresse.
«Di questo libro» continuò, e lo spostò maggiormente verso di lui per mostrargli la pagina. Un segnalibro sporgeva dal margine superiore.
Prima ancora di prendersi il tempo necessario per comprendere di cosa si trattasse, lui parlò, scandalizzato: «Merlino, Granger, sei già a metà!»
«Sì, volevo una lettura per distrarmi, ma non è questo il punto» replicò, con un gesto noncurante della mano.
Distrarsi, quando aveva riflettuto che cedere alla fiducia poteva esitare in un errore, e si era rifugiata nell'unico sbaglio che era sempre bene commettere: perdere il sonno per una lettura, consapevole che non ne sarebbe mai stata tradita. E che poteva sempre chiudere un libro, davanti a una delusione, ma non era altrettanto facile con le persone.
«Perché il rododendro ci interessa, allora?» domandò lui, tornando serio.
«Quando mi hai fatto notare che la torta che stava mangiando la signorina Steeval era al miele, mi è venuto in mente di aver letto qualcosa in proposito, di recente.» Proseguì più incerta: «Magari è solo un'ipotesi fantasiosa, ma voglio verificarla.»
«Sentiamo» la invitò a continuare con un cenno del capo.
«Il miele prodotto a partire da questa pianta è tossico e ovviamente non è autorizzato l'utilizzo per preparazioni dolciarie.»
«Il consumo può uccidere?» chiese lui, senza lasciare che l'idea intaccasse in alcun modo i suoi lineamenti composti. Draco aveva visto la morte, come lei, e la considerava in maniera pragmatica. Riusciva a farlo persino con una moglie che non era deceduta e neanche viva; Draco conviveva con la morte, da qualche tempo. Aveva accettato l'idea in un modo che a lei sfuggiva e che non poteva capire, ma che era solo personale e perciò non aveva il diritto di condannare. Era l'elaborazione di un lutto che non era neanche definibile tale e lei non avrebbe sindacato sul modo in cui lui l'aveva affrontato, quando la ragazzina che era stata, invece, aveva una morale così salda da costringerla a imporla agli altri con poco riguardo. Da adulta, da genitore, aveva imparato a stare accanto alle persone che accendevano il suo interesse con il supporto incondizionato, rispettosa delle loro libertà, tenendo per sé le proprie recriminazioni. E Draco le interessava.
«È estremamente raro che risulti fatale per l'uomo, è più comune tra gli animali. Tuttavia l'assunzione di mad honey ha effetti allucinogeni» gli lanciò un'occhiata significativa. «In alcune parti del mondo è prodotto proprio per scopi ricreativi» aggiunse, non preoccupandosi di mascherare il proprio biasimo.
«Non ti piace perdere il controllo, Granger?» la provocò con una smorfia impudente, giocando con le dita tra i ricci che scendevano sullo schienale della sedia.
«Non così» rispose. Si fiondò sulla sua bocca per un bacio troppo rapido per permettergli persino di stringerla a sé e tentare di prolungarlo. Quando tornò nella posizione originale lui non si era neanche mosso, ma con l'impronta di un sorriso a distendergli le labbra non avrebbe mai potuto negare quanto era avvenuto.
«Perciò hai ipotizzato che il dolce che ha consumato Myrtle Steeval prima di morire potesse essere contaminato? Uno stato di allucinazione potrebbe spiegare una caduta così banale, eppure fatale.»
Hermione non si sorprendeva più del modo che lui aveva di completare i suoi pensieri, o di anticiparli. Era affascinante esplorare una connessione tra due menti che funzionavano bene, insieme, quando loro avevano invece due cuori così distinti nel funzionamento grezzo. La meccanica del muscolo cardiaco era la medesima, i ritmi prodotti e le ragioni del movimento potevano variare, eppure i cervelli che li controllavano erano affini.
«Bisognerebbe verificare se quel dolce fosse contaminato. L'hai conservato?»
«Come hai detto tu» disse Draco, lasciandosi andare a un mezzo sorriso. Poi proseguì infilando parole in più lenta successione, ragionando a voce alta: «Contaminato accidentalmente, oppure avvelenato intenzionalmente.»
Lei annuì. «Se il dolce contiene mad honey e la signorina Steeval l'ha assunto» sospirò, «questa storia potrebbe non essere ancora finita.»
«Stai pensando alla signorina Zeller?»
Hermione puntò un gomito sul ripiano e posò una tempia sul palmo, tenendo il volto girato alla propria destra, verso di lui. «Io... potresti avere ragione.»
«Ne sono lieto, ma a che proposito?»
Mente analitica e cuore tanto impulsivo: sei una contraddizione vivente.
«Sono stata istintiva e mi sono rifiutata di ascoltarla.»
«Lei non mi sembrava tanto propensa a spiegare.»
Hermione increspò le labbra. «Avrei dovuto insistere e pretendere una motivazione.»
Draco rifletté per un istante. «L'hai detto anche tu, ci sarà un processo. In quella sede sarà verificato anche il movente, ma non puoi pensare che una strega trovata in una posizione così compromettente possa essere innocente.»
«Non innocente. Che abbia rubato è palese e l'ha ammesso, ma ha anche avvelenato degli studenti? Lei ha negato.»
«Chiunque avrebbe negato l'accusa più grave.»
«E d'altronde, se Myrtle Steeval è stata avvelenata, è accaduto quando Rose aveva già lasciato Hogwarts.»
Draco scosse la testa. «Con del miele, probabilmente conservato in un barattolo e poi utilizzato per la torta. Potrebbe averlo lasciato qui prima di essere allontanata, anche prima che fosse bloccato l'ingresso alle cucine.»
«Dobbiamo verificare subito questa ipotesi. Mi sento già abbastanza stupida per aver concesso fiducia a una persona in grado di commettere un furto con questa leggerezza.»
«Non hai immaginato delle mancanze in una persona che ti era accanto. Non sei stupida» disse, e l'intensità di cui brillavano le sue iridi grigie la portò a domandarsi se lui intendesse riferirsi anche alle imperfezioni in se stesso, che corrodevano il suo passato. Torbide macchie grigie erano le imperfezioni di un cielo azzurro e soleggiato; lei avrebbe accolto la pioggia con il viso rivolto verso l'alto e la bocca aperta.
«Ma ho reagito in fretta e potrei aver sbagliato.»
Così acuta, appunto, eppure sei arrivata alla conclusione errata: l'orgoglio ferito ti avvelena la mente.
Lui sogghignò, come se il pensiero dei suoi sbagli lo divertisse. «Non avevo idea che fossi impulsiva, nei rapporti con gli altri.»
«Prendi nota» sbottò secca.
Draco continuò senza dare segno di averla udita: «Anzi, invece sì: tu mi hai picchiato.»
Di fronte alla sua espressione ilare, e sconvolta, Hermione voltò il capo davanti a sé e batté la fronte su un palmo. Il suo corpo prese a tremare per la risata silenziosa che lo attraversò, ma non osò tornare a rivolgersi a lui. Gli nascose l'immagine del ricordo di un momento di cui era, in verità, fiera, perché lui era stato odioso. Non lo era più – o non allo stesso modo.
Fu lui ad approssimarsi e arrivò a sussurrarle in un orecchio: «Devo sentirmi lusingato, di essere in grado di ispirarti queste veementi reazioni fisiche?»
Come se il suo tono insinuante non fosse sufficiente, la mano che le passò sui vestiti, dal ginocchio verso l'alto, contribuì a renderle perfettamente chiaro quale fosse la sua veemenza preferita. Se l'erano scambiata solo poche ore prima, quando l'urgenza era solo quella di trovarsi più vicini, quando il dolore risiedeva solo nella lontananza reciproca. Quando erano ignari e avevano vissuto l'unico modo in cui si sarebbero conosciuti in quell'occasione, nel luogo in cui si erano conosciuti davvero anni prima.
Lei bloccò la sua mano solo quando era ormai giunta insopportabilmente vicina all'attaccatura della coscia al busto. Strinse le sue dita tra le proprie e, quando piegò lateralmente la testa per guardarlo, trovò lui, che non si era mosso, a una prossimità tale che ebbe l'impressione di sentire sulla propria pelle la carezza delle ciglia, che contornavano e celavano gli occhi in un battito inafferrabile. Condivisero quel distacco effimero, scambiandosi un respiro e un sospiro, fino a quando Hermione sentì che sarebbe stato insostenibile mantenerlo oltre senza cedere al desiderio di baciarlo, perché uno dei modi che avevano di conoscersi era concretizzato sull'intima pelle.
Deglutì la propria sete – di conoscenza, di lui – e allontanò il volto dal suo, piano, perché altrettanto insostenibile sarebbe stato privarsi del suo profumo avvolgente in maniera troppo repentina.
«Dobbiamo» si schiarì la voce, «andare. Dobbiamo verificare l'ipotesi del miele di rododendro.»
«Voglio passare anche in Guferia.»
Hermione inclinò il capo con aria interrogativa, e lui chiarì: «Non so te, ma vedere il corpo senza vita di una bambina di undici anni mi ha messo addosso l'urgenza di scrivere a Scorpius.» Le indicò con un cenno il rigonfiamento nella tasca anteriore dei pantaloni e lei realizzò che uso avesse fatto della pergamena che aveva preso dalla scrivania, quando era entrato.
Il bisogno di ritornargli vicina bruciò nel tempo di una pulsazione del cuore, si sciolse come del miele dolcissimo – e innocuo – al calore delle sue premure.
Passata la familiare urgenza di correre a verificare i propri dubbi su un libro, Hermione si rese conto che comprendeva appieno il suo stato d'animo e lo condivideva.
Quel giorno, dal tavolo degli insegnanti in Sala Grande, sguardi più insistenti del solito si sarebbero posati su una delle chiome rosse più famose tra i giovani Grifondoro. Rose probabilmente non li avrebbe neanche notati, concentrata sul proposito di ignorarla – come se qualcuno potesse non collegarla alla madre Ministro semplicemente perché lei faceva finta che non esistesse, quando era nei dintorni. Eppure Hermione, che aveva sempre rispettato e ammirato l'indipendenza di cui la figlia dava sfoggio quando si impegnava a brillare con le sue sole forze, per il tempo di un pranzo l'avrebbe scrutata più a lungo, riempiendosi gli occhi della sua immagine. Viva. Non immobile.
Quel giorno, dalle incombenze che si erano presentate nel momento in cui un nuovo, terribile dramma si era abbattuto su Hogwarts, avrebbe ritagliato lo spazio e il tempo di scrivere a Hugo. Avrebbe scelto il gufo più veloce a disposizione della scuola e atteso una risposta scrutando i cieli. Avrebbe ritrovato la sua grafia precisa e infantile, la carta macchiata di colori vivaci sotto l'impronta dei polpastrelli trascinati sulla pergamena mentre scriveva. Vivo. Non immobile.
Quel giorno avrebbe reputato ancora più caro il privilegio della maternità, la possibilità di stringere a sé il corpo di un figlio, entusiasta o recalcitrante di fronte alle manifestazioni d'affetto, ma non immobile.
«Prima il dovere, Malfoy» si costrinse a pronunciare in tono severo, ma si addolcì inevitabilmente, quando aggiunse: «Possiamo raggiungere insieme la Guferia, dopo.»
Lui non diede segno di notare l'insicurezza nella sua voce – lui avrebbe voluto condividere quel momento, e altri, con lei? – e la stemperò con il sorriso caldo con cui acconsentì.
Avvolse un riccio, a lato della tempia, tra due dita e lo ispezionò per il tempo di una rotazione del polso. Poi spostò la sedia all'indietro; scivolò sul pavimento in uno stridio che le ferì le orecchie, a conclusione di una conversazione condotta nella voce bassa permessa dalla loro vicinanza. Draco si mise in piedi e protese la stessa mano che aveva allontanato dai suoi capelli di nuovo verso di lei, invitandola a imitarlo.
Lei si affidò al suo palmo.
Avendola in piedi, l'uomo considerò con un sorrisetto la maglia che le avvolgeva il torace. Le chiarì la ragione di quell'occhiata prima che lei potesse cedere all'istinto di abbassare lo sguardo per controllare di non avere nulla fuori posto – magari per colpa sua, lui che gliel'aveva stropicciata davanti a uno specchio impolverato e sempre lui che aveva fatto sì che a lei non dispiacesse affatto. «Ti sta bene, il verde.»
Hermione alzò gli occhi al cielo. «Professor Malfoy, sei così parziale.»
Draco si lasciò andare a una risata. «Sono competitivo e ambizioso.»
Lei sbuffò. «Parziale» sillabò. «Devo sospettare che ci siano le tue macchinazioni dietro la vittoria di Serpeverde nella Coppa delle Case lo scorso anno?»
«Granger, mi offendi» replicò, per nulla toccato, a dispetto del significato delle sue parole. «Sono estremamente professionale.»
«Ottimo. È proprio alla tua professionalità che mi sto per appellare. Andiamo, abbiamo da fare.»
Lui la tenne accanto e borbottò tra sé, senza più guardarla direttamente, pur consapevole che lei non avrebbe potuto non udirlo: «Prendo ordini da Hermione Granger. E mi piace anche abbastanza.»
Camminarono verso la porta con le mani intrecciate. Si separarono solo quando la soglia venne spalancata sull'ambiente minaccioso fuori.
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Note:
Svelato il destino della giovane Myrtle Steeval in questo capitolo, posso condividere l'origine del suo nome: mi piace raccontare le motivazioni dietro alcune scelte compiute nella storia. Come ho scritto in note precedenti, il cognome deriva da un compagno di scuola dell'anno di Hermione, Terry Steeval di Corvonero. Il nome Myrtle, invece, è stato scelto, oltre perché mi suonava bene con quel cognome, per richiamare il destino di un'altra Myrtle nella saga, ovvero Mirtilla Malcontenta (Moaning Myrtle in originale): entrambe le ragazzine muoiono a Hogwarts in giovane età da sole.
La frase "Non c'è da stupirsi che nessuno la sopporti. Quella ragazza è un incubo, parola mia." deriva da Harry Potter e la Pietra Filosofale, pronunciata da Ron.
Le informazioni presentate nella conversazione tra Draco e Hermione sul Rhododendron e sul mad honey da esso prodotto sono corrette anche nel mondo Babbano. Come sempre, non sono un'esperta di piante ma ho fatto le mie ricerche; se qualcuno che ne sa di più mi sta leggendo, perdoni qualche eventuale ingenuità.
La battuta "Prendo ordini da Hermione Granger. E mi piace anche abbastanza." è una citazione da Harry Potter e la Maledizione dell'Erede, pronunciata proprio da Draco Malfoy, ovviamente in circostanze ben differenti.
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