Epilogo. L'antidoto alla verità
Il sole estivo accendeva il prato dei riflessi di un verde vibrante; l'erba, tagliata corta, era una tiepida carezza sotto i piedi, sfiorava soffice le suole delle scarpe in un invito a destinarle piante nude. Si estendeva intorno all'edificio e, dalla porta d'ingresso, delimitava un viale in pietra che si allungava fino al cancello. Cespugli di forme ordinate seguivano una disposizione geometrica davanti alla casa e alcuni insinuavano foglie ad avvolgere i mattoni della facciata del piano terra. Da una fontana circolare al centro del giardino si alzava un getto incessante, limpido, fresco scrosciare nella luce del giorno, e qualche becco si avventurava a raccogliere gocce d'acqua se nessun umano era nei paraggi. Piccoli uccelli scappavano da un ramo all'altro degli arbusti più alti, che segnavano il perimetro della proprietà, con le chiome che si allargavano come nuvole verdi su uno sfondo celeste.
All'ombra di uno di essi, affinché i raggi non le ferissero gli occhi, Hermione stava leggendo. Teneva le pagine ferme con le dita perché la brezza non le trascinasse via e di tanto in tanto sollevava lo sguardo per controllare i tre ragazzi poco distanti, sebbene non avesse ragione di temere alcun pericolo, tra fiori e piante che uno di loro conosceva da tutta la vita. Non era facile concentrarsi sui documenti quando voci gioviali le giungevano perfettamente chiare, come se lei stessa fosse impegnata a giocare insieme a loro. Le lievi folate di vento tra le fronde e il delicato cinguettio dei volatili, nel cielo terso della campagna inglese, non coprivano i loro toni acuti; nonostante ciò, la vivacità della città di Londra, che le era ben nota, non era in grado di offrire la medesima pace.
«Sicuro che questa quantità d'acqua sia giusta?»
Una porzione del giardino era dedicata a un roseto: due file parallele di cespugli e molteplici note di colore a ornarli. Infilati tra foglie lucenti, petali delle tonalità più comuni e quelle impossibili in natura ottenute per magia promettevano bellezza eterea, da toccare al prezzo della minaccia delle spine che li proteggevano.
Non ne aveva timore, Scorpius Malfoy. Inginocchiato al suolo, l'annaffiatoio in una mano e un piglio concentrato in viso, si muoveva attorno alle piante con scrupolo. Non era la prima volta che le maneggiava, mentre sua figlia Rose non aveva mai avuto una passione per il giardinaggio; perciò gli stava accanto nel modo che le era più congeniale, seduta a terra a gambe incrociate, leggendo ad alta voce passaggi da un testo di botanica magica e interrogandolo. Spostava lo sguardo dalle pagine ai fiori a intervalli regolari, consultando e confrontando, come se le rose di Astoria Malfoy fossero una nuova materia di studio. Rose, che era curiosa in diversi ambiti ma concentrava il proprio tempo solo su quelli che le destavano maggiormente interesse, vi si dedicava perché tenere distratto quel coetaneo dall'inafferrabile sorriso era diventata la sua nuova missione. Vicino a loro, assorto nello studio di forme e colori più che delle cure che li rendevano possibili, Hugo scrutava intensamente tra le foglie; quando un insetto fece per insinuarsi nell'accogliente rifugio dei petali, prese al volo la macchina fotografica così che lo scatto magico ne avrebbe mostrato la traiettoria del volo.
«Sì, mia madre l'ha sempre riempito tutto.»
Non c'era dolore nella voce gentile che rispose con un accenno a un genitore che non avrebbe più avuto la possibilità di spiegargli quanto pieno dovesse essere l'annaffiatoio. Il sonno agitato di Scorpius era una confessione che Hermione conosceva solo dalla bocca del padre: quel ragazzo aveva tutta la dignità di un giovane uomo e non esibiva altro che muta rassegnazione, agli occhi di una coetanea che stava iniziando a considerare un'amica, ma non era famiglia. E agli occhi di Hermione, che lo approcciava in punta di piedi e reagiva solo sulla base della sua accoglienza.
Al termine dell'anno scolastico Rose aveva lasciato Hogwarts con i voti desiderati e Scorpius era tornato da Durmstrang con voti discreti e desideri irrealizzabili. Draco le aveva raccontato di una camera che era diventata come una stanza d'ospedale, uno sfregio dell'arredamento elegante, una distorsione nella calorosa aria di casa. La prima cosa che il figlio aveva fatto, come sempre al ritorno da scuola, era stata andare ad aprirne la porta: l'aveva trovata svuotata e ripulita. Il peso di una verità incancellabile – una perdita ingiusta, un lutto crudele – si era manifestato in una delle sue conseguenze pratiche e allora Scorpius aveva preso a occuparsi del roseto della madre, pregando Draco di chiedere al giardiniere di curare tutto il resto meno che i fiori preferiti di Astoria. Il padre, che non gli avrebbe negato niente, aveva acquistato per lui un nuovo set da giardinaggio.
Draco e Hermione erano stati d'accordo sull'andarci piano, con i ragazzi, perché i loro desideri erano leciti ma altrettanto giusto era non sconvolgere uno che aveva perso la madre poche settimane prima e due che vivevano la recente separazione dei genitori. Così, Draco era un amico della mamma e lavoravano insieme a un progetto e suo figlio Scorpius aveva bisogno di compagnia e vi andrebbe di venire con me? I tre si vedevano meno spesso di lei e Draco, ma si erano trovati sorprendentemente bene insieme, perché Rose era abbastanza autoritaria da trascinare Scorpius fuori dalla tentazione di un confortevole isolamento e Hugo esuberante al punto da smuoverlo da una timida inerzia.
«Qui dice...» iniziò Rose, allungandosi a mostrargli il libro.
«Ma non ti preoccupare, so quello che faccio» la interruppe Scorpius, parlando in tono gentile e non imprimendo alcuna traccia di arroganza alle proprie parole. Se i capelli di un biondo chiarissimo, le iridi grigie, i lineamenti del viso identificavano senza ombra di dubbio il padre, le espressioni che li animavano dovevano essere materne. Hermione aveva visto nelle pieghe delle guance, nell'atteggiamento degli occhi, la stessa ombra di dolcezza e la calda apertura verso il prossimo intuita dalla foto della madre. Esisteva nei momenti in cui non si rintanava nel proprio dolore, ogni volta che una compagnia lo trascinava lontano – anche quelle che lei non conosceva, o non ancora, nei suoi propositi.
Scorpius Malfoy odiava il Quidditch e lei si era offerta di passare del tempo con lui, durante una partita del campionato che il ragazzo aveva impedito al padre di saltare per lui. Scorpius Malfoy studiava in una lingua diversa dall'inglese ed era interessato alle Antiche Rune, che a Durmstrang non erano oggetto di lezioni, e lei aveva condiviso le letture più importanti sul tema.
«Se sbagliamo qualcosa poi dobbiamo rimandare la tua rivincita a scacchi.»
Scorpius rise piano. Sfiorò con un polpastrello la superficie di un petalo di un blu ben più intenso del cielo. Hermione ne immaginò la serica morbidezza, ma il tatto non aveva esperienza diretta di quelle rose nello specifico – non le avrebbe mai toccate, non era lì per sostituire la donna che le aveva volute. «Puoi sempre sfidare Hugo.»
Suo figlio si era sdraiato prono, incurante del rischio di macchie d'erba sui vestiti: di qualunque intensità, sarebbero andate via. Hermione era ben contenta di dover eseguire un incantesimo di pulizia in più se per loro significava esplorare il mondo naturale: mentre era incinta, aveva appreso da un testo di pedagogia i benefici delle attività all'aperto.
Sentendosi nominato, il bambino voltò il capo di scatto. Se fosse stato appena più vicino a un cespuglio l'avrebbe urtato. Trasferì le matite colorate in una sola mano e poggiò una guancia sul palmo aperto dell'altra, il gomito puntato al suolo. «Io ora non posso.»
«L'hai visto. Pensi che sia in grado di rimanere fermo abbastanza a lungo da giocare a scacchi?» lo prese in giro Rose.
Il fratello protestò – «Nostro padre ha insegnato anche a me!» – e al contempo allungò un braccio per spintonarla senza troppa forza su un ginocchio. La mano con cui non si reggeva era anche quella piena di matite colorate, che perciò finirono tra i fili d'erba.
Rose rise e Scorpius la imitò. «Appunto.»
Il più piccolo si mise a raccogliere i propri strumenti, mentre la sorella riprendeva a leggere della cura delle rose e Scorpius lo aiutava con quelli più vicini alle radici delle piante. «Tieni» disse.
Hugo lo ringraziò, poi tornò all'attività a cui si stava dedicando prima. Confrontava le punte colorate con i fiori, ne imprimeva una traccia su un foglio di prova per osservare la tonalità reale sulla carta e poi avvicinava quella ai petali. A Hermione sarebbero sembrate tutte banalmente simili, ma lui stava cercando di ottenere la perfetta sfumatura di rosso aranciato per replicare alcuni degli esemplari di rose.
Scorpius lo osservava con circospezione ogni volta che si faceva più vicino ai fiori e Hermione non avrebbe saputo dire se lui temesse più per la sua incolumità per bontà d'animo o, comprensibilmente, per quella delle rose. Nel primo caso, la magia poteva rimediare senza troppi problemi a un piccolo taglio sulla pelle. Nel secondo, nessun incantesimo poteva ricreare nella realtà l'intimo ricordo nascosto tra le foglie, ma si fidava della delicatezza del figlio, nelle interazioni sociali se non nei movimenti: non avrebbe mai danneggiato l'unico altro essere vivente in cui perdurava il tocco della madre del ragazzo.
Sporgendosi a guardare sul foglio di Hugo, Scorpius gli chiese: «Vuoi fare un autoritratto?»
«Non so ancora disegnare le persone» ammise, abbattuto.
«Imparerai» lo incoraggiò. «Ma questo è proprio il colore dei tuoi capelli.»
Hugo corrugò la fronte, concentrandosi per un attimo sul foglio. Poi, impossibilitato a confrontare con la propria chioma la precisa sfumatura ottenuta, senza uno specchio, si mise a sedere per muoversi verso la sorella. Rose alzò la testa dal libro, e le sopracciglia, nel notarlo. Si ritrasse per istinto, ma Hugo riuscì ad afferrare un ciocca e le avvicinò il foglio.
«Fai piano» gli intimò, con stanca sopportazione nella voce.
Hugo non rispose, ma nessuna fitta di dolore le alterò i lineamenti.
«Hai ragione!» esclamò, esultante. Hermione avrebbe giurato che, se la casa più vicina non fosse stata distante alcune centinaia di metri, anche i suoi occupanti avrebbero potuto udirlo. «Abbiamo i capelli di questo colore esatto» comunicò con molta serietà alla sorella.
Lei si strinse nelle spalle.
Scorpius aggiunse: «E lei ha anche il nome di una rosa.»
Hugo ridacchiò: «Ma non il profumo.»
Rose non lo degnò di una replica: si limitò ad avvicinarglisi solo per arricciare il naso e ritrarsi subito con un'espressione disgustata. Poi, soddisfatta, commentò: «I fiori sono egocentrici, non sopportano di dividere il nome con me.» Sollevò il libro e continuò, in tono lamentoso: «Anche se io sono piena di buoni propositi nei loro confronti.»
Sulla musica delle loro risate, Hermione abbassò gli occhi sulla propria lettura, ma non ritrovò la concentrazione. I caratteri di inchiostro nero componevano linee oscure, non si assemblavano a costituire significati nella mente, perché una parte di essa era annebbiata da una tensione che il tocco di Draco non era riuscito a diradare. Essere genitore era una questione di priorità e non potevano esistere respiri leggeri quando Rose non le parlava da due giorni. L'unica che aveva il potere di sciogliere le sue ansie era anche quella che le aveva generate.
La verità aveva prodotto effetti venefici. Nelle intenzioni, dopo un periodo di adattamento alle due nuove presenze nelle loro vite, Hermione avrebbe portato i figli via per un'escursione, avrebbe preparato i loro panini preferiti, avrebbe eseguito gli incantesimi protettivi per farli divertire a cavallo di una scopa al riparo da occhi Babbani. Poi li avrebbe stretti a sé, augurandosi di aver lasciato l'impressione che avrebbe sempre fatto tutto quanto in suo potere per il loro benessere, prima di svelare che Draco Malfoy non era solo un professore e non era un amico. Ma il suo proposito si era spezzato a metà, perché Rose, troppo intuitiva, sospettosa e poi incredula, aveva preteso un chiarimento. E quando i suoi dubbi avevano trovato un'inevitabile conferma – Hermione non le avrebbe mentito, la figlia non era codarda da restare in silenzio tanto quanto lei non lo era al punto da non affrontarne le domande –, le aveva riservato uno scoppio d'ira e poi nulla più. Era un veleno dal quale non voleva essere salvata, un doveroso castigo per aver ferito un figlio e l'obbligo a rimuginare su se sarebbe riuscita a ottenerne il perdono.
Odio che si pensi che io riceva favoritismi, e lo sai. Mi impegno più degli altri perché se facessi il minimo indispensabile non sarebbe abbastanza. Pretendo che nessuno dubiti che i risultati che ottengo siano solo miei. Sono figlia di Ron Weasley e Hermione Granger. I miei compagni pensano di conoscermi già perché il mio cognome e la mia faccia sono finiti qualche volta sui giornali. Ero la figlia degli eroi di guerra ed era dura, poi sono diventata addirittura la figlia del Ministro. Ma adesso! Il professor Malfoy, mamma? Frequenti un mio professore?
Buongiorno, professore. Con Draco era cortese, ma distante tanto quanto chiacchierava allegra in presenza del figlio. Ogni timido tentativo dell'uomo di avvicinarla, richiamandola almeno all'uso del proprio nome, si era scontrato con l'appellativo che lei era solita usare e non gli concedeva di abbandonare. Arrivederci, professore.
Hugo aveva intuito un litigio. Aveva intavolato conversazioni che coinvolgessero entrambe, ma si era ritrovato a trasferirle i messaggi di Rose, quando lei non poteva proprio evitare di parlare. Così, ferito da quella situazione, i cui motivi gli erano oscuri, aveva smesso di provarci.
Ma Hermione non l'avrebbe fatto. Destinò un'altra occhiata alla figlia, spiò la tranquillità giocosa di cui non era destinataria. Ringraziò che non si fosse accorta di essere osservata, perché il suo cuore non avrebbe sopportato l'ennesima espressione di ostilità.
Era la più alta, tra i tre ragazzi, ma preventivava che negli anni le differenze si sarebbero invertite. Hermione accarezzò quel pensiero; nel quadro futuro che vedeva il fratello superarla in altezza, si era aggiunto un altro ragazzo biondissimo e lei li avrebbe contemplati tenendo per mano un uomo con la stessa chioma, appena meno folta. Aveva scelto di iniziare il cammino che avrebbe potuto condurla a quell'immagine e avrebbe fatto tutto il necessario, passo dopo passo, per realizzarla, perché lei e Draco si erano ripromessi di essere due persone inclini a provare, insieme.
Il rumore più intenso di una Materializzazione la indusse a voltare il capo. Draco apparve davanti a lei, destinandole un sorriso che ispirava parole dolci e inconfessate; un tempo avrebbe giurato che lui non ne fosse in grado, poi li aveva ottenuti per sé e li aveva visti per il figlio.
«Sei esattamente dove ti ho lasciata» constatò, con incomprensibile meraviglia. Scivolò con gli occhi sulla sua bocca: era così evidente che, se avesse potuto, le avrebbe mostrato in un'altra maniera di essere lieto che lei non si fosse allontanata.
Hermione sollevò le carte che stava cercando di leggere, esibendo la propria, concreta giustificazione. Quella reale aveva a che fare con il modo in cui lui sembrava non poter distrarsi dalla contemplazione del suo corpo sull'erba della propria casa. La guardava con un'espressione di così intensa venerazione che non le sembrò così improbabile – solo doloroso – che Rose potesse averne intuito il significato. Si domandò se anche lei esibiva la stessa. Occhi negli occhi, specchiarsi e riconoscersi affini.
Le porse un braccio per aiutarla ad alzarsi e solo nel contatto con la sua mano qualcosa, che sapeva di desiderio e nostalgia, si placò finalmente e si infiammò.
«Ho una notizia» annunciò lui, vittorioso, lasciandole il palmo dopo una leggera carezza di dita sulle vene del polso.
Spalancò le palpebre. «Hai concluso la sperimentazione?» chiese, già pregustando l'esultanza. Non si lanciò tra le sue braccia, ma non riuscì a controllare il tono di voce, che richiamò Scorpius e di conseguenza gli altri due.
«Hai finito, papà?» domandò il ragazzo, alzando la voce per essere udito mentre correva verso di loro. Era così innegabilmente fiero del genitore che le fece male intuirlo su quel viso pallido, quando la sua stessa figlia stentava a rivolgerle più che una fugace occhiata astiosa e le recriminava le sue recenti azioni.
Rose fu l'ultima a raggiungerli. Incrociò le braccia al petto e non si lasciò sfuggire niente, mentre il fratello sembrava almeno curioso.
Draco si piegò appena sulle ginocchia per arrivare con il volto precisamente all'altezza di quello del figlio, così simile e speculare. Annuì e gli mostrò un sorriso che illuminò anche gli occhi; Hermione lo trovò incantevole. «Proprio così.»
Scorpius si lanciò sul suo torace e il padre lo strinse a sé. La voce del ragazzo le giunse ovattata dai vestiti: «Sei un papà bravissimo e intelligentissimo, papà! Io lo sapevo che ci saresti riuscito.»
Hermione si lasciò contagiare dal clima di trionfo, permettendo che le piegasse le labbra in su.
Draco tornò in piedi; l'ultimo contatto con il corpo del figlio fu nella mano con cui gli arruffò i capelli. Parlò rivolgendosi ancora a lui, che era orgoglioso e avido di sapere, ma i dettagli tecnici che aggiunse non potevano che essere per lei: «Ho terminato la raccolta dei dati: mostrano in modo inequivocabile che l'antidoto ha funzionato sul gruppo di volontari che l'hanno assunto, mentre quelli che hanno ricevuto una pozione simile nell'aspetto ma priva di ogni efficacia non sono stati in grado di resistere al Veritaserum. È pronto per essere commercializzato, dopo la necessaria approvazione.»
«Sì!» esultò suo figlio. Sorrideva come lei e si lasciò andare a un rapido battimani.
«È meraviglioso, è il risultato che ti eri prefissato. Complimenti.» Non riusciva a nascondere la propria ammirazione, ma la riscaldò il pensiero che neanche aveva ragione di farlo, perché conoscersi era scoprirsi invece che trattenersi. Hermione non smise di sorridere nemmeno quando prese la bacchetta; non aveva bisogno di troppa concentrazione per un Incantesimo di Appello non verbale.
Draco la guardò incuriosito, ma non esitò a voltarsi quando Rose gli parlò.
«Quanto durano gli effetti dell'antidoto?» chiese. Il suo vivo interesse per l'apprendimento vinceva sull'ostilità.
Hermione, che già conosceva la risposta, eseguì la magia e si ritrovò tra le mani il documento con il sigillo dello Stregone Capo del Wizengamot.
«Un'ora, ma si può assumere di nuovo al bisogno.»
«E che aspetto ha?»
«Uguale alla pozione che va a contrastare. Qual è l'aspetto del Veritaserum?»
«È incolore e insapore.»
«Esatto.»
«Ho capito. Grazie, professore.»
Dato che Rose sembrava soddisfatta e non in procinto di porre altre domande, Hermione attirò l'attenzione dell'uomo sfiorandogli l'avambraccio. «Draco» sorrise, sibillina, allungandogli la pergamena piegata. «Leggi, c'è il tuo nome» lo invitò, senza specificare altro.
Lui eseguì, sotto gli occhi curiosi dei ragazzi e quelli attenti di Hermione, che misurarono ogni suo mutamento di espressione. Concentrazione. Stupore. Soddisfazione.
«Mi ridurrò a offendere la mia intelligenza per questa domanda, ma è quello che sembra?»
Hermione non riuscì più a stare in silenzio e annuì: «Un contratto.» Tenerlo per sé, perché sarebbe stato prematuro parlargliene quando ancora non aveva conclusioni definitive sulla sperimentazione, era andato contro ogni suo proposito: il tempo insieme era anche costituito da confessioni sotto le stelle e tra le lenzuola e in mezzo agli alberi – intimità. «Potrei aver accennato qualcosa riguardo un antidoto per il Veritaserum al signor Rowling. Il Wizengamot sarebbe molto interessato a ottenerlo e questa» accennò alla pergamena che Draco teneva salda tra le mani, «è un'offerta di collaborazione per produrlo in esclusiva per il Ministero.»
Il Wizengamot non era controllato dal suo ufficio, ma quella era un'idea troppo buona perché chiunque, nella posizione di Stregone Capo, potesse pensare di rifiutarla per il mero orgoglio di rivendicare l'indipendenza dell'istituzione, solo perché in origine accennata dal Ministro.
Hogwarts avrebbe tenuto Draco più lontano da lei di quanto fosse nei reciproci desideri: gli ultimi giorni dell'anno scolastico passato l'avevano visto lasciare la Scozia per trovare la sua compagnia, nei fine settimana in cui Hugo era con il padre, e raggiungere i confini della scuola per potersi Smaterializzare, nei giorni in cui le lezioni pomeridiane di Pozioni terminavano prima. Ma le ore ricercate, ritagliate, rincorse non erano abbastanza. Le labbra che si accomiatavano in apertura di periodi di lontananza, imposti da due quotidianità lavorative differenti e soprattutto distanti, non erano abbastanza. Inseguirsi era troppo. Lavorando entrambi al Ministero, a Londra, sarebbero stati separati da un Promemoria Interufficio, qualche intreccio di corridoi e un ascensore persino più rapido delle intenzioni.
Tuttavia le scelte professionali erano solo personali. «Che ne pensi?» chiese, trattenendo i propri desideri. «È un cambiamento per la tua carriera, senza dubbio.»
Hermione guardò la pergamena: era troppo spessa perché, in trasparenza, si potesse vedere l'inchiostro delle sue speranze. Poi alzò gli occhi e lesse nei suoi le medesime riflessioni.
Draco le sorrise. «In fondo non mi mancherebbe troppo una folla di adolescenti.»
Lei lo ricambiò. Ritrovarsi nell'atrio del Ministero, in un corridoio, in un ufficio. Condividere pause e ritardi, prospettive e insuccessi. Un bacio rubato agli impegni, mani giunte e occhiate private.
La sua assistente aveva davvero ricevuto la comunicazione di lasciar passare Draco Malfoy pure senza appuntamento.
Rose interruppe una connessione di sguardi e desideri che per lei non era segreta. «Lavorerà al Ministero? Vuol dire che non insegnerà più a Hogwarts, professore?»
«Draco» la corresse lui.
Lo ignorò e continuò, con l'urgenza di comprendere i risvolti di quella proposta lavorativa più delle formalità: «Non insegnerà più a me e ai miei compagni?»
«A quanto pare no.»
Rose ci rifletté un attimo, poi si illuminò. «Lei è il professore più brillante che io abbia avuto, sa, professore?»
«Ti ringrazio, Rose» rispose con gentilezza, ma la ragazza non lo stava più guardando.
Sua figlia camminò verso di lei e Hermione fremette, per l'urgenza di stringerla tra le braccia. Si arrese perché non aveva alcuna ragione di resistere. Le posò un bacio tra i capelli: odoravano di casa, di un amore scoperto quando lei non era che un'idea racchiusa in grembo, concretizzato in un piccolo corpo di neonata con qualche filo di capelli in testa e membra stanche e cresciuto in una ragazza dalle forti opinioni.
Hugo e Scorpius avrebbero capito, in seguito. Avrebbero saputo che la verità aveva prodotto effetti venefici, ma qualche goccia di un antidoto e poco più erano stati una soluzione.
«È la verità,» disse Rose rivolgendosi di nuovo all'ex-professore, «Draco.»
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Note:
Che le Antiche Rune non siano insegnate a Durmstrang è una mia ipotesi, trattandosi di una delle materie facoltative a Hogwarts. Come il latino è comune nelle scuole superiori in Italia ma non in altri Paesi europei, similmente ho immaginato che le Antiche Rune non fossero contemplate da una scuola di magia fuori dal Regno Unito.
Quando Draco parla della sperimentazione dell'antidoto, il riferimento nel mondo Babbano è quello degli studi sperimentali in farmacologia, in cui si confrontano un gruppo di volontari trattati con il farmaco in sperimentazione e un gruppo di controllo che riceve un placebo (in questo caso descritto come una pozione).
Il signor Rowling come Stregone Capo del Wizengamot è un omaggio ovvio, alla fine della fanfiction, all'autrice che ha creato questo mondo. Nel canon non esiste una famiglia di maghi con questo cognome.
Con questo epilogo si conclude un viaggio ben più lungo di ciò a cui ero abituata con una fanfiction. È un lieto fine, perché non avrei mai potuto scrivere niente di diverso dopo essermi affezionata a questi personaggi.
Non esiste la perfezione e non c'è mai limite alla possibilità di miglioramento. Quindi avrei potuto compiere scelte narrative diverse, usare parole differenti, prevedere mille altri cambiamenti, ma questa è la storia nata ormai mesi fa e ora giunta a termine.
Non posso non ringraziare Futeki, che ha seguito il backstage della fanfiction capitolo per capitolo e ogni mio momento di entusiasmo o scoraggiamento. Mi ha scritto annotazioni sul file che sono sempre state utili spunti di riflessione e altre che erano puro e adorabile fangirling. Ha usato diversi colori per evidenziare i passaggi nel testo e il verde (da lei associato alle cose che le sono piaciute) ha sempre superato tutti gli altri. Potevi scegliere il rosa, che come sai a me piace molto di più, ma sono contenta lo stesso!
Ringrazio ogni lettore di questa storia, a cominciare da chi la segue dall'inizio della pubblicazione su EFP e su Wattpad e ha commentato a ogni appuntamento: è stato un piacere avere le vostre parole ad accompagnarmi durante questi mesi di scrittura. Ringrazio i lettori silenziosi, i lettori futuri, i lettori sporadici, chiunque approderà su questa pagina. Scrivere è un'occupazione solitaria, ma essere letta è un peccato di vanità a cui per ora non sono disposta a rinunciare.
Potrete ritrovarmi in altre storie e in altre Dramione prossimamente, e sempre su Facebook come Legar Efp e su Instagram come __legar__.
Alla prossima!
Legar
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