IX. Scoperta

«Scriverai alla signora Scamander che non può rivolgersi direttamente a me per lamentele puerili sull'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Neanche il Ministro in persona può costringerli a lavorare su creature che non esistono.»

«Naturalmente. Preparo una versione edulcorata da spedirle?»

«Sì. Grazie, Rose.»

La sua voce esasperata si addolcì davanti all'usuale efficienza della segretaria. Hermione la vide aggiustarsi gli occhiali sul naso con il medio e raccogliere le pergamene che avrebbe affidato ai volatili nella Guferia di Hogwarts. Le si avvicinò per porgerle un'altra busta, presa da uno dei banchi vuoti dell'aula di Pozioni sul quale aveva posato i propri incartamenti.

«Ti spiace mandare anche questa a Hugo?»

«Certo, Ministro, non c'è problema.»

Hermione la ringraziò e l'altra uscì, l'andatura tranquilla e la bacchetta alzata a reggere a mezz'aria tutti i fogli che altrimenti le avrebbero occupato le braccia.

Si voltò verso la cattedra, sulla quale Draco stava trattando degli ingredienti, che, a un'occhiata più attenta, riconobbe come pungiglioni di Celestino essiccati. Accanto a essi si trovava il coltello d'argento che aveva utilizzato per sminuzzarli in una polvere fine e la bilancia di ottone su cui l'avrebbe pesata. C'erano alcune pergamene fitte delle grafie più disparate e un libro aperto, che lui aveva consultato di tanto in tanto. Un set di provette riempito di liquidi di diversi colori sgargianti spiccava nella luminosità fioca dei sotterranei.

Alzando lo sguardo incontrò le iridi brillanti dell'uomo, che la scrutavano come se fosse lei, l'oggetto di studio più interessante in quell'aula – non le sostanze vegetali che riempivano l'aria di fragranze distinte, non i derivati di creature magiche conservati in barattoli di vetro alle pareti, nessuno dei volumi che possedeva per l'approfondimento della materia. Le sue ciglia chiare contornavano gli occhi che la guardavano, e che lei guardava, senza che nessuno dei due osasse muoverli: persino camminare per avvicinarsi, come entrambi desideravano, avrebbe implicato interrompere il contatto visivo per rivolgerli ai passi sul pavimento.

Fu lui a cedere per primo e, senza l'ardire di chiedere con le parole, li spostò sulla mano che protese per invitarla a raggiungerlo: le avrebbe lasciato l'onere di andare verso di lui, libera in ogni decisione, come non le aveva mai imposto niente – come se avesse avuto una scelta. La sua voce sapeva essere ardita negli insulti fantasiosi, ma, come sempre, c'era più coraggio nel suo tocco che nelle sue parole e in ognuna delle sue azioni passate.

Hermione ascoltò ancora una volta solo i propri desideri e i piedi avanzarono sulla pietra. L'ultima distanza dal suo torace fu annullata dalla stessa mano, che lui le posò sulla schiena per stringerla, come se avesse inteso destinarla a quel punto morbido del suo corpo dal primo istante in cui l'aveva allungata tra loro.

Adagiata al calore del suo petto, anche la fredda umidità dei sotterranei sembrava più tollerabile. Lo circondò con le braccia e reclinò appena il capo all'indietro per riuscire a guardarlo in viso.

Draco usò le nocche della sinistra, libera, per percorrere il profilo del suo viso dal mento alla tempia, in una lieve carezza a cui lei reagì rilassando ogni muscolo facciale, una gradita sonnolenza che non sapeva di stanchezza. Poi lui aprì il palmo e incastrò le dita tra le radici dei suoi capelli, facendole scivolare verso il basso per tutta la loro lunghezza.

«Tricopozione Lisciariccio?» domandò in un mormorio basso, mentre investigava al tatto le ciocche lisce.

«Oltre Ogni Previsione, professore» si complimentò, ironica.

«Questo lo è senza dubbio» sussurrò, e lei seppe per certo che non si riferiva a un buon voto per un'intuizione corretta, quanto all'immagine di loro due, vicini e abbracciati. Era stata vagheggiata anni prima per un tempo troppo breve per esigere un seguito e al contempo troppo intenso per essere solo dimenticata; era rimasta per così a lungo solo un "se" che vederla compiersi riscaldava della piacevole meraviglia di una sorpresa.

Hermione lasciò che l'insospettata leggerezza di quel pensiero la avvolgesse e continuò: «Mentre Rose era in infermeria, la mia assistente si è occupata di tornare a Londra a recuperare una borsa con l'indispensabile per la mia permanenza a Hogwarts. Deve aver considerato una boccetta della pozione indispensabile.» Scrollò le spalle, con l'intenzione di palesare indifferenza riguardo al proprio aspetto. Le mani scivolarono sul cotone liscio della sua camicia, sottile a sufficienza da non nasconderle nessun rilievo del dorso, pietra morbida sotto di esse.

«Devo riconsiderare il suo senso dell'umorismo.»

Hermione rise, consapevole che l'aspetto serio e professionale di Rose sul lavoro non la presentava esattamente come una persona spassosa.

«E tu hai ritenuto di usarla per me, oggi?» insinuò lui con un sorriso.

«Per te?» gli fece eco lei. «Perché, ti piacciono?»

Draco si distrasse nuovamente a studiare la trama dei suoi capelli, dalle radici alle punte, poi posò le labbra tra di essi e le mosse fino al suo orecchio. Hermione represse un brivido, mentre lo udiva rispondere: «Il Mondo Magico può dirsi riconoscente almeno di un membro della famiglia Potter.»

Hermione lo colpì debolmente su una spalla e replicò, con un tono che lui probabilmente un tempo avrebbe definito pedante e allora pure, ma non più con l'intenzione di offendere: «Malfoy, ti faccio presente che Harry è ben più famoso di suo nonno.»

C'era un sapore nuovo anche nell'ironia dell'uomo pronunciata a spese del suo migliore amico: aveva numerosi precedenti nel passato, ma non era mai stata così innocua. L'uomo che la teneva fra le braccia, così vicina da intuire il battito calmo del suo cuore nel petto, era lo stesso ragazzo che l'aveva affascinata quando erano andati oltre la distanza imposta dal sangue, eppure non lo era più. I suoi ricordi uscivano solo rafforzati nel confronto con un presente che stava scoprendo di voler indagare in profondità, perché le confermava che aveva visto bene, oltre, anche allora.

«E io non l'ho fatto per te. Stamattina mi sono svegliata troppo presto, la boccetta era lì, ho voluto dare un senso al suo trasporto fino a Hogwarts e ho ceduto.»

Draco considerò la sua creativa mistificazione della realtà e ridacchiò. «Non è la prima volta che cedi per me» commentò tronfio.

«Si potrebbe dire lo stesso di te.»

A quelle parole fu lui a cedere ancora una volta, baciandola brevemente, assaporando le labbra che avevano saputo colpire nel segno – lei non l'aveva mai privato di una risposta, tagliente o meno che fosse. Hermione incrociò le mani dietro la sua nuca, le dita sfioravano i capelli di un biondo chiarissimo, la decadenza dell'oro sbiadito e di un sole pallido; le lasciò lì anche quando lui si separò dalla sua bocca.

«Non hai necessità di mandare in giro fiale di pozione, posso preparartela io. Te ne posso preparare quanta ne vuoi.» La sua voce si colorò di una nota di incertezza nell'ultima frase e le orecchie che la raccolsero, incredule, non avevano sentito molte altre volte un suono così delicato e ammaliante.

Hermione gli sorrise, muovendo dolcemente le mani sul suo torace. Considerò il suo complicato modo di mostrarsi ben disposto a fare qualcosa di carino per lei, valutò l'astrusa combinazione di vocaboli con cui si dichiarava incline a piegarsi a un volere altrui se era quello di lei, e perciò gli chiese: «Vuoi per caso implicare che io ne abbia bisogno in grosse quantità?»

Draco sopirò rumorosamente e scosse la testa. «Granger, stai cercando di spingermi a fare un complimento ai tuoi capelli al naturale?» Le mani alla base della sua schiena premettero di più sulla pelle vestita, perché anche a lui i loro corpi dovevano sembrare ancora insopportabilmente lontani anche quando erano così vicini. «Perché non mi pare che io mi sia mai lamentato.» La bocca si posò, dolce, su una guancia, a una prossimità ineffabile dalle sue labbra. «Almeno non negli ultimi tempi.»

A Hermione bastò volgere il capo solo di pochi centimetri per ritrovare il suo bacio. Inclinò il busto leggermente all'indietro e lui la seguì in quel movimento, senza staccare il corpo adeso al suo.

Aveva ancora le mani intrecciate tra i suoi capelli e poteva sentirlo respirarle addosso quando gli disse: «Non è con una pozione cosmetica che ti renderai utile oggi.»

«Se preferisci» replicò. Si separò da lei per considerarla con un'occhiata dalla testa alla vita e allungò le mani per ordinare distrattamente le ciocche che dovevano recare traccia del suo tocco. «Ho già convocato la signorina Higgs.»

«Esatto, Malfoy. È decisamente più importante dei miei capelli.»

Passati pochi minuti, anche l'aspetto esteriore dell'uomo non lasciava più intendere nulla delle attività che lo avevano turbato. Così, dopo che Mathilda Higgs ebbe bussato alla porta e il suo professore l'ebbe lasciata entrare, la studentessa li trovò entrambi dietro la cattedra, composti, pronti ad ascoltarla.

«Ministro» la salutò con un cenno. «Mi ha mandata a chiamare, professore?»

«Siediti pure» la invitò Draco.

Hermione non aveva molti ricordi del padre della ragazza, su cui si era soffermata solo una volta, quando Harry competeva con lui per la cattura del Boccino d'Oro, perciò non avrebbe saputo dire quanto la figlia gli somigliasse. I tratti del suo viso le parevano appesantiti, l'espressione seria la faceva sembrare più grande dei suoi anni, ma era una coetanea di Rose, visto che frequentavano le stesse lezioni. Prese posto e, sovrappensiero, sfiorò la lunga treccia bruna che le ricadeva sul mantello sulle spalle.

«Perché sono qui?» Occhieggiò nella sua direzione e Hermione le mostrò un'espressione neutra. «Non può essere per discutere di Pozioni.»

«Infatti. Abbiamo alcune domande per te» iniziò, gentile.

Fu Draco a continuare, in virtù del suo ascendente su di lei: «Signorina Higgs, quali sono i tuoi rapporti con Peter Horton?»

Lei non si scompose affatto, in una posa ordinata quanto il nodo della cravatta della divisa. «Non lo conosco nemmeno. Perché?»

«Perciò non c'è nessuna ragione per cui ti possa risultare sgradito?»

Si limitò a scuotere la testa e Draco la incalzò: «E cosa mi dici di Jack Broadmoor?»

Lei reagì chinando il capo sulle mani adagiate in grembo, arrossendo appena. La sua voce si fece più incerta: «Non c'è niente che mi unisce a Jack Broadmoor.»

«Ma tu vorresti ci fosse, non è così? Perciò non sopporti il signor Horton?»

La ragazza arretrò allarmata di fronte al tono indelicato del suo professore e Hermione gli rivolse un'occhiata ammonitrice: era pur sempre una giovane alunna, smarrita rispetto alla ragione di quel colloquio. Intervenne, premurandosi di parlare in modo pacato: «Dov'eri quando il signor Horton è stato male?»

Gli occhi scuri di Mathilda Higgs saettarono da lei all'insegnante. «Di cosa mi state accusando?»

«Rispondi al Ministro» le intimò Draco, meno duro, ma similmente severo.

La studentessa non era più altrettanto calma e tormentò con le dita la manica della camicia dell'uniforme scolastica. «In Sala Grande, come tutti. Era prevista la commemorazione della battaglia di Hogwarts.»

Hermione le domandò: «Chi può confermarlo?»

«L'intero tavolo di Serpeverde, direi.»

«E prima di arrivare in Sala Grande per il pranzo dove sei stata?»

«Venivo direttamente dalle serre di Erbologia, era l'ultima lezione della mattina.»

Hermione annuì; Rose aveva verificato l'orario scolastico di quel mercoledì per evitare che si ritrovassero in un'aula in cui c'era sua figlia. «Non sei passata per le cucine quel giorno?»

La ragazza pareva ormai rassegnata a dover rispondere e negò. «Lucy è stata con me tutto il tempo, potete chiedere anche a lei dei miei spostamenti» aggiunse.

Nell'udire quel nuovo nome Hermione si voltò verso Draco, ma lui non pareva confuso: la sua espressione le confermò che la risposta della signorina Higgs era coerente, Lucy doveva essere un'altra alunna.

«Eppure» disse lui, «c'è del risentimento anche tra te e la seconda studentessa che è stata avvelenata.»

La ragazza abbassò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore, probabilmente intimidita dalla presenza della madre della studentessa in questione. Non provò neanche a negare: non avrebbe avuto senso, quando i loro screzi avvenivano in classe pubblicamente.

Hermione, comunque, era propensa a considerarla innocente fino a prova contraria. «Mathilda» richiamò la sua attenzione, «dai registri della biblioteca risulta che hai consultato Teoria della preparazione di veleni composti, puoi dirmi perché?»

La giovane aprì la bocca, sconcertata, probabilmente realizzando solo in quell'istante l'insieme delle circostanze che li aveva spinti a interrogarla su quegli eventi. «E cosa c'è di male nel voler approfondire le proprie conoscenze?» Parlò guardando lei, che era preceduta dalla propria fama, e Hermione non seppe cosa ribattere.

Fu Draco a rispondere: «Niente, se non le impieghi per qualcosa di sbagliato.» Lui sapeva perfettamente cosa voleva dire adoperarsi per fini immorali.

Hermione la ponderò ancora con una lunga occhiata, stringendo le palpebre, e lei sostenne il suo sguardo come se non avesse alcun motivo di temerlo. Non le dava affatto l'impressione di qualcuno che era stato scoperto, ma solo toccato dalle allusioni. «Vai, ora» la congedò poi. «Grazie per il tuo tempo.»

La ragazza colse subito l'invito, forse temendo che potesse cambiare idea. Era già sulla porta quando interruppe i propri passi per rivolgersi nuovamente al docente: «Mi scusi, professore, potrei avere un permesso per prendere in prestito...»

Lui la interruppe brusco: «Non penso proprio.»

Mathilda Higgs non osò controbattere e andò via.

Hermione guardò i lineamenti severi di Draco, che le ricordarono stranamente gli sguardi freddi che lui le aveva rivolto quando si era ritrovata inaspettata spettatrice delle sue fragilità, nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Allora non era riuscita fino in fondo a scioglierne la durezza, in quel momento invece si sentì inebriata dalla consapevolezza che non avrebbe faticato nel riuscirci. Provò l'impulso di ammansire le spigolosità del suo viso con le proprie dita delicate, trascinate sulla ruvidità delle guance e sulla morbidezza delle labbra, ma si trattenne.

«Non sono affatto convinta che lei sia responsabile di qualcosa di più di qualche seccatura nei confronti dei suoi compagni, ma era una coincidenza che andava verificata.» Lui concordò con un cenno della testa e lei proseguì, decisa: «Ma ne verrò a capo, dovessi anche interrogare uno ad uno tutti i nomi su quelle liste.»


Per una volta ancora, da quando erano giunte a Hogwarts, Hermione si ritrovò a essere grata alla propria assistente quando, nel tornare nel corridoio da cui si accedeva alle camere del personale, non fece una piega nel vederla andare verso una porta che non era la propria. Dopo la scoperta della natura insospettabile del rapporto con Draco Malfoy in cui lei era affondata, Rose le aveva riservato solo la massima discrezione e anche allora non commentò: la vide entrare nella stanza di lui, per poi dirigersi verso la propria, senza un mutamento di espressione.

Draco sedeva alla scrivania, nella mano destra teneva la bacchetta con la quale le aveva aperto senza alzarsi, tuttavia la posò subito. Si assicurò che si trattasse di lei e accennò un sorriso. «Aspetta un momento, per piacere» la pregò, e tornò a dedicarsi alla sua attività, rivolgendo di nuovo il viso alla parete, riprendendo la piuma.

Hermione camminò verso lo scrittoio e si posizionò in piedi davanti a esso, la base della schiena appoggiata al bordo, i palmi sul piano, per osservare il suo volto concentrato. Per rispetto non abbassò gli occhi sul foglio su cui stava scrivendo, ma fu lui a chiarirle di cosa si trattasse: «Sto finendo una lettera per Scorpius.»

Lo lasciò fare, senza muovere il capo voltato verso di lui.

Draco non era solo l'uomo che lei voleva scoprire nel profondo, per l'insano desiderio di conoscenza nei confronti di un dubbio irrisolto che si era trascinata nel tempo, celato in un angolo oscuro di se stessa. Era un padre, come lei era una madre, e si riscoprì affascinata anche dal modo in cui il suo viso si accendeva nella corrispondenza con il figlio lontano, nella scuola di magia che frequentava. Draco intinse la piuma nella boccetta di inchiostro nero e lei osservò la piega meditabonda delle sue labbra; Draco posò la punta sulla pergamena e lei ammirò il sorriso con cui dedicava parole al figlio; Draco cancellò una frase e lei si perse nella sua espressione affettuosa.

Se avesse avuto un calderone fumante di Amortentia davanti a sé, Hermione rifletté che probabilmente avrebbe sentito, in aggiunta agli odori che aveva riconosciuto come foglie di tè e sapone, le note chimiche dell'inchiostro liquido, quello con cui Draco aveva scritto per lei – supportandola, agevolandola nel suo operato con la prontezza della mente – e per il figlio – amandolo. L'odore dell'attrazione era la capacità di amare in ogni forma.

E lei era indubbiamente attratta da quello che stava vedendo.

Quando ebbe terminato, l'uomo piegò la lettera e la imbustò. Riprese la piuma per scrivere il destinatario e la posò in un cassetto. Poi, senza neanche guardarla, come se fosse stato colto da un'urgenza maggiore, allungò la mano per portarla su un suo fianco. Puntò i piedi per terra per spostare la sedia all'indietro e la trascinò a sé costringendola a sedere sulle sue gambe, le ginocchia divaricate ai lati del suo corpo.

«Com'è andata la tua giornata?» gli chiese allora lei con leggerezza.

Lui allungò pigramente un avambraccio sulla scrivania, mentre l'altro palmo su una coscia la teneva in quella posizione. «Cosa ti interessa in particolare?»

Tutto, le interessava tutto. Hermione si mostrò meditabonda per un attimo, poi gli domandò: «Com'è stata Rose a lezione?»

Draco si lasciò andare a un ghigno divertito e scosse la testa. «Granger, io non sarò un perfetto esempio di integrità, ma tu sì.» Lei rise con lui, riconoscendogli di non essere nel torto, e lui proseguì: «Cos'altro vuoi sapere?»

Hermione racchiuse il suo viso tra i palmi. «Voglio sapere tutto di te.» Non si stava riferendo solo alle sue occupazioni giornaliere, e lui lo intuì.

«Sono un libro da scoprire?» Non si sarebbe mai esposto con una fragilità nella voce e anche in quel momento non chiedeva per ottenere rassicurazioni, ma solo per comprenderla. «Un'altra materia da approfondire?»

Hermione gli sfiorò con le dita della mano sinistra la guancia fino al confine della bocca. «La più interessante al momento.» Intrecciò la destra alla sua. «Quando ho avuto l'occasione di rivederti io» socchiuse per un secondo le palpebre, «ero logorata. Il pensiero di quel bacio senza un seguito mi è pesato più di quanto volessi ammettere a me stessa.»

La risposta immediata dell'uomo fu precipitarsi sulla sua bocca. La toccava solo con le labbra, era dolce ed esigente insieme: la lingua la carezzò e affondò in lei, il suo sapore era più intimo e prezioso di quello nelle memorie.

«È bello come ricordavi?» sussurrò, a un passo infinitesimale dal riprendere a baciarla.

«Di più» ammise con un sospiro.

Draco allontanò la testa per continuare a parlare guardandola negli occhi. «Ma eri andata avanti» constatò semplicemente, non in un'accusa, giacché non ne aveva alcuna ragione.

Hermione si costrinse a spiegare, a lui e a se stessa: «Non credevo potesse esistere un'altra possibilità. Quello era solo il nostro momento isolato da tutto il resto, in un ridicolo bagno in disuso» ridacchiò a bassa voce. «Il mondo fuori era altro.»

L'uomo annuì. «Adesso sono solo contento della tua reazione rapida al mio incantesimo di memoria. È un'esistenza straordinariamente solitaria essere Draco Malfoy, negli ultimi tempi più che mai.»

Hermione ripensò a quel ragazzino distante nel freddo Nord Europa, con una madre in un letto inesorabile di malattia, che non poteva più sentire vicina come avrebbe voluto e che non poteva però lasciar andare. Pensò all'uomo di fronte a lei, che invece l'aveva lasciata andare per riuscire a guarire se stesso e conservare almeno un genitore integro per Scorpius.

«Rivederti dopo anni...» proseguì lui, «è stato infinitamente facile riprenderti tra le braccia, quando allora ho avuto bisogno di passare giorni interi a scrutarti da lontano per accorgermi che non eri tu, quella nella posizione di farmi del male. Non eri tu la ragione dei miei tormenti.»

Lei si era svelata per prima, coraggiosa anche nelle parole, e solo allora lui si era sentito a un vantaggio tale da scoprirsi.

Draco chinò la testa sul suo collo e lei sentì la chioma morbida solleticarle la gola. Lui inspirò sulla sua pelle, prima di continuare: «Sei apparsa nella mia aula a ricordarmi così bruscamente che per un istante, con te, mi ero sentito bene. Poi ti ho avuta, e ho scoperto che poteva essere ancora così, e non ero disposto a rinunciarci subito, non quando avevo lavorato duramente per risollevarmi.»

Hermione lo accarezzò tra i capelli, grata che anche lui avesse iniziato a ritrovare una pace, dopo tanto dolore. «Perciò mi hai spinta a fare chiarezza sul mio matrimonio, e a vedere ciò che avevo preferito a lungo ignorare.»

Lui si sollevò per rivolgerle uno sguardo insinuante. «Dovresti ringraziare il mio egoismo.»

Forse per il medesimo egoismo, Draco abbassò gli occhi sul tessuto della sua camicia e lei si sentì arrossire di fronte alle sue iridi brucianti, che sembravano avere la capacità di trascendere lo strato leggero di stoffa. Liberò la mano intrecciata alla sua e aprì l'indumento, bottone dopo bottone, dalla vita al petto. «L'egoismo per il quale averti vicina senza spogliarti non è abbastanza.» Trascinò un palmo dal collo liscio al seno coperto al ventre denudato. «L'egoismo per il quale toccarti non è abbastanza.» Impresse i polpastrelli nella carne morbida del fianco.

«Io sono una che rimprovera l'egoismo» ribatté, il respiro accelerato.

Un'ombra viva di malizia gli percorse lo sguardo e si girò a considerare la piuma posata sulla scrivania. «Allora vorrà dire che non ti toccherò.»

Fu di parola: allontanò la sinistra dall'anca, non così rapidamente da provocarle una sensazione pungente di abbandono, e la usò per riprendere la bacchetta. Non era l'arto con cui la adoperava abitualmente, eppure non riscontrò alcun impedimento nel far scomparire il reggiseno con un incantesimo non verbale.

Lei inspirò bruscamente, indignata, col solo risultato di ampliare il torace e sollevare il seno per la sua vista. La piega delle sue labbra le comunicò che Draco aveva gradito quella reazione.

L'uomo prese la piuma dal lato della punta e la avvicinò alla sua gola: le solleticava la pelle, ma non aveva alcuna voglia di ridere. «Non ti sto toccando.» Non con le mani: solo l'estremità più morbida della penna la sfiorava, in tocchi delicati senza fretta alcuna. Aveva ogni intenzione di scriverle un complicato poema addosso, non un appunto sfuggente, e lei non l'avrebbe privato dell'inchiostro per tracciarne i versi.

Il cuore le batteva agitato nel petto. Non osò dare voce alle proprie brame ma lui le indovinò senza difficoltà, perché lo strumento che sostituiva le sue dita arrivò alla sommità di un seno e scese verso la punta, flettendosi docilmente secondo la direzione impressa dal polso. L'ansito che le strappò quel tocco che non si sarebbe mai figurata, fino a qualche momento prima, risuonò nel silenzio perfetto della camera.

Draco seguitò a esplorare il suo petto con una perizia squisita. Si passò di sfuggita la lingua sulle labbra: si stava godendo la vista di lei, che doveva apparire così coinvolta da bastare ad accenderlo anche se non l'aveva nemmeno spogliato o sfiorato.

Era troppo occupato per lasciarla libera di scoprirgli almeno il torace, così anche lei tenne le mani ferme, immerse sul suo dorso. Si mosse solo per avvicinarsi di più al bacino dell'uomo e, anche attraverso i vestiti, scontrarsi con il suo inguine aveva il potere di fargli ardere un fuoco negli occhi che rinvigoriva la sua vanità.

«Non ti sto toccando» ripeté, ma stavolta la sua affermazione recava una traccia di un lamento che prima non aveva.

Con lo stesso tono quasi disperato lei gli ordinò di farlo.

Solo allora lui rinunciò a imporsi, in quel dibattito che verteva su un egoismo quanto mai piacevole, e lasciò definitivamente la piuma sulla scrivania. Hermione pensò che, dopo l'uso creativo che le aveva illustrato addosso, era ancora più certa del nuovo odore di inchiostro che avrebbe caratterizzato l'Amortentia per lei.

Draco esaudì la sua richiesta e percorse in punta di dita le coste, raggiunse lo sterno e aprì il palmo caldo sulla pelle, poi lo spostò su un seno. Non più una penna: furono le sue mani a percorrerle, avide, il torace; furono i suoi polpastrelli, arditi, a sfregarsi contro le punte sensibili dei seni e stringerle.

Lei gli prese delicatamente i polsi e lui le lasciò agio di allontanarli, quindi raggiunse la chiusura dei pantaloni. Vi insinuò le dita, provocandolo con un movimento accennato verso il basso a cui lui rispose artigliandole una coscia, ma si limitò a liberare la camicia infilata all'interno. Fece risalire una mano al di sotto dell'indumento, sentendo i suoi muscoli addominali contrarsi, mentre lui la spingeva sulla nuca per condurla sulle proprie labbra. Le impose un bacio vorace, congiungendo la lingua alla sua, e Hermione rispose a quell'impeto, flettendo le unghie sulla sua pelle.

Un mugugno sommesso abbandonò la bocca dell'uomo, che la allontanò da sé per sottoporre a un'ispezione imperiosa il suo corpo, dalle spalle nude ai fianchi posati sulle proprie gambe. Scosse la testa e riprese la bacchetta per far scomparire il resto dei vestiti, scoprendole anche la parte inferiore del corpo.

«Malfoy!» lo rimproverò lei in tono scherzoso. Avvicinò la testa per sussurrargli in un orecchio: «Mi piace essere spogliata.»

«Spoglia me.»

Il suo tono era così basso che non seppe distinguere se si trattasse più di un ordine o di una preghiera, ma non se lo fece ripetere e gli aprì la camicia, mentre le mani di lui seguitavano a vagare sulla sua pelle liscia. Gli sbottonò i pantaloni e ne fece scorrere la cerniera, appoggiando poi la mano sulla sua eccitazione, sfiorandone il calore bruciante attraverso il cotone.

Erano così incastrati che non avrebbe corso alcun rischio di spaccarsi se lui avesse guidato una Smaterializzazione Congiunta, ma tutto, tra loro, era all'interno dei confini di Hogwarts e allora lui dovette condurla contando sulle proprie gambe.

Destinazione. Hermione si lasciò trasportare in una posizione identica sul letto, che avrebbe garantito loro una migliore libertà di movimento rispetto alla sedia più scomoda.

Determinazione. Piantò le ginocchia sul materasso per sollevarsi appena e riuscire ad abbassargli i pantaloni e la biancheria lungo le cosce.

Decisione. Lui non lasciò neanche che lei li sfilasse del tutto che la riprese per i fianchi e la riportò sul proprio bacino.

Il contatto con l'inguine nudo la infiammò di aspettativa, il suo unico pensiero coerente consisteva nel proposito che si affrettò a realizzare: lo accolse dentro di sé e il respiro pesante che Draco rilasciò le suggerì che in quel momento le loro menti ragionavano all'unisono. Prese a muoversi su di lui ricercando l'incastro perfetto delle loro carni, mentre con le mani infilate tra i suoi capelli biondi lo riportava sulla propria bocca. L'uomo non poteva guidarla con lo stesso agio che avrebbe avuto sopra di lei, allora impresse al bacio il ritmo frenetico che le avrebbe imposto a parti inverse. Sapere di averlo condotto a quel punto costituiva una sensazione impareggiabile di potere, che non aveva nulla a che vedere con quello derivante dall'autorità dell'incarico ministeriale che ricopriva.

Quando furono in debito di ossigeno, Draco si staccò dalla sua bocca ma non osò abbandonarla, lasciando un dito a percorrere le labbra e ad affondare poi nel suo palato umido. Hermione lo lambì con la lingua, finché lui lo ritirò per raggiungerla tra le gambe, nel punto in cui erano uniti, aggiungendo ulteriori percezioni a quelle che già obnubilavano ogni razionalità.

La camicia solo allargata, i pantaloni calati semplicemente nella misura sufficiente a non rappresentare un intralcio: l'abbigliamento di Draco era l'immagine stessa dell'urgenza. Era la medesima frenesia che lo portò a liberarsi in lei con un ansito che le sarebbe rimasto a lungo inciso nella memoria e un coinvolgimento tale che lo distrasse per un istante dai tocchi insistenti che aveva impresso alle dita che si strofinavano su di lei. Dopo ebbe bisogno unicamente di pochi ulteriori secondi di concentrazione rivolti alla sua carne umida perché lei lo imitasse, rovesciando la testa all'indietro nel culmine del piacere ed esponendo la gola alle sue labbra gonfie.


Quando da studentessa le era capitato di vagare di sera per i corridoi silenziosi della scuola, c'era sempre un'urgenza o un dovere a giustificarla e spesso un mantello dell'invisibilità a coprirla. Perciò non aveva avuto modo di apprezzare con calma la vita silenziosa che riempiva le mura, quando tutti gli studenti avevano l'obbligo di rientrare nelle rispettive Sale Comuni per il coprifuoco e solo quelli incaricati della sorveglianza perlustravano con indolenza i vari piani. I maghi ritratti alle pareti conversavano a bassa voce per non crepare il silenzio perfetto, qualcuno invece sonnecchiava in una cornice. I fantasmi si aggiravano tra le scale vuote e parevano le uniche presenze davvero adeguate alle atmosfere a tratti spettrali della notte, che calava tra le ombre polverose del castello.

Scendendo verso i sotterranei, un rumore più forte nella quiete la fece sobbalzare e voltò istintivamente il capo verso la direzione da cui proveniva: era il fragore delle catene del Barone Sanguinario, che le trascinava strenuamente vagando senza meta nei dintorni della Sala Comune della propria Casa.

Il Serpeverde al suo fianco non si scompose minimamente a quella vista, ma aveva notato il suo spavento e si premurò di farle notare che la riteneva unica responsabile di esso.

«Se fossi ancora un Prefetto ti toglierei dei punti senza esitare un secondo, per aver deciso di andartene in giro a quest'ora.»

«Certo che lo faresti, ma non per un improvviso amore delle regole, piuttosto per il gusto di averne il potere.»

L'uomo non si scomodò neanche a ribattere e allora lei ribadì il motivo della loro passeggiata serale: «Ho solo bisogno di una lettura leggera per prendere sonno!»

«Un approfondimento sui veleni più rari e pericolosi del Mondo Magico ti sembra una lettura leggera?»

«Certo, e ha anche il pregio di poter risultare utile, ora come ora.»

Draco alzò gli occhi al cielo e borbottò a bassa voce: «Ma perché mi sono lasciato convincere?»

Lei lo prese per mano: non si era azzardata a farlo, mentre percorrevano le scale verso il basso sotto le molte paia d'occhi dei dipinti ciarlieri, ma la pietra nuda delle pareti dei sotterranei, fredda e umida, si era dimostrata invece confortante. «Perché ti piace sentirti speciale, quando un testo così raro è custodito nel tuo ufficio e nemmeno la biblioteca ne ha una copia.»

Lui interruppe i propri passi per guardarla. «Mi piace possedere cose che non sono per tutti.» Parlò con un tono sorpreso, non perché lei gli avesse rivelato qualcosa di sé che doveva sapere benissimo, forse per il fatto stesso che lei mostrasse di conoscerlo, scoprendolo strato dopo strato, non solo di tessuto.

Hermione, che posseduta si era sentita fino a qualche momento prima nella sua stanza, in un modo che le faceva torcere deliziosamente lo stomaco al solo pensiero, non disse altro e si limitò a trascinarlo, riprendendo a camminare.

«Puoi tenerlo, se vuoi.»

La voce dell'uomo al suo fianco era neutra, ma la propria, di riflesso, si fece d'improvviso esaltata: «Davvero?»

Draco assentì con un cenno e lei gli rivolse un sorriso enorme in risposta. Lui strinse appena di più la mano intrecciata alla sua.

Giunti davanti alla porta dell'aula di Pozioni si arrestarono bruscamente e le loro dita si separarono per prendere le bacchette. Lamenti soffocati di dolore, troppo umani per appartenere alle parlate lugubri degli spiriti che non abbandonavano mai il castello, provenivano da dentro, in un orario in cui doveva essere vuota.

Hermione guardò il mago, sconcertata, ma lui era assolutamente impassibile. Modulò la voce a un flebile sussurro, per sincerarsi che lei fosse l'unica a udirlo: «Se ho ragione, dentro ci troveremo qualcuno parecchio interessato agli ingredienti nell'armadio delle scorte.» Aveva parlato con un tono perfettamente consapevole e con lo stesso aggiunse, inarcando un sopracciglio in maniera significativa: «Tra cui dei veleni e i Bezoar per contrastarli.»

Hermione ricordò che nell'ufficio della preside, dopo l'attacco di Peter Horton, lui aveva riferito di un furto di varie sostanze.

«Cos'hai fatto?» gli domandò.

«Ho protetto gli ingredienti con Flagrante. Lo sto facendo ogni giorno, dopo le lezioni in cui gli studenti accedono all'armadio delle scorte solo sotto la mia supervisione.»

I lamenti dell'intruso dovevano derivare dalle scottature inaspettate: l'incantesimo non era riconoscibile dall'aspetto esteriore degli oggetti su cui era utilizzato, tuttavia non lasciava scampo.

«Ma è una maledizione!» protestò lei, e il suo tono accusatorio non dovette sfuggirgli.

«E allora? Da una mano ustionata si può guarire, da un veleno no.»

Serpeverde. La loro ambizione era audacia nei mezzi adoperati nel raggiungere un obiettivo, quando l'audacia dei Grifondoro era limpido coraggio: gliel'aveva già mostrato.

«Non è accettabile usarla così liberamente» sentenziò.

«Tu credi di ottenere molti risultati solo con le buone intenzioni?» Un angolo delle sue labbra si sollevò verso l'alto in un accenno di derisione.

«Non trattarmi come una sprovveduta.»

«Come vuoi tu» scrollò le spalle, indifferente. «Ora, vogliamo andare a controllare o intendi continuare a pontificare sulla mia virtù?»

Per tutta risposta Hermione gli diede le spalle e si portò sulla soglia dell'aula, la bacchetta nella mano destra alzata e la sinistra protesa verso la maniglia.

Aprì la porta, per scoprire il viso dell'unica persona che poteva immaginare per certo che il professor Malfoy non sarebbe stato nell'aula o nell'ufficio quella sera, perché impegnato. Con lei.

Rose Zeller l'aveva vista entrare nella sua stanza e scattò a vederla anche allora, con gli occhi lucidi e una palese espressione di colpevolezza.


_______________

Note:
La signora Scamander è naturalmente Luna Lovegood: il suo matrimonio con Rolf Scamander, nipote del più famoso Newt, è canon.
La Tricopozione Lisciariccio è stata inventata da Fleamont Potter, padre di James: da qui la battuta di Draco.
La battuta "È un'esistenza straordinariamente solitaria essere Draco Malfoy" viene da Harry Potter e la Maledizione dell'Erede, pronunciata dallo stesso personaggio in circostanze ovviamente ben differenti.
Destinazione, Determinazione, Decisione sono le tre D citate dall'istruttore del corso di Smaterializzazione in Harry Potter e il Principe Mezzosangue.
Flagrante è una maledizione per proteggere gli oggetti, in modo che scottino a ogni contatto. In Harry Potter e i Doni della Morte è usata sul contenuto della camera blindata della famiglia Lestrange per proteggere la Coppa di Tassorosso.

Quando ho iniziato a progettare questa ff, nella mia testa questo capitolo e la scena finale erano un punto di svolta (dovremmo essere circa a metà storia). Sarà per questo che è risultato il più lungo finora!
Che l'abbiate letto tutto d'un fiato o facendo una pausa, grazie per essere arrivati fin qui. Grazie per continuare a seguire questa storia.
Vi ricordo che tra un aggiornamento e l'altro mi trovate su Instagram (__legar__) e Facebook (Legar Efp).
Al prossimo capitolo!
Legar

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