Come un antidoto complesso
«È un Mangiamorte» rispose Harry lentamente. «Ha preso il posto di suo padre come Mangiamorte!»
Cadde il silenzio. Poi Ron scoppiò a ridere.
«Malfoy? Ha sedici anni, Harry! Credi che Tu-Sai-Chi permetterebbe a Malfoy di unirsi a loro?»
«È abbastanza improbabile, Harry» osservò Hermione in tono pedante.
***
Prima Legge di Golpalott: Un veleno semplice estratto da un vegetale richiede un antidoto naturale estratto da un altro vegetale.
Com'era iniziata esattamente, qualunque cosa fosse, non avrebbe saputo dirlo. Hermione ci aveva a lungo rimuginato, ma nessun pensiero aveva chiarito i contorni nebbiosi di quella storia dall'amaro finale.
Avrebbe potuto identificare il motore di tutto nel professor Lumacorno, che aveva assegnato un compito extra agli studenti più promettenti del corso, ad anno scolastico avviato. Il suo orgoglio nell'essere stata scelta andava quasi di pari passo con l'irritazione per il fatto che anche Harry fosse incluso, nonostante i suoi recenti successi fossero da attribuire solo agli appunti di un mago ignoto innegabilmente dotato. Era stata tentata di replicare alla raccomandazione con cui il professore aveva chiesto di non collaborare tra loro, occhieggiando lei e il suo amico con un piglio significativo, che non c'era alcun pericolo, ma aveva infine taciuto, limitandosi a rivolgere uno sguardo severo a Harry, che questa volta si trovava in una difficoltà da cui il Principe Mezzosangue non avrebbe potuto salvarlo.
Gli antidoti ai veleni erano un argomento delle lezioni del sesto anno in vista dei M.A.G.O., e naturalmente lei aveva già compreso e memorizzato il capitolo in proposito nel libro di testo Pozioni Avanzate e non si era tirata indietro quando si era trattato di mettere in pratica le conoscenze acquisite. Il compito consisteva nel realizzare un perfetto antidoto per un veleno complesso che il professore aveva assemblato e consegnato a ciascuno di loro in una fiala. Aveva sottolineato che erano tutte diverse affinché lavorassero in maniera indipendente dagli altri e che avevano al massimo tre mesi di tempo per portarlo a termine e conquistare un meritato "Eccezionale".
Oppure, forse, la causa prima di quanto era accaduto era da ricondurre alla sua scelta di dedicarsi all'antidoto nel bagno di Mirtilla Malcontenta – dove già una volta si era prodotta in una pozione dall'inaspettato esito – perché l'indipendenza del suo lavoro era esattamente quello che cercava.
Ci aveva trovato Malfoy, seduto per terra con le gambe lunghe distese e la schiena poggiata alla parete. Teneva gli occhi chiusi e non si era accorto subito del suo arrivo, in quanto lei aveva interrotto la propria camminata frettolosa sulla soglia non appena l'aveva scorto in quel momento di solitudine. Lei aveva le braccia cariche di libri e dalla spalla penzolava la borsa contenente l'occorrente da impiegare per il compito: cominciava a sentire un lieve indolenzimento dei muscoli contratti, ma ancora non si muoveva, per il timore di richiamare la sua attenzione ostile e per l'indecisione sulla direzione anterograda o retrograda da imporre ai suoi passi.
Neanche nel silenzio assorto e con la sua vicinanza inconsapevole i lineamenti di lui abbandonavano la tensione che li animava ultimamente: la fronte era corrugata in sottili linee che parevano impossibili da distendere con polpastrelli decisi e la bocca aveva una piega dura che sembrava rubata a una delle statue più malinconiche del castello. Gli occhi erano cerchiati da aloni scuri sullo sfondo pallido, che esplicavano, come una nota a piè di pagina in inchiostro sbavato, i dissidi che il suo volto metteva in scena per nessuno spettatore. Nel complesso aveva una palese espressione tormentata che non l'aveva mai visto calzare, differente dal contegno beffardo o francamente astioso che era solito avere nei suoi riguardi o, per meglio dire, rispetto alle sue origini.
Hermione aveva deciso, dopo un istante di titubanza, che quel posto non era di sua proprietà e lei aveva tutto il diritto di frequentarlo al pari di lui, perché, a dispetto delle sue convinzioni intolleranti, loro due erano uguali – ne aveva a ben vedere anche più diritto, perché quello era il bagno delle ragazze, anche se nessuna studentessa lo usava mai. Perciò vi era entrata, disturbando la quiete di quel luogo solitamente vuoto di presenze umane con l'incedere delle sue scarpe sul pavimento liscio, sincrono con le gocce lente che cadevano ritmicamente dal rubinetto che doveva aver usato lui poco prima, senza chiuderlo in modo appropriato.
Il ragazzo si era accorto della sua risoluzione immediatamente dopo: non appena l'aveva udita avanzare aveva sbarrato gli occhi e la sua postura aveva assunto un atteggiamento, se possibile, anche più rigido. Solo i palmi, che teneva aperti sul pavimento, avevano dato sfogo alla sorpresa di vederla, contraendosi in dei pugni, che avevano messo in evidenza i tendini sul dorso delle mani affusolate.
Anche lui doveva lavorare all'assegno del professor Lumacorno, ma Hermione non gli aveva visto attorno il materiale scolastico necessario e si era chiesta quindi quale fosse la ragione per la quale si era trovato a frequentare il bagno delle ragazze del secondo piano. Non aveva avuto modo, tuttavia, di indagare ulteriormente, perché lui non le aveva lasciato neanche il tempo di aprire bocca per un consueto scambio di scortesie. I tratti burrascosi del suo viso si erano atteggiati infine in un'espressione di odio che almeno non le era estranea e lei si era preparata mentalmente a ribattere a ogni angheria che ne sarebbe potuta scaturire. Ma l'animosità dei suoi lineamenti era durata solo un istante, un singolo lampo nella tempesta che aveva scosso i suoi muscoli facciali. Era passata più in fretta di quanto si sarebbe aspettata, non lasciando segni del suo passaggio sulla tavola bianca che era la sua faccia. Poi il mago si era alzato in piedi, ugualmente rapido, per muoversi con una celerità che aveva smosso l'uniforme scolastica in svolazzi neri e fruscii impalpabili che avrebbero potuto essere prodotti dal vento invernale, se tutte le finestre che davano sul parco esterno al castello non fossero state chiuse e sbarrate.
Malfoy era uscito senza una parola, prima che lei potesse anche solo pensare di poggiare i libri che ancora reggeva, stretti al petto come uno scudo scalfito in nemmeno un punto dalla sua insolita mansuetudine. Aveva abbandonato il luogo che non aveva alcuna intenzione di spartire con lei, prima che lei potesse anche solo interrogarsi sull'opportunità di condividere con lui spazio e ossigeno e accidentale prossimità.
Non era il solito veleno che usava riversarle addosso, lanciandole contro le stille tossiche di parole ostili scaturite direttamente dalla sua gola; era qualcosa di più complesso, ancorato a turbamenti su cui lei non aveva alcun sospetto – che Harry non avesse tutti i torti, in fin dei conti? Hermione sapeva rispondere a banali frecciatine e insulti poco velati perché ne aveva avuto esperienza negli anni, sin da quando lui aveva messo bene in chiaro l'opinione che aveva riguardo alla sua genealogia. Aveva appreso a reagire a veleni semplici con repliche dello stesso tenore, ispirate dall'istinto primordiale di provargli di essere nel torto. Funzionava: nessuno dei suoi insulti si era mai insinuato nel suo animo, strisciando come un serpente pericoloso, per prendersi un posto che non gli era stato concesso dal suo amor proprio. Tuttavia, c'era qualcosa di inedito nel modo in cui lui aveva abbandonato lo scontro, quel giorno, come un re piegato su una scacchiera, magica o Babbana, che rifugge una possibile sconfitta imposta, al prezzo di concedere la vittoria senza combattere con alcuna mossa.
Malfoy se ne era andato, lasciandole tutto: spazio e ossigeno e nessuna indesiderata prossimità, e lei si era presa tutto, decidendo di non rimuginare su questioni che non meritavano la sua attenzione più del necessario. Qualunque cosa turbasse la veglia e il sonno di Draco Malfoy non poteva che essere una buona notizia per lei: era la sua maligna facciata vittoriosa che doveva temere davvero.
Come aveva fatto al secondo anno per la preparazione della Pozione Polisucco, si era seduta sul pavimento lindo incrociando le gambe, aveva sistemato il set di provette, la bilancia, gli strumenti da taglio e il calderone, aveva poggiato la borsa contenente i diversi ingredienti del mondo vegetale e animale messi a disposizione dalle scorte dell'aula di Pozioni, quindi aveva aperto il libro e aveva iniziato a ripassare i concetti fondamentali del capitolo, per essere pronta solo in seguito ad accendere il fuoco e cominciare a lavorare al suo antidoto.
Com'era iniziata esattamente, qualunque cosa fosse, Hermione non avrebbe saputo dirlo. Ma era continuata.
Era andata avanti sempre allo stesso modo per i primi giorni: lei si recava nel bagno di Mirtilla per studiare e lo scopriva quasi sempre già lì, per fini che continuava a non comprendere. Non mostrava di avere una palese occupazione che giustificasse la propria presenza, non aveva con sé libri o strumenti magici, ma ormai lei lo incontrava in quel luogo più spesso di quanto lo vedesse a lezione, qualche volta nella stessa posizione in cui l'aveva trovato il primo giorno, qualche volta le dava le spalle, scorgendola solo riflessa in un angolo dello specchio sopra un lavandino. A volte c'era anche il fantasma, quando non era indaffarata a importunare i Prefetti nel loro bagno, ma era facile ignorarla, impegnata com'era a piangere come al solito chiusa in uno dei cubicoli, soprattutto quando il rumore della pioggia scrosciante contro i vetri attutiva i suoi lamenti. In ogni caso, ogni volta, Malfoy usciva poco dopo, dedicandole un fugace sguardo di risentimento, che si allungava di giorno in giorno di qualche secondo. Lei, comunque, non aveva intenzione di rinunciare a quel posto tranquillo per lavorare al suo antidoto e ricavarne un ottimo voto, anche a costo di continuare a vederlo per un istante della frazione di tempo libero che riservava al compito.
Poi, ormai verso la fine di dicembre, entrando nel bagno, lo trovò vicino al muro come altre volte, ma seduto, con un libro aperto sulle gambe incrociate e un calderone fumante davanti a sé. I vapori opachi si alzavano dal liquido che stava rimestando con la bacchetta in sottili nubi, che circondavano il suo viso come un'aura sporca e polverosa. Erano fumi grigi che stridevano con il candore predominante del paesaggio scozzese in quel periodo: fuori dalla finestra la neve continuava a scendere, seppellendo il verde degli ampi prati. Si era slacciato il mantello che faceva parte della divisa invernale a causa del caldo che doveva arrivare dalla fiamma accesa e l'aveva riposto, ordinatamente piegato, accanto a sé. Il fuoco era stato in grado di colorare lievemente le sue guance e Hermione lo vedeva, per una volta, meno pallido di quanto era stato negli ultimi tempi, sebbene fosse una sensazione meramente fisica, che non riempiva il suo aspetto svuotato. Malfoy alzò gli occhi dalla pozione solo per registrare il suo arrivo, per poi tornare subito a occuparsene, senza farle alcun cenno e tuttavia senza fuggire.
Hermione si sistemò con il proprio materiale vicino alla parete opposta, in una posizione speculare alla sua, restando nella stessa stanza pur ponendo la massima distanza possibile tra loro. Aveva ancora ogni intenzione di rimanere lì.
«Perché qui? Perché non vai al Club di Pozioni?»
Alzò immediatamente lo sguardo dal proprio calderone per rivolgerlo a lui, che però non aveva mosso il suo dal libro. Si limitò a voltare una pagina con aria noncurante, ma aveva parlato con un tono che era di pura accusa: a dispetto del significato, le parole gli erano uscite di bocca come il più duro degli insulti, il tono grave, basso e assolutamente chiaro.
Il suo quesito, comunque, aveva un senso e doveva averci rimuginato abbastanza: era perfettamente logico che lei si dedicasse a un compito extra di Pozioni nella stanza del castello che attirava gli studenti più interessati alla materia, conteneva file ordinate di banchi già predisposti con il materiale occorrente e aveva lungo le pareti alti scaffali colmi di testi inerenti alla disciplina. Eppure non era il confronto con gli altri che lei cercava, ma spazi vuoti e quieti. Ci teneva alla tranquillità di quel luogo, distante da ogni domanda curiosa degli studenti su colui che i giornali aveva ribattezzato "il Prescelto" e sulle avventure con i suoi migliori amici.
«Preferisco lavorare da sola» rispose piano.
Il sobbollire del contenuto del calderone aveva quasi coperto la voce cauta, ma Hermione si accorse dalla sua reazione che l'aveva udita: Malfoy inarcò un sopracciglio, nel bagno di Mirtilla Malcontenta c'era già lui e lei l'aveva occupato lo stesso.
«Andiamo, questo luogo non è di tua proprietà» lo rimbeccò lei, ostinata.
Lui finalmente la guardò negli occhi – c'erano decine di file di mattonelle tra loro, rubinetti asciutti e specchi impolverati, e lui la guardava. Il fuoco era solo sotto il suo calderone, il suo viso era gelido di calcolata curiosità, non bruciante di furia repressa a stento. La scrutò solo per un momento, poi chinò il capo sul suo veleno e non lo alzò più e non parlò ancora, rispondendo in silenzio con analoga impassibilità all'indifferenza con cui lei aveva preso atto del fatto che lui fosse per primo nel bagno della giovane ragazza inumana.
Nell'ora successiva lavorò con energia e coinvolgimento emotivo, evidentemente determinato a impressionare con le sue capacità l'insegnante che non gli riservava più alcun trattamento di favore per il suo cognome, a differenza del professor Piton. Se non fosse stata certa del fatto che fosse perfettamente in grado di arrivarci da solo, con la sua dignitosa conoscenza della materia, avrebbe giurato che stesse copiando ogni sua mossa: entrambi pronunciarono più volte la formula Specialis Revelio per l'identificazione dei singoli componenti del veleno che avevano da analizzare e per ognuno sfogliarono i manuali più comuni alla ricerca del corrispondente antidoto. Era un lavoro lungo, perché si trattava di un veleno complesso, con numerosi costituenti da riconoscere, peraltro da portare avanti nei ritagli di tempo lasciati liberi dalle lezioni e dagli altri compiti da svolgere. Hermione era partita dagli ingredienti del mondo vegetale e li annotava precisamente su un foglio di pergamena, a mano a mano che li scopriva: foglie di belladonna, frutti di cicuta, fiori di digitale, tanto per cominciare.
Sapeva che lui stava procedendo in modo analogo e spiò saltuariamente i suoi gesti, anche per essere certa che continuasse placidamente a ignorarla. Nella frenesia con cui stava lavorando, come se non avesse ancora settimane di tempo messe a disposizione dal docente, Malfoy allentò la cravatta di Serpeverde che gli cingeva il collo e tirò fino al gomito le maniche del maglione della divisa assieme alla camicia bianca, accaldato. Hermione non poté impedirsi, registrando quel movimento con la coda dell'occhio, di correre a sbirciare apertamente la sua pelle. I suoi avambracci erano candidi, una pagina ancora da scrivere, e lei non avrebbe mai voluto che gli fossero forniti inchiostro e piuma per macchiarli: Draco Malfoy non era un Mangiamorte, a dispetto degli assurdi sospetti di Harry, e lei aveva sempre avuto ragione. Non aveva idea se stesse tramando qualcosa, e cosa, ma non era un Mangiamorte e c'era solo da essere sollevati che a un ragazzino accecato da ideali sbagliati non fossero stati garantiti privilegi oscuri.
Il ragazzo dovette intuire di essere osservato, perché sollevò il volto per guardarla negli occhi, da una parte all'altra della stanza. Lei abbassò il proprio, ma commise un passo falso, perché istintivamente lo riportò per un secondo all'altezza dei suoi avambracci. Vide quindi lui seguire la direzione della sua occhiata e comprendere che cosa avesse indagato: le sue palpebre si strinsero per riservarle un gelo più freddo della neve che cadeva adagio al suolo, visibile dalle ampie vetrate del castello. Aveva ancora in una mano la bacchetta con cui stava rimescolando il contenuto del calderone e per un attimo parve stringerla più forte nel pugno, forse in una tentazione passeggera più che nella reale minaccia di un incantesimo, perché la lasciò accanto a sé. L'espressione velenosa che le indirizzò, invece, senza alcuna formula magica, era indubbiamente tangibile.
Hermione decise che quello era senza dubbio il momento più opportuno per interrompere il proprio lavoro, per quel pomeriggio, anche in considerazione dell'impegno serale. Si apprestò a raccogliere le proprie cose e a riempire la borsa che le conteneva, prima di alzarsi in piedi per poter stringersi il mantello sulle spalle.
«Ecco, brava». Aveva un modo odioso di pronunciare parole che avrebbero potuto avere tutt'altro significato, in una bocca diversa: le sue suonavano cupe come una Maledizione Senza Perdono ed erano similmente inescusabili. «Vattene, Sanguesporco».
«Io ora me ne vado, ma tu dovrai sopportare di nuovo la mia vista stasera, alla festa di Natale del Lumaclub. Oppure no» si prese la soddisfazione di gongolare per l'invito a cui non teneva più di tanto solo perché aveva saputo che lui non l'aveva ricevuto, nonostante i suoi sforzi. «Forse il professor Lumacorno non pensa che tu sia così bravo, in fondo» infierì, rivolgendo un'occhiata di sufficienza al suo calderone fumante. Quindi si allontanò con passo svelto verso l'uscita del bagno, non prima di registrare lo sguardo di disprezzo che lui le puntò addosso.
***
Draco Malfoy veniva trascinato per un orecchio verso di loro da Argus Gazza.
«Professor Lumacorno» sibilò Gazza, le guance tremolanti e negli occhi sporgenti la luce maniacale di chi ha beccato una malefatta, «ho trovato questo ragazzo nascosto in un corridoio di sopra. Sostiene di essere stato invitato alla sua festa e di essere in ritardo. Lei lo ha invitato?»
Malfoy si liberò dalla presa di Gazza, furente.
«D'accordo, non sono invitato!» sbottò furibondo. «Stavo cercando di imbucarmi, contento?»
«No, per niente!» ribatté Gazza, in perfetto contrasto con la pura gioia dipinta sul suo viso. «Sei nei guai, oh, sì! Il Preside non ha detto che andare in giro di sera è vietato se non si ha il permesso?»
«Va bene così, Gazza, va bene così» intervenne Lumacorno sventolando una mano. «È Natale, e non è un crimine voler andare a una festa. Solo per questa volta sospendiamo le punizioni: puoi restare, Draco».
***
Seconda Legge di Golpalott: Un veleno semplice estratto da un animale richiede un antidoto naturale estratto da un animale superiore al primo nella catena alimentare.
Draco percorreva i corridoi del castello sovrappensiero, affatto toccato dal cicaleccio indistinto degli studenti nei primi giorni dal ritorno dalle vacanze natalizie, intenti a scambiarsi frivolezze sul tempo trascorso con le famiglie. Anche lui avrebbe potuto essere impegnato in simili chiacchiere con i compagni, come era solito fare in precedenza, ma quell'anno si sentiva più solo che mai e, con un padre in prigione e una madre devastata dalla preoccupazione, aveva solo un'abitazione a cui tornare, non una casa. Nessuno poteva capire la posizione scomodissima in cui si trovava e, se il prezzo da pagare per una conversazione era fingere leggerezza sul suo viso stanco, allora preferiva il silenzio. Perciò seguitava a soffrire e soffocare ogni patimento, in una patetica emulazione di convivialità.
Il nostro caro Draco dovrà uccidere Silente.
Ormai la direzione dei suoi passi era diventata quasi un automatismo: passava ore interminabili nella Stanza delle Cose Nascoste al settimo piano, perdendo la testa e il sonno dietro all'Armadio Svanitore, con Tiger e Goyle di guardia sull'uscio, e poi non vedeva l'ora di abbandonarli per dei momenti di quiete. Nei frangenti in cui si permetteva di cedere allo sconforto, arrendersi era un miraggio dolcissimo, ma durava solo un secondo e subito il suo istinto di autoconservazione ritornava prepotente. Il fatto che fosse proprio il fantasma di una ragazzina a essersi ritrovata inaspettata spettatrice delle sue debolezze non faceva che ricordargli il futuro che rifiutava di contemplare: doveva riuscire, oppure il Signore Oscuro l'avrebbe ucciso e lui sarebbe stato solo un altro giovane mago morto in quella guerra. Non c'era niente che Mirtilla Malcontenta potesse fare per aiutarlo – nessuno poteva fare alcunché, in effetti – ma almeno lei si era offerta spontaneamente e disinteressatamente. L'aveva preso a cuore e lo consolava come poteva, e Draco si era scoperto ridicolmente attratto da quell'unica forma di conforto concessagli. Perciò ci ritornava, vergognandosene nell'intimo, e lei lo attendeva per un attaccamento malato incomprensibile.
Si fermò davanti a un quadro raffigurante due dame vestite con perle e abiti d'epoca, intente a prendere il tè a un tavolino elegante, perché la rampa di scale che aveva intenzione di prendere si era appena decisa a portare su, quindi fu lui a cambiare direzione per riuscire a scendere ai piani inferiori.
Quando arrivò nel bagno, il fantasma non c'era: in compenso la Sanguesporco di Potter era lì, con la sua testa gonfia di ricci crespi china sul calderone. La luce cupa della giornata nuvolosa non ingrigiva il suo volto calmo, acceso di interesse per la pozione di cui si stava occupando. Chissà quanto era semplice essere lei e avere come unica preoccupazione al mondo un dannato compito di Pozioni, mentre lui si consumava tra il tempo che doveva dedicare alla sua istruzione, per orgoglio personale e per mantenere le apparenze, e quello vano che riservava a una missione che non stava funzionando. I suoi recenti fallimenti nell'eseguire l'ordine di uccidere Silente non potevano essere attutiti da un "Eccezionale" meritato per un antidoto correttamente realizzato, eppure Draco vi si dedicava per avere l'impressione di stare riuscendo almeno in qualcosa, in quella che era la sua materia preferita.
La Granger non aveva avuto una cattiva idea avendo pensato di svolgerlo nel bagno del secondo piano, rivelatosi ideale come ambiente solitario, benché lui avrebbe certamente preferito di essere l'unico a farlo. Aveva odiato vederla comparire lì, all'inizio, a rubargli la tranquillità di uno dei suoi momenti di introspezione ed era fuggito dal suo sguardo indagatore come un Tranello del Diavolo dalla luce.
Osava sporcare l'aria che lui respirava con la sua sporca fragranza, veniva a imporgli la sua sicurezza di essere nel giusto solo perché qualche insignificante giornale ora inneggiava a un Prescelto con cui lei condivideva la scena, mentre lui marciva in un buio sotterraneo. Era facile la libertà di svolgere solo le missioni che si erano scelte, senza imposizioni, come lei, che sceglieva di aiutare Potter; più difficile era adattarsi alla condizione in cui ci si trovava, e lui lo sapeva bene.
Aveva finito per adeguarsi almeno alla situazione creata dall'ostinatezza con cui lei continuava a frequentare il bagno tanto spesso quanto lui: se la Sanguesporco poteva ignorarlo per dedicarsi al suo antidoto, come se lui non esistesse o non meritasse che lei ne riconoscesse l'esistenza, allora anche lui le avrebbe mostrato di esserne perfettamente capace. Perciò nel bagno delle ragazze fuori uso del secondo piano lei vi era rimasta, e anche lui, e avevano progressivamente preso confidenza con i centimetri occupati dall'altro.
Ormai avevano sviluppato le loro consuetudini e Draco le mise in pratica anche quel giorno. Lui o lei arrivava, con gli occhi prendeva nota della presenza dell'altro – non un convenzionale cenno di saluto, si guardavano e basta, per un attimo, e nulla di più. Ognuno aveva la propria collocazione, lungo due pareti opposte che si fronteggiavano come in un duello antico: era più che sufficiente per entrambi ed erano bene attenti a non invadere quella altrui. Era diventata una situazione così precisamente stabilita che erano giunti al punto di lasciare al loro posto il calderone pieno e gli strumenti quando interrompevano il lavoro per riprendere a usarli successivamente, per pura convenienza, risparmiandosi l'impiccio di trascinarseli dietro ogni volta. Ma l'abitudine più sana che avevano preso era quella del silenzio e, per Merlino, era la Sanguesporco Granger ed era pure al contempo la cosa più riposante che avesse sperimentato negli ultimi mesi. Non avrebbe mai immaginato che una forma di quiete per il turbinio drammatico che aveva nella testa potesse giungere da qualcuno che era sempre stato venefico per lui, con la sua insopportabile perfezione, inammissibile con il suo sangue terribilmente imperfetto. Se alle loro interazioni tossiche del passato lei faceva seguire quella specie di pacata redenzione, forse, in un singolo, piccolo aspetto, lui poteva considerarla superiore. Subito Draco si rimproverò per quel pensiero: era lei a credersi superiore e a lui mostrava rispetto per crogiolarsi nell'idealizzata immagine con cui si ammantava e il suo autoincensamento era solo un modo ulteriore che aveva di avvelenargli la mente. Ignorarsi andava bene.
Si concentrò sulle pagine di Contro-Veleni Asiatici per cercare informazioni sulla sostanza vegetale da utilizzare come antidoto ai semi di stramonio e le corrette dosi in cui aggiungerla, che avrebbe pesato sulla bilancia in ottone. La sua copia del libro aveva ormai la carta consumata per quanto l'aveva sfogliata voracemente, per l'urgenza di portare a termine rapidamente il compito di Pozioni: sentiva costantemente di non avere tempo per fare tutto, ma sospettava che in realtà quella sensazione di disagio fosse la consapevolezza di non averne modo, quando era di fronte a circostanze più grandi di lui.
Il nostro caro Draco dovrà uccidere Silente.
Indirizzò un'occhiata fuggente alla Granger, come si tiene d'occhio un animale pericoloso poco distante, prudentemente, per il timore che possa scattare da un momento all'altro. Non pensava seriamente che un'insulsa ragazzina come lei potesse qualcosa contro di lui – se avesse voluto, le avrebbe puntato la bacchetta contro ancora prima che lei potesse rendersi conto del fatto che l'aveva impugnata – ma seguitava a guardarla, di tanto in tanto, e le loro mani giungevano alle bacchette solo per la necessità dell'incantesimo Specialis Revelio. Draco lo pronunciò ancora una volta e individuò il veleno di Doxy nella fiala che gli aveva consegnato Lumacorno a lezione. Rifletté che, essendo il Doxy una creatura classificata XXX dal Ministero della Magia, per il corollario alla Seconda Legge di Golpalott il suo veleno doveva avere come antidoto una sostanza estratta da un animale di classe superiore, almeno XXXX. Si accinse a cercarla nei libri che aveva preso in prestito dalla sezione della biblioteca riservata ai testi di Pozioni, quando udì la Granger sbuffare di insofferenza. Trattenne a stento un sorrisetto: qualunque difficoltà lei stesse incontrando nel processo, era in grado di strappargli una recondita soddisfazione, a riprova della convinzione che l'eredità del sangue doveva pur contare qualcosa, visto che lui invece stava procedendo senza intoppi. La osservò raccogliere le sue cose, strofinare i palmi sulla gonna nera della divisa, scuotendo la testa, e uscire a schiarirsi le idee altrove e lo fece sforzandosi di mantenere l'espressione più affidabile e innocente che riusciva a produrre, perché aveva avuto un'idea.
Quando si fu accertato, attendendo alcuni minuti, che non sarebbe tornata, passò con lo sguardo in rassegna gli ingredienti per le pozioni che aveva con sé, quelli che facevano parte della dotazione base del corso, quelli più comuni consigliati nel capitolo sui veleni in Pozioni Avanzate e quelli ulteriori che si era procurato specificamente come antidoto ai costituenti già individuati del suo veleno complesso. Lasciò che fosse banalmente il suo nazionalismo a scegliere: prese due piccole foglie di tè essiccate e le macinò finemente con il coltello d'argento, quindi raccolse la polvere verde scuro ottenuta in una provetta di vetro. Si alzò in piedi per avvicinarsi al calderone che la Sanguesporco aveva lasciato incustodito sul pavimento, per quella che adesso sapeva di dover definire fiducia, più che convenienza, ma malriposta. La ragazza aveva spento la fiamma con la bacchetta prima di andarsene, ma non era passato troppo tempo: il liquido all'interno era ancora caldo e impalpabili vapori si alzavano dalla superficie piatta, portandogli al naso delicate fragranze erbose. L'antidoto, ancora incompleto, aveva un colore viola uniforme, senza macchie o sfumature anomale; Draco aveva l'impressione che lei stesse procedendo in modo corretto, com'era prevedibile. Sarebbe stato un vero peccato se, in maniera del tutto accidentale, un ingrediente preso a caso fosse finito nel suo antidoto, uno estraneo a quelli che lei aveva così minuziosamente elencato con la sua grafia ordinata su una pergamena. Le foglie di tè avevano un profumo fresco e inebriante, con delle note leggere che lo avvolgevano rievocandogli nella mente numerosi pomeriggi in cui la bevanda calda era piacevolmente accompagnata dai pasticcini di sua madre. Draco inspirò a fondo, poi svuotò tutto il contenuto della provetta nel calderone.
***
«No» gemette la voce di Mirtilla Malcontenta da uno dei cubicoli. «No... dimmi che cosa c'è che non va... io posso aiutarti...»
«Nessuno può aiutarmi» rispose Malfoy. Stava tremando. «Non posso farlo... Non posso... non funzionerà... E se non lo faccio presto... dice che mi ucciderà...»
Harry rimase come fulminato. Malfoy stava piangendo: le lacrime scorrevano sul volto pallido e dentro il lavandino sudicio. Malfoy singhiozzò e deglutì; poi, con un gran brivido, guardò lo specchio incrinato e vide Harry che lo fissava al di sopra della sua spalla.
Si voltò di scatto ed estrasse la bacchetta. D'istinto Harry fece lo stesso.
***
Terza Legge di Golpalott: L'antidoto per un veleno complesso è maggiore della somma degli antidoti per ciascuno dei singoli componenti.
Seduta a un tavolo della biblioteca, Hermione richiuse di scatto il tomo che stava sfogliando e subito le giunse all'orecchio il rimprovero bisbigliato di Madama Pince per la violenza che aveva impresso alle preziose pagine di cui la donna era custode. Non era nelle sue intenzioni tentare di deturpare un povero libro, ma, dopo giorni di infruttuosa ricerca, era frustrata e demotivata.
Mentre restituiva alla bibliotecaria i testi che aveva preso da consultare, riepilogò ancora una volta nella mente le informazioni che erano in suo possesso. Un antidoto per un veleno complesso era innanzitutto costituito dalle diverse sostanze che contrastavano ognuno dei veleni che lo componevano: nelle settimane precedenti lei li aveva identificati tutti con l'incantesimo Specialis Revelio e aveva ricercato nei testi i singoli antidoti e le rispettive dosi, quindi se li era procurati e li aveva aggiunti nel calderone dopo averli pesati. A quel punto, per la Terza Legge di Golpalott, era necessario addizionare un catalizzatore magico, che aggiunto alla miscela di antidoti, grazie a un processo quasi alchemico, avrebbe trasformato i diversi componenti in un antidoto composto efficace.
Nessun libro, tuttavia, era stato in grado di aiutarla a individuare quell'elemento: non era enunciata in alcun testo di Pozioni della biblioteca di Hogwarts una legge magica che permettesse di stabilire a priori quale sostanza aggiungere. Aveva persino chiesto a Madama Pince di ulteriori volumi non a disposizione della scuola, per quanto improbabile ciò potesse essere viste le imponenti dimensioni dei ricchi scaffali della biblioteca, e infatti la donna aveva espresso il suo diniego con indignazione a quell'ipotesi.
Libatius Borage consigliava di affidarsi al proprio intuito di pozionista esperto, ma era facile a dirsi per uno dei più famosi conoscitori della materia nel Mondo Magico. Hermione era stata perfettamente in grado di seguire diligentemente le istruzioni nei volumi consultati per la prima fase e aveva proceduto in maniera spedita nel metterle in pratica: aveva ottenuto una mescolanza di ingredienti corretti, a cui però mancava ancora quel componente misterioso, che le sembrava possibile individuare solo con un po' di improvvisazione e creatività. Aveva provato a sopperire con la razionalità alla deficienza del suo estro, cercando la risposta in altri, fidati libri, ma aveva dovuto arrendersi all'evidenza, accontentandosi di un antidoto inerte, in assenza di una guida di carta a cui affidarsi.
Con gli studenti coinvolti si era concordato che l'indomani avrebbero presentato l'antidoto al professor Lumacorno e rabbrividiva al pensiero di deluderlo: odiava non esserci riuscita appieno e si sarebbe disprezzata ancora di più se un altro alunno si fosse invece rivelato capace di portare a termine il compito assegnato. Però, era certa di aver fatto tutto quanto in suo potere e quell'ingrediente mancante semplicemente le sfuggiva, correndo via da lei, come foglie messe in volo dalla brezza di primavera. Si diresse quindi verso il bagno di Mirtilla Malcontenta per recuperare in una provetta il contenuto del proprio calderone e consegnare all'insegnante almeno quello che era riuscita a svolgere, seppure si trattasse solo di un risultato parziale.
Sperava di non trovarci Malfoy, come era accaduto così spesso negli ultimi tempi, perché non era certa che avrebbe avuto il coraggio di reggere il suo sguardo, dopo quanto gli aveva fatto il suo migliore amico, attaccandolo con un incantesimo di cui non conosceva neanche gli effetti. Lei ancora lo rimproverava per quell'inescusabile mancanza di giudizio ogni volta che riprendevano a parlare del Principe Mezzosangue, quando Harry manifestava l'intenzione di recuperare il libro dal suo nascondiglio, fino a quel momento fortunatamente solo vagheggiata. Non aveva bisogno di altri guai portati da un mago ignoto, non dopo aver mandato Malfoy in infermeria quasi dissanguato, con il corpo coperto di ferite lacere. Hermione era inorridita al pensiero che il suo amico avesse usato contro un ragazzo, un loro coetaneo, un incantesimo di magia oscura: neanche Malfoy meritava di soffrire così, nel contesto di uno screzio. Era stata solo incredibilmente sollevata quando l'aveva visto presentarsi a colazione nella Sala Grande, il mattino in cui era stato dimesso da Madama Chips, mentre percorreva adagio la distanza dalle imponenti porte d'ingresso al tavolo di Serpeverde, ancora lievemente malconcio, ma perfettamente integro.
Entrando nel bagno del secondo piano, pensò che quello doveva essere proprio il modo in cui era cominciato lo scontro tra lui e Harry, dal racconto che aveva sentito: Malfoy le dava le spalle, in piedi di fronte a un lavandino malridotto. I suoi palmi stringevano forte il bordo di ceramica, le nocche risaltavano sui muscoli contratti. Teneva il capo chino e il torace si alzava e si abbassava al ritmo profondo del suo respiro. La chioma bionda era disordinata, come se l'avesse scompigliata tenendo a lungo la testa tra le mani, nel raccoglimento di un'afflizione di cui lei non poteva essere partecipe. I loro occhi si incrociarono nel riflesso macchiato dello specchio di fronte a lui e avrebbe giurato di vedere il grigio dei suoi illuminarsi di una sfumatura che avrebbe potuto considerare di riconoscimento. Stavolta il suo primo istinto non fu quello di correre alla bacchetta, che rimase nella tasca dei suoi pantaloni, e naturalmente Hermione non aveva alcun proposito di estrarre la propria.
Seguendo un impulso dall'origine ignota, prese a camminare verso di lui con lentezza, dandogli modo di apprendere le sue intenzioni, per non metterlo in fuga con un approccio brusco e inusuale rispetto alle consuetudini delle settimane precedenti. Si fermò quando si fu accostata abbastanza da poterlo toccare, se avesse voluto – ma perché mai avrebbe dovuto farlo? Avvicinandosi, Hermione poté notare occhiaie marcate su un viso reso ancora più pallido e smagrito dal recente attentato alla sua salute e dalla successiva convalescenza. L'ombra rosea di una cicatrice fresca, in via di guarigione, iniziava alla base del collo per terminare in un punto che non avrebbe conosciuto, coperto dal tessuto candido della camicia. Hermione si domandò preoccupata quante altre fossero celate sotto l'uniforme scolastica.
Lui era rimasto immobile, continuando semplicemente a guardarla riflessa, ma a quel punto si voltò, infrangendo l'immagine virtuale tra loro per consegnarle solo la realtà del suo aspetto.
Parlò cauta, temendo una sua reazione negativa, che aveva ogni diritto di provare: «Mi dispiace». Non argomentò di più, non ne aveva bisogno, c'era solo un evento al quale poteva riferirsi e lui lo intese perfettamente, dal suo tono e dall'ispezione che aveva fatto di lui.
«Ma certo». Mosse la testa in avanti, verso la sua, in quello che lui doveva intendere come un atteggiamento minaccioso, ma che a lei non ispirò timore. «Dimmi che non hai goduto neanche un po'» insinuò mellifluo.
«No. Mi dispiace davvero» ribadì, reggendo il suo sguardo con convinto rammarico.
Le sue dita si mossero come se non fosse lei a guidarle, anche se, da qualche parte al centro del petto, era consapevole di averne il pieno controllo; d'altronde aveva studiato bene la Maledizione Imperius e i suoi istinti non assomigliavano agli effetti dell'incantesimo illecito. Si approssimarono con studiata lentezza al segno che guastava il candore della sua pelle, tremando impercettibilmente, ma non arrivarono a toccarlo, perché la mano fredda del ragazzo si chiuse sul suo polso, bloccandolo. Hermione si chiese se lui potesse percepire il battito accelerato del suo cuore sull'arteria radiale, mentre si irrigidiva per il gelo inaspettato di quel contatto e per la forza a malapena dosata della sua stretta; lui se ne accorse immediatamente e la lasciò andare poco dopo. Nel suo sospiro arrendevole e nell'atteggiamento dimesso dei lineamenti Hermione indovinò il permesso di andare avanti con il proprio esame. Quando infine sfiorò la cicatrice sul collo, delicatamente con un polpastrello, fu lui a rabbrividire e lei si domandò se fosse per istintivo senso di protezione della carne debole o per dolore effettivo: «Fa male?»
«Potrei impiegare la stessa maledizione sul tuo maledetto amico e tu poi potresti chiederlo a lui». La sua voce era acciaio affilato e lei aveva un impercettibile desiderio di addolcirla con la sua pressione gentile fino a che sarebbe diventata metallo fuso, illustrandogli il contrasto rispetto al tocco violento di una bacchetta nemica.
«Lo sto chiedendo a te». Non raccolse la sfida implicita nelle sue parole, perché Harry era quanto di più lontano dai suoi pensieri, in quella timida interazione che non aveva pianificato di ricreare.
«Non più».
«Cosa hanno usato?» si informò.
Lui sospirò. «Vulnera Sanentur sul momento, poi Essenza di Dittamo, Pozione Cura Ferite e Pozione Rimpolpasangue in infermeria».
Hermione annuì, ripassando mentalmente gli effetti del trattamento che lui aveva citato. Adesso era certa che l'aspetto rassicurante della cicatrice sul suo collo si estendeva anche a quelle sul resto del corpo, sotto i vestiti, anche se la curiosità razionale di sincerarsene e contarle una per una le pungolava sottilmente la mente. Draco Malfoy sarebbe guarito senza che quella disavventura lasciasse segni fisici a incrinare la trama delicata della sua epidermide, ma lei sospettava che l'episodio andasse inserito in un contesto più ampio e ben più capace di arrecare danno, su cui lei non aveva potere.
Fece scivolare la mano lungo la clavicola, sul braccio, fino al tessuto morbido sul suo avambraccio, in un esame fisico, alla ricerca di eventuali tocchi che l'avrebbero fatto trasalire di fastidio, che avrebbe potuto essere definito pure una carezza attenta.
«È un bene che tu ti sia ristabilito pienamente» constatò sollevata.
«Perché così a Potter è stata risparmiata una punizione più severa?»
«No».
La sua mente processò il pensiero del tentativo di un abbraccio quando aveva già compiuto un passo verso di lui. Era un movimento improvviso che trovava la sua genesi nell'intenzione di demolire la strenua resistenza che lui ergeva di fronte alla sua costernazione. Avrebbe placato il suo obiettivo di fare ammenda e sperava che avrebbe lenito quelle ferite che in lui bruciavano anche se lei non poteva vederle, tuttavia il ragazzo si scansò prima che lei riuscisse a cingere con entrambe le braccia il suo torace, dopo un unico istante di esitazione che lei volle interpretare come la sua indecisione a cedervi.
«Basta così. Lasciami ultimare il mio antidoto». Malfoy distolse gli occhi dai suoi e chinò il capo a percorrere con lo sguardo una fuga tra le mattonelle. Le braccia erano rilasciate lungo il busto, ma non dubitava che a quel punto sarebbero scattate prontamente a impedirle ogni ulteriore mossa e probabilmente lei avrebbe dovuto esserne grata.
«Ti sei impegnato tanto» non poté fare a meno di notare, nel tentativo di un conforto quantomeno verbale.
«Non voglio fallire» pronunciò, la voce roca, che pareva emergere direttamente dalle viscere di un tormento tenuto segreto a forza. Hermione si chiese ancora se c'era qualcosa più grande di lui in cui non poteva fallire, e per il momento si sarebbe accontentato di cercare di portare a termine un compito di Pozioni.
Lui frappose una maggiore distanza tra loro raggiungendo la parete, estraendo mentre camminava la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni, che utilizzò per accendere la fiamma sotto l'antidoto. Hermione nel frattempo restò a fissarlo, ma smise quando si rese conto che lui non l'avrebbe più fatto; quindi le tornò alla mente il motivo che l'aveva condotta lì e si avvicinò al proprio calderone, chinandosi a travasare una porzione del liquido scuro che conteneva in una fiala. La ripose al sicuro nella borsa, ripulì e rimosse il resto del materiale e infine uscì.
Quando il giorno seguente prese posto accanto a Harry nell'aula nei sotterranei, era tesa per il commento necessariamente negativo che l'insegnante di Pozioni avrebbe fatto nei suoi confronti, pur conscia che non c'era più alcun modo per rimediare, visto che si era scoperta non particolarmente brillante per spirito inventivo.
Il professor Lumacorno fu deluso dal compito svolto dal suo compagno di banco, pur reagendo bonariamente – «Deve essere l'amore a renderti così distratto, vero Harry?» – ma lei sapeva che Ginny aveva poco a che fare con il suo scarso rendimento in Pozioni negli ultimi giorni, poiché la ragione principale era nell'assenza degli ordini del Principe Mezzosangue, il cui libro aveva fortunatamente dato via. Il docente espresse un breve parere sugli antidoti incompleti di Ernie Macmillan di Tassorosso e di Blaise Zabini di Serpeverde, avendo storto il naso all'odore sentito appena stappate le boccette in cui erano contenuti. Terry Steeval di Corvonero aveva prodotto un risultato più apprezzabile, perché il professore scrutò la sua provetta annuendo, riconoscendogli di aver individuato quasi tutti i componenti dell'antidoto. Malfoy aveva realizzato un antidoto completo di tutti i singoli costituenti, ma vi aveva aggiunto un catalizzatore magico errato, tuttavia il professore commentò che si trattava comunque del migliore risultato visto fino a quel momento.
Giunse infine il proprio turno, che aveva tentato invano di rimandare restando ultima, e Hermione gli porse la fiala, poi prese a torcersi le mani per l'agitazione. L'insegnante la esaminò attentamente, rivolgendola alla luce per osservarla in trasparenza e togliendo il tappo per testarla con l'olfatto. Vi infilò anche un dito coperto da un guanto protettivo di pelle di drago per saggiarla al tatto. Terminò la verifica producendosi in complimenti per il perfetto antidoto che gli aveva consegnato, che le fece guadagnare venticinque punti per la sua Casa. «E notate tutti il sottile equilibrio di proporzioni che la signorina Granger ha ottenuto, aggiungendo i singoli ingredienti nelle adeguate dosi e un catalizzatore magico di origine vegetale che ha in natura proprietà stimolanti. Ben fatto» concluse, evocando l'ammirazione di gran parte della classe e lo stupore di lei.
Per il resto della lezione Hermione prese appunti sulla Soluzione Singhiozzante che il professore stava spiegando, scrivendo ordinatamente con la piuma intinta nell'inchiostro nero, ma un angolo del suo cervello continuò a lambiccarsi su come fosse stato possibile conseguire un risultato migliore di quanto avesse creduto, in base al lavoro che aveva eseguito.
L'unica ipotesi che le sovvenne aveva bisogno di essere verificata davanti a un rubinetto sporco, perciò nel pomeriggio tornò un'ultima volta nel bagno guasto del secondo piano, portando con sé i libri per occupare l'imprevedibile tempo di attesa studiando. Era nel mezzo di una traduzione di Antiche Rune quando lui entrò con passo spedito, trasandato come di ritorno da uno scontro, sbattendo la porta dietro di sé con agitazione repressa a stento. Si guardò intorno e Hermione si domandò se la stesse cercando – come aveva fatto anche lei quando era arrivata – nonostante fosse conscio che la ragione per cui aveva preso a frequentare quel luogo si era ormai conclusa con elogi e un buon voto. Prese atto della sua presenza modulando il suo viso solo a un accenno di inquietudine – di cui evidentemente lei non era la ragione profonda – che rimase nella piega corrugata della fronte, sotto le ciocche di un biondo chiarissimo.
«Sei venuta per ringraziarmi?»
Era l'ammissione che stava cercando, che confermava quanto aveva intuito da sola. «Come immaginavo! Io non ho mai aggiunto una sostanza vegetale con proprietà eccitanti al mio antidoto».
Malfoy le rivolse un sorriso di calcolata derisione. «Ovviamente no, i tuoi pensieri non riuscirebbero mai a trascendere i tuoi preziosi libri».
Hermione non gli diede a vedere che quella precisa affermazione aveva colpito nel segno: non si era mai resa conto di quanto lui l'avesse inquadrata puntualmente. Al di sotto dei colpi di insulti velenosi posti a schermare la consapevolezza che aveva raggiunto di lei, che affondavano in maniera imperfetta perché puntavano al bersaglio sbagliato, avrebbero potuto esserci tiri più precisi, se lui avesse voluto. Si mise in piedi per raggiungerlo al centro della stanza e pretendere un chiarimento da indovinare non solo dalle sue parole, che avrebbe potuto udire in ogni altro punto. «Cos'era?»
Malfoy aveva l'aria di uno che non aspettava altro che quella domanda per risponderle e vantarsi, anche di un gesto che era stato unicamente casuale, dato che non era riuscito a produrre il medesimo effetto nel suo stesso antidoto. «Due foglie di tè ridotte in polvere» disse fiero. Poi si rabbuiò: «Naturalmente non le avrei mai aggiunte se avessi sospettato che avrebbero completato il tuo antidoto».
«Ma certo!» Hermione scosse la testa, realizzando che l'aggiunta aveva senso e rincrescendosi di non esserci arrivata prima. Tornò a fissarlo, ponendogli la domanda che originava da qualche angolo dentro di sé che non aveva indagato a fondo. «Perché l'hai fatto?» Perché aveva rotto il fragile equilibrio che si era costruito tra loro fra quelle quattro mura, misterioso e imprevedibile e gradito, con un tentativo di sabotaggio?
«Perché sei tu. Sei stata ingenua, Granger, sebbene assurdamente fortunata» replicò lui. Il tono era quello di un'ovvietà, ma Hermione volle sentirci anche l'eco dell'insicura prossimità che avevano condiviso, nella voce che si era spezzata sul suo cognome e nella scelta di appellarla con il nome di famiglia piuttosto che con l'epiteto ingiurioso relativo al suo sangue.
Però, anche il riferimento alla sua ingenuità aveva colpito bene, sollecitando il frammento della sua mente che non faceva altro che pentirsene: sospirò, socchiuse gli occhi e li riaprì sul segno sempre meno visibile sul suo collo – eppure lei sapeva dove cercarlo, avrebbe sempre saputo dove cercarlo? Era molto facile comprendere di avere commesso uno sbaglio e ravvedersi della confidenza che gli aveva porto, eppure. Osservò la cicatrice sbiadita per un istante, rievocando le memorie che sarebbero rimaste vivide anche quando sarebbe diventata invisibile sulla cute sana, e quando tornò ad alzare gli occhi sul viso di Malfoy notò che quelli di lui erano scivolati impudenti sulla sua bocca.
La prese per un braccio tirandosela addosso senza un accenno di delicatezza, che sarebbe parsa estremamente fittizia tra loro. Incastrò l'altra mano tra i ricci e spinse il viso sul suo, con l'urgenza di chi non avrebbe avuto più il coraggio di farlo, se non avesse colto l'attimo. C'erano decine di file di mattonelle intorno a loro, rubinetti asciutti e specchi impolverati, e lui la baciava. Le labbra si muovevano sulle sue con la fretta di approfondire il contatto e scottavano come se avesse un fuoco dentro da estinguere solo nell'umidità del suo palato.
E lei baciava lui. Aveva le palpebre abbassate, ad accogliere e ricambiare il suo impeto, ma immaginava che se le avesse aperte l'immagine dei loro volti intimamente vicini le sarebbe giunta riflessa da molte angolazioni. Non era sicura che sarebbe riuscita a sopportarne un memento multiplo, perciò seguitò a tenerle chiuse, assaporando solo le sensazioni tattili di quello scambio convulso. Soltanto un'Essenza di Follia avrebbe potuto farlo comportare così con lei e nondimeno amava il modo in cui la sua lingua sapeva mentire.
La colpì il pensiero che, anche mentre erano meno distanti di quanto fossero mai stati, ogni suo movimento conservava un sottofondo dell'astio che le aveva sempre rivolto, nel modo incurante con cui le sue dita erano aggrappate alle ciocche brune, col rischio di spezzarne una, nella pressione poco gentile dei polpastrelli che la stringevano, con la minaccia di un livido. Era sempre la stessa storia, con il passato che si presentava ad avvelenare ogni loro interazione: lui era stato ed era veleno tossico per lei, poteva farle del male con torti e dispetti ma, solo per qualche minuto, le aveva fornito l'antidoto direttamente sulla sua bocca. Rifletté che doveva essere valido anche il contrario per lui: lei era il veleno che gli corrodeva l'animo tormentato, mostrandogli con le azioni quotidiane quale era il fronte giusto per cui valeva sempre la pena combattere, a ogni costo, ed era anche l'antidoto che poteva fargli credere per un momento, mentre le loro lingue si incontravano, di esserne disposto a pagare il prezzo. Ma solo nell'insieme funzionavano, perché quell'attimo inarrivabile di appagamento era possibile esclusivamente restando com'erano: l'antidoto completo era maggiore della somma di ogni singolo gesto che lui o lei avrebbero potuto compiere, divisi. Come il suo antidoto completo era stato ottenuto solo dopo che anche lui ci aveva messo le mani.
Un risolino entusiasta emerse da uno dei cubicoli, sovrastando il silenzio riempito solo dei loro respiri affrettati: a Mirtilla Malcontenta era piaciuto lo spettacolo. Si separarono bruscamente, perché qualunque cosa li aveva portati ad avvicinarsi si era infranta al ritorno della consapevolezza di dove erano, di chi erano, di cosa non avrebbero mai potuto essere.
Malfoy scattò d'improvviso a prendere la bacchetta, puntandogliela contro per la prima volta – e l'ultima, se fosse dipeso da lei – e urlò: «Obliv-». Ma Hermione aveva indovinato la sua reazione dalla furiosa determinazione che gli aveva letto nello sguardo ed era stata più rapida – perché il passato l'aveva resa anche più esperta di duelli – a scandire distintamente la formula Protego, che le avrebbe impedito di scordare ciò che lui rifiutava di lasciarle nella mente. C'era un sottotesto amaramente ironico nel constatare che l'unica volta in cui lui aveva usato la bacchetta contro di lei, in quelle settimane, era proprio per cancellarle.
Il ragazzo non tentò di ribattere al suo Incantesimo Difensivo e restò a guardarla immobile, sconvolto, mentre lei usciva offrendogli la sua battuta d'addio muovendo le labbra che avrebbero serbato ancora a lungo il suo sapore.
«Io non dimenticherò. Non farlo neanche tu».
Com'era iniziata esattamente, qualunque cosa fosse, non avrebbe saputo dirlo. Ma era finita.
***
«Resta poco tempo, a ogni modo» riprese Silente. «Quindi consideriamo le tue alternative, Draco».
«Le mie alternative!» gridò Malfoy. «Sono qui con una bacchetta... sto per ucciderla...»
«Mio caro ragazzo, smettiamo di prenderci in giro. Se fossi in grado di uccidermi, l'avresti fatto subito dopo avermi Disarmato, non ti saresti fermato a fare questa piacevole chiacchierata».
«Io non ho alternative!» esclamò Malfoy, all'improvviso bianco come Silente. «Devo farlo! Lui mi ucciderà! Ucciderà tutta la mia famiglia!»
«[...] Io posso aiutarti, Draco...»
«Non può, invece» ribatté Malfoy. Ormai la sua bacchetta tremava incontrollabilmente. «Nessuno può aiutarmi. Mi ha detto che se non lo faccio mi ucciderà. Non ho scelta».
«[...] Passa dalla parte giusta, Draco... tu non sei un assassino...»
Malfoy fissò il Preside, sbalordito.
«Ma sono arrivato fino a qui, no?» disse lentamente. «Credevano che sarei morto, e invece sono qui... e lei è in mio potere... Ho la bacchetta in pugno... Lei è qui, a chiedermi pietà...»
«No, Draco» ribatté Silente, tranquillo. «È la mia pietà, non la tua, che conta adesso».
Malfoy non parlò. Aveva la bocca aperta, e la mano con la bacchetta tremava ancora. Harry credette di vederla abbassarsi...
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Note:
I brevi paragrafi interamente in corsivo sono tratti da Harry Potter e il Principe Mezzosangue (prima traduzione italiana).
Le Leggi di Golpalott, che io ho voluto intendere anche in senso più metaforico, sono enunciate nel capitolo su veleni e antidoti del libro di testo Pozioni Avanzate di Libatius Borage. È un argomento del corso di Pozioni al sesto anno tenuto dal professor Lumacorno, anche se in Harry Potter e il Principe Mezzosangue viene citato più avanti nell'anno scolastico, rispetto al momento in cui io ho fatto partire la storia.
Belladonna, stramonio, digitale, cicuta – alcuni degli ingredienti vegetali che Hermione e Draco identificano nei veleni – sono piante tossiche anche nel mondo Babbano e da esse sono stati identificati principi attivi che hanno successivamente guidato la farmacologia verso la sintesi di molecole attualmente usate come farmaci.
Contro-Veleni Asiatici è un libro di Pozioni scritto da Libatius Borage, l'argomento di cui tratta è chiaro dal titolo; Draco lo usa per cercare informazioni sullo stramonio perché è una pianta velenosa che cresce anche in Asia.
Nella fanfiction Draco non ha il Marchio Nero, ha sicuramente cercato di portare a termine la missione affidatagli da Voldemort come nel libro, ma non è diventato ufficialmente un Mangiamorte con questo simbolo: a differenza dei film, nei libri il suo Marchio non è mai stato mostrato, ma solo sospettato.
L'incantesimo Vulnera Sanentur e il Dittamo sono usati da Piton stesso quandosoccorre Draco in Harry Potter e il Principe Mezzosangue. Poi mi è sembrato plausibile che in infermeria ricevesse anche dosi di Pozione Rimpolpasangue per ripristinare il volume ematico (è la Pozione usata al San Mungo su Arthur Weasley dopo l'attacconell'Ufficio Misteri in Harry Potter e l'Ordine della Fenice) e di Pozione Cura Ferite per la disinfezione e per agevolare la guarigione delle lesioni (è la Pozione usata da Madama Chips su Harry Potter dopo lo scontro con l'Ungaro Spinato in Harry Potter e il Calice di Fuoco).
Questo capitolo iniziale costituisce un prequel; dal prossimo capitolo la fanfiction si sposta più avanti nel tempo, alcuni anni dopo la Seconda Guerra dei Maghi.
Spero che la storia vi piaccia e che la seguirete, mi farebbe molto contenta sapere cosa ne pensate.
Ringrazio Futeki, che legge in anteprima i capitoli dandomi sempre pareri preziosi e ha realizzato la copertina meravigliosa della storia.
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