3. Fulmine

“In realtà io stavo tornando a casa…” 

“Vieni, siediti qui!”

“Tu sei il famoso Andrea,” lo salutò una ragazza dai capelli cortissimi e senza maglietta, col pezzo di sopra del costume e un paio di pantaloncini. “Alessio sono anni che ci parla di te!” 

Andrea si morse il labbro in imbarazzo. “Piacere.” 

“Sono Maurizia, piacere mio!” 

“Roberto,” disse un ragazzo in carne seduto accanto a lei. 

“Paola,” si presentò l’ultima, ragazza bionda con la coda di cavallo. 

Andrea non prestò loro molta attenzione. Guardò Alessio, che era l’unico che non guardava lui, gli occhi scuri rivolti verso il mare. 

Tu sei il famoso Andrea. Alessio sono anni che ci parla di te. 

Doveva esserci un errore. Quella ragazza doveva averlo detto per prenderlo in giro, tutto qui. 

“Birra?” chiese Claudia, porgendogli una bottiglia di Ichnusa fresca. 

Lui tentennò, poi si abbassò a sedere sulla sabbia umida della notte. “Grazie,” disse, accettandola di buon grado. “Dov’è l’apri bottiglie?” 

Il ragazzo, Roberto, scoppiò a ridere. “C’è Mauri per quello!” 

Maurizia si allungò verso di lui e gli strappò via la bottiglia di mano. Si infilò il collo in bocca e la stappò coi denti. Paola applaudì, Andrea sbatté le palpebre, sbigottito. 

“L’ho imparato agli scout,” spiegò, con un sorriso. 

Andrea si rese conto che l’unica persona che ancora non gli aveva rivolto la parola era proprio Alessio. Desiderò dirgli qualcosa, rompere il ghiaccio in qualche modo, ma si rispose che in tutta probabilità lui non aveva nessuna intenzione di parlargli, così tacque. 

Portò la birra alle labbra e bevve qualche sorso. L’Ichnusa non era la sua preferita ma gli piaceva, anche se la trovava un po’  troppo frizzante per i suoi gusti. 

Sentì il peso di uno sguardo su di lui e notò con la coda dell’occhio che Alessio si era proprio in quel momento voltato a guardarlo, dalla prima volta da quando era arrivato. 

Non si girò verso di lui, non rispose allo sguardo. Lo tenne puntato verso Maurizia, che aveva iniziato a raccontare delle sue avventure alcoliche nello scoutismo. Andrea non aveva fatto lo scout, ma non si era mai immaginato che potessero bere così tanto, durante le attività. 

Quando però ebbe finito di raccontare dell’ultima route estiva, Maurizia si alzò in piedi senza preavviso. “Basta,” esclamò. “Fa troppo caldo, io entro in acqua. Chi viene con me?” 

“Io!” rispose subito Roberto, che non aveva staccato gli occhi da lei tutto il tempo. 

La ragazza si sfilò i pantaloncini e li lasciò cadere a terra, Andrea spostò lo sguardo su Roberto e si accorse che la stava ancora fissando, a occhi sgranati. Si sfilò la maglia anche lui, scoprendo centimetri di pelle morbida, e si tolse i pantaloncini rivelando due cosce voluminose. 

“Bagno di mezzanotte!” gridò la ragazza, correndo verso la distesa nera del mare notturno. 

“Non schizzare!” protestò Roberto, che l’aveva seguita sino a riva. 

I due si immersero, tra le risate di Maurizia e i lamenti di Roberto per il troppo freddo. Alessio, che Andrea aveva tenuto d’occhio tutto il tempo con la coda dell’occhio, non aveva guardato Maurizia in costumino neanche una volta. Aveva tenuto lo sguardo basso, accarezzava i capelli di Claudia con le dita, intrecciandole nei suoi ricci voluminosi. 

Troglodita ma fedele, pensò Andrea, con una punta di amarezza. 

“Devo pisciare ma non ho voglia di alzarmi,” si lamentò Paola, che aveva quattro birre vuote piantate nella sabbia proprio accanto. 

“Ti accompagno io, anch’io devo andare in bagno, stavo solo aspettando una scusa,” commentò Claudia, alzandosi a sedere. Si sporse verso Alessio e lui le stampò un bacio sulle labbra. 

Andrea distolse lo sguardo come scottato. 

Claudia si alzò in piedi e tese la mano a Paola, sollevandola di peso. 

“Dove andiamo? Sempre dietro al cespuglio?” 

“Per forza, io non torno sino a casa solo per andare in bagno.” 

“Ho le chiavi del bagno della Fenice,” si inserì, cacciando la mano in tasca. “Se non fate casino potete andare lì.” 

“Sei un angelo!” sospirò Claudia, lui mantenne per miracolo un’espressione  neutrale. 

Le porse le chiavi e spiegò “Quelle piccole sono quelle del bagno. Non c’è  bisogno che entrate al chiosco, è…” 

“Sul retro sulla sinistra, lo sappiamo,” disse Paola, che si sgrullava la sabbia di dosso. “Andiamo, amo?” 

“Sì, me la sto facendo addosso!” 

“Non bevetevi tutta la birra senza di noi!” raccomandarono, poi svanirono nella notte, al suono del loro chiacchiericcio. 

Andrea restò con Alessio, seduto sulla sabbia umida. La maglia rossa del lavoro, una polo con in bianco il logo del locale, era calda e lo faceva sudare. 

Dato che erano soli, Andrea si costrinse a guardarlo, almeno per educazione. Alessio non sembrava interessato a lui, guardava verso il punto in cui si intravedevano le sagome di Roberto e Maurizia, gli occhi fissi verso il mare. Aveva i capelli neri un po’ umidi, forse si era lavato prima di uscire perché era stato al mare. Sembrava ancora più abbronzato del giorno prima, e Andrea notò che aveva altri due tatuaggi sul braccio, una scritta che non riuscì a decifrare e quello che sembrava un elefantino stilizzato. 

Una canzone finì e un’altra iniziò. 

Andrea deglutì e si schiarì la voce. “I tatuaggi,” gli chiese, per rompere il ghiaccio. “Che significano?” 

Per la prima volta da quando aveva bevuto la birra, Alessio lo guardò. Sembrò sorpreso che gli stesse rivolgendo la parola, come se non se lo fosse aspettato. 

“Questi?” chiese, sporgendo il braccio verso di lui. Sfiorò la frase con le dita e Andrea desiderò imitarlo. “Questo qua dice ‘è il vuoto a ogni gradino’. L’ho  fatto alla morte di nonna, Montale era il suo poeta preferito.” 

“Anche il mio,” si lasciò sfuggire, e vide che Alessio alzava gli occhi dal suo tatuaggio per incatenarli ancora nei suoi. 

“L’elefantino è per Cagliari, ne è il simbolo. Vivo lì ora, per l’università. Ma ho anche una bussola che non punta il nord sulla spalla, per simboleggiare che non so dove cazzo sto andando. E sul fianco ho un sole e una luna, perché… beh, è un segreto.” 

Andrea fischiò la sua approvazione. “Posso vederlo?” chiese, perché era ridicolo e non vedeva un po’ di pelle da anni. 

Alessio non fece una piega. Si sollevò la maglia e scoprì il fianco, rivelando un sole e una luna, un disegno minimal ma dettagliato, di qualche centimetro di diametro. 

Dovette trattenersi dall’allungare la mano e toccarlo, e prima che potesse bearsi a sufficienza di quella vista la maglia torno giù, scivolando sulla sua pelle abbronzata. 

“Molto bello,” commentò, e se non si era riferito al tatuaggio, Alessio non doveva saperlo. 

“Grazie.” 

“Io non ho tatuaggi, sono troppo scostante. Penso che cambierei idea subito dopo essermelo fatto.” 

“Scrivi ancora?” 

“Eh?” 

“Poesie. Ne scrivi ancora?” 

Andrea lo guardò incredulo. “Hai una buona memoria.” 

Alessio distolse lo sguardo. “Non era poi tanto tempo fa,” borbottò sottovoce. 

“Comunque sì. Cioè, ora è tanto che non ne scrivo una, sono un po’ in blocco, ma sì. Non ho smesso, diciamo. Continuo a provare.” 

“Mi ricordo che eri bravo,” commentò, osservandosi le dita con aria distratta. “Me ne avevi letta qualcuna al tempo.” 

Sì, e la tua ragazza una volta le aveva trovate e mi aveva preso in giro per settimane recitandole a voce alta. 

“Erano atroci,” rispose, evitando di dire quello che pensava. “Ora sono migliorato.” 

“E che fai nella vita? A parte scrivere poesie, intendo.” 

Andrea si irrigidì. Come un animale braccato, sentì il cuore accelerare e analizzò le vie di fuga in cerca di quella più semplice. “Lavoro al bar,” rispose. “E tu?” 

“Io studio infermieristica. Sono a due esami dalla laurea. Dovrei darli a luglio, tornerò a Cagliari per qualche giorno. Per settembre dovrei laurearmi.” 

Come ogni volta che qualcuno raccontava dei suoi successi universitari, il cuore di Andrea si strinse sino a diventare minuscolo e pesante come un sasso. “Beh, complimenti. Infermieristica, poi! Ti ci vedo.” 

“Grazie. In realtà, tra i due, ho sempre pensato che saresti stato tu ad andare all’università.” 

“Ci andavo, infatti.” 

“Oh, sei già laureato?” 

“No.” 

La risposta risuonò nell’aria calda della notte come una sentenza. Alessio alzò lo sguardo su di lui un’altra volta, e finalmente lasciò trapelare un’emozione. Sembrava mortificato. “Oddio, scusa, non avrei dovuto chiedere…” 

“Non fa niente. Ma ora è meglio andare. Io… sono stanco,” disse, perché quella conversazione l’aveva provato e gli aveva fatto male. 

“Non puoi andare. Devi aspettare Claudia, ha le chiavi del bar.” 

Andrea sospirò, e si sdraiò sulla sabbia, inzaccherandosi tutti i capelli. “Hai ragione. Dici che ci metteranno tanto?” 

“Chi lo sa. Con quelle due non sai mai che aspettarti…” 

I battiti di Andrea faticarono a calmarsi. Una persona in più che sapeva che era un fallito. Alessio che sapeva che era un fallito, il suo amico d’infanzia, che forse conservava un’idea di lui ancora buona, di ragazzo intelligente, promettente. 

Ora sapeva che quella promessa non era stata mantenuta. 

Lo osservò dal basso, non sembrava deluso, solo turbato dall’aver fatto una gaffe. Lo stava ancora osservando, gli occhi scuri taglienti come lame. Esitò qualche attimo, poi si sdraiò accanto a lui. Le loro teste si sfiorarono. 

Perché hai fatto finta di non conoscermi? Pensò, ma non lo chiese. L’altro avrebbe potuto chiedergli la stessa cosa, dopotutto. 

“Me le farai leggere ancora?” 

“Cosa, le poesie?” 

“Sì, sono curioso. Hai detto che sei migliorato.” 

“Non lo so, io… non le faccio mai leggere a nessuno.” 

“Ma io non sono nessuno. A me le facevi leggere sempre, ed erano anche più brutte di quelle di adesso.” 

“Ora ti sei fatto l’idea che siano chissà che, ma non è così…” 

“Sarà. Io ti ho sempre invidiato il saper esprimere in quel modo le emozioni. Io non so farlo.” 

Andrea tacque. Forse era proprio questo il problema, che la poesia era espressione di emozioni, e non provava vere emozioni da tanto, troppo tempo. Gli antidepressivi lo avevano fatto smettere di piangere ogni giorno e di restare a letto immobilizzato dall’ansia, ma l’avevano spento, reso disinteressato verso tutto e verso tutti. 

“Penso di non saper più farlo neanche io.” 

“Non puoi non sapere più farlo. Tu ce l’hai dentro,” rispose. Era sdraiato a pancia in su, gli occhi puntati sul cielo stellato sopra di loro. Andrea stava per rispondergli che erano vere stupidaggini, che lui non aveva dentro un bel niente, solo un grande vuoto, quando lo vide sobbalzare e poi sorridere. 

Era la prima volta che lo vedeva sorridere, là in penombra gli sembrò che il suo volto si fosse illuminato, la vista gli diede un pugno alla bocca dello stomaco che gli mozzò il fiato in gola. 

“Una stella cadente! Svelto, esprimi un desiderio!” 

“Sei tu che l’hai vista cadere, dovresti esprimerlo tu.” 

“Ma io voglio darlo a te. Avanti, esprimine uno.” 

Girò gli occhi verso di lui, e i due si guardarono per qualche attimo. Andrea si chiese come fosse possibile che la sua immagine di bello-e-dannato fosse sfumata tanto in fretta, in quel momento gli sembrò un cucciolo di golden retriever scodinzolante. 

Si morse il labbro, pensieroso. “Okay, un desiderio. Mh…” 

Chiuse gli occhi, e il suo primo pensiero andò alla laurea. Lo escluse, perché non voleva pensarci e desiderare di averla non sarebbe servito a niente. Poi pensò di desiderare di essere felice di nuovo, ma sotto sotto sapeva che quello dipendeva da lui e lui soltanto. Così pensò a quello che aveva desiderato dal primo momento che l’aveva visto. Vide nella sua mente quelle labbra che reclamavano le sue con una fame d’aria, si vide attorcigliare le dita intorno a quelle ciocche d’inchiostro, visualizzò un paio di mani abbronzate esplorare la sua pelle ancora pallida, e per un attimo si impresse quell’immagine  così a fondo nella mente che gli sembrò vivida e reale. 

“Allora?” sentì, e riaprì gli occhi. Lui lo stava ancora guardando. “Non ti chiedo cos’hai desiderato o non si avvera, ma hai fatto?” 

“Tanto non si avvera comunque,” mormorò, sentendosi avvampare. Cercò di immaginare la sua reazione se avesse saputo cosa aveva scelto di desiderare, pensò che forse gli avrebbe dato un pugno. 

“Non dire così, non si può mai sapere nella vita.” 

“Certe cose si sanno e basta.” 

Eppure in quel momento, sdraiato sulla sabbia al buio della notte, col ragazzo a un respiro di distanza, gli sembrò quasi possibile vederlo accadere. Gli sembrò di trovare la sua voglia in parte riflessa negli occhi dell’altro. 

“Ma dove sono le altre?” 

La voce di Maurizia, uscita dall’acqua con Roberto al seguito, li fece sobbalzare. La vide coprirsi con un asciugamano che stava per terra, mentre Roberto non doveva averne portato uno e si abbracciava da solo tremante dal freddo. 

“Sono andate in bagno al chiosco, ma è un po’ che non tornano,” disse Alessio, poi cercò il telefono nella tasca. “Ora le chiamo.” 

“No, aspetta, le vedo!” esclamò Roberto, iniziando a sbracciarsi per attirare l’attenzione. 

“Eccoci!” 

Come al solito, la squillante voce di Claudia fu come sentire grattare le unghie sulla lavagna. 

“Oh, amore, quanto ci hai messo?” 

La domanda, che lasciava intendere che per tutto il tempo Alessio non aveva fatto altro che desiderare il ritorno della sua ragazza, gli diede fastidio. 

Anche se in realtà non aveva nessun motivo di provare fastidio. Alessio era eterissimo e fidanzatissimo, quindi non c’era nessun motivo di avere alcun tipo di mira su di lui. 

“Abbiamo allungato per prendere queste!” esclamò Paola, sollevando quelle che sembravano quattro birre grandi al cielo. 

Claudia gli lanciò le chiavi del locale, che gli atterrarono sulla pancia. Lui le afferrò e se le ri infilò in tasca. “Siete entrate al bar e avete preso delle birre?” 

“Macché!” rispose Claudia, ridendo. “Erano in macchina nella borsa frigo. Sono freschissime, ho pensato fossero meglio di quelle che avevamo già, che si stavano scaldando!” 

Claudia e Alessio si scambiarono uno sguardo strano a quelle parole, che Andrea notò e lo portò ad arricciare il labbro, confuso. 

Ricordando in quel momento della sua birra, si puntellò sui gomiti e ne bevve un sorso. Era da tanto che non beveva, perché era da tanto che non usciva coi suoi amici, e stava iniziando a dargli alla testa. In più, coi suoi antidepressivi era sconsigliato il bere. Non gli importava. Terminò quella bottiglia in due lunghi sorsi, e poi si beò della testa leggera. 

Alessio si alzò a sedere di nuovo, e Claudia si sdraiò ancora sulle sue gambe. Andrea provò una fitta di gelosia, e si sentì ridicolo per questo. 

La serata scorse tranquilla, finirono le birre – sia quelle calde che quelle fresche – e Claudia raccontò loro del suo imminente viaggio a Barcellona, che sarebbe avvenuto la settimana successiva. 

Andrea restò in silenzio, d’un tratto inibito dalla presenza della ragazza. Si accorse che, incidente dell’università a parte, parlare con Alessio gli aveva fatto piacere, e che quella sensazione era stata in parte guastata dalla presenza opprimente della fidanzata. 

Quando furono circa le tre, la combriccola decise che era ora di andare a letto, e lui si allontanò, andando verso casa e facendo la strada con Roberto, che abitava vicino a lui. Mentre si allontanava, sentì Claudia dire “Non è simpatico?” e, anche se si trattava di un complimento, la frase gli diede fastidio. Anche perché era sicuro che non fosse sincera. 

Arrivò a casa che tutti dormivano, come il giorno prima. Prese i suoi antidepressivi e, proprio come la notte precedente, non andò subito a dormire. Accese il ventilatore, sbloccò lo schermo del cellulare, e aprì le note. 

Fulmine.

Crepitare di luci nel buio 
Scintille nel vuoto, un sussurro 
E dal nulla tuonò l’esplosione 

La miccia si accese di scatto 
Un momento ed il gioco fu fatto,
Sei arrivato a me come un ceffone. 

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