X. Diffidenza

Per alcuni secondi di interminabile silenzio si sentì solo il respiro affannato di Rose. La fronte della donna era corrugata, gli occhi lucidi di lacrime di dolore atteggiati in una smorfia colpevole. In piedi davanti all'armadio delle scorte, teneva la schiena lievemente piegata in avanti e le braccia strette al torace, le mani vicine al petto, nella posizione in cui le stava esaminando fino al momento in cui Hermione era entrata nell'aula. La pelle era arrossata in maniera innaturale e le dita stavano cominciando a gonfiarsi. Il rosso violento della cute le indicò che doveva aver provato a toccare gli ingredienti protetti dall'Incantesimo Flagrante con insistenza, più di una volta: non si era arresa al prezzo di bruciarsi.

Hermione si mosse dalla porta per lasciare spazio a Draco, che restò al suo fianco. Era stordita dalla scoperta, il viso cristallizzato nel puro sgomento e la testa pesante, come se stesse tentando di sostenere un esame sotto gli effetti di un Confundus. L'immagine catturata dalle pupille era codificata dal cervello in qualcosa di estraneo, che non si incastrava con alcuna informazione nota riguardo alla donna con cui aveva lavorato così proficuamente per mesi, verso la quale non aveva avuto nessuna incertezza nel ritenerla degna di fiducia. Proruppe nell'unica domanda che la angustiava: «Che cosa ci fai qui?» Credeva che le parole avrebbero lasciato le sue labbra in grida disarticolate, invece si sorprese del tono freddo e misurato che riuscì a recuperare.

Rose spalancò la bocca e prese aria, ma non compose alcuna frase. Scosse appena la testa e abbassò gli occhi mesti sulle proprie mani. Era restia a parlare, pure in quel frangente: come osava?

«Il Ministro vuole una risposta» le intimò Draco, con tono gelido di furia malcelata.

Tenendo il capo chino sui palmi che non azzardava neanche a muovere, la voce bassa dalla vergogna, Rose tentò di replicare: «Io...» Si voltò verso l'anta aperta del ripostiglio, probabilmente rendendosi conto che la sua posizione doveva sembrare piuttosto compromettente anche senza giustificazioni.

Draco strinse la mano in un pugno e la guardò: Hermione vide nei suoi occhi lo stesso cipiglio con cui un momento prima si era mostrato sprezzante riguardo l'utilizzo di una maledizione in assoluta leggerezza e lo considerò con una diffidenza nuova.

«Se non intende spiegarsi da sola, possiamo costringerla.» Nelle sue parole, udì la medesima noncuranza che riservava a chiunque non rientrasse tra i suoi interessi, la morale che si piegava senza resistenza alcuna al soddisfacimento di obiettivi personali. Lo sapeva benissimo, ma una parte di sé non poté che restarne amareggiata, quando con lei era stato ben diverso nei giorni precedenti, non inducendola con la forza a niente che lei non desiderasse. Devi essere tu a volerlo.

«Malfoy, abbassa la bacchetta.»

La alzò lei, per tenere sotto tiro Rose, senza neanche sincerarsi che lui le avesse dato ascolto. Avanzò un passo nella sua direzione.

«Ti sarai resa conto da sola che le scorte dell'aula di Pozioni erano protette.» Hermione accennò alle mani di Rose, coperte di piccole bolle lucide sull'area arrossata, e un fioco lamento abbandonò la profondità della sua gola. «Cosa stavi cercando?»

«Mi dispiace» cominciò lei.

«Cosa stavi cercando?» alzò la voce. Non attese una risposta e guardò Draco: «Quali ingredienti sono stati spostati rispetto a come li hai lasciati?»

Lui camminò spedito verso l'armadio e gli bastò solo una fugace occhiata alle scorte per fornirle l'informazione che aveva chiesto. «Foglie di Tentacula velenosa, Aconito, veleno di Acromantula» elencò sicuro, «e Bezoar.» Con la bacchetta accennò un movimento e l'anta si richiuse docile, senza sbattere. Non ebbe neanche la necessità di rinforzare la maledizione, che aveva funzionato perfettamente e retto all'intrusione.

Hermione ricordò che nell'ufficio della preside Draco aveva lamentato un furto di ingredienti: pure allora, ingredienti vari, alcuni tossici, e Bezoar per contrastarli.

«La preside avrebbe avuto da ridire sul danno economico per la scuola, se fossi stato costretto di nuovo a far fronte a queste perdite» commentò.

«Non è questo il punto, Malfoy» lo redarguì: preoccuparsi per lui non era davvero l'urgenza più impellente. «Si tratta di sostanze velenose e antidoti.»

«Non volevo usarli, lo giuro!» Rose si agitò e, muovendosi, una ciocca di capelli scuri le cadde sul viso, però non poté usare le mani ferite per rimetterla a posto e agitò lievemente la testa per spostarla.

«E dovremmo crederci?» chiese Draco, sprezzante, battendo un piede sul pavimento.

«Non ho mai avuto intenzione di fare del male a nessuno.» Piagnucolava, la sua assistente sempre tanto seria e compita: era uno spettacolo inatteso e orribile. Contrastava in maniera sinistra con ognuna delle memorie che aveva di lei.

«Allora è capitato per caso che non uno, ma ben due studenti siano finiti in infermeria?» Draco avanzò un passo nella sua direzione, ma si interruppe subito, guardando Hermione e probabilmente concludendo da solo che lei non avrebbe tollerato alcuna irruenza.

«Io non so nulla degli avvelenamenti. Ministro, mi creda.»

Era difficile confidare che i vocaboli provenienti da una bocca d'improvviso estranea corrispondessero a verità. Hermione le domandò: «Se ora controllassi il baule nella tua stanza, cosa ci troverei?»

I suoi occhi parlarono chiaro senza nemmeno la necessità di una replica verbale.

«Sei stata sempre tu a rubare dalle scorte in occasione della nostra prima visita a Hogwarts?»

Rose abbassò nuovamente lo sguardo, nascondendo l'espressione implorante. Hermione la conosceva abbastanza da riuscire a leggerle quelle emozioni in volto, eppure sentiva al contempo di non conoscerla affatto.

«Per favore, fa male» la implorò, ruotando lievemente i polsi per volgere le mani e osservarle dall'altro lato, che non si presentava meglio.

Hermione non ebbe dubbi che stesse dicendo la verità, sul dolore delle ustioni. Si rivolse a Draco: «Hai del Dittamo?» Non era da lei avvallare la tortura, non avrebbe iniziato in quel momento, benché la delusione fosse una cattiva consigliera.

«Che risponda, prima!»

Lui la squadrò come se la considerasse una sprovveduta e lei ebbe l'istinto di rimarcare di nuovo che non doveva permettersi di farlo, tuttavia lo ignorò, concentrandosi sulla donna che la guardava vergognandosi di se stessa. Si produsse in un blando incantesimo curativo contro il dolore: non sarebbe stato sufficiente a guarire le ustioni né ad anestetizzare completamente la lesione, però avrebbe avuto una minima efficacia per mantenerla lucida. Poi le ripeté la domanda precedente con un cipiglio che non ammetteva più vaneggiamenti e lei annuì solamente, senza neanche il coraggio di un'ammissione verbale, ma anche senza negare.

A quel punto Hermione non riuscì più a controllare il tono della voce. «Perciò hai già rubato dei Bezoar? Gli stessi Bezoar che hanno salvato la vita a mia figlia, e se solo li avessi presi tutti non ne sarebbe rimasto neanche uno per lei? Per soccorrerla da un avvelenamento che, per quanto ne so, potresti aver organizzato tu stessa, con i veleni sottratti! Dimmi, mi avresti anche aiutata a organizzare il funerale come mi sei stata vicina in infermeria? E poi mi avresti consolata, guardandomi piangere?»

«No, lo giuro, non ho mai pensato di avvelenare qualcuno!»

«Questo sarà un processo a stabilirlo» sentenziò.

L'enormità delle conseguenze delle sue azioni parve piombare di colpo su Rose, che sgranò gli occhi e avvicinò le mani al viso come nel tentativo di racchiuderlo tra i palmi per nasconderlo, ma si fermò all'ultimo per non toccare la cute ferita. Così rilassò le braccia lungo i fianchi ed esclamò: «Ho rubato, l'ho ammesso, ma non per uccidere, mai! Pensa davvero che ne sarei capace?»

Ma Hermione non le stava più prestando attenzione, perché era uno sforzo enorme ascoltarla e lasciare che altro, oltre all'improvvisa sfiducia, recepisse le sue parole. Non sapeva più, di cosa era capace.

«Incarceramus

Grosse funi proruppero dalla sua bacchetta e andarono a circondare il corpo di Rose, bloccandola, benché non avesse in realtà tentato alcuna fuga, probabilmente consapevole dell'improbabilità di una sua riuscita all'interno dei confini di Hogwarts. Hermione era così certa dell'efficacia del proprio incantesimo che sapeva che i nodi magici si sarebbero stretti in misura maggiore se solo lei ci avesse provato, in un azzardo disperato.

«La legislazione magica punisce il furto: attenderai di essere giudicata sotto sorveglianza, a casa tua. Se ti rivelerai colpevole anche di averli usati, sappi che non avrò pace fino a che non ti vedrò ad Azkaban. E inoltre, sei licenziata.»

Le lacrime che avevano ripreso a scorrere, leggere, sulle guance di Rose parvero crescere d'intensità alla sua ultima affermazione, come se essere colpita nell'orgoglio per la sua professionalità fosse la punizione che la feriva maggiormente.

Hermione non le parlò ancora e non la guardò neanche. Si voltò verso Draco e gli disse in tono neutro: «Per favore, portala tu in infermeria perché Madama Chips faccia qualcosa per quelle mani. Io non voglio più vederla.»

Per ora: forse sarebbe stato necessario affrontare nuovamente la sua vista, nella sede del Wizengamot, ma in quel momento doveva permettersi di odiarla senza il contegno che un'apparizione pubblica avrebbe richiesto.

Lui annuì e lei fece per dirigersi verso la porta, ma una sua semplice parola – «Aspetta» – la fermò. Il mago entrò nel proprio ufficio dalla porta in fondo all'aula e lei lo attese a braccia conserte, osservando dalla soglia il corridoio che le appariva come un miraggio graditissimo: non aveva voglia di restare in quel luogo neanche un altro secondo.

Draco tornò poco dopo e, senza una parola, le porse il pregiato volume che le aveva promesso, in un tempo che pareva ormai lontanissimo, sebbene quello trascorso fosse così esiguo. Davanti agli occhi, la contraddizione della sua mano che offriva e che minacciava. Nell'animo, la contraddizione dell'istantanea fiducia e dell'antica estraneità. Lei lo prese e per un attimo le loro dita si trovarono separate solo da una copertina rigida e qualche centinaio di pagine racchiuse al suo interno.

«Grazie» gli disse, e uscì senza voltarsi indietro.

Diffidenza. Era un sentimento nuovo, che non credeva avrebbe mai provato nei riguardi della sua perfetta assistente. Era sempre stata un supporto insostituibile e Hermione si rese conto che aveva preso a considerarla degna di una vicinanza superiore a quella comunemente riservata a un semplice collaboratore. Tuttavia l'apparenza di quel viso mite nei suoi pensieri era bruciata, come le mani usate a sproposito, e la miccia era in un'immagine inedita.

Camminò per corridoi silenziosi con il libro stretto al petto e lo mantenne in quella posizione quando si stese su un fianco sul proprio letto, ancora vestita, a fissare un punto vuoto della parete della camera. Se le mani non fossero state impegnate a tenere il prezioso tomo, sentiva che le avrebbe adoperate per lanciare qualcosa, qualsiasi cosa, su quel muro, intonso come lo era stata la fiducia che aveva creduto di potersi permettere.


La stanza di Rose, illuminata dalla luce del mattino, si presentava simile alla sua e immaginò che lo fossero anche tutte quelle destinate al personale, al netto di variazioni individuali. Lei l'aveva abitata solo per alcuni giorni, insufficienti per lasciarvi un'impronta propria, che si palesava unicamente nel mantello posato ordinatamente sullo schienale della sedia davanti alla scrivania e nel bagaglio poggiato sul pavimento ai piedi del letto.

Hermione era da sola: quella che era stata l'occupante della camera aveva trascorso il resto della notte in infermeria, come immaginava sarebbe accaduto quando aveva chiesto a Draco Malfoy di condurla da Madama Chips, nota la scrupolosità della strega.

Le ante del guardaroba e i cassetti che aveva aperto per un'esplorazione attenta non le avevano rivelato niente di significativo: contenevano semplicemente i pochi oggetti di uso quotidiano che la sua assistente – licenziata – vi aveva lasciato. Carta da lettere e un francobollo delle Poste Babbane, una spazzola che aveva intrappolato un lungo capello castano, un pigiama sgualcito. Solo per un secondo, Hermione aveva provato disagio e trattenuto le dita che invadevano la sua sfera privata, prima di ricordarsi perché lo stava facendo e riaccendersi di determinazione.

Le lenzuola erano state rassettate dagli Elfi Domestici ed erano adagiate sul materasso senza alcuna piega, lisce al tatto e ordinate alla vista. Candide, profumavano di bucato fresco, dovevano essere state cambiate di recente. Aveva controllato anche sotto i cuscini se potesse esservi qualcosa, ma si era ritratta a mani vuote.

Aveva lasciato per ultimo il baule posato a terra e si piegò sulle ginocchia per averlo all'altezza degli occhi. Provare ad aprirlo le rivelò che era stato protetto con la magia, ma non si trattava di nessun incantesimo troppo potente da rompere per lei e dopo un preciso colpo di bacchetta poté accedere al contenuto. Tra vestiti, soprabiti, scarpe e altri oggetti di poco conto, individuò un libro avvolto in una sciarpa leggera e lo estrasse per poter leggere il titolo. Ingredienti oscuri e dove trovarli, esattamente il tipo di testo che poteva contenere le informazioni di cui la sua segretaria – licenziata – aveva bisogno per sapere bene che cosa trafugare dall'aula di Pozioni. Scavò nella valigia fino in fondo, ma non trovò evidenza delle altre sostanze sottratte dalle scorte per le lezioni: quelle che Rose aveva rubato in occasione della loro prima visita alla scuola erano evidentemente già state utilizzate e non ne aveva più con sé. E, da quando erano tornate e non si erano più allontanate dal castello, quello nella notte doveva essere stato il suo unico tentativo di ripetersi, altrimenti avrebbe notato nei giorni precedenti segni di bruciature sulle dita oppure Draco le avrebbe riferito di un altro furto.

Ricordò che era stata Rose stessa a insistere per non tornare nella casa in cui viveva da sola e restare al suo fianco a Hogwarts, quando lei era rimasta accanto al letto della figlia incosciente. Ne aveva apprezzato la generosità, allora, conforto per la sua mente angustiata dalla preoccupazione, ma alla luce della recente scoperta doveva rileggerla come l'intenzione di non allontanarsi dal materiale che la strega aveva intenzione di rubare ancora.

Ripensò alla reazione della donna alla vista di lei con Malfoy: Hermione le era stata grata per la sua assoluta discrezione, invece lei aveva mantenuto il riserbo su quell'informazione solo per poterla sfruttare al momento opportuno, cogliendo un'occasione in cui sapeva che il professore sarebbe stato occupato in sua compagnia. Avrebbe pure funzionato, se l'attaccamento ai libri di Hermione non si fosse rivelato ancora una volta provvidenziale – o se Malfoy non avesse ceduto alla noncuranza verso chi avrebbe potuto restare colpito dalle sue macchinazioni.

Faceva male, costringersi a rivedere tutto, rileggere ogni atto disinteressato di gentilezza dopo aver compreso che l'interesse reale era solo celato sotto la superficie. Faceva male, costringersi a riconoscere le conseguenze nefaste della fiducia. L'immagine che aveva di Rose Zeller si era frantumata in molteplici cocci aguzzi, che si conficcavano sulla pelle in altrettante fitte acute.

Uscì dalla stanza della sua collaboratrice – licenziata – per scendere dalla torre che ospitava gli alloggi degli insegnanti verso la Sala d'Ingresso: un passo dopo l'altro, l'andatura tranquilla non recava traccia del suo stato d'animo. Non sapeva se era più arrabbiata con Rose, che aveva tradito la sua stima, oppure con se stessa, per avergliela concessa. L'aspetto brillante degli inganni del professor Allock, l'apparenza affidabile delle menzogne di un Mangiamorte nel corpo di un Auror: la fiducia affrettata, e malriposta, faceva danno. Solo la sana diffidenza poteva salvare dalle delusioni e, in ultima analisi, salvare vite?

Su una rampa di scale all'altezza del primo piano incrociò, a proposito di una vita che era stata risparmiata per pura fortuna e prontezza di spirito, Peter Horton in compagnia di Jack Broadmoor. Procedevano spediti nella direzione opposta e i loro mantelli, vicinissimi, ondeggiavano al ritmo della loro camminata frettolosa.

«Sbrigati! Il professor Paciock non metterà in punizione un Cacciatore della squadra di Quidditch della sua Casa, ma non è giusto approfittarne.»

«Sei tu che mi hai distratto, stamattina, altrimenti mi sarei ricordato di mettere il libro nella borsa.»

Si accorsero di lei e la salutarono; Hermione ricambiò distrattamente per pura educazione, invidiando la leggerezza che le era preclusa e che non si era mai potuta permettere appieno nemmeno alla loro età. Una nube di pesantezza la circondava e nella solitudine non vedeva spiragli di sole ad attraversarla.

Sospirò, procedendo verso la propria meta, e un cavaliere in un quadro si tolse cerimoniosamente il cappello al suo passaggio, prima di cavalcare al galoppo superando i confini delle cornici adiacenti. Lei frenò i propri passi e fissò il punto sulla parete in cui era stato: era destinataria di riverenze verbali per la propria posizione, gesti di omaggio per la carica che ricopriva. Apparenza, ancora: nessuno era mai stato più rispettoso di Rose Zeller e Rose Zeller le aveva mancato di rispetto più di tutti. Scosse piano la testa e riprese a camminare.

Le porte della Sala Grande si aprivano su un ambiente quasi silenzioso, su lunghi tavoli apparecchiati e disordinati, tovaglioli spiegazzati e piatti sporchi: gli Elfi Domestici si sarebbero occupati nel corso della mattinata di rimettere tutto in ordine per il pranzo. Hermione diede le spalle a quella vista per guardare l'ingresso del castello: i portoni di pietra spalancati sulle distese di verde che all'orizzonte baciavano un cielo grigio, attraversati dall'Auror più celebre del Ministero della Magia Britannico.

Harry si muoveva con confidenza, era vestito dell'uniforme e il distintivo scintillante sul petto lo identificava come "H. Potter", anche quando il suo viso così famoso sarebbe bastato a renderlo riconoscibile – la cicatrice, con cui molti lo inquadravano, e lei che era andata oltre, imparando a distinguerlo nelle dita che si allungavano a riordinare i capelli perennemente spettinati, nella bocca gentile non solo con le conoscenze più strette.

Ritrovarlo e salutarlo era tornare a espandere il torace in ampi movimenti, riempire i polmoni senza impedimenti: c'erano anni di amicizia a garantire per l'aria pura che respirava con lui. Non poteva esistere diffidenza nei confronti di un sorriso che aveva imparato, identico, su un volto infantile e ritrovava su uno adulto, più segnato e tuttavia per lei sempre uguale.

Gli studenti intorno si affrettavano a raggiungere le rispettive aule e dedicavano loro solo brevi occhiate incuriosite: non erano nemmeno nati quando i loro nomi avevano segnato la storia del Mondo Magico, conoscevano quelle vicende dai racconti di chi le aveva vissute. A Hermione tornò in mente il motivo per il quale si era recata a Hogwarts dopo anni, l'episodio da cui era iniziato tutto, e rifletté che, in quel momento come allora, era più semplice ignorare gli sguardi dei giovani, in genere meno invadenti di quelli degli adulti che nel mito di Harry Potter erano cresciuti.

«Grazie per aver risposto così velocemente.»

«Dovere, Ministro» scherzò Harry. «Hermione, hai detto di aver bisogno di me» constatò semplicemente, scrollando le spalle a sottolineare l'inevitabilità del suo arrivo, dopo che lei gli aveva mandato un messaggio. C'erano sempre, l'uno per l'altra.

Era semplice sorridergli in risposta, certa della limpidezza degli occhi verdi che avrebbero ricevuto quel sorriso.

Si mosse placidamente dall'ingresso del castello e lui la seguì.

«Ho scritto qualche giorno fa a Ginny: hai smesso di prenderla in giro?»

Harry mostrò un'espressione allegra. «No, lo sai. Non molla un attimo Lily, credo stia cercando di accumulare tempo con lei per quando inizierà a frequentare Hogwarts.»

Hermione si aggiunse alla sua risata.

«Hugo sente la mancanza della sorella e io vorrei pensasse lo stesso di me quando sarà anche lui a scuola; Rose era solo impaziente di iniziare.»

«Me lo ricordo» annuì Harry, divertito. «Pensi che potrei vedere James e Albus?»

«Dovrebbero essere a lezione. Vuoi davvero distrarli?» lo rimproverò.

«Meglio di no, hai ragione tu. L'anno scolastico è quasi finito e devono concentrarsi sugli esami.»

«Tutta questa saggezza viene dalla paternità?»

Camminare e conversare e ridere con il suo amico accanto per i corridoi del piano terra era così familiare che non ebbe bisogno di controllare l'andatura distratta o la direzione dei piedi.

«Tutta questa saggezza purtroppo mi impone di tornare al Quartier Generale appena possibile, nonostante apprezzi la compagnia.»

Hermione sospirò, poi annuì: il tempo per i convenevoli che si era concessa per svagare la mente non era illimitato. «Rose Zeller è in infermeria, c'era bisogno di Madama Chips per le bruciature sulle mani, ma non dovrà restarci ancora, non erano così gravi.»

«Ci occuperemo noi di sorvegliarla, fin quando non sarà chiarita la sua posizione.»

«Vanno requisiti anche i bagagli nella sua stanza: ci ho trovato un libro sui veleni che deve aver consultato. Inoltre sarebbe opportuna una perquisizione della casa, potrebbe tenere lì ciò che ha preso da Hogwarts e non usato durante la nostra prima visita.»

«Lo faremo prima che ci entri lei, per evitare che possa disfarsene.»

Solo per un momento, Harry si distrasse a contemplare le statue immobili davanti ai muri, i ritratti animati alle pareti: Hermione, ritrovandoli al suo arrivo a Hogwarts, era stata colta dalla stessa meraviglia, più consapevole di quella del primo giorno di scuola a undici anni e sempre amabile.

Socchiuse gli occhi e li riaprì su quelli affettuosi del suo amico – erano del colore di una Casa in cui si agiva con ogni mezzo, con disprezzo del lecito. «Io non ci posso credere. Non me lo spiego.» O forse non era solo una Casa a cui si veniva assegnati a undici anni a contare.

Hermione interruppe la propria camminata senza meta davanti alla rampa di scale che proveniva dai sotterranei. Scosse la testa, adirata più che incredula, e Harry allungò un braccio a confortarla.

«Già. La tua assistente, proprio lei. Tu come stai?»

Si limitò a guardare il suo amico, e ciò che lui le lesse in volto dovette sembrargli particolarmente eloquente, perché la trasse a sé per un veloce abbraccio. Quando si separarono, lei vide due streghe dipinte nel ritratto dietro di lui additarlo, indicandosi la fronte.

Harry prese a giocare con le dita sulla manica della divisa. «Tornerai a casa, adesso? Ron mi ha detto che sei» guardò a terra per un istante, «confusa, riguardo al vostro matrimonio.»

«Non sono confusa.»

«Gli hai chiesto del tempo per stare da sola?»

«Ron mi ha dato del tempo, ha fatto tutto lui. Io gli ho detto che non voglio più stare insieme a lui. Non come una coppia» spiegò, decisa.

Harry trasalì: «Allora non eri solo preoccupata per l'avvelenamento di Rose?»

Hermione l'aveva già pensato: Ron semplicemente non capiva e in quei termini ne aveva parlato a Harry. Ma il suo non era un vagabondare confuso che l'aveva fatta finire per caso tra le braccia di un altro uomo; era la consapevolezza raggiunta di cosa non andava in un matrimonio tiepido, non travolgente come avrebbe dovuto. Ci sarebbe giunta anche senza la ricomparsa di Draco Malfoy ad accelerarla e l'avrebbe compreso anche lui.

«No, Harry.»

Lui ci pensò per un momento. «Tra noi, hai sempre saputo tu tutto. A me dispiacerebbe, tanto, ma se vale anche per questa situazione...» Si passò una mano tra i capelli, incerto. «Voglio dire, prendi le tue decisioni, Hermione.»

Hermione considerò l'insieme delle frasi dell'amico e vi lesse oltre: non doveva essere semplice, per lui, dividersi tra lei e Ron, e lei non gliel'avrebbe chiesto.

«Ma che cosa è cambiato da parte tua?» insisté Harry in tono sinceramente partecipe.

Avrebbe potuto dirgli di più, azzardarsi a citare l'uomo che aveva avuto un ruolo nel spingerla verso quella presa di coscienza, ma era più facile così, per ora, quando era una parte piccola e ancora poco nota delle sue giornate. Troppo poco nota.

C'erano sempre, l'uno per l'altra. Ma, almeno in quella situazione, voleva restarci ancora un po' da sola. Non doveva tuffarcisi trascinando con sé le altre persone della propria vita, perché la fiducia affrettata, e malriposta, faceva danno e solo la sana diffidenza poteva salvare dalle delusioni.

Un moto di gratitudine – vera, tangibile, incrollabile – la spinse a sorridergli e scuotere la testa: «Te ne parlerò, lo prometto.» Forse l'avrebbe spinta anche di nuovo tra le sue braccia fraterne, se non fossero stati distratti da un vecchio compagno di scuola che sopraggiungeva dalle scale dal basso.

Salendo l'ultimo gradino, Neville Paciock attirò la loro attenzione e si avvicinò, il mantello appuntato sul corpo e una tazza fumante in mano.

Ritrovandosi a conversare brevemente con loro tra le mura di Hogwarts, le parve di essere tornata indietro nel tempo, ma gli occhiali di Harry erano stati adattati alla vista che era peggiorata, i capelli di Neville erano meno folti. Nel castello, due di loro erano solo di passaggio.

«Dovresti venire a trovare il nostro Frullobulbo. Ginny voleva decorare casa, ma la pianta non sembra passarsela molto bene.»

Hermione precisò: «In realtà si tratta del vostro secondo tentativo con un Frullobulbo. Il primo era un Tranello del Diavolo e per fortuna quel pomeriggio sono passata a trovarvi e me ne sono accorta.»

Neville ridacchiò. «Esposto alla luce del giorno sarebbe stato innocuo, ma di notte vi sareste ritrovati coinvolti in un vero combattimento!»

Neville si congedò dicendo di dover andare a lezione. Appena prima di allontanarsi per raggiungere le serre di Erbologia, il busto già voltato a metà in direzione del portone d'ingresso, aggiunse, leggero: «Non smettere mai di combattere, Harry.» Divertito, osservò per un rapido istante la bacchetta nella tasca della sua divisa.

A quel commiato, lei e Harry si scambiarono uno sguardo, poi l'Auror rispose, in tono neutro: «Sì, Neville, grazie.»

Quando il professore non fu più a portata d'orecchio, commentò: «Voleva forse intendere che dovrei combattere le folli idee di mia moglie?»

Hermione rise, soffocando la serietà che le imponevano i recenti avvenimenti. «Non so, Harry. L'idea di un Tranello del Diavolo era decisamente da stroncare, io starei attenta a quando deciderà di prendere un animale domestico.»

«Potrebbe confondere un uovo per la colazione con un uovo di drago?»

«Attento a parlare così di lei: non si farebbe problemi a rimetterti in riga.»

«Lo faccio solo quando non ha la bacchetta a portata di mano.»

Giunto anche per Harry il momento di lasciare la scuola portando con sé Rose Zeller, lei rifletté che non aveva alcuna intenzione di rivederla. Perciò, mentre lui si allontanava per raggiungere l'infermeria, Hermione risalì le scale che portavano alla torre esposta a sud in cui si trovavano gli alloggi degli insegnanti.

Davanti al quadro che celava l'ingresso nella parete, pronunciò distrattamente la parola d'ordine e attraversò l'apertura che si rivelò nel muro.

Si fermò subito. Nel corridoio sentì parole indistinte pronunciate a bassa voce, in tono suadente; odorò un profumo femminile dolce e stucchevole; vide la figura elegante di Margaret Hanover. Aggrottò la fronte e socchiuse gli occhi, come nel tentativo di mettere a fuoco una scena per un difetto di vista. Davanti alla porta in fondo al corridoio che costituiva l'ingresso della camera del professor Malfoy, la sua collega gli parlava, vicinissima, e una mano si spinse sulla sua. Col tatto lei immaginò il calore del palmo maschile, con la bocca ricordò il sapore dei suoi baci.

Non era la prima volta che la vedeva uscire dalla sua camera. Ma era una volta di troppo, in coda alle ultime ore che le avevano già dimostrato quanto labile potesse essere la fiducia.

Quanto bene conosci le sue abitudini prima di andare a dormire, esattamente?

Diciamo che le risulto abbastanza gradito da mostrarmele. Ma io non gradisco particolarmente lei.

Hermione indugiò solo un secondo. Subito dopo voltò il capo con forza per non doverli più guardare e si diresse spedita dentro la sua stanza, non curandosi neanche di accompagnare la porta per evitare che sbattesse. A quel punto, dovevano sicuramente essersi accorti entrambi di lei.

Potresti tenere la strega principessa lontana dal tuo ego.

Lo faccio già.

Vi si appoggiò con la schiena, chiudendo gli occhi. La leggerezza che le aveva regalato l'incontro con Harry svaniva, di fronte ad altre considerazioni che tornavano prepotenti. La sua compagnia non aveva cancellato la sensazione che si presentava come un peso ingombrante sul torace: non conoscere davvero qualcuno, dopo tanto tempo passato a lavorare proficuamente insieme – proficuamente? –, dopo poco tempo trascorso in un'intensa esplorazione reciproca – reciproca?

Non poteva atteggiarsi a ragazzina gelosa, non alla sua età, ed era stato estremamente facile camminare veloce e trattenere accanto al fianco la mano che altrimenti avrebbe potuto muovere a impugnare la bacchetta.

Oppugno. Everte Statum. Bombarda.

Le labbra accennarono un sorriso disteso. Espirò e rilassò le spalle.

Non aveva esitato nel corridoio neanche per controllare se Draco avesse tirato via la propria mano o meno. Ne aveva abbastanza di essere delusa.





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Note:
Come precisato altrove, il libro Ingredienti oscuri e dove trovarli non esiste nel mondo di Harry Potter e il titolo è di mia invenzione.
Il Frullobulbo è una pianta magica ornamentale e somiglia esteticamente al Tranello del Diavolo, perciò può nascere l'equivoco di confonderle. Quest'ultima può strangolare a morte le vittime, ma teme la luce; la prima è invece assolutamente innocua.
Oppugno, Everte Statum e Bombarda sono tutti incantesimi offensivi.

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