6. Solo, soltanto dolore. E infiniti perché.

"Il dolore è sordo. Il dolore è muto.
Sordo perché ascolta solo se stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne"

La scena a cui ho assistito poco fa è vivida nella mia mente, così come la voce a tratti soffocata di Alice che chiede aiuto, e i suoi interminabili silenzi, come se fosse inutile ribellarsi ai quei mostri, come se non valesse la pena vivere, come se ciò che subisce fosse inevitabile.

Un fuoco ancora acceso arde dentro di me. Non riuscivo e non riesco ad accettarlo, e l'essere rimasta immobile, lì ad osservare la scena, mi fa sentire un mostro. La consapevolezza di non essere coraggiosa, timida, e terribilmente insicura mi stringe lo stomaco.

Innumerevoli volte ho sognato un carattere diverso, una me diversa.

Talvolta, un senso di invidia si impossessa di me quando osservo le mie compagne di scuola, estroverse, senza pudore, capaci di imbrogliare, di far buon viso a cattivo gioco. Mi ripeto spesso che, a differenza mia, non hanno un cuore di ghiaccio. Aperte con tutti, ironiche, piene di amici che ronzano loro attorno.

Da un lato, vorrei essere come loro.
Dall'altro, credo che ognugno di noi abbia il suo tempo. E che anche il mio cuore abbia il suo per sciogliersi.

"Sei fatta per pochi, Stellina." Mi ripeteva nonno, quando ero ancora ingenua e lontana dalle delusioni, quando tutto era così semplice. Quei tempi in cui bastava un pollice rivolto verso il basso per litigare, e uno verso l'alto per fare pace, per ritornare amici e lasciarsi alle spalle il passato.

Ed oggi, mi rendo conto che quelle parole sono più che vere. Non sono fatta per tutti. Non sono estroversa. Non sono coraggiosa. Non sono sicura di me stessa, di ciò che faccio, di ciò che dico. Non sono perfetta. Ma ho un cuore vero, uno che non si scoglie grazie alla prima persona che passa. Arriverà prima o poi, mi ripeto, qualcuno con cui mi sentirò a mio agio. Arriverà qualcuno con cui aprirmi, qualcuno a cui dimostrare il mio senso di ironia nascosto.

Arriverà.

Perché deve arrivare.

Ed io lo sto aspettando con tutto il mio cuore, pronto ad aprirsi quando sarà il momento. La chiave è in posto segreto, chissà dove. Un posto lontano, difficile da raggiungere, un posto in cui poche persone potranno accedere e aprire la serratura. Magari anche solo una.

Ma sarà quella giusta, o almeno spero.

Il rumore della chiave che gira nella serratura, non del mio cuore, bensì della porta di casa mia, produce un fischio fastidioso alle mie orecchie.

Dovrò fare silenzio, anche se probabilmente nessuno dorme. E con quel "nessuno" intendo l'unica persona qui dentro, a parte me.

Vengo accolta da una luce fioca, che proviene dalla lampada accesa sul mobile in legno del salotto. Faccio un passo avanti, e, dopo aver acceso la luce, mi sfilo il cappotto per appenderlo dietro la porta.

Starnutisco quando il mio corpo percepisce il brusco cambio di temperatura. Il calore che si percepisce qui dentro è accogliente, piacevole, anche se in realtà l'aria che ri respira non è delle migliori.

Prima di chiudere la porta a chiave, come mi ha chiesto mia madre, metto la testa fuori, un attimo. Le luci del giardino lo rendono più o meno carino, se non fosse per l'erba fin troppo cresciuta, le sterpaglie ormai alte, i fiori appassiti. Non credo ci sia qualche cosa che trasmetti felicità qui.

Tutto rievoca alla tristezza, alla solitudine. Chi non abita nei dintorni, direbbe che questa è una casa disabitata, abbandonata. Invece no.

Ovviamente, tanto per cambiare, era mio nonno che si occupava delle piante. Adorava anche quelle, dopo le stelle. Le curava ogni giorno, annafiandole all'alba, quando non c'era nessuno in giro per le strade. Amava osservare il sole salire nel cielo, in tutte le sue sfumature di rosa, rosso, arancione. Amava il bello. Amava il cielo e la natura e cercava l'infinito, con quegli occhi piccoli ma enormi.
Lo immaginavo come un Giacomo Leopardi della nostra era. L'unica differenza era che non era per niente pessimista, al contrario del poeta di Recanati. Sempre con il sorriso stampato in faccia, sempre pronto ad aiutare, a pensare positivo. Mi chiedo come faccesse ad essere il padre di colei che chiamo madre. Era quello spiraglio di luce che mancava nella mia vita. Quella luce che pensavo di godermi di più, e che invece, si è spenta troppo presto.

Cerco di evitare di ricordare, perché so che finirei in un lago di lacrime.
Quindi, ritiro la testa, e dopo aver guardato per un ultima volta l'alto, mi chiudo la porta alle spalle. Sospiro, con la schiena appoggiata alla porta, le mani sui fianchi, gli occhi chiusi.

Devo farcela.

Sono sola, ma devo farcela.

Non ho una madre con cui confidarmi, su cui poter contare, ma devo farcela. Devo riuscirsi innanzitutto per lui, e poi per me.

Non so quanto tempo sia passato. Secondi, forse minuti, ore. Riapro gli occhi lentamente, ancora spiaccicata sulla porta, e capisco di essermi addormentata. La luce è ancora accesa, e regna un silenzio tombale. Non riesco a credere di essere qui, e non nel mio letto, sotto le coperte.

Con le palpebre pesanti, le gambe deboli e la schiena distrutta, mi dirigo in camera mia, probabilmente simile ad una sonnambula o ad uno zombie.

La porta della camera di mia madre è socchiusa e dalla fessura noto che la luce è spenta.

Forse sta dormendo.

Le palbebre si chiudono sole, e faccio fatica a restare in piedi senza cadere nuovamente in un sonno profondo.

Nonostante ciò e nonostante i brividi di freddo che mi attraversano il corpo, rimango ferma davanti a quella porta. La osservo e immagino mai madre lì dentro, tutto il giorno.

Il dolore mi stringe il petto, mentre allungo la mano per afferrare la maniglia e varcare la soglia di quel posto a me quasi sconosciuto.

Non so né come né perché, ma quando le dita sono a un passo dalla maniglia fredda, ritraggo la mano, velocemente.

Inutile.

Mi torturo le mani, mordendomi il labbro.

Inutile.

Mi ripeto.

Poi, abbasso la testa, rassegnata. Non ci riuscirò mai, anche se la curiosità è troppa. Piango in silenzio. Mi accosto al muro, mentre le lacrime mi bagnano i vestiti. Non importa più di nulla, adesso. Non importa del sonno, non importa del freddo. È qualcosa di più grave, di più sofferente. Non basta un cuscino o una coperta per risolvere. Stavolta, è davvero difficile.
È difficile vivere così. Serve, invece, molto di più, ciò che io non riesco a fare, a dare; non solo a mia madre ma anche a tutte le altre persone che mi circondano.

Volto le spalle, senza asciugarmi le lacrime.

Inutile.

Mi viene in mente "Rosso Malpelo", e capisco che gli assomiglio. Sola, senza una famiglia o degli amici su cui contare, proprio come lui.

Due passi più avanti si trova la porta della mia stanza. Sogno il mio letto, la lampada accesa, il libro sul comodino, la serenità. Premo sulla maniglia e, quando la porta si apre, la scena che si presenta davanti ai miei occhi non è proprio quella che ho immaginato.

Rimango interdetta.

Il libro sul comodino, la lampada accesa, il mio letto, ci sono. Ma i capello bruni di mia madre si presentano dinnanzi a me. È seduta sul letto, con lo sguardo rivolto verso la finestra e mi da le spalle.

Spalanco gli occhi.

Scruto ogni suo particolare, o almeno quelli a me visibili. Non faccio né un passo avanti né uno indietro. Lo stupore arriva come una lancia che ti trafigge il petto, mentre fin troppe domande mi affolano la testa.

Cosa ci fa qui nella mia stanza?

Indossa la stessa maglietta da giorni, come se non avesse altro da mettersi, come se non avesse la voglia o la forza di muoversi. Gli anni passati mi scorrono davanti a grande velocità, e mi sembrano ricordi fin troppo lontani. Mia madre adorava agghindarsi. Adorava il trucco, adorava i gioielli. Da bambina, il suo armadio mi dava l'idea di una enorme labirinto senza un'uscita.
Un labirinto ormai dimenticato, ma lo stesso di sempre. Un labirinto che fa quasi paura, in cui nessuno ci entra più da mesi, o forse anni.

I capelli, ordinati per la serata appena trascorsa, nascondono un'espressione tragica sul suo viso, riflessa nel vetro della finestra.

Sembra tenere qualcosa in mano. Ci gioca, rigirandola più volte. Un tintinnio proviene da lì. Ha la testa abbassata, intenta ad ossevare quello che, dal riflesso, assomiglia ad un braccialetto d'oro.

In quei minuti in cui lei non si accorge della mia presenza alle sue spalle, tira su con il naso, gesto che mi fa comprendere che sta piangendo, un dettaglio ormai frequente, quotidiano.

La suoneria del mio cellulare ci interrompe. Interrompe i miei occhi curiosi, che hanno paura di vederla da vicino, interrompe le sue mani che,
all'inizio di quella melodia straziante, si fermano di colpo, lasciandolo quello che effettivamente sembra rivelarsi ciò che credevo, sul mio letto.

Sussulto, mentre lei si gira verso di me, visibilmente imbarazzata e, forse, infastidita.

Sfilo il cellulare dalla tasca, trascinando il dito verso sinistra per chiudere la solita, stressante e inutile, chiamata da parte dei call center, che si rivelano veri e propri truffatori.

So che non è il momento, ma mi chiedo perché chiamino a qualsiasi ora del giorno, che sia mattina o tarda sera.

Forse, però, dovrei ringraziarli. Non so come sarebbero andate le cose se fossi rimasta qui, con un senso di ansia a divorarmi lo stomaco.

《Da quanto sei lì?》 La voce di mia madre è quasi un sussurro, interrotto dai singhiozzi.

Mi fa male vederla così. Si è lasciata andare fin troppo. Non la riconosco più.

Non esce alcun suono dalla mia bocca, quindi alzo le spalle, appoggiandomi alla parete.

Cala il silenzio. Lei non proferisce parola e, mentre i suoi occhi vagano su ogni cosa presente nella mia stanza, i miei si posano su quel braccialetto che, ingenuamente, ha lasciato sulle lenzuola.

Non l'ho mai visto prima.

Mia madre se ne accorge. Lo afferra velocemente nascondendolo nel suo pugno.

Qualcosa mi stringe lo stomaco.

Faccio per avvicinarmi, e le parole di Camilla di poco fa mi risuonano in testa.

"Va da lei. Dalle un bacio. Abbracciala. Fai tu il primo passo."

Facile a dirsi. Difficile a farsi.

Camilla ha sempre avuto ragione.

Che ce l'abbia anche ora? Non lo so.

Non che non abbia la forza di farlo. La paura della sua reazione mi blocca, però.

《Che ci fai qui?》

《Ti stavo aspettando.》

《Aspettando?》

Annuisce, lasciandomi senza parole.
Evito di chiederle il perché. Sarebbe un altro aggiunto a tutti gli altri, un altro perché a cui non risponderebbe.

《Cos'è?》 Sono accanto a lei. Non ho idea di come ci sia arrivata, ma sono qui adesso, e so che devo approfittarne.

《Niente di importante.》

《Se non fosse importante, perché lo guardi e piangi?》 Cerco di mantenere la calma, anche se l'impeto di urlarle in faccia tutta la mia sofferenza e le mille domande è forte.

Lei non risponde e abbassa il viso, evitando il mio sguardo curioso e arrabbiato. In questo momento sembro io la madre.

Le prendo il braccialetto dalle mani rapidamente.

《No. Ridammelo, Stella.》 Allunga il braccio ed io lo nascondo dietro la schiena.

《Non era un oggetto importante, giusto? Permettimi di guardarlo. Cosa sono tutti questi segreti?》

Stavolta non replica. Mi lascia fare, arrendendosi subito.

Il braccialetto luccica tra le mie dita. È uno di quelli rigidi, che si infilano al polso direttamente. Lo osservo in ogni minimo particolare e, con grande meraviglia, noto che ci sono incise due "l" in corsivo, unite da un cuore.

Lei e mio padre.

È il primo pensiero che mi passa per la mente.

《Cosa significa?》 Indico le lettere scalfite nel metallo.

Quella domanda sembra spiazzarla.

《L'iniziale mia e...di tuo padre. Sì, di tuo padre.》

Ecco.

Sembra titubante. Decido di crederle.
Anche se non so, ormai, cosa sia giusto e cosa sbagliato. Cosa sia vero e cosa no.

Mi chiedo come si chiamasse, e penso a tutti i nomi maschili che iniziano con la "l".

《Quindi? Com'era? Parlami di lui! Se ne è andato per sempre, davvero? Sa di me, della mia esistenza? Perché tutto questo mistero? Mostrami una suo foto, mamma! È mio padre! Perché no? Perché? Non capisco, non capisco...》 Alzo la voce ma le ultime parole sono un sussurro. Un sussurro doloroso.

Mi porto le mani alla testa. Ho le guance ormai bagnate dalle lacrime.
Credo di non ragionare più.
Ormai, ignoro le parole di Camilla.
Nom ci sarà mai un abbraccio tra noi due, o se ci sarà, chissà quando.

《Ci sono così tante cose che non sai...》

Questo l'ho sempre saputo, ma sentirlo da questa bocca è diverso.

Adesso non è solo una mia impressione. È la verità. Una cruda verità. È la realtà. Un realtà da cui non si può sfuggire.

Niente mi sembra più chiaro attorno a me. Comincio a dubitare di tutto. La vista per poco non mi si acceca, a causa del velo di lacrime amare.

Ora non più la certezza che ogni cosa sia vera. Ogni parola detta, ogni racconto. Non ho più la certezza che la donna che ho davanti sia mia madre, che colui che mi ha cresciuta sia mio nonno, che io non abbia parenti, che mio padre sia morto.

Il mondo mi crolla addosso.

Sono rannichiata sul mio letto da ore, ormai inzuppato di lacrime, con un forte mal di testa. Quelle ultime parole mi opprimono il cervello.
La musica non è riuscita a rilassarmi.
Neppure il mio libro preferito.

Il sonno è completamente sparito. Ha lasciato il posto alla tristezza, alla confusione, al dolore.

Immagino il mio viso stravolto, il mascara colato, il rossetto sbavato.

Questi pantaloni sono piuttosto scomodi. Li sfilo velocemente, ricordando quei fogli. Quando li tiro fuori, sono leggermente stropicciati, ma, per fortuna, leggibili.

Sento il bisogno di leggerli.

I primi sono degli spartiti. Note, note e ancora note. Capisco dal titolo in alto che si tratta di "In my blood". Non ne so niente, ma mi perdo ad ossevare quei segni, con la melodia in testa e il viso di quel musicista misteriosa scolpito nella mia memoria.

Sicuramente li starà cercando. Si starà chiedendo dove sono finiti. Mai immaginerà che sono qui, nella mie mani, forse in quelle della persona sbagliata.

Continuo a sfogliarli, chiedendomi se mai potrò restituirglieli.

Nell'ultimo foglio, a differenza degli altri, non ci sono sono note, o segni per me incomprensibili. Ci sono parole, frasi scritte a mano con un inchiostro nero.

Se guardando quelle note, mi sono persa, leggendo queste parole entro praticamente in un'altra dimensione, lontana anni luce da casa mia, da questo mondo.

🎵

"A te che mi salvi, a te che non mi abbandoni mai,

A te perché senza di te non riesco a stare, sai,

A te, che sei così vera, bella come la primavera,

A te, che ci sei sempre, da gennaio a dicembre,

A te che sei tutto ciò di cui ho bisogno, un rifugio da questo mondo,

A te che sei un dono,

A te, musica. "

🎵

Leggo queste parole tutte d'un fiato. Poche frasi, ma bellissime. Ho la pelle d'oca. Una poesia, una canzone dedicata alla musica. Così semplice, ma così dolce, sincera.

Sfioro con dito quella calligrafia perfetta, che mi ricorda quella di un bambino.

Forse, penso, ho davvero un tesoro tra le mie mani. Un tesoro con un grande valore, soprattutto per colui che l'ha scritto. Mi invade un senso di colpa. Non dovevano volare via, non dovevano finire nelle mia tasca.
Non so se lo rivedrò nuovamente, non so se avrò il coraggio di avvicinarmi.

So, però, che devo custodirli. Voglio custodirli. Con cura.

Mi alzo dal letto, convinta. Li porto con me, nascondendoli in fondo all'ultimo cassetto del comodino, tra le pagine di uno dei tanti romanzi. Lo spingo indietro, poggiandoci sopra altri libri, altri quaderni, altre cianfrusaglie.

Non vi troverà nessuno, lì dentro.
Sarete al sicuro.

Dico, rivolgendomi a loro come se fossero delle persone. Poi, mi abbandono sul letto, pensando a tutto e a niente, osservando le lancette muoversi lente e il primo sole fare capolino.

SPAZIO AUTRICE.

Ciao ragazzi, finalmente un nuovo capitolo. Non ci credo. Mi è sembrato un parto. So che ci ho messo tanto tempo e so anche che è lungo, ma pazienza. Spero non vi annoi, anche se credo che quando una storia ti piace e ti coinvolge, non importa quanto sia lunga.

In realtà nel capitolo avevo previsto più scene ma alla fine, poiché mi sono dilungata troppo, ho deciso di finirlo qui.

Vi ringrazio ancora per tutti i commenti e per le letture.❤

Fatemi sapere nei commenti se vi è piaciuto questo capitolo, anche se non ci sono colpi di scena, cosa pensate nasconda la madre.

Spero di aggiornare presto.🌟
Grazie ancora per tutto❤








































Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top