2. Vicini!
"C'era una stella che danzava e sotto quella sono nata"
(William Shakespeare)
Tutto è buio.
Dove mi trovo?
Sembra una stanza. Diversa, però.
La testa mi gira, le gambe mi tremano.
Una sola domanda riecheggia nella mia mente.
Dove sono?
Il pavimento sotto di me è gelido, come tutto il mio corpo.
La testa continua a girarmi, a pulsarmi. Porto la mano sulla fronte: sembra scottare, nonostante il gelo.
Voglio alzarmi.
Devo alzarmi.
Mi tiro su con la schiena ma non ci riesco. Rimango bloccata a terra, immobile, inchiodata.
Mi fa male tutto.
Grido più forte che posso ma dalla mia bocca non esce alcun suono.
Grido ancora e ancora, senza risultati.
Apro gli occhi, e ancora il buio.
Un senso di ansia comincia a farsi strada dentro di me.
Terrore.
Perché?
Forse è solo un sogno, uno stupido sogno?
Mi sforzo a crederlo, anche se sembra tutto così reale.
Ho paura. Mi viene da vomitare.
Urlo ancora, e ancora.
Qualcuno mi dice che sono a casa.
Voci arrivano da tutte le parti. Voci inquietanti, che non riconosco.
Mi porto le mani alle orecchie, il cuore che vuole uscire dal petto.
Altre voci, familiari, stavolta.
Chi sono?
Urlo più forte che posso.
Mi fa male la gola per lo sforzo.
Capisco che è tutto finito.
Forse sto morendo.
La voce del nonno è l'ultima cosa che sento, prima del vuoto.
La prima cosa che vedo quando apro gli occhi è la luce. Poi, mia madre, accanto al mio letto. Non ricordo nulla dell'incubo che ho appena fatto. Strizzo gli occhi.
Sono viva.
Realizzo.
-Stella!-
Sento la voce di mia madre come in lontananza; sembra preoccupata. Avevo quasi dimenticato la sua presenza. Non riesco a vederla bene, il sole mi acceca.
《Hai fatto un incubo?》Chiede subito, il tono di voce stranamente basso. Non riesco a risponderle. Devo ancora riprendermi del tutto. La vedo sedersi al mio fianco e aggrottare la fronte. Ora posso vederla meglio. Ha il viso stravolto anche oggi. Le occhiaie sembrano infinite. Un'altra notte insonne, probabilmente.
《Stella? Stai bene?》
Perché si preoccupa così tanto per me?
《Sì》 è l'unica cosa che riesco a dire.
Questo è l'importante, d'altronde.
Che stia bene. Che ci sia, in carne ed ossa davanti a lei. Il resto non ha senso, la vita non ha senso, se si deve vivere come la sto vivendo io.
No.
La vita ha senso, mi correggo, ripensando al nonno.
《Sicura?Ti ho sentita gridare forte.》
Non posso crederci. Mi ha sentita. Gridavo nel sogno, ma in realtà lo facevo nella realtà. Non so cosa dirle. Confusione nella mia mente, solo quella c'è.
Mi giro sull'altro fianco, le gambe accavallate, la mano sotto il cuscino. Le rispondo annuendo, incapace di fare altro. Il mio sguardo si sposta dal suo viso alla sveglia.
11.22. Sabato mattina.
Ora sono più confusa di prima. Realizzo che è giorno, e che ho dormito veramente tanto. Sul comodino vedo il mio libro preferito, e ricordo la notte trascorsa. Avevo letto e pianto fino allo sfinimento. Avevo riso al contempo, leggendo quel romanzo. Avevo assaporato l'odore delle pagine, quell'odore che amo così tanto. Mi ero immersa nella lettura, dimenticando tutto il resto. Non la ringrazierò mai abbastanza.
La lettura, intendo.
Sento la porta della mia camera chiudersi e mi rendo conto che la donna accanto a me se ne è andata. Meglio così. Non parliamo molto, noi due. Non parliamo quasi più. Da quando ha perso il lavoro, si è chiusa in sé stessa. Da quando ha perso il padre, ed io un nonno, non siamo più le stesse. Lavorava in una farmacia in città, fino a un anno fa. Non riceveva molto come stipendio, giusto quel poco che serve per mantenere sé stessa e una figlia. Poi la farmacia aveva chiuso, rovinando non solo la nostra vita, ma anche quella di tante altre donne e delle loro famiglie. La nostra situazione, era peggiorata. Non solo economicamente. Un anno di privazioni, di sofferenza e malinconia. Mia madre non si è chiusa solo in sé stessa ma anche nella sua camera. Lontana dalla mia, piccola e buia. Non ci entro quasi mai. Talvolta la immagino mia madre lì dentro: seduta alla scrivania, ore e ore davanti al computer oppure...
No. Non riesco a immaginarla. Posso solo fantasticare. Mi rendo conto che non so quasi nulla di lei.
Cosa ci sarà dietro quella porta?
Quella porta sempre chiusa, un ingresso a un mondo che non conosco.
Perché si richiude lì dentro?
Forse ha qualcosa da nascondere. O meglio, da nascondermi. Tutto ciò mi sembra quasi surreale. Non riesco a darmi delle risposte logiche.
Chissà cosa penserebbe un padre di noi.
Chissà come sarebbe stato il mio rapporto con una figura paterna.
Me lo chiedo spesso.
E se, invece, fosse vivo?
Tavolta mi balena in mente l'idea di cercarlo, di volerlo accanto.
E se fosse un mostro? Uno di QUEI mostri.
D'altronde, se non è qui con noi, ci sarà un motivo. Ed io non lo saprò mai.
O forse lo saprò quando sarò vecchia, tra moltissimi anni.
Qualche minuto dopo, mi metto a sedere sul letto, le gambe ancora sotto le lenzuola. Dovrei alzarmi, fare i compiti. Avevo quasi dimenticato dell'esistenza della scuola. Non mi dispiace andarci, o forse prima non mi dispiaceva. Rimpiango le elementari, dove tutto era più bello e facile, dove i compagni non ti davano della "secchiona" , dove nessuno ti guidicava.
Dovrei sistemare la camera ma rimango inchiodata lì, ad osservarla.
Mi piace, nonostante tutto. Nonostante le pareti ormai scolorite, nonostante il mucchio di vestiti sulla sedia bianca accanto alla finestra, nonostante la sua semplicità e i suoi mobili scuri in legno.
I tantissimi libri sistemati sullo scaffale le danno quel tocco di colore in più che non mi dispiace affatto.
Li ho disposti ordinatamente, per colore, uno sopra l'altro. E adesso che mi guardo attorno, capisco che sono davvero tanti e che è davvero tanta la mia passione per la lettura.
Probabilmente sono la cosa più preziosa che ho.
Il mio sguardo ricade sulle foto incorniciate sul comodino, quelle poche che raccontano i momenti salienti della mia breve vita.
In una, ci siamo io e mio nonno.
Lui non poteva mancare.
La osservo a lungo, cercando di cogliere ogni dettaglio. Le sue mani sulle mie spalle, io seduta su di lui, il modo in cui mi guarda.
In un'altra mi trovo, da sola, su un palco. Era il mio primo saggio di danza. Rido nel vedere la mia espressione terrorizzata; ero in preda all'ansia, quella sera. Il vestito mi stava fin troppo stretto, e l'ombretto rosa sulle palpebre, i brillantini ed il rossetto, mi davano un certo fastidio.
E poi, nell'ultima ci siamo io e Mia, strette in un bellissimo abbraccio.
Avevamo sette o otto anni, e ridevamo, felici come non mai.
Mia era la mia migliore amica. La prima amica e forse anche l'ultima. Quella vera, l'amica dell'infanzia.
Legate da quell'amicizia infantile, eravamo inseparabili. Quella mattina, in prima elementare, era nato tutto per caso. Si era seduta nel banco insieme a me, ma nessuna delle due avrebbe mai immaginato che quello sarebbe stato il suo posto per tutti gli anni delle elementari.
Tavolta mi soffermo a pensarla e mi chiedo se, anche lei, lo fa, dall'altra parte del mondo.
La notizia del suo trasferimento era arrivata tutta d'un colpo. Non eravamo pronte. I suoi genitori la portarono con loro in America, per motivi di lavoro. Non ricordo bene il perché, avevo appena nove anni. So solo che fu difficile accettarlo e cercare di non piangere. Da quel momento non ci siamo più sentite. Le nostre mamme avevano litigato, stupidamente, e mai più si fecero una telefonata. Di conseguenza, noi ci allontanammo. Ma non dimenticate a vicenda. Rimarrà per sempre nel mio cuore. Non si può dimenticare da un giorno all'altro una persona talmente importante, fare finta che non ci sia mai stata un'amicizia.
Quando finalmente decido di alzarmi, mi soffermo davanti allo specchio alla parete.
I capelli ricci sono un disastro. Cerco di sistemarli, di dare loro una forma, ma è quasi impossibile. Ciocche fin troppo crespe mi ricadono sulle spalle, piene di nodi. Li odio davvero.
Perché non potevo averli lisci?
Decido di riportare il ciuffo indietro. Li preferisco così, disordinati.
Sono fin troppo bassa. Un metro e cinquanta. I pantaloni mi stanno fin troppo lunghi.
Sono troppo magra e i pantaloni mi stanno larghi in vita. Mangio poco da giorni. La fame ha lasciato il posto alla depressione, ormai.
Non mi sono mai piaciuta né esteriormente né interiormente.
Mi fa sorridere il pensiero del nonno che mi ripete che sono brutta, così per farmi arrabbiare e prendermi in giro.
Vorrei davvero avere più autostima.
Vorrei essere felice, sprizzare di gioia. Vorrei avere qualcuno su cui contare. Vorrei sistemare la situazione con mia madre.
Ripenso al suo atteggiamento poco fa.
Perché si sarebbe dovuta preoccupare per me se non mi avesse voluto bene?
Capisco che mi vuole bene. Ho sbagliato a metterlo in dubbio. Sono sua figlia.
Allora perché si comporta così?
Un giorno mi sta accanto, l'altro mi abbandona.
Un giorno mi adora, l'altro sono il suo problema.
Stiamo sbagliando entrambe. Io sto sbagliando perché mi sono sempre chiusa in mè stessa, perché in passato quando stavo male, facevo stare male anche lei.
Lei sta sbagliando perché ha me e potrebbe essere felice, perché non riesce ad affrontare e a superare la mancanza di un padre, di un marito, del denaro.
Nemmeno io ci riesco ma sono la figlia. Lei è la madre, non io.
Dovremmo aiutarci e venirci incontro, invece di respingerci a vicenda.
Dobbiamo contribuire per uscire da questo vortice nero che ci avvolge.
Non è facile, ed io non basto.
È quasi una cosa più grande di me, e le domande a cui non trovo risposta sono davvero tante.
E uno, due, tre, quattro.
Cinque, sei, sette, otto.
Faccio partire la playlist sul mio cellulare. Devo ballare. Voglio ballare.
È ciò che ci vuole per distrarmi.
Chiudo gli occhi e mi distendo sul pavimento della mia camera. Ruoto la testa, porto in alto le braccia. Mi lascio trasportare dalla musica che mi prende e mi porta con sé. Non seguo una coreografia. O forse sì. Quella che mi insegna e mi dice il cuore. Mi sento libera mentre le note si diffondono nella stanza. Tutti i pensieri svaniscono.
Proprio quando inizia il ritornello che adoro, la musica si interrompe bruscamente.
È mia madre. Non mi sono accorta della sua entrata in camera mia, talmente persa nella musica.
Mi alzo, controvoglia, con qualche goccia di sudore che mi scende giù per il collo, e mi avvicino a lei.
Spero non sia entrata per dirmi di non ballare. La osservo, accanto al comodino, con il mio cellulare tra le mani.
《Non sono qui per il motivo che pensi.》
Per fortuna.
Mi legge nella mente.
Sistema i suoi capelli corvini dietro l'orecchio, e fa per dire altro.
Rimango in silenzio, appoggiata contro la parete.
《Hai presente la casa qui accanto?》chiede stranamente calma.
《Quella disabitata?》
《Sì. Ecco, si è trasferita giusto quatro giorni fa una nuova famiglia. Pare che siano un'anziana, la figlia e i nipoti.》
No, non può essere vero. Spero stia scherzando. Niente più musica a tutto volume, realizzo.
La casa è proprio attaccata alla nostra, a separarle solo una piccola striscia di terra. Non ci voleva proprio. Adesso anche loro sapranno della nostra situzione, e ci sentiranno litigare, urlare come matte.
Guardo mia madre abbastanza irritata.
《Non pensare sempre in negativo! Potrai fare amicizia con i ragazzi, sono tuoi coetanei.》
No, questo proprio no. Io, Stella Luciani, che fa amicizia?
《Il punto è un altro. La signora Agnese, la nonna, ha invitato tutti i vicini stasera a cena per conoscerci, noi comprese.》 Conclude ed io sono sempre più sconvolta.
Sbuffo.
Ci mancava solo una cena con dei perfetti sconosciuti.
Già mi immagino muta come un pesce, a cena.
《Non ci voglio andare.》 Decido, fredda.
《No! Ci andremo, insieme.》
Quella parola mi fa uno strano effetto.
《Perché? Non posso rimanere qui?》
Cerco di farle cambiare idea.
《No! Sarebbe maleducato. Tu verrai, non ci sono scuse!》Fa alzando il tono della voce e posando il mio cellulare sul letto.
《Adesso fai una doccia!》Mi ordina, chiudendosi la porta alle spalle.
Sbuffo ancora e ancora ma faccio come mi ha detto. Ho davvero bisogno di una doccia calda.
19.30
Mi guardo allo specchio. Sono pronta.
Ho optato per qualcosa di semplice: un pantalone nero che mi fascia le gambe e una blusa tinta unita. Ai piedi le Nike che adoro tanto. Niente tacchi.
Decido di truccarmi, per avere un aspetto presentabile.
Cerco di coprire in tutti i modi i brufoli. Passo un filo di mascara, e del lucidalabbra. Poi è la volta della cipria, e sono pronta davvero.
Per minuti che sembrano interminabili rimango a fissarmi, cercando di piacermi.
《Andiamo,Stella!》Mi urla mia madre dalla cucina.
Di corsa afferro la borsa dall'armadio e mi affretto ad uscire.
Prima di farlo, però, mi soffermo di nuovo davanti allo specchio.
Non sono male. Non sono brutta.
Quando mia madre mi chiama per la seconda volta, esco di corsa; pensando alla sua reazione se dovessimo arrivare in ritardo.
Suoniamo il campanello della casa accanto dieci minuti dopo.
Ho ansia, come sempre.
Come andrà la serata?
Mangerò?
Mia madre, al mio fianco, sembra abbastanza serena. Noto che anche lei si è truccata. Non può certo mostrarsi con le occhiaie e il viso stravolto che ha sempre. Quando si cura, è bella.
È sempre stata una bella donna ma negli ultimi anni si è lasciata andare fin troppo.
La porta si apre subito dopo, mostrando il viso solcato dalle rughe della signora Agnese. Porta gli occhiali e ha i capelli bianchi, perfettamenti pettinati.
《Benvenute! Piacere, Agnese Lombardi. Voi siete?》Ci rivolge un bel sorriso.
Ci presentiamo e ci fa accomodare.
La casa è piena di gente. Anziani, donne, uomini, bambini.
E soprattutto, ragazzi della mia età.
Aiuto. Cosa faccio?
Sto in disparte?
Meglio di no.
Seguiamo l'anziana in salotto, dove è allestito un buffet con la qualunque.
Credo che non mangerò nulla di tutto ciò.
Mi siedo in una delle tante poltrone blu, e mi guardo attorno.
Tutta quella confusione mi fa andare in tilt. La odio.
I bambini si rincorrono per la casa, e rido nel vedere il viso preoccupato della signora Agnese.
Alcuni ragazzi miei coetanei parlottano e ridono tra di loro.
Un ragazzo e una ragazza si assomigliano moltissimo. Stesso naso, stessa bocca, stesse lentiggini sul viso. Solo i capelli sono diversi: quelli di lei rossi, quelli di lui tendenti al marrone.
Sembrano gemelli.
《Benvenuti, tutti voi!》 La voce della nonna ci attira verso di lei. È in mezzo alla sala. Ci voltiamo tutti, per sentirla parlare.
《Sono davvero contenta di avervi qui. Spero potremmo andare d'accordo e conoscerci meglio. Mi hanno parlato molto bene di questo quartiere, proprio di fronte al bellissimo parco!》Continua l'anziana, si schiarisce la gola e riprende.
《Lei è mia figlia Debora.》
Una donna sbuca dall'angolo, e ci sorride calorosamente.
《Sì eccomi, benvenuti e spero che la serata sia di vostro gradimento.》 Risponde.
《E questi sono i miei nipoti! Matteo, Emma, venite qui!》La nonna li incita a raggiungerla.
Dietro di me i ragazzi ridono e alcuni di loro spingono colui che dovrebbe essere Matteo accanto alla nonna, che poi, seppur controvoglia, viene raggiunto dalla sorella.
Sono i ragazzi identici di prima. Adesso ho la certezza che sono fratelli, gemelli.
《CIAO! Non prendete per pazza mia nonna, è fatta così! Deve sempre organizzare cose in grande.》Fa Matteo, con il sorriso stampato sulle labbra.
È davvero carino.
Ma a cosa pensi, Stella?
A tutti scappa una risata, anche a me e a mia madre. È così strano vederla ridere. La nonna gli dà una pacca nel sedere, provocando altre risate.
《E poi c'è mia sorella Emma! Anche lei può sembrare pazza e strana, infatti... lo è!》 Stavolta Matteo prende in giro la sorella, che comincia a colpirlo in tutti i modi possibili.
Sembrano simpatici, entrambi.
Assisto a quella scena rapita. Bello vedere tutta quella gioia dopo tanta tristezza. Bello vedere quella famiglia così unita. Quanto ne vorrei una...
Durante la cena mangio poco e niente.
Qualcuno mi rivolge sguardi incuriositi, io continuo ad ignorarli.
Mi sforzo e alla fine, anche se con difficoltà, consumo tutto ciò che ho nel piatto.
Mia madre sfoggia i migliori sorrisi che ha e chiacchera con altre donne.
Mi sembra di non conoscerla. È completamente un'altra persona.
Quando finiamo di cenare, usciamo in giardino. L'inverno è alla porte, ma la serata lo permette. Ci stringiamo nei cappotti, e ci accomodiamo nei divanetti all'aperto. Come ogni sera, non posso fare a meno di alzare lo sguardo al cielo. Le stelle mi salutano una ad una. Individuo la Stella Polare subito.
《Mamma, noi andiamo al parco. Va bene?》Domanda Emma a sua madre.
Con quel "noi" si riferisce a tutti gli altri ragazzi.
Vogliono andare al parco. Il mio parco.
Debora annuisce, e Emma si avvicina a me. La vedo con la coda dell'occhio, penso di aver capito cosa vuole chiedermi.
《Ciao! Ti andrebbe di venire al parco con me e gli altri? Ci divertiamo, ridiamo, ci conosciamo meglio.》
Come immaginavo.
Adesso non so cosa rispondere.
So che dovrei andare, ma mi vergogno troppo. Ho paura di non essere alla loro altezza, di sbagliare a parlare. Non so se fidarmi. Sono degli sconosciuti, d'altronde.
Dico di sì. Ci penso prima di rispondere ma accetto. Farò questo sforzo. Devo cambiare, fare conoscenze. Starò attenta.
《Ah, che stupida non ti ho chiesto come ti chiami! Io, come sai, sono Emma, tu?》
Si sistema i capelli rossi e mi sorride.
Adoro le lentiggini che ha sul naso e sulle guance.
《Piacere Stella.》 Le sorrido anche io, stringendole la mano.
Spazio autrice.
Ragazzi! Come promesso ecco il secondo capitolo, abbastanza lungo, visto che non so quando aggiornerò a causa degli impegni scolastici.❤
Cosa ne pensate? 🤯
Stella ha fatto bene ad accettare?
Lei e sua madre riusciranno a sorridere?
Non lo so...🤐
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!❤
Vi ringrazio perché abbiamo quasi raggiunto le 300 letture!!!
MI SCUSO TANTISSIMO PER IL CAPITOLO LUNGO, MI SONO FATTA TRASPORTARE DALLA TASTIERA E DALLE EMOZIONI!❤
SPERIAMO NON VI ANNOI!
detto questo,
ci vediamo al prossimo capitolo!
-la vostra piccola scrittrice ❗
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