V. Inevitabile

In virtù della sua collocazione, nell'aula di Pozioni la temperatura era in ogni stagione meno piacevole di quella dei piani superiori del castello e permanerci la costrinse a prendere tra pollice e indice le maniche e a tirarle verso il basso, fin quasi alle nocche.

Nell'aria si mescolavano in un unico sentore indistinto le essenze specifiche delle pozioni che riposavano nei calderoni posti sulle file di banchi. Hermione lo trovò quasi disturbante, disabituata, dopo anni trascorsi dalla fine del proprio percorso di studi, a respirare alla presenza di miscele magiche di varia fattura in preparazione.

Non c'era alcuna lezione in corso e il silenzio riposante dei sotterranei era guastato solo dall'occasionale flebile scoppio di una bolla sulla superficie dei liquidi in maturazione nei calderoni ancora caldi e dal lieve crepitio delle fiamme che andavano spegnendosi sotto di essi. E dalla loro conversazione tranquilla.

«Ho concluso che si trattava di foglie vecchie di Taxus baccata, sminuzzate in una polvere finissima e impercettibile nel bicchiere.»

Malfoy le parlava senza spostare mai per troppo tempo lo sguardo dal calderone a cui stava lavorando, intento a rimescolare con attenzione una pozione. Era posato sulla cattedra, accanto a una pila di temi da correggere e alcuni volumi che lei riconobbe dalla copertina come testi avanzati, probabilmente usati per approfondimento personale più che per insegnare ai suoi giovani studenti.

«Perciò un veleno diverso stavolta. Dovrò fare qualche ricerca.»

Dalla sua posizione, seduta su un banco di fronte a lui, i palmi poggiati ai lati delle sue cosce distese, non riusciva a vedere il colore e la luminosità che sapeva essere peculiari della pozione che il professore stava portando a termine per una prossima lezione del sesto anno, ma l'aveva riconosciuta ugualmente dai vapori che si innalzavano nelle caratteristiche spirali davanti al suo viso. Erano in tutto e per tutto simili alle illustrazioni presenti in Pozioni Avanzate di Libatius Borage, segno che era stata preparata correttamente – non che avesse alcun dubbio – e invecchiata abbastanza da diventare pronta per essere utilizzata. O non utilizzata, conformemente alle direttive ministeriali in materia di sicurezza.

«L'ho già fatto io.»

La fronte di lui era appena lucida di una impalpabile patina di sudore, per il calore attorno alla fiamma accesa per magia, e di tanto in tanto lui sollevava la mano che non teneva la bacchetta per portare indietro una corta ciocca bionda, in gesti inconsapevoli che lei invece non riusciva a impedirsi di notare scrupolosamente, anche nel mezzo dei suoi ragionamenti a voce alta.

Con un movimento elegante del polso e un incantesimo non verbale fece levitare un libro dalla scrivania e lo condusse ad atterrare delicatamente tra le sue mani. Hermione ne accarezzò la spessa copertina nera e i caratteri dorati dallo stile gotico. Doveva provenire dal Reparto Proibito della biblioteca, considerata la natura potenzialmente letale dell'argomento trattato: veleni mortali, sostanze naturali talvolta più pericolose persino della magia nera, che potevano uccidere senza lasciare indizi e senza necessità di una bacchetta, com'era noto persino a sfortunati Babbani, che, ignorando le magiche proprietà del Bezoar, dovevano ricorrere alla più inaffidabile medicina.

«È un albero sempreverde» continuò lui, descrivendole i risultati della ricerca che aveva già compiuto, «piuttosto diffuso in Scozia, dove si trovano alcuni esemplari secolari. Rami, semi e foglie sono tossici, ma sono proprio queste ultime le parti della pianta dove si concentra maggiormente il veleno. Anche gli effetti descritti corrispondono con i sintomi della signorina Weasley prima del Bezoar.»

Hermione aveva sempre riposto massima fiducia nelle risposte che solo i libri potevano darle, ma diede credito istintivamente alle informazioni che lui aveva elencato per lei, non solo perché le aveva fornito la fonte prima ancora di parlare. Il tono misurato e competente doveva essere lo stesso che affascinava i suoi studenti e lei vi si appigliò con trasporto, dando solo una rapida scorsa all'indice del volume e aprendolo alle pagine relative al tasso quasi solo per tenere le mani occupate.

«Quindi non dovrebbe essere difficile procurarselo, in questa zona.»

I suoi occhi scivolavano rapidi sui paragrafi, concentrandosi sui concetti fondamentali, con la destrezza che aveva acquisito in anni di letture.

«Affatto. Credo ci siano un paio di alberi anche nel parco della scuola stessa.»

Leggendolo, Hermione mormorò il nome comune con cui il vegetale in questione era noto. «Albero della morte...»

Represse a stento un brivido: Rose era sana e salva in Infermeria, era passata a salutarla in mattinata, essendosi svegliata tardi, e l'aveva trovata in condizioni ottimali, prima di lasciarla alle attenzioni di Madama Chips per andare a occuparsi di questioni ministeriali con la sua assistente, lavorando nella sua stanza.

«Non è neanche la cosa più pericolosa in quel libro» commentò l'uomo.

«Noto che te ne intendi» insinuò acida.

Lui le rivolse un'occhiata sarcastica, accennando alle provette, al calderone, alla bilancia di ottone davanti a lui, e Hermione si rimproverò mentalmente: era ovvio che lui se ne intendesse.

Lasciò che la sua sciocca illazione si perdesse, sul sottofondo di passi rapidi e pesanti che provenivano da oltre la porta e proseguivano lungo il corridoio.

«Non possiamo nemmeno essere certi che sia stata la stessa persona, se cambia l'arma usata» considerò poi.

«Se è la stessa, sa quello che fa, si è informata su come adoperare queste sostanze. Un veleno che colpisce a segno può essere una casualità, due no.»

«E se è la stessa, sembra attaccare a caso. Rose mi ha detto di conoscere a malapena l'altro studente colpito.»

«Non a caso. Sono entrambi Grifondoro e Mezzosangue, no?»

«Malfoy, ti stai forse complimentando con le scelte in termini di vittime di un possibile omicida?» Lo osservò con uno sguardo estremamente eloquente riguardo la sua strenua condanna della questione – non che ci potesse essere mai stato alcun dubbio in merito, da parte sua.

Lui rise e lei si sarebbe goduta con incomprensibile stupore la melodia intrigante di quel suono, se non fosse stata irritata dalla propria ipotesi.

«Ammetto che il buon Salazar Serpeverde lo farebbe.» Lei aprì la bocca per prendere fiato per la propria invettiva, ma lui non le diede modo di parlare, aggiungendo subito: «Io non più. Stavo solo ragionando assieme a te.»

Non più.

Stava ragionando assieme a lei e Hermione ragionò su quanto naturale le sembrasse quell'interazione. Proficua, persino: lui aveva anticipato alcune risposte alle sue domande e aveva aggiunto considerazioni alle sue analisi. Non era più solo il suo corpo – o non lo era mai stato – a rappresentare una tentazione.

Alla luce del giorno la sua attrazione verso di lui non aveva più i contorni sfumati dell'incoscienza, ma la consistenza più solida della ragione. Era definita nell'attenzione con cui spiava i muscoli degli avambracci scoperti dalle maniche tirate su per lavorare, la forma invitante delle labbra che articolavano le parole che le rivolgeva.

Mai per un momento aveva sospettato che risiedesse nella gratitudine; che non si dicesse che a Grifondoro fossero sprovvisti del coraggio di un'ammissione, benché scomoda, e in ogni caso ne aveva sperimentato gli effetti da prima di avere un motivo più che valido per essergli riconoscente.

Era ormai inevitabile. Era un'attrazione che si era stancata di combattere, quando persisteva senza scomporsi anche sotto i raggi del sole e con un cielo di stelle alla finestra e nella luminosità cupa di un'aula sotterranea.

Draco smise di mescolare la pozione che aveva ultimato e coprì il calderone pieno, per conservarla al meglio in vista della lezione in cui l'avrebbe illustrata agli alunni.

«Che cosa hai preparato?» chiese, anche se lo sapeva già da sé, tanto per cambiare discorso e distrarsi dalle sue riflessioni.

«Vieni qui ad annusare e avrai la tua risposta» la invitò, scoprendola nuovamente.

Era un'efficace provocazione, perché il filtro le avrebbe mostrato l'esatta natura della sua attrazione, gli odori che la ispiravano, ed era piuttosto certa che lui si fosse accorto che lei l'aveva riconosciuto. Eppure non poté impedirsi di scendere dal banco su cui era seduta per avvicinarsi al calderone, per quella imprudente curiosità che l'aveva già spinta, in precedenza, con lui, oltre il limite ormai debole imposto dalla morale.

Si fece accanto a lui ed esitò, trattenendo il fiato, prima di inspirare e chiudere gli occhi. La pozione che avrebbe dato un odore alle cose che la attraevano di più non poteva rivelarle nulla che non avesse, a quel punto, già compreso da sola.

Foglie di tè essiccate.

Due foglie di tè ridotte in polvere. Naturalmente non le avrei mai aggiunte se avessi sospettato che avrebbero completato il tuo antidoto.

Sapone neutro.

C'erano decine di file di mattonelle intorno a loro, rubinetti asciutti e specchi impolverati, e lui la baciava.

«Che cosa senti?»

La sua voce era un sussurro proveniente dalle profondità inesplorate della sua gola, le labbra così vicine all'orecchio di lei che non ebbe alcun bisogno di alzarla per essere udito. La mano che aveva poggiato alla base della sua schiena si insinuò piano sotto il tessuto liscio della maglia: era calda, sulla sua pelle, e premeva appena per spingerla più vicina a lui.

Hermione voltò il capo e fu inevitabile finire sulla sua bocca.

Draco mosse la propria per assaggiare meticolosamente ogni morbidezza della sua, succhiarle assorto un labbro e definirne i margini con la lingua. La spinse all'interno delle sue labbra e non indugiò nell'incontrare la sua, privandola al contempo di ossigeno che a lei non pareva più fondamentale quanto assaporarlo nell'intimità del suo palato.

Con una mano su una natica la teneva stretta al suo corpo e la studiata prossimità dei loro bacini era una promessa di delizioso torpore. Lei aveva la propria sulla sua nuca, le dita infilate tra i capelli biondi, della consistenza perfetta di un bacio desiderato.

Hermione indietreggiò di un passo fino a che non sentì il margine della scrivania dietro di lei, allora inclinò lievemente il busto all'indietro trascinandolo con lei e lui ne approfittò per scendere con la bocca sul suo collo, scostando tutti i suoi capelli ingombranti dietro la spalla. Percorse la sua pelle con dolci baci e languide carezze della lingua, che resero il suo respiro fuori controllo, brusco e affrettato dall'esigenza di sfogare le reazioni alle impudiche attenzioni di quella bocca che avrebbe voluto sentire ovunque.

«Oggi non mi trovi volubile?» riuscì a pronunciare, mentre con le mani sulla sua schiena lo tratteneva a sé, benché lui non desse affatto l'impressione di voler rifuggire il suo corpo.

Draco ritornò con il viso alla sua altezza, lasciando al posto delle labbra due dita che disegnavano intrecci squisiti sulla pelle appena sopra lo scollo della sua maglia, allargandolo per scendervi al di sotto in occasionali tocchi che raggiungevano la sommità di un seno per ritrarsi subito dopo, infiammandola di aspettativa.

«Non insopportabilmente» rispose, guardandola negli occhi, poi li richiuse tornando a baciarla e un morso impalpabile sulle labbra le diede contezza di quanto il loro scambio l'avesse acceso.

La prese per i fianchi per farla accomodare sulla cattedra e quella posizione solleticò piacevolmente la sua memoria al pari delle sensazioni tattili del momento. Una mano di lui la toccò, attraverso il tessuto sottile dei pantaloni, dal ginocchio fino alla piega in cui la coscia si congiungeva al tronco, arrestandosi a una vicinanza struggente.

Lei incrociò le gambe attorno al suo corpo per trarlo più vicino, una mano tirò un lembo della camicia fuori dai suoi pantaloni per percorrere la carne tesa dell'addome, verso il fianco e tornando indietro, i polpastrelli affondati nei muscoli contratti. Scese pigramente verso il basso solo per il gusto di osservare la reazione che lui avrebbe avuto alla sua provocazione, indovinata la direzione pericolosa che aveva intrapreso, in un luogo e in un tempo inappropriati – la porta chiusa non era sigillata con la magia, la lezione successiva sarebbe iniziata tra non molto e lei era pronta a porre tra loro la distanza opportuna non appena avesse sentito un rumore di passi approssimarsi. Infatti lui le bloccò il polso in una presa delicata ma ferrea e lo ricondusse all'altezza del suo torace.

«Non ora» la ammonì, il tono rovente, che le mandò caldi brividi lungo la schiena e un delizioso dolore all'altezza del ventre.

Per puro spirito di contraddizione Hermione sfilò il polso dalla sua stretta in modo brusco e colpì inavvertitamente il calderone poco distante, però senza versarne il contenuto.

Draco la rimproverò con un sorriso compiaciuto: «Non è mia intenzione lamentarmi, potresti solo essere meno irruente della scorsa volta? L'Amortentia mi serve per la prossima lezione.»

Lei rispose con una smorfia analoga, divertita dallo scintillo nel suo sguardo. «Eppure mi pare di ricordare che fossi piuttosto irruente anche tu» lo rimbeccò.

«È solo colpa tua» disse, gli occhi fumosi, e lei si lasciò accusare da quella bocca, evitando di ribattere per offrirgli la sua dischiusa. Riportò i palmi sul corpo dell'uomo davanti a lei, sui candidi avambracci nudi, salendo sul tessuto serico che vestiva le braccia, le spalle, fino a cingergli il capo poggiandoli ai lati del collo.

Si separò dalle sue labbra per seguire con il naso la linea della mandibola, appena ispida di una corta peluria inspiegabilmente intrigante, e incastrare la faccia alla sommità del suo torace. Inspirò a pieni polmoni l'essenza indefinita che stavolta non proveniva da un calderone e sporse la bocca per lasciare un bacio sulla pelle morbida, mentre le mani risalivano a palesare il suo coinvolgimento nel disordine appassionato in cui mosse i capelli di lui.

Lui la teneva vicina a sé il più possibile, con i palmi possessivamente poggiati sui suoi fianchi, impressi a fondo nella carne in risposta al tocco delle sue labbra, e lei aveva ogni intenzione di rimanere in quella posizione, nel ritaglio di tempo a loro concesso.

Poi l'incedere sicuro di tacchi sulla pietra proveniente da fuori e i successivi colpi ritmici alla porta li spinsero ad allontanarsi frettolosamente, di comune, ma inespresso, accordo: ristabilirono una distanza consona tra i loro corpi, lui si impegnò a mettere a posto i libri sulla cattedra invero già maniacalmente ordinati, lei vi girò attorno per tornare a prestare attenzione al volume sui veleni che aveva lasciato prima sul banco di fronte.

Rose Zeller entrò nell'aula, il viso gentile incorniciato dai capelli castani che arrivavano alle spalle e gli occhiali sul naso, giacché prima l'aveva lasciata a lavorare alla sua corrispondenza.

«Professore» salutò, e Malfoy rispose con un cenno educato, senza distrarsi dall'opera a cui stava attendendo con perizia encomiabile.

«Ministro» continuò, «mi dispiace disturbare le vostre ricerche sul veleno, sono passata per comunicarle che finalmente sono riuscita a mettermi in contatto con suo marito: è tornato da poco e, appena saputo di Rose, ha lasciato il Ministero per venire a Hogwarts. Gli ho detto che l'avrebbe trovata qui per andare insieme da vostra figlia, sta per arrivare.»

Suo marito.

«Ti ringrazio, Rose. Sei sempre impeccabile.» Riuscì a rivolgerle un sorriso cordiale, nell'improvviso ottundimento che l'aveva avvolta come una nebbia infima.

Il rumore di un libro richiuso di scatto la fece sobbalzare, ma non si voltò a verificare nel grigio brillante delle iridi di Draco se fosse stato accidentale o frutto di un improvviso malumore per quella notizia: non voleva saperlo, in quel frangente di confusione.

Non poté non sentirsi in colpa al pensiero che la piacevole attività in cui si era impegnata fino a qualche minuto prima le causasse disagio nel ricevere una notizia che avrebbe solo dovuto metterla di buonumore, per sua figlia, che voleva vedere suo padre.

Malfoy si spostò da dietro la scrivania per sistemare il tomo appena violentato nell'armadio del materiale di scorta, lungo la parete. Hermione vide la sua assistente considerare con uno sguardo fuggevole l'estremità inferiore della camicia dell'uomo e lei si irrigidì. La stessa occhiata rapida si posò sui capelli insolitamente spettinati e sul leggerissimo rossore sulle guance pallide, probabilmente notandoli solo allora.

Hermione pensò rapidamente a cosa dire, ma non c'era alcun motivo plausibile per il quale l'indumento fosse stropicciato, disordinatamente fuori dai pantaloni, all'interno dei quali si trovava invece quando lei e Rose si erano congedate sulla soglia dell'aula – almeno non le venne in mente nessuno che non implicasse un contatto fisico. Perciò resto muta, con una confessione in viso, a invocare in silenzio la discrezione della donna davanti a lei.

Rose si schiarì piano la voce. «Professore, penso che voglia sistemarsi, prima dell'arrivo del signor Weasley» pronunciò con molta delicatezza, accennando lievemente all'altezza della sua cintura, senza lasciar trasparire alcun giudizio nella sua espressione neutra.

Malfoy la guardò impassibile, stringendo appena le palpebre, senza commentare, poi i suoi occhi sfiorarono per un attimo Hermione, prima di decidere opportunamente di ritirarsi a fare quanto Rose aveva consigliato nell'angolo dell'aula più distante da loro, lasciando loro la possibilità di conversare lontane dalla sua presenza ingombrante.

La sua segretaria ebbe comunque la premura di dare le spalle alla stanza, raggiungendo la porta, mentre Hermione si faceva accanto a lei.

«Rose...» cominciò, incerta, mordendosi il labbro inferiore.

«Non dica niente, Ministro. Il mio lavoro non consiste nel giudicare la sua vita privata.»

Hermione pensò che, se la loro relazione non fosse stata molto cordiale ma sempre strettamente professionale, avrebbe assecondato l'impulso di abbracciarla. Era davvero fortunata ad avere una persona così preziosa al suo fianco.

«Io...» prese un profondo respiro, «dovrò parlare con Ron» disse, consapevole dell'inevitabilità di quella decisione, che esprimeva a voce alta per la prima volta.

Sentì il leggero rumore di sottofondo dei gesti misurati di Malfoy interrompersi per un momento: era certa che lui potesse udirla e, anche se su un piano inconscio, la sua ultima battuta era stata per lui più che per Rose, pur senza guardando.

La segretaria annuì soltanto, fedele all'intenzione di non commentare le sue scelte personali.

«Adesso aspettiamo sulla porta il padre di sua figlia.»

Il padre di sua figlia.

Rose aveva mostrato nel dialogo, riformulando gli appellativi nelle sue parole ponderate, l'abilità esperta di un duellante che riceve un attacco a sorpresa, ne prende atto, lo evita con prontezza e risponde senza scomporsi. Chissà se era altrettanto abile con la bacchetta: non l'aveva mai vista impegnata in un'attività che non fosse d'ufficio, il Ministero prevedeva di assegnarle degli Auror quando aveva bisogno di una scorta in pubblico.

Restarono sulla porta finché non videro Ron camminare trafelato verso di loro, le braccia tornite che oscillavano lungo i fianchi: indossava la divisa da Auror, che doveva aver recuperato non appena dismessi gli abiti dell'identità sotto copertura. Il cappotto scuro impeccabilmente abbottonato fino al collo, la bacchetta posata in una tasca studiata apposta perché fosse molto rapido estrarla per maghi sia destrimani sia mancini – fu purtroppo inevitabile per lei soffermarsi a riconoscere le differenze con gli abiti che aveva sgualcito senza alcun rincrescimento poco prima.

Ron salutò calorosamente Rose e poi lei, catturandola così celermente in un bacio superficiale che lei non ebbe neanche il tempo di realizzarlo e, mentre il suo viso si allontanava, si domandò se in caso contrario l'avrebbe schivato.

Lui si voltò a guardare Malfoy e lei seguì il suo sguardo, portandolo sull'uomo che aveva baciato in maniera così diversa poco prima e registrando, con l'espressione di chi è stato colto in fallo – che per fortuna Ron non poteva vedere, concentrato sull'altro uomo –, le sue mani strette in pugni lungo i fianchi, le nocche in risalto sulla cute pallida, ma non un'emozione in viso.

«Malfoy.» Il saluto dell'uomo al suo fianco fu senza dubbio meno cordiale di quello rivolto un istante prima a Rose.

«Weasley» ricambiò l'altro, freddo allo stesso modo.

«Allora? Che informazioni hai?»

Draco ripeté le deduzioni che aveva condiviso precedentemente con lei, l'ombra nel suo sguardo dissimulata dal tono misurato.

«Dovrebbero intervenire gli Auror in questa storia» propose Ron, incrociando le braccia al petto con un chiaro intento bellicoso, negli occhi la determinazione ispirata dalla divisa che aveva ottenuto di indossare.

«Ron, io sono preoccupata, ma non siamo affatto certi che il colpevole sia un mago oscuro. Me ne sto occupando io, per ora» lo placò lei, non credendo che si fosse giunti al punto di coinvolgere il Quartier Generale degli Auror negli affari di Hogwarts.

Lui la scrutò come a sincerarsi della sua adeguatezza a quel ruolo e lei ebbe l'impulso di estrarre la bacchetta per strappare con un Diffindo quell'uniforme che sembrava dargli un assurdo senso di superiorità – come se lei non avesse potuto superare l'addestramento ed essere al suo posto, se avesse voluto. Lasciò correre e lui riprese a parlare, guardando il professore a un banco di distanza.

«Attaccare dei Grifondoro Mezzosangue, avvelenare senza il coraggio di colpire direttamente» prese a ragionare a voce alta, «sembra proprio il tuo stile, vero, Malfoy?» insinuò.

Hermione fermò le proprie mani solo all'ultimo secondo, già vicine alla tasca che conteneva la bacchetta.

Lo sguardo che Malfoy gli rivolse sembrava capace di ferire quanto una maledizione, gelida furia che gli deformò i lineamenti. Il tono con cui replicò avrebbe potuto essere destinato a un insulto, ma non ebbe bisogno di abbassarsi a tanto nella scelta dei vocaboli: tutti in quella stanza erano consapevoli dell'oltraggio nelle illazioni di Ron. «Fammi capire: pensi che io vada a indagare le origini di ognuno dei miei studenti?»

«Non mi sorprenderebbe.»

«Stai sostenendo che io abbia tentato di uccidere due miei alunni?»

«Non posso escluderlo.»

«Ron, ora basta» intervenne lei, intransigente. «Nell'addestramento da Auror non ti insegnano ad accusare senza prove e Malfoy finora ha solo aiutato.»

Ron la prese per un braccio e parlò facendosi più vicino al suo viso: «Tu perché lo difendi con così tanta certezza?»

La faccia di Draco era una maschera d'ira repressa a stento, che lei aveva visto farsi più intensa nel momento in cui Ron le si era avvicinato in quel modo sgradevole.

«Già, perché? Sei così ingenua, Granger?» Sputò quelle parole tra i denti in un modo che con lei non aveva più usato, non solo negli ultimi giorni, ma già da quando avevano scoperto insieme, anni prima, un'inaspettata prossimità.

Sei stata ingenua, Granger, sebbene assurdamente fortunata.

Lei odiò il fatto che fosse giunto a ritrovarlo, ispirato da antichi dissapori che loro due avevano abbandonato e Ron ribadito come se non fossero passati anni, in un mondo nuovo. Credeva ragionevolmente di non esserne la reale destinataria: non era possibile che una bocca così gradevole sul suo corpo fosse sgradita a parole.

Hermione chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Li riaprì sul viso della sua assistente, che si era tenuta in disparte, e vi trovò la calma per mettere fine a quello scontro.

Con decisione allontanò la mano di Ron e parlò rivolgendosi a entrambi, inflessibile: «Ho detto basta.» Quindi si diresse verso la porta e subito Rose accennò dei passi per seguirla.

«Andiamo in infermeria, Ronald. Rose non mi ha chiesto di te affinché tu tornassi a Hogwarts per comportarti da ragazzino» gli intimò, e lui saggiamente decise di non replicare più e prese a camminare verso l'uscita dell'aula.

Il lampo ferito che, uscendo per ultima, intravide squarciare il rigido autocontrollo di Draco la tormentò fino a quando non fu rasserenata dalla vista del volto energico di sua figlia nel letto sorvegliato da Madama Chips: il sorriso, pregno di amore fraterno, con cui acconsentì a scrivere una lettera a Hugo che era stato in pensiero per lei, e quello sollevato con cui ironizzò sulla fortuna di avere poche lezioni da recuperare, essendo rimasta in infermeria per la maggior parte durante il fine settimana.

Quel bagliore tormentato tornò ad angustiarla più tardi, nella camera in cui aveva dormito durante la notte precedente e parte del mattino, mentre era seduta su una sponda del letto. Le scarpe poggiavano su un tappeto anonimo, presente per praticità più che per motivi ornamentali, e le quattro pareti pressoché spoglie erano spettatrici mute della loro conversazione.

Ron sedeva alla scrivania davanti al muro, un braccio posato sul ripiano vuoto. Dando sfogo alla propria curiosità, Hermione aveva verificato in precedenza che i cassetti fossero liberi e poteva vedere le mensole inutilizzate alle pareti, pur senza neanche un velo di polvere a inficiarne l'aspetto, grazie ai solerti elfi domestici che si occupavano di rassettare anche stanze non ordinariamente occupate, messe a disposizione degli ospiti occasionali della scuola.

Nel complesso l'ambiente era comodo, funzionale, ma non le dava l'impressione di vissuto che i luoghi acquisivano pure con minuscoli dettagli. Era amaramente ironico che un posto privo di vezzi e di calore umano fosse testimone della fine del suo disadorno e tiepido matrimonio.

«Che cosa significa che non vuoi più stare con me?»

Pensò a Draco, che teneva le braccia distese, i palmi rigidi come nell'attimo prima di colpire, ma non sarebbe mai giunto a una reazione istintiva Babbana come usarli per arrecare danno senza una bacchetta – l'aveva fatto lei, quando erano solo dei ragazzini.

«E da dove spunta questa decisione? A me sembra che venga dal nulla!»

Rievocò nella mente Draco, che era rimasto immobile, l'ira imbrigliata nei muscoli facciali dolorosamente irrigiditi – solo a lei era stato permesso di spiarne i cedimenti, quando la pietra si tramutava in polvere grigia, ore prima e davanti a un rubinetto sporco nel bagno di Mirtilla Malcontenta.

«Ma che spiegazione è che non mi ami?»

Ricordò le parole di Draco, alcuni giorni prima, che l'aveva compreso forse prima di lei e sicuramente prima di Ron.

Hermione aveva cercato di esporgli l'inevitabile conseguenza di una relazione trascinata per una vicinanza confortevole, un affetto sicuro, ma non travolgente. Aveva dissezionato minuziosamente per lui l'anatomia dei suoi sentimenti, senza citare tuttavia l'uomo che aveva ispirato quella presa di coscienza, perché era abbastanza intelligente da sapere che prima o poi se ne sarebbe resa conto anche senza la sua ricomparsa ad affrettarla. E non intendeva rendere la sua presenza più tangibile dello spazio che aveva nella realtà, non davanti al padre dei suoi figli, non ancora, non quando non sapeva neanche cosa fosse, se fosse altro oltre un'istintiva attrazione.

«Questa storia dell'avvelenamento ti ha davvero destabilizzata, tu non ragioni.» Ron si alzò e strinse in una mano la giacca che si era tolto e aveva poggiato sullo schienale della sedia. «Io torno a casa da Hugo, tu resta pure a giocare con le tue indagini e nel frattempo riflettici. Capirai che in realtà sei d'accordo con me.»

Lo vide uscire dalla stanza con un'andatura sbrigativa, scuotendo la testa, e si sentì impotente.

Lui semplicemente non capiva.

Riflettici.

Il punto era proprio che lei l'aveva già fatto.

Si mise in piedi, lisciando le pieghe sui vestiti e ravviando i capelli all'indietro. Sbadatamente lanciò un'occhiata allo specchio quadrato sulla parete; un'altra, rivolta alla finestra, le comunicò che tutte le lezioni dovevano essersi ormai concluse ed era troppo presto per quelle di Astronomia, poiché vide un cielo non più illuminato da raggi morenti, ma non ancora abbastanza scuro da rendere visibili le stelle. Udì il rumore di una porta che sbatteva, attutito dalla propria che Ron aveva chiuso dietro di sé: qualche insegnante doveva essere uscito per scendere a cena in Sala Grande.

Anche lei lasciò la stanza e, ritrovandosi nel corridoio silenzioso, non ebbe neanche un secondo di esitazione nel dirigersi verso l'unica altra porta che aveva già aperto, oltre alla sua e quella di Rose.

Aveva ancora qualcos'altro da sistemare. Piegò sul palmo le dita sottili e con le nocche colpì quella di Draco Malfoy.





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Note:
Il principio attivo responsabile della tossicità di Taxus baccata è la tassina e ho cercato di descrivere i sintomi di Rose coerentemente con gli effetti. Le caratteristiche citate da Draco riguardo alla pianta corrispondono al vero nel mondo Babbano.
Sono consapevole del fatto che l'Amortentia sia un po' un cliché, ma non ho resistito, in una storia in cui pozioni e ingredienti sono un tema importante.
"Dolci baci e languide carezze" è una citazione dall'aria E lucevan le stelle della Tosca: che Puccini mi perdoni per aver osato infilarla in una fanfiction Dramione.

Grazie per le letture e al prossimo capitolo, dal titolo "La tempesta"!
Nel mentre, mi trovate sempre su Instagram (__legar__) e Facebook (Legar Efp).

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