"A volte le parole non bastano.
E allora servono i colori.
E le forme.
E le note.
E le emozioni."
(Alessandro Baricco)
Chris' Pov.
La chitarra mi parla, anche stasera.
La ascolto.
Mi dice di fidarsi di lei. Che non sono solo. Che c'è lei, per me. Mi tiene compagnia, sempre e comunque.
Non se ne è mai andata, da quando è entrata nella mia vita. Il bello della musica è questo. Rimane con te, non ti abbandona, non ti tradisce, a differenza delle persone. Penso a tutte le volte che mi ha aiutato, mentre continuo a muovere le dita sulle corde, in questo angolo di paradiso.
Le foglie si muovono seguendo le mie note, le mie parole. È strano, ma bellissimo. Sono come un direttore d'orchestra. Guido quelle fronde e mi sento quasi potente.
Un ciuffo mi ricade sul viso, ostruendomi la vista. Continuo a fare ciò che amo, ad occhi chiusi. Mi viene naturale e mi arriva dal cuore.
Non so se ringraziare il destino per avermi fatto questo dono, o mio padre per avermelo insegnato. Forse me stesso, per averlo coltivato, giorno dopo giorno.
Mi fa sentire vivo.
"Help me, it's like the walls caving in"
Comincio a cantare, senza pensarci due volte. Intorno a me, non c'è anima viva.
Adoro questo parco, e questo è il mio albero. Il mio posto preferito. Ormai, da due anni a questa parte, fa parte di me. Ci torno ogni sera.
E sono qui anche oggi, con la schiena appoggiata al tronco consumato, segnato per sempre da cuori e lettere scalfiti nel legno.
Lettere senza identità, ragazzi innamorati, spinti dal desiderio di marchiare quell'amore sulla corteccia. Quegli stessi ragazzi che poi si sono lasciati come tutte le coppie, prendendo strade diverse.
Non ho mai capito molto dell'amore.
L'ho sempre messo da parte, ignorato.
Ho sempre posto in primo piano me, la musica, la mia famiglia.
Non ho mai dato importanza a delle ragazze. Solo qualcuna, negli anni passati. Storie durate pochissimi mesi. Accettavo per non essere preso in giro. Per non sembrare diverso, disinteressato a coloro che erano il principale argomento di discussione alle medie, così come alle superiori.
La paura di essere etichettato come il diverso mi metteva in crisi.
Appunto, mi metteva.
Adesso non più. Ho imparato a fregarmene del giudizio altrui, ad andare dritto per la mia strada, a inseguire i miei sogni e la mia passione per questa bellissima arte chiamata musica. Sono così, non posso nascondere la mia personalità.
Sinceramente, non credo nell'amore a prima vista.
Ma non ho detto che non credo all'amore.
Esiste, ma non è facile come sembra trovare la persona giusta. Forse impossibile. La cosiddetta anima gemella che sembra non arrivare mai, e che, probabilmente non esiste.
Forse sembro scettico, insensibile, freddo, ma dopo quel tragico evento che ha segnato per sempre la mia famiglia, non credo più a nulla. Chi non lo sa, cioè poca gente qui a Roma, penserà che io sia pazzo o semplicemente strano.
Se ripenso agli anni delle superiori, mi viene quasi la nausea. Cinque anni uno peggio dell'altro. Più che per i compagni, soprattutto per l'ambiente, i professori, l'aria che si respirava.
Avete presente quando ti senti chiuso come in un carcere, dentro quelle quattro mura, e devi seguire per forza le regole dettate dai superiori?
Ecco. Tutto ciò non fa per me, da ragazzo libero che sono.
I pensieri scorrono veloci uno dopo l'altro in questa testolina che mi ritrovo. Ricordi, immagini, litigi, momenti felici. Rifletto tutto il tempo e contemporaneamente suono, completamente immerso in un mondo tutto mio, fatto unicamente da pensiere e note.
Sono così concentrato e con la testa tra le nuvole, che non sento i passi lenti che si avvicinano a me. Una moltitudine di persone, mi accerchia.
Non so da quanto tempo siano qui. Mi accorgo della loro presenza solo quando apro gli occhi, dopo averli tenuti per minuti interminabili socchiusi.
Tutte quelle persone lì, a fissarmi, mi mettono in un tremendo imbarazzo.
Mi hanno sentito e mi hanno raggiunto.
Che stupido che sono. MAI suonare il sabato sera, quando questo parco è pieno di gente.
Alzo la testa e i miei occhi incontrano quelli di tante persone, di tutte le età.
Si posano su quelli di una ragazza. Lei mi guarda come affascinata. Non so che faccia ho in questo momento; probabilmente quella di un ladro colto di sorpresa. Forse sarò arrossito, come spesso mi capita.
È un attimo.
Rimango un secondo a scrutare tutta quella gente che mi sorride e poi raccolgo le mie cose, gli spartiti, le penne, il plettro. Mi alzo velocemente, distogliendo la sguardo dalla folla. Carico la chitarra classica sulle spalle.
Voglio andarmene di qui.
Lo faccio subito, senza soffermarmi a riflettere. Qualcuno mi chiede deluso dove vado, ma non rispondo e comincio a correre, mentre il vento mi scompiglia i capelli e mi apre la giacca. Corro via, prima che qualcuno possa riconoscermi e ricordare il passato. Ed io sono il primo a volerlo dimenticare, a cancellarlo per sempre.
Quando capisco che sono abbastanza lontano da quella stradina del parco e dal mio albero, rallento il passo.
Capisco di aver reagito d'impulso e di aver sbagliato.
Perché l'ho fatto?
Mi vergogno del mio comportamento;
quelle persone volevano solo ascoltare la mia musica.
È stato più forte di me.
Mi ripeto per i minuti che seguono che sono uno stupido, che ho sbagliato, che dovevo donare loro ciò che è stato donato a me.
Vorrei tornare indietro nel tempo per rimediare, ma so che non è possibile.
Nella mia testa si materializzano i visi delusi e sorpresi di quelle persone, mentre attraverso la strada.
Casa mia si trova proprio di fronte al parco, accanto a molte altre.
La sua vicinanza al parco mi permette di andare e tornare quando voglio. Questo quartiere, è il centro della mia vita. Qui sono successe così tante cose, che è impossibile ricordarle tutte.
Qui si trovava la mia scuola, quel posto orrendo praticamente odiato da tutti gli studenti.
Diciamocelo, a chi piace?
A nessuno.
Figuriamoci a me.
La chitarra pesa sulle mie spalle ma, dopo dodici anni che la suono, mi ci sono abituato. Ripenso a un me bambino alle prese con la prima chitarra. Era di un rosso lucente, molto più piccola di questa ma sempre più grande di me.
Mio padre, insegnante al conservatorio, mi stava accanto, spiegandomi le note e aiutandomi nel solfeggio.
Sentii il bisogno di una figura che mi aiutasse fino ai tredici anni. Poi, con tanta voglia di fare, imparai il resto da autodidatta.
I miei passi si fermano quando raggiungo la mia villetta, che si presenta davanti a me in tutta la sua bellezza. Mia madre ci tiene molto. L'ha decorata, riempendo il giardino di piante che controlla amorevolmente quasi ogni giorno.
Ha arricchito sia l'esterno che l'interno di così tanti soprammobili e decorazioni che sembra un mercatino.
Non nascondo che, rispetto alle altre della stessa via, è molto più bella e vivace.
Perché la mia famiglia non è certo in difficoltà economiche.
A scuola, tutti mi conoscevano come il figlio del professore e dell'avvocato, mai come una persona comune. Ero il ricco del quartiere ma non mi sono mai vantato di ciò, a differenza di molti altri.
Sono giusto sul marciapiede, davanti al cancello d'ingresso, e sento un vociare abbastanza vicino.
Spinto dalla curiosità, mi faccio piccolo dietro il muro della casa accanto, per sbirciare senza farmi vedere.
Un gruppo di ragazzi, che mi sembra di aver già visto, cammina verso di me, o meglio verso la casa dietro la quale sono nascosto. Saranno miei coetanei, e parlano, talvolta ad alta voce.
《Bravo però! Ma, secondo voi, perché se ne è andato?》
Capisco che sono i ragazzi del parco.
Ho incrociato i loro sguardi giusto qualche minuto fa e stanno parlando di me, giustamente. Ne ho la certezza quando rivedo quella ragazza. Sembra pensierosa mentre cammina, stretta, come gli altri, nel suo cappotto. Il suo viso non mi è ancora del tutto chiaro, non riesco a vederla bene con il buio.
Cosa ti salta in mente, Chris?
Mi porto la mano sulla fronte, stupito da me stesso. È la prima volta dopo un botto di tempo che faccio pensieri del genere.
《Ah, che ne so, io?》 Dice un ragazzo dai capelli rossi, di bella presenza.
Ride, ed io mi sento ancora più in imbarazzo.
《Secondo me si vergognava, anche io avrei reagito allo stesso modo.》 Stavolta, a parlare, è quella ragazza.
Almeno lei mi capisce.
I ragazzi la guardano meravigliati e non capisco il perché, ma poi nessuno parla più, ognuno forse immerso nei suoi pensieri.
Prima che mi scoprano, decido che è meglio rientrare. Il freddo ormai mi punge il viso, e non posso permettermi di prendermi un mal di gola.
Devo cantare, sempre e comunque, quindi massima precauzione.
Pensavo di trovare il silenzio una volta rientrato in casa. Invece no, le urla di mia madre e di mio padre risuonano da tutte le parti. I miei non litigano quasi mai e sentirli non mi piace affatto. Sono affari loro, tanto so che prima o poi le cose si sistemeranno.
Per questo, prima di capire il motivo della discussione, salgo al primo piano e mi chiudo in camera mia.
Ed ecco che arriva il mio momento preferito della giornata.
Faccio scivolare la chitarra dalle mie spalle, appogiandola sul letto. Tiro fuori dallo zaino gli spartiti, i fogli con le mie canzoni, le penne.
Sfilo le mie Nike dai piedi, indosso il pigiama, via i bracciali che mia madre mi costringe a portare, e sprofondo nel letto. Appoggio la testa alla parete, spegnendo la luce e accendendo la lampada sul comodino.
La stanchezza si fa sentire ma, quando c'è di mezzo la musica, non mi ferma niente e nessuno.
Afferro uno dei tanti fogli con i miei testi, pronto a continuare a scrivere.
I fogli, la penna, il letto, il pigiama, la luce offuscata e la voglia di scrivere ci sono. Sono pronto.
Mi accorgo che il primo foglio che mi ritrovo in mano è solo la continuazione del mio primo pezzo, scritto a nove anni, mancano le prime due strofe.
Ricordo benissimo di averle infilate nello zaino.
Devono essere lì.
Dopo dieci minuti, la mia stanza è in soqquadro. Ho svuotato lo zaino, controllato sulla scrivania e nella custodia della chitarra, persino nel cestino, e nei cassetti, ma niente.
Dei miei amati fogli non c'è nemmeno l'ombra. Comincio a preoccuparmi.
E se mi fossero caduti al parco?
Bel casino.
Ora come faccio?
Sbuffo, in preda all'ansia. È come se avessi perso i miei figli, sono così preziosi per me quei pezzi di carta.
Potrebbe averli presi qualunque persona, e magari letti o strappati subito.
Oppure sono volati al vento, e poi arrivati al mare.
Lì sù c'è una parte essenziale di me. I miei pensieri, le mie riflessioni, le mie giornate, il mio amore per la musica trascritto in note.
Stringo i pugni e mi porto le mani alla testa, arrabbiato.
Dannazione.
Se lo dovesse sapere mio padre, sarebbero guai. Per lui, conta tantissimo ciò che scrivo.
Continuo a cercare da tutte le parti, imprecando ogni volta. Non voglio rassegnarmi, devo trovarli.
Controllo sulla scrivania, apro i cassetti, svuoto le mensole. Tossisco quando vengo a contatto con la polvere sul fondo della libreria.
Mia madre non la spolvera da così tanto tempo...
Per fortuna, le voci alterate dei miei al piano di sotto, sovrastano me e il rumore provocato dai libri che cadono sul pavimento.
Faccio per raccoglierli ed ecco che, dal nulla, tra un volume di musica e un altro, spunta una fotografia.
Quella fotografia.
So che non dovrei prenderla ma è più forte di me. Mi abbasso e mi siedo sul parque ghiacciato, afferrando il pezzo di carta davanti a me.
Osservo quello scatto, ormai ingiallito.Un momento felice, spensierato.
Lui ha un sorriso sghembo sul viso, la giacca di pelle, i capelli ricci arruffati.
Io avvolgo un mio braccio intorno alle sue spalle, e quasi fatico nel farlo, vista la sua imponenza. Avevo soltanto dieci anni, e anch'io sorridevo, assomigliandoli.
Con un dito sfioro quella bellissima immagine, prima che le lacrime si impossesino di me. Non piango mai, e non devo farlo ora. Quella foto non doveva esserci. L'avrei dovuta bruciare, strappare, dimenticare.
Invece l'ho conservata per anni.
Mossa sbagliata, Chris.
Mi provoca solo un immenso dolore e un immenso vuoto, che credo nessuno potrà colmare. Solo ricordi mi ritornano in mente, e più io cerco di rimuoverli, più mi perseguitano.
Dovevo solo cercare dei fogli.
Le mani per poco non mi tremano, e la foto è ancora lì e mi dice di strapparla. Mi tiro sù, convinto nel farlo, la prendo tra le mani, chiudo gli occhi e la osservo per un'ultima volta.
Comimcia a spezzarsi in due parti quasi uguali, proprio nel punto in cui le nostre figure si abbracciano. Sono quasi a metà, quando sento qualcuno sulle scale.
Mio padre. Riconosco il rumore dei suoi passi.
Libero dalle mie mani la fotografia, impilo i libri, in fretta e furia, prima che possa vedere.
Non poteva continuare a litigare almeno oggi?
Quando il suo viso stanco e segnato dall'età, fa capolino dalla porta, ho già fatto sparire la foto.
《Chris》Mi saluta, entrando.
Sono seduto sul letto, con un foglio a coprirmi il viso quasi bagnato dalle lacrime, e faccio finta di leggere i miei versi.
《Ciao papà》Gli rispondo alzando gli occhi dalla carta e sperando con tutto me stesso che non si accorga della mia faccia stravolta e ancora confusa.
《Tutto bene?》 Mi chiede e mi rendo conto che non sono bravo a recitare.
No, non non va per niente bene. Ho perso la mia musica, ho riportato a galla il passato.
Annuisco, per evitare che le parole mi escano incerte.
Si siede sul letto, al mio fianco, sorridente.
Invidio la sua capacità di far finta che non sia successo niente, di riprendersi subito, dopo quello che mi è sembrato un duro litigio.
Non si è mai mostrato debole o in lacrime davanti a me.
L'ho sempre visto come un eroe e come il pilastro portante della nostra famiglia.
Mi guarda intensamente; sa che c'è qualcosa che non va. Mi conosce fin troppo bene. Rimane zitto, però, e lo apprezzo.
《So che è successo qualcosa, ma non ti chiederò cosa. Se vorrai, me lo dirai.》 Esordisce poi, posando la sua mano sulla mia e rivolgendomi uno sguardo pieno di comprensione.
Lo adoro anche per questo.
Non mi costringe.
Vorrei dirgli che va tutto bene, ma rimango zitto per evitare che anche lui ricordi. Non sarebbe certo piacevole.
Quando capisce che non gli risponderò, cambia discorso.
《Allora, oggi, che hai fatto? In giro, come al solito?》
《Stamattina sì. Ho visto Lorenzo, poi sono tornato a casa.》Gli racconto, come ogni sera.
Abbiamo sempre avuto questo momento nostro. Mi sono sempre sentito più a mio agio con lui che con mia madre. Il nostro rapporto è unico, peccato che stiamo insieme davvero poco. Il suo lavoro lo tiene impegnato dalla mattina alla sera. Alle lezioni al conservatorio, alterna quelle a casa, di pianoforte. I ragazzi e le ragazze che hanno preso lezioni da lui in questi anni, non si possono contare sulle dita di una mano.
《A proposito, Lorenzo ha deciso cosa fare? Si iscriverà al conservatorio?》
Lorenzo era un suo allievo. L'ho conosciuto così, all'età di 12 anni, quel pomeriggio d'inverno, qui, a casa mia. Nonostante i litigi e le incomprensioni, siamo ancora qui. È lui il fratello che mi ho.
《Penso di sì. Non ne abbiamo parlato, ma sa che dovrà fare l'esame di ammissione.》
《Invece tu...》Comincia e so cosa vuole chiedermi per l'ennesima volta.
《No papà! Non fa per me. Basta scuola, ne ho abbastanza.》 Lo interrompo e lui sbuffa, alzando gli occhi.
《Non capisci? È un'occasione per perfezionarti, crescere musicalmente, imparare di più. Poi, lo sai, posso agevolarti, chiedere per te i colleghi migliori!》Risponde, alzando un po' la voce.
Mi porto la mano sulla fronte.
《Ho detto no ed è no. Amo la musica, ma la imparerò da solo. D'altronde, ho sempre fatto tutto da autodidatta! Basta regole!》
Mi accorgo di aver alzato la voce anche io. Me ne pento subito. Lui vuole il meglio per me, c'è sempre stato.
《Va bene. Fai come vuoi. Ma sai, che quel cancello è sempre aperto.》Abbassa la voce, per fortuna.
Odia i litigi, ha sempre cercato di evitarli, di essere buono con tutti. Il litigio con la mamma di poco fa dev'essere stato davvero importante.
《Grazie, papà.》
Tiro un sospiro di sollievo. Niente conservatorio, niente scocciature.
Si alza d'un tratto, scattante.
《Ah, forse è qui!》 Comincia ad avvicinarsi alla scrivania, proprio dove, in mezzo ai libri ho nascosto la foto.
《Cosa cerchi?》
Mi alzo anch'io, allarmato. Non può vederla!
《Ci dev'essere il mio libro di musica classica, credo di averlo lasciato qui ieri.》
Si abbassa per cercare nei cassetti e la sua voce appare quasi soffocata sotto la scrivania.
《Aspetta ti aiuto!》 Dico, avviciandomi a lui. Non sa che il passato è più vicino di quanto possa immaginare.
Alzo i libri e gli esamino uno dopo l'altro. Intanto lui si alza, mi raggiunge e proprio quando afferra il libro che cerca, ecco che la foto scivola via dalle pagine.
Oddio. La dovevo proprio mettere in quel libro.
Mi affretto per prenderla da terra, prima che possa vederla, ma lui ha sempre avuto i riflessi pronti.
Corre verso il punto in cui è caduta, con un'espressione sconvolta e la afferra prima di me.
Sono attimi. La guarda, spalanca la bocca ed io mi preparo ai minuti che seguiranno.
《Dove l'hai trovata?》Punta gli occhi su di me, sono fermi, addolorati. Indica la foto più serio che mai.
《Non lo so, cercavo dei fogli. So che è doloroso, scusa, la volevo strappare, poi sei entrato tu, io...》 Sputo tutto.
Mi dice di stare zitto, e la osserva ancora.
《Quanto tempo è passato da quel giorno? Perché? Perché?》Comincia a ripetersi, anche lui confuso.
Alzo le spalle. Guardo per terra, non voglio rivederla. Mi passano davanti agli occhi quei momenti, i peggiori della mia vita. Rivedo le immagini del telegiornale, i volti sconvolti dei parenti, le domande dei conoscenti, gli sguardi malvagi dei passanti.
《Tu non sarai mai come lui, Chris!》
Mio padre è accanto a me, e cerca di convinvermi di ciò. Ma non è affatto facile, almeno per me. Non è facile nemmeno per lui, credo, accettarlo.
《Invece sì! Ho paura, questa è la verità! Ho paura di diventare come lui, di prendere la sua strada che lo ha portato alla...》
Non riesco a pronunciare quella parola. Un bruciore si fa strada nel mio petto. Stringo i pugni e lui mi si avvicina, fa per replicare ma la suoneria del mio cellulare lo interrompe.
Stringe la foto tra le mani, la riduce in una pallottola e la lascia lì, sulla scrivania. Quel gesto mi spiazza. Non credevo l'avrebbe fatto. Si dirige verso la porta, ormai sconvolto.
《Ne riparliamo.》 Mi dice, e fa un sorriso sforzato.
Afferro il mio cellulare e quando leggo il nome sul display mi rassereno.
《Ciao, Lore.》
SPAZIO AUTRICE.
Ciao ragazzi! Ecco il primo capitolo dal punto di vista di Chris, uno dei protagonisti maschili.
Cosa ne pensate di lui, di tutto questo mistero? Probabilmente alcuni di voi avranno capito!
Vi invito a lasciare una stellina per supportarmi! Grazie se lo farete!
Mi scuso tanto per il ritardo nella pubblicazione ma gli esami e la tesina mi stanno prendendo un botto di tempo! Spero di aggiornare al più presto❤😭
Intanto, buona lettura!💘
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
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