4. Da soli
La settimana scorse senza intoppi, iniziando una sorta di routine. Al mattino andava al mare coi suoi, al pomeriggio e alla sera lavorava al bar, e alla notte si intratteneva coi ragazzi sulla spiaggia, a bere birra e a parlare. Ogni sera alle sei e mezza Alessio e Claudia prendevano il loro solito ordine – un Campari ghiaccio e arancia e un Hugo Spritz – e si davano appuntamento per dopo che avrebbe staccato da lavoro.
Si accorse presto che Maurizia gli piaceva, che Roberto gli stava piuttosto indifferente e che trovava Paola un po’ antipatica. Si accorse presto di ave avuto l’impressione che Alessio fosse bello-e-dannato perché quando era con Claudia si spegneva, balbettava due frasi in croce e non partecipava alle discussioni, mentre quando la ragazza si allontanava sbocciava in un fiorire di disponibilità e conversazioni animate, sempre interessato a lui e a quello che aveva da dire.
Arrivò il lunedì successivo, il giorno che Claudia sarebbe dovuta partire per Barcellona con Paola e sua cugina. Era il suo primo turno da solo, senza Stefano, ed era un po’ nervoso. Non si aspettava visite a orario aperitivo, non quel giorno che la ragazza sarebbe stata via, così stava facendo un cappuccino a un turista tedesco senza troppi pensieri per la testa, quando lo sentì.
“Un Campari ghiaccio e arancia, per favore.”
Si voltò di scatto e un po’ del cappuccino schizzò per terra.
“Alessio,” gli disse, come sempre la sua vista gli asciugò la bocca e fece tremare le ginocchia.
Lui gli offrì un sorrisino imbarazzato. Quando non era con Claudia lui sorrideva sempre, il volto gli si accendeva come un albero di natale, e ad Andrea girava sempre la testa.
“Ciao.”
“Un attimo, servo il signore e sono da te.”
Posò il cappuccino sul bancone, e prese i due euro dal turista tedesco infilandoli in cassa. Gli diede lo scontrino, e quello andò al tavolo tutto soddisfatto.
“Cappuccino alle sei e mezza,” disse Alessio, con una smorfia.
“È un crucco, che ti aspetti?”
Lui rise, e Andrea pensò che avrebbe voluto sentirlo ridere sempre. “Allora, il mio Campari?”
“Subito!”
Fece cadere due cubetti di ghiaccio nel bicchiere e ci versò la bevanda, poi appoggiò sul bordo una fetta di arancia già tagliata. Fu sul punto di chiedere i cinque euro dell’aperitivo, ma poi decise di fare una follia. Vide Alessio frugarsi nelle tasche per prendere il portafoglio, ma prima che potesse farlo gli disse “Oggi offre la casa.”
Alessio si fermò, la fronte aggrottata, e lo guardò. “Come?”
“Sei un cliente fisso, ti devo allisciare. Oggi offre la casa.”
“Non è tuo il bar, non puoi offrirmi da bere,” obiettò, alzando un sopracciglio.
“Posso, se alla fine del turno metto cinque euro in cassa dal mio portafoglio.”
“Ma… perché?”
“Te l’ho detto, i clienti fissi si devono tenere stretti. Ecco a te!” disse, porgendogli il bicchiere.
Il sorriso di Alessio si allargò e lui si sedette a uno sgabello del bancone. “Grazie,” rispose, e prese il primo sorso. “Senti, dato che Claudia e Paola non ci sono non usciamo stasera.”
“Oh, ok,” rispose, cercando di contenere il disappunto. Alessio era migliore senza Claudia, e lui sarebbe voluto uscire, soprattutto quel giorno. “Almeno andrò a letto presto, per una volta…”
“Ti va di venire da me dopo il lavoro? I miei sono tornati a Massama per qualche giorno, mia madre ha una visita medica. Ci beviamo una cosa, mi fai un po’ di compagnia… certo, se vuoi tornare a casa a dormire lo capisco…”
“No, no! Si può fare! Si può fare, io... non è che abbia tutto questo sonno, comunque. Ormai sono abituato ad andare a dormire tardi, non mi addormenterei in ogni caso.”
“Bene! Ti ricordi dove abito, o devo venirti a prendere?”
“Me lo ricordo. È vicino alla piazzetta, giusto? Guardando dal mare sulla sinistra.”
“Esatto, la casa arancione con l’amaca in veranda!”
“Quante giornate ci ho passato…”
“Sì, giocavamo alle carte dei Pokémon e a Uno, e tu perdevi sempre!”
“Sono sempre rimasto convinto che barassi!”
“Ti giuro di no, sei tu che sei scarso!”
“Scommetto che se giocassimo oggi ti straccerei!”
“Possiamo sempre provare!”
Andrea gli rivolse un sorrisino. “Meglio di no…”
“Ah, allora lo sai di essere scarso!”
“Due Heineken e una Ichnusa,” borbottò una voce, e Andrea fu costretto a distogliere lo sguardo. Un uomo sulla cinquantina in costume da bagno a petto nudo era davanti alla cassa, attendendo di essere servito.
“Buona sera,” disse, scandendo bene le parole, sperando di fargli notare la mancanza di educazione. L’uomo non rispose al saluto.
“Due Heineken e una Ichnusa,” ripeté, per poi aggiungere “fredde di frigo.”
“Arrivano subito. Fanno cinque e cinquanta.”
“Ti pago quando me le porti al tavolo.”
“Mi scusi signore, non posso portargliele. Non facciamo servizio al tavolo,” disse, facendo cenno verso il cartello scritto a mano proprio sul bancone.
“Non stai facendo nulla, adesso. Farai un’eccezione.”
“Mi dispiace, ma davvero non posso. Sono solo, non posso lasciare il bancone sguarnito, e poi creerebbe un precedente…”
“E io dovrei portarmi tre birre al posto da solo?”
“Se non ce la fa può chiamare un suo amico, ma io non…”
“Non ce la faccio? Cosa stai insinuando? Che non posso portare in mano tre bottiglie?”
“Io non insinuo niente…”
“Tu stai qui a perdere tempo e io sono un cliente! Non puoi ignorare i miei bisogni per non far nulla! Voglio parlare col titolare!”
“Il titolare non c’è, ma è stato lui a decidere di non fare servizio al tavolo. Lui…”
“Perché in questo posto nessuno vuole mai lavorare? L’anno prossimo me ne vado a Malta, là sì che trattano bene i turisti! Ti ho solo chiesto di portarmi le birre al tavolo, non c’è nessuno, non mi sembra una richiesta così impossibile…”
Andrea sentì qualcuno schiarirsi la voce, e spostò lo sguardo verso Alessio, che inceneriva il turista con lo sguardo. “Insomma, deve continuare a molestarlo mentre cerca di lavorare o si decide a tornare a posto con le birre prima che si scaldino?”
“E tu cosa c’entri, scusa?”
“Sta disturbando una persona che lavora. Le ha detto che non fanno servizio al tavolo, quindi paghi queste birre e se ne torni al suo tavolo. Adesso.”
“Ma tu come ti permetti di parlarmi così? E chi sei, il suo avvocato?”
“Lui non si può permettere di mandarla a fanculo perché sta lavorando, quindi lo faccio io per lui: vada a fanculo. E ora paghi e la smetta di rompere i coglioni!”
L’uomo diventò scarlatto, Andrea ebbe paura che l’avrebbe menato, e si preparò a saltare sopra il bancone per intervenire. Invece, dopo aver balbettato qualcosa di non intellegibile, gettò una banconota da cinque e una moneta da cinquanta sul bancone, arraffò le birre e si allontanò borbottando il fatto che i sardi erano tutti uguali.
“Arrivederci e grazie!” gli gridò dietro Alessio, salutando con la mano.
Andrea sospirò e si abbandonò al bancone, poggiandovi i gomiti e coprendosi il volto con le mani. “Tutte a me…”
“Devi essere più assertivo con questi stronzi.”
“Non so mai cosa dire, cosa fare! Mica li posso mandare a fanculo io…”
“Sarebbe bello ma no, in effetti no.”
“Odio lavorare col pubblico,” borbottò, scoprendosi il volto e sgonfiandosi con un altro, grosso, sospiro.
“Mi sembra ottimo per un barista!”
“E sai quanto mi pagano? Otto e cinquanta. Per quasi dodici ore al giorno, sei giorni su sette!”
“Okay, sembra una ladrata.”
“Ah, ti sembra? Ma mi devo adattare. Tanto il mio futuro è questo, quindi…”
Alessio portò il Campari alle labbra e ne bevve un sorso. Quando riabbassò il bicchiere, gli occhi di Andrea si soffermarono sulla sua bocca umida. La cotta non gli era ancora passata, del resto perché avrebbe dovuto? Alessio aveva continuato a essere un figo bello-e-dannato, aveva il fascino del proibito, si presentava al bar tutto bagnato perché era appena stato in spiaggia, in più si era mostrato con lui anche empatico e gentile. Ci era cascato dentro con tutte le scarpe, nonostante la sua regola d’oro: mai innamorarsi degli etero.
“Però sei bravo nel tuo lavoro. Questo Campari è ottimo!”
“Capirai, era già pronto… non è mica un cocktail…”
“Beh, tu ci hai messo il ghiaccio! E la fetta di arancia!”
“Ah beh, allora…”
“Secondo me spacchi. Ti serve solo un po’ più di verve coi clienti bastardi, tutto qui.”
Andrea gli offrì un sorriso poco convinto. “Grazie.”
Almeno il lavoro da schiavisti gli evitava di pensare all’università, alla precarietà della sua vita, al fatto che era rimasto solo.
Alessio si scolò il suo bicchiere di Campari ghiaccio e arancia e poi lo sbatté sul bancone. “Beh, ti ho disturbato abbastanza! Allora, vieni a casa mia quando stacchi?”
“Vengo a casa tua quando stacco.”
“A dopo quindi, grazie per il drink!”
“A dopo, ciao!” salutò, e quando il ragazzo si allontanò sulla spiaggia, Andrea rimase a fissarlo come imbambolato.
Questa mia cotta deve finire, pensò, scuotendo la testa. Fai come ha detto Alessio, devi essere assertivo. Devi lasciarlo stare.
Eppure, sotto sotto, sapeva che non avrebbe funzionato.
Arrivò la fine del turno che, alla notte, Stefano era tornato a dargli una mano. Venne un gruppetto di ragazzi che finì le loro riserve di mirto e di Amaro del Capo, e si trattenne da loro sino alle due inoltrate.
Quando staccò, Andrea si chiese se avesse senso andare da Alessio così tardi. In tutta probabilità il ragazzo era già nel mondo dei sogni, si era stancato di aspettarlo alzato. Nonostante questo, decise di affacciarsi lo stesso a casa sua. I due si erano accordati così dopotutto, e lui aveva una grande – e malsana, considerando che era fidanzato, perlopiù con una ragazza – voglia di stare con lui, un po’ da soli.
Si infilò subito le scarpe e non camminò sulla sabbia quella volta. Salì le scale che portavano al lungomare e lo percorse nella direzione opposta a quella di casa sua. La linea delle case con le verande col giardino era graziosa, casette bianche dalle imposte blu, o di un delicato color pesca, con qualche albero a far ombra durante il giorno e le finestre sempre spalancate per via del caldo. Dal lato opposto, quello sul mare, una fila di palme floride e il belvedere che affacciava sulla spiaggia, con vista sul golfo. Nella notte il mare nero rifletteva il firmamento, creando doppie costellazioni e doppia vista, le galassie in terra che rispecchiavano quelle del cielo.
Tirava una brezzolina piacevole quella notte, non c’era un caldo afoso, e il riflesso nell’acqua era tremolante e scintillava di mille rifrazioni dorate.
Quando Andrea arrivò davanti al giardinetto designato, si allargò il colletto della polo, in imbarazzo. Fu sommerso dai ricordi, la casa in cui aveva giocato tante volte da bambino; l’amaca su cui aveva dondolato, litigando con Alessio su chi avesse avuto il turno più lungo; la porta a vetri su cui avevano attaccato tutti quegli stickers, per il sommo orrore di sua madre, Clelia.
Diede uno sguardo veloce al giardino per controllare se c’era qualche luce accesa, non voleva suonare e rischiare di svegliarlo, quando lo sentì. “Ehi!”
Andrea strizzò gli occhi e aguzzò la vista, seguendo il suono. Dapprima non vide nulla, poi dall’amaca si alzò qualcuno, con un saltello agile, e gli venne incontro. Lui era là, e stava fumando. Andrea lo trovò strano, non l’aveva mai visto fumare prima, e forse avrebbe preferito non vederlo mai. Teneva la sigaretta in mano con disinvoltura, stava esalando il fumo dalle labbra, e ancora una volta Andrea provò il desiderio irrefrenabile di assaggiarle.
“Sei sveglio,” gli disse, superando il cancelletto aperto.
“Certo che sono sveglio. Ci eravamo detti che ci saremmo visti, no?”
“Giusto,” mormorò, trattenendo un sorrisino. “Fumi?”
“Non sigarette,” rispose, divertito. “Vuoi?”
Alessio gli aveva agitato il trinciato sotto il naso, e un forte odore di erba lo colpì come un cazzotto. “Oh. Non saprei, io… non ho mai provato.”
“C’è sempre una prima volta!”
“Magari più tardi,” rispose, cercando di trovare una buona scusa per rifiutare. Non era contrario all’erba di per sé, ma l’idea di fumare e macchiarsi i polmoni di nero non gli andava per niente.
“Come vuoi!” gli disse, e gli sembrò ancora una volta un Golden Retriever scodinzolante, come quella sera in spiaggia. “Vieni, vieni! Ci sono le birre in frigo, il ventilatore acceso, e…” lo stomaco di Andrea gorgogliò, forte. “E ti ho preso la pizza!”
“Mi hai preso cosa?”
“Ma sì, sei sempre affamato dopo il lavoro, e salti sempre la cena! Questa cosa non va bene! L’ho ordinata per le undici, il più tardi possibile, ma ormai si sarà sfreddata. È margherita, non sapevo come la volevi…”
“Grazie, quanto… quanto ti devo?”
“Ma niente! Sei l’ospite, la pizza è offerta!”
“Oh, andiamo, non dire idiozie…”
“Tu mi hai offerto un drink oggi!”
“Non l’ho fatto perché tu poi mi offrissi qualcosa in cambio!”
“Ma io l’ho fatto lo stesso! Dai, siedi e mangia…”
Andrea allontanò la sedia dal tavolino in legno e si sedette. Il ventilatore era puntato verso di loro, e aggiungendosi alla brezza dava un po’ di refrigerio. “Ne vuoi un po’?” gli chiese, aprendo il cartone della pizza.
Lui scosse la testa. “Io ho già mangiato. Vuoi che te la scaldi un po’ al forno?”
“Non c’è bisogno, grazie,” rispose, trovando una pizza già tagliata a spicchi. “Servizio completo,” commentò, colpito.
“Lo so,” rispose lui, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Prese un’altra boccata di fumo ed esalò. Andrea aveva tanta voglia di essere al posto di quella canna da fare male. Forse essere andato sin lì era stato un errore.
C’era una birra grande sul tavolo, e Alessio la aprì con l’apribottiglie. Senza Maurizia a farlo coi denti, era necessario.
“Ti dispiace se bevo dalla bottiglia?”
“Fai pure,” rispose Andrea, che non vedeva l’ora di torturarsi guardando il collo di quella bottiglia sparire tra le sue labbra.
La pizza era fredda ma non male, e la divorò, sotto gli occhi increduli del compagno. Lo sguardo di Alessio, divertito e luminoso, si spense d’un tratto davanti ai suoi occhi e lui si guardò intorno imbarazzato, evitando i suoi occhi.
Andrea sentì subito che qualcosa non andava. “Cosa c’è?”
“Andre, senti, io… ti ho fatto venire qui per dirti una cosa.”
Il suo stomaco si strinse in modo doloroso a quelle parole. “Che cosa?”
“Claudia, lei… quando le dai le chiavi del bar si incula qualche birra dal frigo. Ecco, l’ho detto. Lei mi aveva detto di non dirtelo, ma è ingiusto.”
Lo guardò con gli occhi sgranati, restando fermo immobile con l’ultima fetta di pizza a mezz’aria. “Cosa?”
“Ha rubato la birra alla Fenice con le tue chiavi. E ti ha invitato a uscire solo per questo, perché pensava potessi esserci utile, offrirci qualcosa ogni tanto… me l’ha detto lei.”
Andrea si sentì investito da un senso di nausea. C’era cascato in pieno, aveva appena iniziato a pensare che Claudia potesse essere cambiata, e ora questo. E aveva fatto la figura del coglione.
“E tu?” chiese, il cuore che gli correva nel petto. “Cos’è, un pentimento questo? Ti senti in colpa perché sei uscito con me per prendermi per il culo?”
Attese la risposta col fiato sospeso, come se la risposta avrebbe potuto fargli del male. Restò a guardarlo con gli occhi spalancati, che iniziarono a bruciare.
“No! Io… certo che no! Io voglio uscire con te perché… perché… perché sei mio amico!”
“Perché mi stai dicendo queste cose? Lei è la tua ragazza.”
“Perché la voglio lasciare. Mi sono stancato di lei. Mi sono stancato di tutto.”
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