III. Cadere
«Harry e io pensiamo che saranno necessari non più di due giorni, ma, lo sai, per le operazioni di infiltrazione non si può mai prevedere ogni contrattempo.»
Hermione reagì con un mormorio, alzando solo per un istante gli occhi dal pane su cui stava spalmando un sottile velo di confettura.
«Noi due dobbiamo stare anche più attenti degli altri, siamo gli Auror più famosi!»
Sorrise brevemente in risposta al suo ghigno baldanzoso, prima di portare la fetta alla bocca e strapparne una briciola dolce con i denti.
«Come per le altre volte, saremo irraggiungibili per tutto il tempo della missione. Non possiamo rischiare di essere contattati e far saltare la nostra copertura.»
Annuì, comprensiva, senza svestire il broncio che le era diventato familiare, nelle ultime trentasei ore passate a tormentare il cervello.
Finito il contenuto del suo piatto, Ron si alzò dalla tavola apparecchiata per la colazione e le si avvicinò, carezzandole una guancia. «Ho notato che sei preoccupata per Rose a Hogwarts, sai? Ma sta' tranquilla.» La salutò sfiorandole superficialmente la bocca, poi si rivolse al figlio – «Ciao Hugo, ci vediamo presto» – scompigliandogli con affetto i capelli, mentre quello si lamentava per gioco. Quindi si avvicinò al camino della Metropolvere e sparì tra le fiamme verdi.
Hermione rimase a contemplare per un momento il punto in cui suo marito era svanito, i colorati disegni del suo bambino raffiguranti creature magiche attaccati sulla cappa e neanche un'ombra di cenere a imbrattare la pietra del focolare. Era già capitato che Ron partisse per motivi di lavoro e mai come quel giorno la sua assenza l'aveva fatta sentire più vulnerabile, per ragioni che non avevano nulla a che fare con la sicurezza. Il senso di colpa l'aveva divorata in morsi feroci da quando aveva ceduto alla forza dei suoi ricordi, e a chiudere lo stomaco era stata lei – ma per fortuna suo marito aveva abbastanza appetito per entrambi. L'incidente occorso nella Sala Grande era stato solo una parentesi che le aveva permesso di concentrarsi su altro – da Ministro non poteva lasciare che non fossero presi gli opportuni provvedimenti – ma alla fine era stato Malfoy stesso a privarla della certezza delle sue distrazioni professionali. Da allora le sue parole si erano insinuate in un anfratto della cui esistenza si vergognava, e non l'avevano abbandonato, e lei ci era caduta e sprofondata. Ne era stata sommersa e agitare le braccia in maniera disordinata non la aiutava a riemergere.
Riflettici.
«Mamma, c'è posta!» Suo figlio la tirò per una manica per richiamare la sua attenzione verso il gufo bruno che picchiettava sulla finestra della cucina, stringendo una busta da lettere nel becco. Dal vetro poteva sbirciare i tetti grigi di Londra e, accanto, sulla parete, la lancetta di un vivace orologio contrassegnata come "Ron" segnava la posizione "lavoro". L'arredamento consisteva in una buffa quanto funzionale commistione di oggetti magici e Babbani: Hermione non avrebbe mai rinunciato all'elettricità di un frigorifero e al tempo stesso riconosceva l'utilità di affettare e sminuzzare con un pratico colpo di bacchetta.
Si avvicinò all'animale per recuperare la corrispondenza e poi lo vide spiegare le ali per volare via, scomparendo fra le nubi. Si accorse dal sigillo rosso che la chiudeva che era stata spedita da Hogwarts: la preside McGranitt, fedele alla promessa di tenerla al corrente dell'evoluzione della vicenda, le comunicava che il giovane Horton si era risvegliato e il professor Malfoy aveva concluso le sue analisi. Le chiedeva di raggiungerla per discuterne di persona e lei non se la sentì di rifiutare un invito perfettamente legittimo in risposta alla sua richiesta di restare informata, soprattutto visto che proveniva da una strega per la quale aveva così tanta stima: avrebbe cercato di mettere a tacere i suoi turbamenti, almeno per un po', e sarebbe tornata sul luogo della loro genesi.
Lasciò Hugo, come faceva di consueto in una giornata lavorativa, alle cure della nonna paterna: era molto grata di avere il suo supporto, che le aveva garantito la possibilità di non rinunciare a un avanzamento di carriera impegnativo per dedicarsi solo alla famiglia che comunque amava aver creato. Molly, peraltro, non vedeva l'ora di mettere le mani su ognuno dei suoi nipotini per rimpinzarli per bene, perciò non se ne lamentava mai, ed era più che sincera.
Si accordò con la sua assistente per raggiungere direttamente la scuola senza passare dal Ministero. Rose la seguiva fedelmente in ogni suo impegno: diceva sempre che, anche se la sua presenza non fosse stata strettamente necessaria, avrebbe potuto diventarlo, Hermione avrebbe potuto avere bisogno di lei e lei avrebbe voluto esserci in quel caso. Era attenta e volenterosa, anche nel riservarle la premura di portarle una tazza di caffè, se la vedeva stancarsi su pile di documenti legislativi, oppure nell'offrirsi di aiutarla a rimettere in ordine i volumi nella libreria sempre traboccante. Erano quelle piccole e spontanee attenzioni, non dovute per un mero contratto di lavoro, a renderla il suo insostituibile braccio destro.
Davanti ai Gargoyle di pietra che proteggevano l'ingresso dell'ufficio della preside non dovette neanche ricordarle che sarebbe stato più opportuno lasciarle avere la conversazione con la professoressa McGranitt in privato: la segretaria si accomiatò annunciando che sarebbe andata a cercarsi un posto tranquillo, per gestire la sua corrispondenza professionale via gufo e per riorganizzare la sua agenda, riprogrammando gli appuntamenti saltati a causa degli imprevisti di Hogwarts. Hermione la ringraziò e la lasciò andare, quindi pronunciò la parola d'ordine che aveva ricevuto – «Certosino» – e salì la scala a chiocciola che si era svelata.
Non dovette attendere per essere invitata a entrare e trovò la stanza non troppo diversa da come la rammentava: la strega sedeva a una scrivania di legno scuro al centro, lunghe file di volumi di ogni foggia la circondavano e in un angolo un piccolo armadio custodiva il prezioso Pensatoio e il Cappello Parlante, riposto dopo ogni Smistamento. I ritratti alle pareti raffiguravano i precedenti direttori della scuola e riconobbe, accanto al quadro del professor Silente dipinto con una lunga barba bianca e con i suoi occhiali a mezzaluna, un uomo più giovane dai capelli fini e neri incollati al capo e un'espressione fredda: Severus Piton, il cui nome era stato riabilitato dopo la guerra, la osservava con le labbra strette da dentro la cornice dorata.
Hermione salutò la professoressa, che la invitò a prendere posto su una delle sedie davanti a lei.
«Bentornata, signora Granger-Weasley. Attendiamo il professor Malfoy per discutere degli aggiornamenti. Nel frattempo, gradisci un biscotto?» domandò, spingendo verso di lei una scatola di latta che si trovava sul ripiano accanto a una boccetta di inchiostro nero e una piuma.
Lei declinò graziosamente l'offerta e poi fu distratta dall'arrivo dell'uomo che il suo animo contorto meno avrebbe voluto vedere in quel momento, a stringere ancora di più i fili della sua prigione ingarbugliata di dubbi. Il ritratto di Phineas Nigellus Black accolse il suo discendente ricordando con orgoglio ai presidi accanto a lui che quel giovanotto così distinto era un suo nipote e lei si ritrovò a pensare proprio come era stato sfacciatamente facile, per lei, distinguerlo da ogni altra interazione maschile che aveva avuto.
Lui si accomodò accanto a lei e si rivolsero un breve cenno di saluto, poi fu la preside a risolvere con praticità ogni possibile impaccio, portandoli subito al tema di quell'incontro, senza neanche essere consapevole di averlo fatto. «Eccoti, signor Malfoy. Per favore, metti al corrente anche il Ministro di quanto mi hai riferito prima.»
Le chiacchiere di sottofondo dei maghi ritratti alle pareti si interruppero repentinamente e nessuno di loro lasciò la cornice che li ospitava per andare a visitare in altri luoghi una di quelle gemelle, intenzionati a comprendere gli avvenimenti che stavano minacciando il placido corso delle cose nella scuola in cui avevano lavorato. Perciò Malfoy parlò in un silenzio perfetto: «È emerso che lo studente, Horton, ha ingerito dal suo bicchiere una piccola quantità di Atropa belladonna, una pianta a fiore, velenosa in natura. Ho verificato con Margaret, in alcuni volumi in suo possesso, che la dose era più che sufficiente a causare la sintomatologia e potenzialmente anche letale» spiegò, serio.
Hermione rabbrividì, al pensiero del grave pericolo corso da chiunque avesse bevuto da quel calice sul tavolo dei Grifondoro in Sala Grande. «Avete già parlato con il ragazzo? Avete chiesto se ha idea di qualcuno che potrebbe avercela con lui?»
La preside rispose, con aria grave. «Si è risvegliato da poco, è ancora in infermeria. È stata la prima domanda che gli abbiamo fatto e non ci ha saputo dire niente, ma forse è ancora troppo frastornato.»
«E l'Essenza di belladonna è un ingrediente per le pozioni, perciò immagino che chiunque avrebbe potuto averne a disposizione e usarla» ragionò lei a voce alta, fissando nel mentre un punto nel vuoto, tentando di concentrarsi per isolare le distrazioni e cogliere solo gli aspetti fondamentali di un fatto.
«È corretto» confermò Malfoy. «Dalla mia aula ne manca una piccola quantità» rivelò. «Inoltre Paciock si occupa di coltivarne alcune piante per rifornire il mio armadio delle scorte, perciò non è improbabile che qualcuno abbia potuto prenderla anche dalle serre.»
Scosse la testa, disorientata, rimuginando. «Questo non ci aiuta a restringere il campo.» Guardò l'anziana strega di fronte a lei e continuò: «Vorrei andare a parlare con Neville e chiedergli se ha notato qualcosa di insolito attorno alle sue piante.»
La donna annuì e, dalla linea sottilissima della bocca, Hermione dedusse quanto sul serio stava prendendo la faccenda.
Malfoy aggiunse: «A questo proposito, preside, devo riferirle che dalle scorte dell'aula di Pozioni sono venuti a mancare anche altri ingredienti. Vorrei poter impiegare i fondi della scuola per acquistare quelli mancanti per le lezioni.»
La preside aggrottò le sopracciglia e Hermione sospettò di avere un'espressione simile. «Curioso che alcuni ingredienti siano spariti proprio mentre uno è stato impiegato contro uno studente.» Sovrappensiero, la strega lasciò vagare lo sguardo sulla stanza, fino al ritratto di Albus Silente, con il quale scambiò una breve occhiata carica di significato, che poggiava le basi su una complicità che in passato Hermione aveva solo potuto intuire superficialmente. «Naturalmente il permesso è accordato.»
«La ringrazio. Peraltro, non trova ancora più curioso che l'ingrediente trafugato in quantità maggiori sia stato il Bezoar?»
«Proprio quello che ha salvato il giovane Grifondoro!» commentò Hermione, allarmata.
«Sospetti che il colpevole abbia intenzione di ripetersi e stia cercando di rendere questi incidenti veramente mortali?» gli chiese la preside.
«Non si può escludere.»
«Minerva, Hogwarts deve essere un luogo sicuro per i nostri studenti.» Le parole calme del preside Silente avevano il significato di un'ammonizione e un'aria di sacralità e le ricordarono quanto lui avesse combattuto perché fosse così; ma nessuno dei presenti, per il momento, ebbe altro da aggiungere per contribuire a chiarire la trama nebbiosa dell'accaduto.
«Dobbiamo fare tutto il possibile» dichiarò la strega che aveva ereditato il suo posto al vertice.
Lei e Malfoy non poterono fare altro che concordare e lo scambio di parole si esaurì.
«Torno nei sotterranei, ho lezione con la classe del secondo anno» annunciò il professore seduto alla sua destra, spostando la sedia all'indietro e lisciando le pieghe dei pantaloni nell'alzarsi.
«Io mi dirigo verso le serre, allora» comunicò lei, imitandolo.
Si congedarono dalla preside e uscirono insieme, taciturni; Malfoy lasciò che lei scendesse le scale per prima e poi le si affiancò, quando furono tornati accanto ai Gargoyle immobili, nel corridoio silenzioso. Solo la pietra di cui quelle figure erano fatte poteva considerarsi eterna, eppure Hermione avrebbe definito allo stesso modo lo sguardo che le rivolse. Durò in realtà solo un momento, ma a lei parve infinitamente più lungo perché aveva trattenuto il respiro, schiacciata sotto il peso delle domande che non le stava ponendo e che si concretizzavano comunque nella sua mente inquieta.
«Granger...»
Lui allungò due dita su un polso che la manica del suo abito, arrivando poco oltre il gomito, lasciava scoperto. Vezzeggiò la pelle in cerchi precisi e linee senza meta e lei fu percorsa da un brivido, fremendo di aspettativa, pur consapevole che non era consono immaginare dove ancora i suoi polpastrelli avrebbero potuto spingersi.
Trasse un brusco respiro: «Lasciami stare.» Suonò brusca persino alle sue stesse orecchie e non poté evitare di sentirsi in colpa, quando il suo rimorso era senza dubbio concretizzato nel corpo dell'uomo davanti a lei, ma non trovava la sua intima ragione in lui: Malfoy non l'aveva costretta a fare niente e lei era stata ben lieta di cedere. Ma per una volta soltanto, si era ripromessa. «Per favore» addolcì il tono, però non sottrasse il polso dal suo tocco.
Non aveva idea se lui provasse lo stesso, con sua moglie chissà dove, o fosse semplicemente più a suo agio di lei all'idea di profanare un matrimonio, se il soddisfacimento immediato di un mero desiderio per lui valesse più della dignità di una promessa, se aspirare a possedere il suo corpo fosse più urgente del decoro. Per Serpeverde la pura ambizione contava assai più di ogni nobile azione, ricordò.
Lui sospirò e spostò, sovrappensiero, i capelli all'indietro con l'altra mano, infilando le dita nelle ciocche bionde, e lei si scoprì a inseguire il movimento con gli occhi; Malfoy se ne accorse e reagì con un sorriso sbilenco, che sospettò l'avesse fatta arrossire.
Abbandonò la sua pelle e d'improvviso Hermione sentì più freddo di quello che esisteva nei sotterranei a cui lui stava per fare ritorno, sebbene nessun cambiamento climatico era occorso tra le mura di Hogwarts, sempre piacevolmente tiepide.
«Va bene. Devi essere tu a volerlo.» Ubbidì: la lasciò stare, come lei aveva chiesto, e si allontanò, mostrandole solo la linea precisa delle sue spalle, mentre la sua figura era accarezzata dalle ombre gettate dalle luci. Hermione restò a fissarlo fino a che non le fu più possibile, quando lui ebbe svoltato un angolo, e scosse il capo, alzando gli occhi al cielo per le proprie reazioni alla sua presenza, che non poteva fare altro che biasimare strenuamente.
Mentre avanzava per corridoi e scale che aveva già percorso, per uscire dal castello, si ritrovò a pensare che non avrebbe potuto fuggire per sempre dai suoi occhi audaci e dal suo tocco indagatore. Oppure sì, e, svelata la dinamica dell'incidente nella Sala Grande, lei sarebbe tornata al suo preciso matrimonio, adagiandosi alla perfetta presunzione di non vederlo mai più, se non nelle sue fantasie; così non avrebbe avuto necessità di risolvere il problema in cui si era gettata furiosamente, se questo non si fosse più posto. Da quando, si chiese mentre ricambiava cenni di saluto di alcuni studenti sul suo cammino, aveva iniziato a crogiolarsi nella codardia: da quando evitava minuziosamente di scandagliare le sue colpe o, forse, da anni prima, quando aveva scelto solo con la razionalità di accontentarsi di un amico al suo fianco.
Le serre di Erbologia si ergevano davanti a lei, nei terreni intorno al castello, larghe e maestose per poter contenere ogni sorta di vegetale magico; i tetti spioventi sulle pareti trasparenti proteggevano le piante al loro interno dalle precipitazioni e concentravano la luce su di loro, per magia e per fisica. La serra numero uno si stava svuotando degli studenti – del primo anno, se era ancora rispettata la suddivisione in vigore quando la frequentava lei e, dai visi infantili che stava incrociando, dedusse di sì. Vi avevano seguito una lezione e stavano rientrando al castello, stretti nei loro mantelli, con libri in mano e ciarle in bocca; Hermione procedette in direzione opposta, tra gli svolazzi delle divise nere nella brezza primaverile. Tiepidi raggi di sole giocavano a nascondersi tra le nuvole, e lei avrebbe voluto che fossero più intensi, per riscaldarle almeno le mani.
Dalla soglia vide Neville versare acqua da un innaffiatoio nel terriccio di un arbusto basso, con una chioma di graziosi fiori delle sfumature vivaci del magenta, attorno alla quale svolazzavano piccoli insetti. Quando alzò lo sguardo, si accorse di lei e le sorrise: si tolse i guanti, che posò su un banco accanto a lui, vicino a un paio di cesoie e sacchi di fertilizzante, e la salutò.
Hermione gli andò incontro. All'interno della serra la temperatura era più alta e l'aria umida, e lei percepì le sue guance colorarsi: tirò più su le maniche della veste da strega e si scostò i capelli dal viso.
«Hermione! Sei tornata a Hogwarts per la faccenda di Peter Horton?»
Lei glielo confermò.
«Brutta storia, avvelenare un ragazzino...» Neville aveva gli occhi seri, che esprimevano condanna per l'attacco che aveva colpito proprio uno degli studenti della Casa di cui era direttore.
«Intendo andare a fondo di questa faccenda, per questo me ne sto interessando in prima persona.»
«Ti ringrazio: penso che siamo tutti più tranquilli, se ci sei anche tu a occupartene.» Neville le rivolse lo stesso sorriso che lei ricordava dagli anni di scuola, nelle occasioni in cui lo aiutava a riempire un rotolo di pergamena per un tema di Difesa contro le Arti Oscure o gli indicava sottovoce il senso corretto in cui rimestare il contenuto di un calderone, tentando di non essere udita dal professor Piton.
Lo ricambiò, lusingata dalla fiducia che lui riponeva nelle sue intenzioni e nelle sue capacità. «A questo proposito, volevo parlarti.»
«Certo. Aiutami a occuparmi di questo Geranio Zannuto, ti va?» Neville indicò con un cenno il vaso che si trovava su un banco in fondo alla serra, tra tanti altri che ospitavano vegetali di ogni dimensione e colore: riconobbe un delizioso Frullobulbo, che lei teneva a casa a scopo ornamentale e in qualche strano modo sopravviveva ancora all'irruenza di Hugo, e una piccola Mimbulus Mimbletonia.
«Cosa posso fare?»
Neville riprese i guanti protettivi e li indossò, per salvare le dita dal meccanismo di difesa celato fra i petali della pianta carnivora magica. Lei lo seguì, mentre lui si avvicinava a essa e le spiegava: «Devo potarlo, ma, come puoi immaginare, gli piace mordermi.»
Ridacchiò, e a lei parve il modo in cui un genitore avrebbe riso della monelleria di un figlio: avrebbe giurato di aver parlato allo stesso modo, raccontando a Ginny di come Rose, che allora aveva sei anni, avesse vivisezionato un pupazzo di Hugo che volava per magia, perché intendeva comprendere se le ali fossero nascoste all'interno.
«Non ti preoccupare, non permetterò che ti faccia del male; puoi passarmi solo gli attrezzi che ti chiedo, per favore?»
Neville non era mai stato un ragazzino sicuro di sé e il modo in cui da adulto si muoveva nel suo ambiente non aveva niente di spavaldo: le comunicava semplicemente l'orgoglio di dedicarsi a una propria passione con risultati soddisfacenti. Così, durante quella inaspettata collaborazione, Hermione gli domandò se avesse notato nulla di strano intorno alle sue piante, specialmente quelle di belladonna: se fossero state maneggiate, spostate o addirittura trafugate. Neville interruppe quel confronto solo per ricordarle, di volta in volta, di quali strumenti avesse bisogno.
Le rivelò che, in effetti, si era accorto di un paio di rami strappati da un esemplare, portando via foglie e bacche: quel particolare gli era saltato all'occhio perché non era imputabile al taglio netto di un paio di forbici da giardinaggio, poiché i margini erano più imprecisi, come se la pianta fosse stata manipolata bruscamente. Tuttavia non vi aveva dato peso, perché era abituato a vedere a ogni sorta di trattamento indelicato da parte dei suoi maldestri studenti, soprattutto ai primi anni.
Hermione rifletté, dalle informazioni ricevute dai professori di Pozioni ed Erbologia, che il responsabile dell'avvelenamento avrebbe potuto avere accesso alla sostanza tossica che aveva utilizzato sia nell'aula nei sotterranei, sia nelle serre. E, se aveva rubato da entrambe, poteva aggirarsi nella scuola in quello stesso istante qualcuno con ingenti quantità di veleno a disposizione, sufficienti per colpire ancora. Non c'era un attimo da perdere: non si poteva permettere che un altro studente cadesse vittima di un attentato criminale.
Il passo successivo sarebbe stato verificare in un libro di ingredienti che foglie e bacche di belladonna, opportunamente preparate, racchiudessero quantità sufficienti della sostanza tossica: se non fosse stato così, ed erano altre parti della pianta come le radici a contenerne in misura maggiore, avrebbe almeno potuto catalogare il ramo strappato nelle serre come un caso, slegato dall'incidente, da imputare solo agli alunni inesperti di cui aveva parlato Neville. Quest'ultimo non avrebbe potuto aiutarla, trattandosi di un interrogativo non strettamente legato alla cura della pianta bensì al suo impiego nelle pozioni, allora le sovvenne del volume che aveva citato Malfoy nell'ufficio della preside e si rassegnò all'idea di andare a chiederlo a lui, che lo aveva già sottomano, per risparmiare il tempo di cercarne uno.
Perciò si risolse a congedarsi dal suo vecchio amico: «Devo andare. Non posso trattenermi, ho anche altri impegni lavorativi. Però un giorno possiamo incontrarci tutti a cena, con Ron e anche Harry e Ginny, se ti va.»
«Mi piacerebbe molto.»
Hermione ritornò quindi sui suoi passi; il sole si era alzato di più nel cielo, ma lei non poté assaporarne a lungo il calore, giacché ritornò alle luci delle torce all'interno del castello che si facevano sempre più fredde, scendendo sotto il livello del Lago Nero. Stava tornando nel luogo che l'aveva vista cedere alla tentazione di un ricordo ma, per fortuna, la sua mente era presa da ben altro e non sentì neanche una fitta del senso di colpa che l'aveva tormentata.
Trovò l'aula di Pozioni vuota e silenziosa e la porta spalancata: si rese conto immediatamente che c'era qualcosa che non andava, perché Malfoy aveva detto alla preside e a lei di essere atteso da una classe e, da allora, era passata meno di un'ora, perciò non poteva aver già concluso. Il cuore prese a batterle agitato nel petto: qualunque cosa fosse accaduta rappresentava un serio pericolo, se l'intera classe era stata allontanata prima del termine della lezione, e non poté fare a meno di domandarsi con apprensione se ci fosse ancora il veleno di mezzo. Si precipitò all'interno: vide solo Malfoy, piegato in avanti a rialzare la sedia dietro uno dei banchi degli studenti, e lei si chiese se qualcuno fosse caduto, e come.
Dopo lui fece per dirigersi verso l'armadio che, almeno ai suoi tempi, custodiva libri, strumenti e ingredienti di scorta ed era perennemente disordinato, ma si accorse di lei che era rimasta bloccata sulla soglia. Notando la sua presenza, un'espressione gravissima gli si dipinse in volto, che strideva terribilmente con la profondità o la malizia degli sguardi che le aveva rivolto nelle loro precedenti interazioni.
«Malfoy, cosa è successo?» Si rese conto che il suo tono si era ineducatamente alzato, ma non ne aveva il controllo, come se provenisse da un'altra bocca, come se avesse ceduto il dominio sulle sue corde vocali al panico: nel silenzio dell'aula nei sotterranei, la sua domanda risuonò come un grido.
«Granger... un altro studente è stato attaccato.» Malfoy le confermò i suoi timori e lei trasse una brusca inspirazione. «Una studentessa» aggiunse.
«Cosa è successo?» riuscì solo a ripetere, agitata, incalzandolo, e l'intonazione del suo quesito rasentava ormai l'isteria: lui aveva lezione con gli allievi del secondo anno e una sua studentessa era stata colpita e lui la fissava amareggiato.
«Una studentessa ha portato una tazza di tè a lezione. Ha preso un sorso mentre iniziavo a spiegare e poco dopo ha iniziato a mancarle il respiro e si è arrossata in viso. È riuscita a dire che le girava la testa e poi è caduta a terra, incosciente.»
Mentre lui parlava il ritmo del suo respiro si era accelerato, gli occhi dilatati ed era impegnata a trattenere i singhiozzi che minacciavano di sconquassarle il petto agitato. «Chi è?» riuscì a pronunciare, interrompendolo.
Ma lo sapeva già.
«Rose Weasley.»
Le ginocchia le cedettero e lei cadde sulla dura pietra umida dei sotterranei, probabilmente procurandosi un livido o due attorno alle rotule. Una parte del suo cervello registrò che la reazione dei suoi polmoni doveva essere simile a ciò che aveva sperimentato Rose, ma l'iperventilazione, nel suo caso, non era conseguenza di una sostanza tossica. Gli occhi le si inumidirono e tremori le attraversarono il corpo, ma la sua mente, pur registrandoli con precisione, non riusciva a controllarli.
Malfoy le andò incontro, inginocchiandosi accanto a lei. Le spostò i ricci dalla fronte sudata e la prese per le braccia, per tenerle la schiena dritta e ricercare un contatto visivo.
«Granger, calmati; respira. Le ho subito somministrato un Bezoar e ora è in infermeria.»
Respira.
Rose non sapeva rinunciare al suo tè di metà mattina, a casa come a scuola: sosteneva che la aiutasse a concentrarsi, quando si interessava a un libro nella sua stanza o frequentava le lezioni a Hogwarts.
«Granger, respira. Lei si riprenderà, vedrai.»
Respira.
Rose. La sua bambina, che non sopportava che si piegassero le pagine dei libri per tenere il segno, che aveva scelto di apprendere precocemente una seconda lingua in previsione di future opportunità di carriera, che teneva un'enciclopedia Babbana nella sua camera per non rinunciare a una parte del sapere poco approfondita dall'istruzione magica. La sua brillante bambina.
«Respira con me, Hermione. Poi andrai da lei e potrai vederla.»
Respira con me. Hermione.
Senza spostare di un centimetro gli occhi fissi sui suoi, Malfoy si esibì in una profonda inspirazione a cui fece seguire un'altrettanto profonda espirazione, accentuandole con movimenti del capo verso l'alto e poi verso il basso. Lo ripeté, e ancora, fino a che anche il suo fiato riprese un ritmo calmo, sincronizzato con quello di lui.
Le parve che una nebbia si diradasse nei suoi pensieri e ritrovò d'improvviso lucidità, come se fino a un attimo prima non fosse stata affatto incapace persino di respirare normalmente.
Lui la tirò a sé, stringendola, e lei glielo lasciò fare, appoggiandosi al bisogno di farsi sostenere, mentre sentiva ancora che le sue gambe instabili non l'avrebbero sorretta. C'era un freddo estraneo dentro di lei, perciò il tepore di un abbraccio spontaneo contribuì a calmarla e placò anche il suo battito affrettato. Anni prima era stata lei a tentare di rincuorarlo tra le sue braccia, quando l'aveva visto turbato e combattuto e persino ferito da un incantesimo nemico, ma lui non aveva ceduto; invece lei, in quel frangente, non vedeva nessuna ragione per non permetterselo.
«Va' da lei» sussurrò vicino al suo viso, e la lasciò andare.
Solo allora Hermione si alzò in piedi e iniziò a correre a tutta lena verso l'infermeria.
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Note:
Il lavoro di Harry e Ron come Auror è canon.
Certosino, la parola d'ordine scelta dalla preside McGranitt per il suo ufficio, non solo è un aggettivo che trovo calzante quando penso a questo personaggio, ma si tratta di una razza di gatto domestico originaria della Francia.
Atropa belladonna è una pianta velenosa anche nel mondo Babbano e nel capitolo precedente, in cui è raccontato l'incidente di Peter Horton, ho cercato di descrivere nella maniera più verosimile che mi riuscisse i sintomi riconducibili all'atropina.
Il verso sulla Casa di Serpeverde che ricorda Hermione è tratto dalla filastrocca del Cappello Parlante in Harry Potter e il Calice di Fuoco.
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Mi prendo ancora un breve spazio per ringraziare ognuno dei lettori, perché siete il bello della condivisione online delle fanfiction, e vi do appuntamento alla settimana prossima per il capitolo successivo.
Legar
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