Ubriaca tra le pagliuzze
In tutti gli altri eventi, piena è la donna di paure, e vile contro la forza, e quando vede un ferro; ma quando, invece, offesa è nel suo talamo, cuore non c'è del suo più sanguinario.
Medea, Euripide
Apro gli occhi lentamente, mentre sento che qualcuno mi scuote il braccio: «Ehi Sbocchina, siamo arrivati» dice una voce.
La mia faccia è spalmata sul vetro freddo dell'automobile, e la prima cosa che vedo sono delle goccioline che scendono veloci dall'alto verso il basso. Fuori, la strada è buia, e sembra che la pioggia sia aumentata rispetto a quando siamo partiti. Si sente scrosciare forte sulle pareti della macchina e, con una parvenza di lucidità che non credevo di possedere ancora, riesco a pensare al fatto che, forse, il rumore della pioggia che picchietta quando si è chiusi in una macchina è tutto ciò che di più magico ha creato la natura.
Stacco velocemente la faccia dal vetro e, in maniera davvero poco elegante, mi asciugo un lato della bocca da cui esce un rivoletto di sbava. Ho ufficialmente toccato il fondo, mi dico mentre mi volto imbarazzata verso il guidatore, che mi sta fissando con espressione indecifrabile.
«Scusami...» dico in fretta, togliendomi la sua giacca e posandola sul cruscotto. «Non ti ho nemmeno tenuto compagnia durante il viaggio. Sono davvero pessima»
«Mi hai tenuto compagnia eccome: hai russato» dice lui, massaggiandosi le tempie con gli occhi chiusi. Sembra molto stanco, e io mi soffermo ad osservarlo compiere quel gesto un secondo di troppo. Lui si interrompe a voltarmi e sembra accorgersene, così replico in fretta:
«Io non russo»
«Hai russato eccome!»
«No ehi, fermi tutti, io mi conosco bene e quando dormo faccio cose strane, ma non ho mai russato»
«... cose strane, tipo?» alza un sopracciglio, scrutandomi.
«Boh, i miei mi giurano che in seconda elementare mi hanno trovata in cucina che sbattevo un merluzzo sul tavolo affermando di volerlo riportare in vita...» mi soffermo un attimo a pensare. «E la mia migliore amica mi ha detto che una notte mi ha beccata mentre facevo stretching a fianco al letto, e quando mi ha chiesto che razza di problemi avessi, io le ho risposto che mi stavo preparando per saltare»
«Saltare?»
«Sì, saltare dal trampolino» annuisco, mentre lui mi fissa perplesso «In quel periodo guardavo molto le Olimpiadi» aggiungo, a mo' di spiegazione. «Ah, e c'è stato un altro periodo in cui ero molto stressata per gli esami di maturità e, a quanto pare, vagavo per le stanze recitando ad alta voce la Medea di Euripide»
«In... greco?» mi domanda, un po' spaventato.
«Così dicono» confermo. «Comunque non è servito a un cazzo, a giudicare da come sono andata male agli orali. Probabilmente ho dato tutto quella notte e nel cervello non è rimasto più nulla» rifletto ad alta voce, più parlando con me stessa che con lui.
Mi fissa interdetto, prima di scandire lentamente le parole: «Ma tu quanto cazzo parli...»
Non ha molto l'aria di essere una domanda; è piuttosto una constatazione, e io non posso fare altro che annuire con un sorriso tirato in volto. La mia serata è stata uno schifo, ma è stata soltanto colpa mia, della mia stupidità e della mia bramosia di gin tonic, quindi tecnicamente me lo merito. Ma lui... lui si è solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Voleva fumarsi una sigaretta in pace, tutto bello e maledetto sul suo muretto, ed invece si è ritrovato una ragazza storna e logorroica che non solo gli ha quasi vomitato sulla sua giacchettina in pelle profumata, ma si è pure fatta scarrozzare a casa sbavandogli sui sedili.
«Già, sono una frana nel rapportarmi la prima volta con qualcuno che non conosco» annuncio tristemente. Sto per aggiungere che autodefinirsi "frana" non va più di moda dagli anni Novanta, ma per qualche strana congettura astrale riesco a mordermi la lingua e ad allungarmi verso la portiera. «... mi viene il panico perché ho paura cada un silenzio imbarazzante e quindi continuo a parlare per coprire quel silenzio che probabilmente, in ogni caso, non ci sarebbe, ma entro in un tunnel infinito di cazzate e - »
«Silenzio imbarazzante?» scoppia in una risata «Con te? Ti conosco da dieci minuti e non ho mai sentito così tante parole in fila dette velocemente una dietro l'altra»
Lo guardo di traverso «Beh, mio caro, ringrazia la mia politica verso gli sconosciuti: se non fosse per me, noi due non staremmo nemmeno avendo un dialogo»
«Se non fosse per me, invece, noi non staremmo dialogando per il semplice fatto che tu saresti da sola e sotto la pioggia a venti chilometri da qui» mi scocca lui, divertito.
Colpita e affondata. «Vaaa bene simpaticone...» sussurro. Mi sporgo ancora verso la maniglia e faccio per congedarmi: «Ti ringrazio molto per tutto, sai, la sigaretta con cui quasi prendevo fuoco, la vomitata sostenuta dalle tue braccia forti...»
«Ma tu ti senti quando parli?»
«... il passaggio a casa...» continuo io indifferente, preparandomi a scendere sotto la pioggia. Ormai la mia lingua non ha un freno, e mi rendo conto che davanti a questo tizio non c'è più niente da nascondere: sto parlando a ruota libera da quando lo conosco, e non ho più una benché minima parvenza di dignità da preservare.
«Ehi, bloccati un secondo» mi mette una mano sulla spalla nuda. Nuda? Nuda... perché sono nuda? Me ne rendo conto solo in questo momento. La mia maglietta a maniche corte è completamente scivolata su un lato, lasciando scoperta un'ampia porzione di clavicola e la spalla sinistra. Lui mi poggia proprio lì la sua mano, e sento che è calda sulla mia pelle ancora bagnata di pioggia. Come se mi fossi improvvisamente ridestata, sposto la spalla su cui mi ha posato la mano verso il basso, come se non potessi sostenere quel peso, e lui la toglie subito da lì con uno scatto, come se si fosse bruciato, come se il gesto appena compiuto fosse differente rispetto a quello che aveva in mente di compiere. Vedo un'ombra di scusa nei suoi occhi, e lo fisso tranquilla mentre mi risistemo la maglietta, in modo da coprirmi equamente entrambe le spalle. I suoi occhi scuri si muovono lentamente su di me mentre io compio quel gesto. «Mentre dormivi hai effettivamente parlato...» continua, senza staccare gli occhi dalla mia maglietta bianca. Finalmente alza lo sguardo e lo posa sul mio, che lo ricambia interrogativo: «Fammi vedere quel posto dove non hai i tatuaggi... mi hai praticamente implorato!»
Sgrano gli occhi, mettendomi una mano sulla bocca «Ma... ma che cazzo dici...»
Lui annuisce con vigore «Te lo giuro: avevi gli occhi chiusi ma stavi proprio parlando con me. Continuavi a ripetermi di togliermi i pantaloni e farti vedere»
Non riesco a muovermi di un millimetro. È vero, lui è oggettivamente bellino, anche così, un po' in penombra in stile vedo-non vedo. Ed è effettivamente da me diventare molto ciarliera da ubriaca, così come potrebbe effettivamente essere successo di pensare a come potrebbe essere questo tizio mezzo nudo e ricoperto solo dei suoi tatuaggi, ma addirittura arrivare alle molestie sessuali questo, ecco, questo potrebbe essere un tantino esagerato anche per la sottoscritta...
«... quindi. Che si fa?»
«Che... "che si fa" in che senso...» balbetto, con le mani ancora davanti alla bocca.
Lui si apre in un sorriso molto grande e davvero molto sornione: «Me li tolgo io i pantaloni, o me li togli tu?»
Attimo di panico e occhi ancor più sgranati dell'umanamente sgranabile «Ah-ah. Davvero esilarante»
«Non puoi illudermi così... io ti ho strappata dalla strada, ti ho portata sana e salva a casa, devi dimostrarmi un minimo di riconoscenza»
«Di sicuro» borbotto nervosa «Passa domani e ti offro il caffè, ok?» gli indico il Borgo Antico, dall'altra parte della strada, rendendo chiara la mia intenzione di allontanarmi il più velocemente possibile da quel discorso scomodo.
«Tu lavori lì?» mi domanda stupito, voltandosi a fissare il punto che gli ho indicato, dietro alle sue spalle «Pensavo studiassi latino, o quelle cazzate lì...»
«Studio anche latino. E lavoro. E per la cronaca "quelle cazzate lì"-»
«Occazzo, ora riparte con la filippica su Roma che ci ha dato i natali» mi interrompe «Mi piaci di più quando stai zitta» aggiunge scandendo lentamente, facendo schioccare la lingua e riprendendo a guardarmi la maglietta.
Stringo gli occhi a due fessure, e mentre tento di coprirmi come posso dal suo sguardo fermo, con voce dura gli rispondo: «Anche tu mi piaci di più quando stai zitto»
«Allora toglimi i pantaloni mentre sto in silenzio» mi fa, imitando la mia voce e stringendo gli occhi come ho fatto io.
«Ma piantala...» mormoro imbarazzata, distogliendo immediatamente lo sguardo dal suo e chinandomi a raccogliere la mia borsa. Lui, nel frattempo, scoppia a ridere. Sta per aggiungere qualcos'altro quando sento un cellulare squillare.
Con la coda dell'occhio, lo vedo irrigidirsi mentre muove il dito sullo schermo. «Cosa c'è» chiede con voce atona all'interlocutore. Aspetta un secondo in silenzio, guardando la strada davanti a sé con sguardo vuoto, una mano che tocca nervosamente il volante. «No. Ho fatto una cosa. Ora torno»
Mi rendo conto che quella è una telefonata privata, e lui ha immediatamente cambiato l'espressione del viso, divertita fino a qualche attimo prima. Mi sento davvero di troppo e siamo fermi in mezzo alla strada da molto tempo, con le quattro frecce che lampeggiando ad intermittenza. Mi avvicino a lui lentamente e gli tocco una spalla, e quando lui si volta a guardarmi, col cellulare ancora attaccato all'orecchio, lo vedo per la prima volta da vicino. La sua pelle è liscia e olivastra, la forma del viso regolare e nei suoi occhi scuri, da così vicino, si intravedono delle piccole pagliuzze ambrate che quasi stonano con il resto del viso, altrimenti completamente buio. I capelli bagnati sono nerissimi, così come le sopracciglia, non troppo folte ma neanche particolarmente curate. Quando si volta verso di me di scatto, ricordandosi della mia presenza al suo fianco, i suoi occhi guizzano velocemente sulle mia mano sulla sua spalla, che io mi affretto a togliere. Ma è solo un attimo, le pagliuzze tornano a guardarmi dritte negli occhi, e io mi sento completamente e incomprensibilmente nuda, anche se la mia maglietta ora è coprente al posto giusto – forse solo un po' più bagnata e trasparente di come dovrebbe essere. Mi sento quasi intimorita dalla sua bellezza, come se non fossi degna di trovarmi così vicino a quel viso. Questa consapevolezza, e il fatto non voler origliare una chiamata che lo sta evidentemente infastidendo, mi costringono a dire più in fretta di quanto vorrei un "Grazie" con le labbra, non emettendo nessun suono. E senza aspettare risposta, in un secondo, mi riverso fuori dall'auto, cominciando a correre sotto la pioggia, cercando di ripararmi alla bell'e meglio con la mia borsa. "Bell'e meglio" altro termine, peraltro, in disuso sin dagli anni Novanta (forse addirittura mai stato veramente in uso).
L'impatto con l'acqua mi fa rabbrividire, e tento come posso di coprirmi, correndo verso casa con la borsa sulla testa. Mentre tendo scoordinatamente di evitare le pozzanghere, facendo dei balzi a destra e a sinistra, e penso a quanto sia il caso di terminare questa serata il prima possibile buttandomi a letto, sento una macchina che mi affianca. Il finestrino è abbassato, il guidatore procede lentamente tenendo il mio passo.
«Ehi piccola Cenerentola Pervertita... pensi che il tuo debito sia estinto semplicemente perché sei corsa via?» mi chiede, dall'interno dell'abitacolo.
«Piantala!» gli dico irritata di rimando, continuando a mantenere il passo sotto la pioggia scrosciante.
«Per ora mi accontento di un caffè...» mi risponde con voce divertita.
«Te lo fai bastare per a ora e per sempre!» replico, sempre più stizzita. Questo tizio ha la capacità di innervosirmi in una maniera inaudita, e mi parla come, in ventun'anni di vita, non si è mai azzardato a parlarmi nessuno.
«Calma calma piccola Pervertita... arriverà il momento in cui mi supplicherai di nuovo di togliermi i pantaloni» lo sento dire con un sorriso arrogante «e ti giuro che a quel punto sarai totalmente consenziente!»
Mi blocco improvvisamente, non sento più il freddo né la pioggia che martella sul mio corpo scoperto, e vedo che anche la macchina si stoppa, a qualche metro da me. Mi avvicino all'auto come una furia, con due falcate veloci, mentre sento la rabbia che mi scalda le guance. Mi chino quanto basta per guardarlo negli occhi: «Ma tu, esattamente, chi cazzo ti credi di essere?»
Lui mi fissa con un sorrisetto stampato in faccia, mentre con un gesto della mano si mette a posto i capelli. Attimo di crisi interiore da parte mia, che a quel movimento così lento e sensuale mi dimentico momentaneamente anche come mi chiamo e per quale motivo sento tutta quella rabbia esplodermi nel petto: ogni volta che mi concentro sul suo viso, quelle pagliuzze sul fondo dei pozzi neri mi incatenano con così tanta forza al suo sguardo, da farmi momentaneamente vacillare. Tutta la rabbia e il coraggio che da sempre mi contraddistinguono, così come la lingua lunga, la sfuriata facile, la battuta sempre pronta, mi muoiono in gola ogni volta che i suoi occhi si puntano nei miei con quelle pagliuzze ambrate che si intravedono nonostante l'abitacolo sia quasi completamente al buio, fatta eccezione per qualche fioco riflesso di luce emanato dai lampioni in strada.
Non credo lui si renda conto del mio cedimento. Mi impongo di non abbassare lo sguardo, nonostante sia seriamente tentata di farlo mentre i secondi passano e lui non risponde alla mia domanda. Piazzo le mani sul tettuccio della macchina, un po' teatralmente, con tutta la forza che ho, cercando di fare il più rumore possibile: «Allora!?» sbraito «Ti informo che le molestie verbali per strada, in Francia, sono recentemente diventate un reato punibile con multa, si chiama Cat-calling!»
Lo vedo mantenere il sorrisetto e sporgersi verso di me «Ti ricordo, piccola Pervertita, che hai iniziato tu con le molestie sessuali... in macchina. Come si chiama questo? Car-calling?»
Socchiudo gli occhi. Devo ancora capire se tutta questa storia che lui si ostina a sostenere sia successa realmente o se si tratta soltanto di una bugia, quindi non mi fido a replicare e decido di cambiare argomento: «... E PIANTALA DI CHIAMARMI PERVERTITA!»
Lui scoppia ancora una volta a ridere, mentre io sono costretta a togliere le mani dal tettuccio della macchina perché vedo che, dopo aver premuto un bottone, lui sta alzando il finestrino. Lo guardo truce mentre faccio un passo indietro. Quando il finestrino è quasi completamente chiuso, sento la sua voce, ancora divertita: «A domani... Sbocchina!»
La macchina riparte istantaneamente, e io rimango ferma immobile, sotto la pioggia, completamente bagnata, con le guance ancora rosse di rabbia.
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