7. Ricordi e abbracci.
"Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido."
Albert Einstein
《È cominciato tutto più o meno due anni fa.》
La voce di Alice trema. I suoi occhi vagano su tutto ciò che la circonda, tranne che sui nostri visi, per evitare di incontrare i nostri, di occhi, così concentrati su di lei che non si curano di tutto ciò che li circonda.
Si fermano sulle sue mani, e le osservano intrecciarsi, contorcersi, piegarsi nervosamente.
Si posano sui suoi capelli biondi, raccolti in una coda bassa che le si affaccia sulla spalla, per poi scendere sul suo corpo leggermente arrotondato.
Dietro di lei, uno spicchio giallo arancio va a tuffarsi nel mare, per poi lasciare il posto al nero pece.
Alzo gli occhi al cielo di mille sfumature, per colmare questa enorme, immensa, necessità.
E mi perdo, ancora una volta.
Mi perdo nei colori stupefacenti del tramonto, nella vastità di questa distesa ora variopinta.
Mi perdo a cercare il nonno, a individuare le stelle, e quando realizzo che è troppo presto per vederle nascere nell'oscurità, abbasso lo sguardo, con un pizzico di tristezza sul volto.
Lo riporto su Alice, e poi sugli altri presenti; e non percepisco più tutta la bellezza, la serenità degli attimi appena trascorsi, ma solo paura, una bruttissima paura, timidezza e una tremenda insicirezza, nelle parole e nei gesti della povera vittima davanti a noi.
Non deve essere per nulla facile, per lei.
Sta per raccontare come sono andate le cose con quei mostri, a noi, cinque ragazzi sconosciuti. Cinque ragazzi che conosce da neanche un giorno. Cinque ragazzi di cui non sa nulla. Cinque ragazzi che la ascoltano attenti, forse per curiosità, forse per aiutarla, seduti a formare un cerchio, sul prato.
Ed io, con le labbra semichiuse, e una mano a sostenermi il mento, la ammiro.
La ammiro per il suo coraggio a parlarne come se ci conoscessimo da sempre, come se fosse semplice, come se stesse raccontando una storia che sa a memoria.
Ci sta donando la parte peggiore di lei, quella più fragile e debole.
《Due anni?》 Sbotta Matteo, strabuzzando gli occhi. Il mio sguardo si posa involontariamente, su di lui. Con un gomito sul prato a sostenere il suo stesso peso, e l'altra mano a spettinarsi continuamente i capelli, se ne sta quasi sdraiato. Un ciuffo rosso gli scivola sul viso, incorniciandoli il volto in un modo maledettamente perfetto, sul quale è come dipinta quella spruzzata di lentiggini.
《Falla continuare, Matt!》 Sua sorella lo richiama, riscuotendomi. Ha la testa appoggiata alla spalla di Nicole, gli occhi spalancati, le orecchie tese a udire il racconto di Alice, ora immobile di fronte a lei, interrotta tempestivamente da Matteo.
La rossa le fa un cenno con la testa, alzando il mento all'insù; e poi le dona uno dei suoi sorrisi.
Dobbiamo aspettare qualche secondo prima di udire nuovamente quel filo di voce tanto sottile quanto timido.
《Non ricordo come. È iniziato e basta. La mattina andavo a scuola a piedi. "Ti fa bene" diceva mia madre. Li incontravo sempre nello stesso posto. Sembrava che mi aspettassero tutte le mattine. Mi tiravano da un braccio e...》
Riprende fiato, trattenendo le lacrime. Dai suoi occhi scuri trapela il dolore. Quel dolore che è sempre lo stesso per tutti, seppur di natura differente. Quel dolore che ti porta a chiederti il perché, che ti fa sentire minuscola e indifesa, che ti distrugge dentro, che ti costringe a costruirti una maschera; quel dolore che io conosco bene, che io posso comprendere, anche se Alice non lo sa e, probabilmente, non saprà mai.
《E... partivano con gli insulti. "Sei una cicciona", mi dicevano. Ridevano sul mio modo di vestire, di camminare. Talvolta prendevano il mio zaino e lo svuotavano, lì, in quel vicolo cieco. Raccoglievo i quaderni, le penne, i libri. Poi mi lasciavano andare, e ci ricontravamo all'uscita.》
Continua dopo aver fatto un respiro profondo.
Mi lascio andare a una espressione meravigliata, aggrottando la fronte.
A quanto può arrivare la crudeltà umana?
Ragazzi che odiano altri ragazzi.
Ma perché odiare?
Perché prendersi gioco dei più deboli?
Perché considerarli diversi?
Perché rovinare la loro adolescenza?
A quale scopo, poi?
Forse si sentono forti, invincibili, o semplicemente i migliori. Non hanno di meglio da fare se non distruggere le povere vittime, per poi spesso vedere frantumate le loro brevi vite.
Si credono perfetti, quando invece la perfezione non esiste. O almeno, non è certo nascosta in quei corpi possenti, ricoperti di tatuaggi, bensì nelle piccole cose, semplici e buone.
Si credono potenti, capaci di manovrare i loro coetaneii, come se fossero burattini. Li tengono stretti in pugno, sfruttandoli a loro piacimento.
Povere vittime indifese, incapaci di fare qualsiasi cosa, persino di chiedere aiuto, probabilmente perché fin troppo orgogliosi.
Mi rendo conto che Alice è una di queste. Manovrata, derisa, sfruttata.
E in quegli occhi, in quei gesti, in quel viso, rivedo tutta la sua sofferenza, mentre mi sembra di sentire il suo cuore che chiede aiuto, ormai sul punto di cedere.
《Non ho parole. È tutto così...》 Nicole interrompe il flusso dei miei pensieri, delle mie riflessioni.
《Inacettabile. Crudele. Straziante.》 Finisco io la frase per lei, e quei tre aggettivi escono dalla mia bocca spontaneamente.
Capisco di aver inteso e capito ciò che Nicole voleva dire, quando lei si volta verso di me, rivolgendomi un cenno con la testa.
E anche gli altri fanno lo stesso, seppur mantenendo la fronte aggrontata, le labbra leggermente incurvate verso il basso, gli occhi spenti.
Anche Emma sembra aver perso la sua vitalità.
Cala un silenzio interminabile, e in quegli attimi mi libero degli sguardi addosso, avvertendo un senso di serenità.
Nessuno incita Alice a continuare il suo racconto, che non ha un lieto fine, a differenza di quelli che si leggono sui libri.
Stiamo zitti, a rispettare anche il suo silenzio. Mi dico che appena vorrà, e se vorrà, sarà lei a dirci qualcosa in più. Inutile forzarla.
Quando dopo alcuni minuti scanditi dai nostri respiri, udiamo nuovamente la voce di Alice, stentiamo a crederci.
《A-Alla fine delle lezioni, si ripeteva la stessa cosa, nello stesso posto. Lì nessuno ci avrebbe potuto vedere. Strappavano i miei disegni, riducendoli in palline di carta che andavano a finire nei tombini. Mi attribuivano cattivi nomignoli, così tanti, che non basterebbe questo pomeriggio per elencarli, uno ad uno. Mi costringevano a fare qualcosa contro la mia volontà, e se non avessi obbedito, me le avrebbero suonate. Avevo paura. Tornavo a casa e piangevo, tutti i giorni, chiusa nella mia camera. Non so perché vi sto parlando al passato, se questo è anche il presente.》
Si ferma, incapace di andare avanti.
È un ricordo troppo doloroso, una realtà difficile da accettare.
Un'altra lacrima le bagna il viso, scendendo lentamente sulla sua guancia. E continua a scorrere, pigra e svogliata, fino a quando non raggiunge l'angolo di quella bocca larga e sottile, che nasconde bellissimi sorrisi; per poi scomparire inghiottita da quelle labbra.
Alice, questa volta, non la asciuga. La lascia andare, ed è una scena che mi stringe il cuore, come se non fosse già abbastanza logorato; e in quegli occhi stanchi di versare lacrime, rivedo me e mia madre. Rivedo le notti insonne, i pianti, le litigate e tutti i perché.
Dovevo distrarmi. Respirare aria diversa, in compagnia di persone nuove, prima di varcare la soglia di quella casa in cui abito da sempre.
Ma, non potevo tirarmi indietro, non ascoltare.
Alice ha bisogno d'aiuto. Come me, d'altronde; e forse, non sono la persona adatta a cui chiederlo.
Eppure, sono qui, ad ascoltare di lei.
E non sono sola.
《Che merde!》 Sbotta William, a voce un po' troppo alta. Un'anziano, accomodato su una panchina poco distante, alza il viso dal suo giornale, rivolgendoci un'occhiata torva da sotto gli occhialetti rotondi, un'occhiata che mi sa molto di un rimprovero.
Anzi, William non ci è andato pesante.
Chissà quale sarebbe stata la reazione dell'anziano in caso contrario.
Cala il silenzio, nessuno proferisce parola. Inizio ad avvertire disagio. Dovremmo dire qualcosa, consolarla, incoraggiarla.
Invece non succede niente.
Le nostre pupille restano ferme su Alice, che invece le abbassa, racchiudendo in un pugno qualche filo d'erba.
Poi, proprio quando sto per dirle qualcosa, per rompere quella quiete imbarazzante, un piccolo movimento scuote l'aria.
Emma alza la testa dalla spalla di Nicole, poggia le mani sulle ginocchia, mettendosi in piedi; e in attimo è già al fianco di Alice.
Credo di aver intuito cosa voglia fare.
La mia ipotesi viene confermata subito dopo; Alice non fa neanche in tempo a voltarsi, che è già stretta nelle braccia di Emma.
Un abbraccio caloroso la investe, e mi sembra di scorgere un piccolo sorriso, una scintilla in quegli occhi scuri.
Le osservo, una l'opposto dell'altra.
Una capelli biondi, l'altra color del fuoco. Alice occhi scuri, Emma di un verde che sfuma nell'azzurro. La carnagione chiara di una, contro quella scura dell'altra, la figura esile di Emma, quella robusta di Alice.
Restano strette in quell'abbraccio per alcuni secondi che sembrano, per ognuno di noi, interminabili.
Entrambe tengono gli occhi chiusi, le teste accostate, le braccia intorno al collo dell'altra.
È un abbraccio sincero, che viene dal cuore. Un abbraccio che non dipende da quanto tempo ti conosci, un abbraccio che vale più di mille parole, più di un semplice, magari finto, "mi dispiace", un abbraccio che vorrei qualcuno dasse anche a me, l'abbraccio di cui ho bisogno.
Sentire le braccia di qualcuno il posto in cui si sta bene, considerarle una casa calda e accogliente, in cui rifugiarsi quando tutto va storto, o semplicemente, quando ti va, quando ne senti il bisogno; ecco cosa mi manca.
Qualcosa mi brucia dentro, si insedia nel mio petto, lo distrugge. Qualcosa di ignoto, che non so decifrare.
Il viso rimane lo stesso, mentre la fiamma arde lì, nella mia anima, consumandola.
Rimango a fissare quella scena così bella, così vera, respingendo le lacrime.
Qualcuno riderebbe sapendo che nessuno, a parte mio nonno, mi hai mai stretto in un abbraccio sincero, come quello che si presenta adesso dinnanzi a me.
Poi Alice si lascia andare a un pianto liberatorio, lì sulla spalla di Emma, che la continua a tenere stretta a sé.
Questa volta le lacrime fuoriescono davvero, velocemente, una dopo l'altra. È un pianto silenzioso, così come il suo dolore.
《Ti aiuteremo noi. Vedrai che riuscirai ad abbatterli, e quella forte sarai tu. Ti aiuteremo, ma devi, e dico devi, parlarne con qualche adulto.》 Le dice Emma, incrociando il suo sguardo e dopo continua.
《Non ti diro "non ti preoccupare". Ti dico invece di chiedere aiuto, non puoi uscirne da sola. Ricorda che noi ci siamo, per qualsiasi motivo. Se vorrai, ti potrai sfogare con noi. Okay?》
Alice annuisce timidamente.
《G-grazie. Eh, s-scusate per, beh, questo.》 Bofonchia, indicando le lacrime che continuano a scorrere sulle sue guance. In quelle parole, ritrovo una infinita dolcezza e, forse, innocenza.
《Lo so, ci conosciamo da pochissimo, e forse ti starei chiedendo se di noi ti puoi fidare. Ti assicuro di sì. Spero di sì. Spero davvero che tutti, qui, la pensino come me. Altrimenti, pazienza, non importa. Su di me, puoi contare, però. Ci sono, e se deciderai di ignorarmi, di non credere a queste parole, sarai libera di farlo, avendo le tue buone ragioni.》 Conclude Emma, con il suo modo di fare così cortese. Tutto in lei è convincente; e in quegli occhi verdi e in quel sorriso vedo solo una grandissima sincerità.
Perché dovrebbe mentirle, manovrarla anche lei?
In fondo, non la conosco. Negli anni ho imparato che non sai mai cosa riserva una persona, non sai mai cosa aspettarti da chi ti circonda, anche dalle persone apparantemente vere.
Ma qualcosa, mi dice che di Emma mi posso fidare anche io, che non sta mentendo. Spero io non mi sbagli. Ricevere l'ennesima delusione per coloro che credevo fossero persone diverse, non è certo il mio obiettivo.
Emma si stacca da Alice e le mima un "va bene?" con le labbra, alzandosi in piedi per ritornare al suo posto; e dietro quella massa di capelli rossi, qualcosa attira la mia attenzione.
O meglio, qualcuno.
I volti di Emma e di Alice si riducono. Mi appaiono sfumati, indefiniti. Non ascolto la bionda rispondere, troppo concentrata su quella figura alta e snella, che attraversa le strisce pedonali, per raggiungere le case che costeggiano la strada.
Le voci degli altri sono solo un rumore di sottofondo, non esiste nient'altro.
Le mie pupille rimangono ferme, immobili, in quel punto definito oltre il parco. Non si muovono di un millimetro, e lo fissano senza mai stancarsi.
Lo vedono voltare la testa prima a sinistra e poi a destra. Lo vedono
sistemarsi quella custodia sulle spalle, e poi fare il primo passo, dopo aver ringraziato con un gesto della mano un autista, per avergli permesso di attraversare.
Riduco gli occhi in una fessura, aguzzando la vista.
Un ciuffo scomposto di capelli bruni gli scivola di lato, oscurando il suo occhio sinistro.
La distanza mi impedisce di osservare gli altri tratti di quel viso, quel viso che ho già visto una volta.
La chitarra oscilla leggermente sulle sue spalle, sovrastandolo. Il ragazzo senza nome avanza cautamente, e non ho più dubbi.
Non ho più dubbi quando oltrepassa quel cancelletto in ferro, quando passa accanto a quei fiori che amavo tanto e di cui mi sembra di poter risentire il profumo solo abbassando le palpebre. Non ho più dubbi quando inserisce la chiave in quella serratura.
《Cosa guardi, Stella?》
Ritorno alla realtà, quando quella voce familiare seguita da una lieve risata, mi chiama.
Riesco a vedere quella figura assottigliarsi, fino a scomparire dietro la porta in legno massiccio.
Matteo mi scruta curiosamente da sotto quelle sopracciglia color del fuoco, tendenti al biondo. Ha gli angoli della bocca all'insù, una mano a torturarsi il labbro.
Mi chiedo come faccia ad essere ancora qui, sana e salva, e non per terra, magari senza sensi.
Sono sicura di essermi bloccata davanti a lui, quando il cervello smette di funzionare. Non mi suggerisce nessuna risposta, nessuna bugia.
Sono come in tilt.
Un senso di ansia mista ad agitazione mi attanaglia lo stomaco. È troppo, fin troppo vicino.
Deglutisco.
Io non ho paura.
Io non ho paura delle figure maschili.
《Oh, n-niente.》 Balbetto, con grande stupore, complimentandomi mentalmente con me stessa.
Sono riuscita a dire qualcosa, ed è un grande, grandissimo passo.
Sbatto le palpebre una, due, tre volte.
Al volto di Matteo, si aggiungono gli altri, uno ad uno.
Non si curano di me, per fortuna.
Sono concentrati su Alice, invece.
Immediatamente ricordo il suo racconto e il motivo per cui io mi trovi in questo parco, alle sei e mezza del pomeriggio.
Matteo ride, ed io volto la testa verso di lui. Non lo guardo negli occhi, la paura di sostenere il suo sguardo è grande.
《"Niente" significa moltissime cose. Specialmente se detto dalle donne.》
Non si arrende, sfidandomi.
Un'altra risatina, un morso alle labbra.
《Lascia stare.》 Taglio corto, giocherellando con l'erba.
Poi alzo il mento, sfidando la mia paura. I suoi occhi verdi incontrano i miei per una frazione di secondo. Li abbasso, sconfitta, ancora una volta.
《No. Devi dirmi cosa guardavi, Stellina! Me non può essere perché osservavi la strada, quindi chi altro, se non io?》
Quel soprannome risuona nella mia testa, rimbombando tra le pareti del mio cervello, troppo debole per assimilare anche questo.
Stellina.
Stellina.
Stellina.
Matteo non si arrende. Ancora.
《Dai, Stellina!》
Ripete quel nome altre volte.
La testa sembra scoppiarmi e non so come sia riuscita a trattenere un grido.
Continua a guardarmi, e le sue pupille puntate su di me, causano un certo effetto. Un peso, un qualcosa difficile da smaltire.
Per un attimo vorrei urlargli contro di smetterla, ma il suo modo di fare è irresistibile.
Il suo lato ironico e vanitoso sono irresistibili.
E in Matteo, vedo lui.
Il suo volto diventa quello del nonno. Lo rivedo, calmo e sorridente. Lo rivedo, stanco a causa della malattia.
Lo rivedo, su quel letto di ospedale.
Sento la sua voce.
《Brilla, Stellina mia.》
Vedo la mia mano sulla sua, su quelle lenzuola bianche, anzi bianchissime.
Dura un attimo.
Un attimo che scorre subito, un attimo che se fosse durato di più mi avrebbe fatto scoppiare in un pianto irrefrenabile.
D'un tratto i capelli bianchi si trasformano in rossi, gli occhi grigi ritornano verdi.
E...è solo Matteo.
Realizzo che non si è mosso di un centimetro, rimanendo nella stessa, identica posizione di prima.
Avverto uno stato di confusione mentale. Alzo gli occhi al cielo, mentre con una mano racchiudo in un pugno lembi della mia pelle del braccio.
E poi scoppio.
《Smettila!》
È un grido, un grido disperato, per sfuggire dal passato, dai ricordi felici.
Un grido che fa spostare subito l'attenzione su di me, sulla mia bocca spalancata, sul mio petto che si alza e si abbassa, sù e giù, sù e giù.
Chiudo gli occhi, sperando che sia solo un bruttissimo incubo, che io non l'abbia detto davvero. Invece, quegli sguardi vagano su di me ancora, ancora e ancora.
Posso sfuggire dal passato ma non dal presente, realizzo.
Sui volti attorno a me sono dipinte espressioni sbalordite, forse stupite nel sentire la mia voce, per nulla sottile o timida.
Mi ripeto che va tutto bene. Che Matteo non sa, e non può sapere.
Non può capire. Loro non possono capire.
E adesso, mentre mi fissano increduli, mi considereranno una pazza, una matta, in preda a una crisi.
Ed io non voglio apparire così ai loro occhi. Non voglio essere ricordata per il mio passato, per le mie lacrime, per l'affetto familiare che non ho mai avuto.
《Che succede, Stella?! Va tutto bene?》
No. Vorrei dirle che non va nulla bene, nulla va per come dovrebbe andare.
Mi limito ad annuire, ed Emma è subito accanto a me, in ginocchio.
Sistema un ricciolo ribelle dietro il mio orecchio, e mi sento una bambina, una bambina che non sa gestire le sue emozioni, che ha bisogno d'aiuto.
Mi accarezza la guancia, anche se visibilmente sconvolta. In lei riconosco la madre vera che non ho mai avuto.
《Se è colpa mia, mi dispiace. Davvero. Non capisco cosa abbia detto o fatto di male, ma ci sarà un motivo. Scusa.》
Il timbro caldo di Matteo, ancora fermo lì davanti a me, mi riscuote.
Emma gli lancia un'occhiata interrogativa, probabilmente rimproveratoria.
Posa le mani sulle mie spalle, e si tira sù.
《Fa niente.》 Dico, mantenendo lo sguardo basso, la mia voce di prima si riduce in un filo sottile e delicato, quasi difficile da udire.
Lo perdono, perché non sa.
Lo perdono, perché qualcosa mi suggerisce che non l'ha fatto per farmi del male.
Lo perdono, perché sono fatta così, forse e purtroppo troppo buona, con tutti.
《Grazie.》 Sussurro, scrutando uno ad uno i ragazzi intorno a me.
Sorridono, e so che capiscono.
Capiscono il perché di quel grazie.
Capiscono che sto ringraziando loro per i silenzi, per tutte le parole non dette, per la comprensione, per le domande non fatte e, invece, tenute per sé.
~☆~
《Cami, sentivo il bisogno di parlarti.》
《Stella, sono a tua completa disposizione!》
Mi lascio andare ad un piccolo sorriso, anche se lei non può vedermi, dall'altra parte del telefono.
《Sei unica, come sempre.》
È la semplice, pura, verità. Unica nel suo genere, unica in tutto ciò che fa.
Vera, soprattutto.
《Anche tu, lo sai. Ognuno di noi è speciale e unico!》
《Tu di più, però!》Esclamo, distendomi sul letto e appoggiando uno dei miei tanti libri sul comodino, ovviamente solo dopo aver inserito il segnalibro.
Una risata soffocata proviene dal cellulare, accanto a me.
Ho preferito usare le cuffiette, anziché tenerlo attaccato all'orecchio, rischiando la paralisi del braccio.
Le chiacchierate tra me e Camilla potrebbero durare davvero molto.
《Okay, bando alle ciance, dimmi tutto! Devo prepararmi a qualcosa di triste?》
《No, no. A parte il fatto che poco fa ero al parco con i ragazzi di ieri sera, e ho avuto una specie di crisi ricordando il nonno, no, nulla di brutto.》
Le ho sempre detto tutto. Quindi, perché nasconderle l'episodio di poco fa?
《Oddio! Devi cercare di controllarti, Stella! Quante volte te l'ho detto? Speravo non fosse questo il motivo della chiamata...》
《Lo so! È più forte di me. Scusa per tutte le volte che non ti ho ascoltata.
In realtà, ho bisogno di un consiglio.》
Evito di dirlo, ma le vorrei chiedere perdono per aver reagito di testa mia innumerevoli volte, per non aver ascoltato i suoi consigli, per non essere riuscita a fare ciò che mi aveva detto.
《Sputa il rospo, dai!》
《Ecco, vedi, ricordi ieri sera, al parco, no?》
《Ovvio che sì! Non ho ancora l'Alzheimer!》
Certo, che domanda.
Ovvio che ricorda i cocktail di ieri sera, i ragazzi, la nostra discussione.
Immediatamente, ripenso a mia madre che piange sul mio letto, al braccialetto che teneva tra le mani, a tutti i segreti che mi nasconde.
E ripenso all'abbraccio che non le ho dato, al primo passo che Camilla mi aveva suggerito di fare, e invece, mai fatto.
Qualcosa mi aveva tenuta ferma, al suo fianco. Ancora una volta la rabbia mi aveva accecata, impedendomi di allungare le braccia e stringerle attorno a lei.
Camilla crede sia tutto così facile, quando invece non lo è per niente.
Forse anche Camilla non sa, non capisce.
Oppure forse ha ragione. Basta poco.
Ma, anche adesso, in questa situazione, un abbraccio può cambiare davvero le cose, o almeno, aggiustarle un po'?
《Stella, ci sei? Sei ancora viva?》
Oh dio.
《Eh, sì, sì...ci sono!》 Rispondo, ritornando alla realtà.
Sento Camilla sospirare, mentre le rivelo il vero motivo della chiamata.
《C'era un ragazzo che suonava la chitarra, lì, sotto un albero. Era lontano da noi, ma la sua musica è arrivata fino alle nostre orecchie. Ci siamo avvicinati e...》
《Davvero? Continua!》Mi incita lei, eccitata come una bambina all'ascolto di una fiaba.
《Quando si è accorto di noi, è...ecco, è scappato via.》 Le rivelo, nella voce una punta di tristezza.
Ed ecco, i nostri occhi che si incontrano, lui che raccoglie le sue cose, lui che corre via, perdendosi nel buio, quei fogli che volano via, al vento, che si poggiano sul prato.
《Cosa!? Perché?! Non so se ridere o piangere immaginando la scena!》
《Non ne ho idea, tutti ci chiedevamo il motivo.》
Silenzio.
《Allora, mi volevi dire questo?》
《No, no, no. Cioè sì, anche ma...》
Faccio una pausa, poi riprendo a parlare.
《Mentre correva, ha perso dei fogli, che poi sono caduti sul prato. Non se ne è accorto, io qui-》
《Dimmi che li hai presi. Dimmi che li hai lì con te. Dimmelo.》
Mi interrompe, intuendo senza saperlo, il seguito della nostra conversazione.
Sì, l'ho fatto.
Mi dico, realizzando di aver fatto qualcosa di giusto, di buono, nel mio piccolo.
《Sì, sì, sì!》
《Brava, si vede che hai preso da mamma Camilla!》
Dovrei ridere, ma non ci riesco.
Mamma.
Mamma.
Mamma.
Quella parola mi fa uno strano, stranissimo effetto.
Quella parola che non riesco a pronunciare, ad affibiare a colei che lo è davvero, per me.
Mamma: non solo colei che ti mette al mondo, colei che ti insegna a vivere nel mondo.
La persona che ti riempe d'affetto, la donna che c'è sempre, la prima e l'unica vera migliore amica.
Tutto ciò che non è la mia.
Ringrazio Camilla per esserlo stato e per esserlo, ancora, giorno dopo giorno.
Allora ridacchio leggermente, e poi ridiamo insieme, come abbiamo sempre fatto.
Le nostre risate sono la musica più bella.
Quando, a fatica, ci calmiamo, placando le risate, ritorniamo serie.
《Dunque, sì, per la tua felicità ho conservato quei fogli. Ora non so cosa fare. Aiutami tu.》
《Che domande, Stella! Così mi deludi! Ovviamente devi restituirglieli. Anche subito.》
Mi chiedo improvvisamente perché le abbia chiesto un consiglio del genere, conoscendo già la risposta e conoscendo bene Camilla.
Poi mi rispondo che è perché è come una necessità, per me, sentirla, chiederle aiuto, raccontarle tutto, anche le cose di minima importanza.
Nei minuti che seguono le dico tutto ciò che so su di lui.
Le racconto della sua casa, dei suoi genitori, della dolce poesia sui quei fogli.
Dopo, mi suggerisce qualcosa che è troppo per me, che non riuscirei a fare.
《Sai dove abita? Vai da lui!》
《Stai scherzando?!》
《No, niente affatto. Suoni il campanello, e consegni quei fogli a chiunque tu ti trova davanti. Non è difficile.》
《No, non ce la farei! Mi vergognerei troppo.》
《Suvvia, non fare la complicata. Magari lo incontri, e chissà...》 Conclude lasciando a metà la frase, con un tono sognante, e so a cosa allude.
Scaccio quel pensiero, anche se mi affascina. Quel pensiero che mi fa fantasticare, ogni volta, per ore, che non mi permette di dormire la notte.
Il pensiero di una persona da amare.
Le dico di sì, che va bene, che lo farò.
Non ci credo davvero neanche io, però; ma non posso deluderla un'altra volta.
Camilla ha sempre ragione.
È la cosa giusta da fare. Perché temere? Perché pensare che sia tutto difficile, che la mia timidezza mi impedisca di fare qualsiasi cosa?
Perché sottovalutarmi?
~☆~
Sono qui, su questo marciapiede lievemente illuminato dai lampioni.
I piedi incollati a terra, un groviglio di dubbi nella testa.
Il cancelletto di ferro è davanti a me.
Quel cancelletto di ferro, non uno qualunque.
Sbircio oltre, sollevandomi sulle punte. Cerco di intravedere il giardino attraverso quelle poche fessure nel ferro.
I gerani sono ancora lì, bianchi, rossi, rosa, in quell'aiuola in mattoncini bordeaux; ho come l'impressione di poter sentire una volta ancora il loro profumo inebriante, poi la voce del nonno, le nostre risate, il rumore dei passi mentre fuggiamo via.
Ritiro la testa indietro, considerandomi invadente, appoggio la suola delle scarpe a terra.
Non è il momento. Non è il momento di ricordare. Mi trovo qui per un altro, valido, motivo. Non devo distrarmi.
Invece, il cielo mi invita ad alzare lo sguardo verso di lui.
È già calato il buio, e nascono le prime stelle. Adesso sì che posso vederle.
Luccicano nell'oscurità in quel modo così stupefacente da lasciare senza fiato. Brillano nel modo in cui io non sono in grado di fare.
Piccole e lontane, illuminano quel manto fin troppo scuro.
È vero che le piccole cose possono fare la differenza.
Il cielo non mi fa più paura. Le stelle mi sorridono, e in me sorge il dubbio che, invece, non sia stato il nonno a farlo.
Non dovevo distrarmi, mi ripeto.
Abbasso gli occhi, e se prima il mio sguardo poteva vagare in quell'immensità, saltando da una stella all'altra, ora è come intrappolato: di fronte a lui, solo quel cancello e quella casa, davanti alla quale si riduce in un puntino invisibile.
Si ferma sul campanello al lato, che aspetta solo me. Devo suonare.
Un gesto, un solo gesto, ed è fatta.
Il vento invernale mi investe, piegando i fogli stretti nella mia mano, bloccata a mezz'aria.
I capelli mi coprono il viso, stuzzicano i miei occhi, si insinuano tra le mie labbra, secche a causa del freddo, che attraversa i miei jeans e mi gela le gambe.
Il mio cappotto mi sembra l'unico rifugio caldo e accogliente, la mia vera casa, per proteggermi da questo novembre un po' troppo rigido.
Con una mano in tasca, l'altra a stringere ciò che non mi appartiene, so che devo darmi una mossa.
Suono, consegno, torno a casa per starmene al caldo sotto le coperte.
Sfilo la mano dalla tasca rivestita di peliccia, e quando viene a contatto con l'aria gelida, resisto alla tentazione di ritirarla.
Quando è a un passo da quel bottoncino scuro, accanto alla cassetta della posta, si blocca di blocco.
Rifletto sulle parole giuste da usare, sulla frase da formulare. E qualsiasi tentativo fallisce. Ogni parola mi sembra ridicola, sbagliata. I soliti dubbi cominciano a tormentarmi.
Come dire? "Sono la ragazza che ha trovato dei fogli e vuole consegnarli al proprietario?"
O forse è meglio, "Scusate, ho qualcosa che vi appartiene."
No, no e no.
Quale sarà la loro reazione?
Probabilmente si chiederanno come faccia a sapere che il proprietario abita proprio qui. O addirittura, lo chiederanno a me. Io, imbarazzata, non saprei cosa rispondere, per poi balbettare bofonchiando qualcosa di incomprensibile.
Di certo, "ho osservato il ragazzo mentre si recava a casa per minuti interminabili, senza staccargli un attimo gli occhi di dosso", sarebbe troppo sospetto o darebbe loro l'idea che quella che si trovano davanti sia una stolker.
Intanto, la mano si è autonomamente infilata nella tasca.
Scelgo la via più semplice, alla fine.
So che non dovrei farlo e usare il cervello, per una volta, ma adesso, mi sembra l'unica soluzione per sfuggire a questa insicurezza.
Agguanto i fogli con l'altra mano, e li inserisco con cura nella fessura della cassetta della posta. Un gesto, ed è fatta. La soluzione migliore.
La apriranno, prima o poi.
Troveranno quei fogli immacolati, nessuno saprà mai chi è stato a infilarli lì dentro. Nessuno saprà mai come o perché.
Alzo gli occhi un'ultima volta su quella casa, poi li abbasso nuovamente su quei pezzi di carta, che si piegano a causa del vento, poi ancora su quella struttura immensa.
Volto le spalle, infilo le mani in tasca e, soddisfatta, mi stringo nel mio cappotto.
È fatta. Ho fatto ciò che era giusto, anche se in un modo leggermente differente.
Avanzo verso casa, mettendo un piede davanti all'altro. Il freddo non sembra essere mutato, e per un attimo desidero la mia, di casa.
L'unica cosa che mi rammarica e di cui mi pento è quella di non aver ascoltato, ancora un volta, Camilla.
Anzi, no, non solo di questa. Mi pento
di aver reagito impulsivamente, e un senso di vergogna si impossessa di me. Non sono in grado di fare nulla.
Non so gestirmi, né controllare la mia timidezza, né cercare di combatterla ed eventualmente distruggerla. E ancora una volta, torno a casa con centinaia di perché, incastrati tra un dubbio e un altro.
Spazio autrice.
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Mi scuso tantissimo per l'attesa, so che i tempi di pubblicazione sono abbastanza lunghi. Se volete, potete andare a leggere un messaggio sulla mia bacheca che ho scritto pochi giorni fa, in cui spiego i perché.
Il motivo principale è che, con l'arrivo dell'estate, il pensiero principale è il divertimento e il relax, che occupano davvero la maggior parte delle mie giornate, in cui elimino il cellulare dalla mia vita, godendomi la vita lì fuori. 🌸
A scrivere e a questa storia, comunque, ci penso sempre.
Non vi abbandono mai e vi ringrazio ancora per il supporto.♡
Bando alle ciance, (che tanto ciance non sono😂), cosa ne pensate di questo capitolo?
È abbastanza lungo, di quasi 5000 parole, per compensare la lunga assenza.
Stella ha fatto bene a fare quel gesto? Oppure, avrebbe dovuto ascoltare Camilla? 🤔
Come vedete, è ancora invaghita da Matteo, ma lui...le darà una chance? 🔥
Oggi abbiamo anche scoperto la storia di Alice, che ovviamente approfondiremo nel corso della storia. Mi fa così tanta pena, ha bisogno d'aiuto...😔
Se questo capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina, ci tengo moltissimo. 🌟
Grazie ancora per tutto,
alla prossima.❤
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