Quella volta che è cambiata l'estate


È una di quelle tipiche giornate estive di città: il caldo afoso, le strade svuotate, gli edifici illuminati da un sole che non concede tregua. Tutto è giallo e luminoso, ricoperto da una patina di sonnolenza e immobilità, soprattutto durante le prime ore del pomeriggio. Un pomeriggio che ha tutta l'aria di essere uguale a molti altri, di molte altre estati che sono state e che verranno: sedute su dei gradini, a fumare qualche sigaretta immerse nella tipica stasi liceale, che rende reali solo i momenti passati tra i banchi, i voti di filosofia, le versioni di greco. Tutto il resto è contorno scomodo, è spreco; ed in quello spreco noi viviamo la vita vera, evitando accuratamente di parlare di tutto ciò che rimanda all'inizio della scuola imminente, concentrandoci sugli ultimi residui di libertà concessa da un'estate che sembra non finire mai.

«... abbiamo deciso» sto dicendo a Nina e Cecilia, con serietà «che se non trovo l'uomo della mia vita, l'anno prossimo facciamo sesso».

Nina mi guarda con un sopracciglio alzato: «Wow! Verranno fuori tante belle scimmiette...»

«Cogliona» le do un pugno «In foto viene male...». Immane cazzata: so benissimo che Giorgio, amico di vecchia data che rivedo puntualmente ogni estate al mare, è addirittura molto più brutto live, rispetto a come appare in foto.

«Lali, sembra uno scimmione. Ha il mascellone alla De Niro...» e mentre lo dice porta avanti la mascella in maniera esagerata. Quindi continua, con voce storpiata «"Ehi Lali, andiamo a fare zumba zumba nelle caverne"»

Sto per risponderle, quando una panda rossa si ferma con una frenata rumorosa in mezzo alla strada, a qualche metro da noi. Ci voltiamo a guardare: è strano trovare in giro qualcuno per il centro a quest'ora, e per di più con questo caldo.

Dal finestrino abbassato vedo sbucare la faccia di un bel ragazzo dai capelli castano chiari, che si protende avanti. È abbronzato, la pelle dorata contrasta con il bianco lacerante del suo sorriso. Non credo di averlo mai visto così bello come in quel momento, il braccio appoggiato fuori dal finestrino e gli occhi nascosti dietro un paio di rayban scuri.

«Ciao Nina!» urla, da lontano, nella nostra direzione. La mia amica gli sorride e si raddrizza confusa, vicino a me. «Ti servono i libri di quarta? Sto cercando qualcuno a cui venderli!»

Nina scatta in piedi, salutandolo con una mano, mentre si avvia verso la macchina aggiustandosi la frangetta. Ha uno dei suoi soliti vestitini chiari a fiori blu, col busto aderente e la gonna morbida a campana, e delle ballerine ai piedi. Non è il tipo che si abbassa a sbraitare ad un ragazzo da una parte all'altra della strada, e per questo la invidio molto: se lui avesse chiamato me, probabilmente avrei cominciato a correre senza dignità verso la panda rossa con un sorriso a mille denti e due cuoricioni al posto degli occhi, rischiando di inciampare rovinosamente nei miei stessi piedi; lei, con un sorriso genuino e una pacatezza invidiabile, cammina ancheggiando, la pelle chiarissima che quasi riflette il sole, ma noto che il ragazzo alla guida sta fissando me da lontano. E continua a farlo anche mentre Nina si appoggia al suo finestrino e gli dice qualcosa che, da dove sono, non riesco a sentire.

«Maledetto club di piccolo borghesi» sussurro a Cecilia «tra di loro si conoscono tutti. È una setta. Io è anni che provo a rivolgergli la parola e non mi si fila manco per il...»

«Lali!» Nina mi chiama, da lontano «Come sei messa coi libri di quarta?»

Cecilia, scoppia ridere, mentre io scatto in piedi, e mi incita: «Vai vai, Che Guevara...»

Raggiungo velocemente la macchina ferma in mezzo alla strada, imponendomi di non correre.

«Ciao» dico con un sussurro, accaldata da quel breve sforzo fisico. Sento il vestitino che indosso attaccarsi alla pelle, e mi sembra lui, dietro gli occhiali da sole, lo stia notando. «Effettivamente io sono interessata. Mi mancano ancora greco, filosofia e...»

«Oh Tazio, leviamo il culo che sto di merda...» sento un rantolo provenire dal retro della macchina. Un ragazzo rasta che non avevo notato è spalmato sui sedili posteriori e si tiene una gamba con entrambe le mani. Lo guardo con aria interrogativa.

«Adesso andiamo, cretino, sto cercando di sbolognare i miei libri dell'anno scorso...» gli risponde Tazio, infastidito.

«Proprio ora, lo devi fare?» si lamenta l'altro.

«Sì» Tazio torna a guardarmi. «Ora.» Sento le viscere contorcersi e a malapena mi rendo conto di Nina che mi tira una lieve gomitata nello stomaco.

«Scusalo» aggiunge il ragazzo, rivolgendosi a me. «Il coglione qui dietro ha avuto la brillante idea di dimostrare a tutti le sue doti da ginnasta, facendo una verticale...»

«... era una ruota...» bofonchia quello.

«... una ruota, da ubriaco marcio. A quanto pare gli è uscito il menisco» conclude Tazio, rivolgendomi un sorriso.

«Quel cazzo di prato era in pendenza...» borbotta il rasta da dietro.

«Era in pendenza anche prima che tu facessi la ruota, Ciubbe»

«Sei in quelle condizioni da ieri sera?» chiedo stupita, indicando il rasta.

«No, è appena successo, ma è da ieri pomeriggio che beviamo e...»

«Va bene Ciubbe, non ammorbiamole con le nostre disavventure ginniche!» lo interrompe Tazio, e mi sembra irritato da quello che il suo amico si apprestava a confessare.

«Non c'è niente da nascondere» sbotta l'altro «ti sei fermato a rimorchiare solo perché sei ubriaco, altrimenti saremmo già in ospedale da un pezzo...»

«Si sa, d'altronde, che le migliori cose nascono dalle migliori sbronze» intervengo io, facendo un occhiolino a quel tizio che, a quanto pare, fa "Ciubbe" di soprannome. Non sono un'accanita bevitrice, ma anche ogni tanto capita anche a me di esagerare con l'alcool... magari non di sabato. Alle tre di pomeriggio. Con una temperatura percepita di sessanta gradi all'ombra.

Tazio sembra divertito dalla mia risposta: «Se ci scambiamo i numeri, poi ci mettiamo d'accordo per i libri. Io comunque sono Tazio» e mi allunga una mano oltre il finestrino, come se non sapessi già il suo nome, cognome, scadenza della carta d'identità, codice Iban.

«... e la sventurata rispose...» dice ironico Ciubbe dai sedili posteriori, facendo roteare gli occhi al cielo.

«Laura. Io sono Laura» e spero con tutta me stessa che non noti il tremolio della mia mano non appena entra in contatto con la sua.

«Ottimo... Laura» ripete lui esibendosi in uno dei suoi sorrisi mozzafiato. «Sei una ragazza fortunata: ti passerò dei libri usati che ti sembreranno così nuovi da arrivare addirittura a pensare che il proprietario precedente non li abbia aperti nemmeno una volta!»

Nina sposta lo sguardo lentamente da lui, che sorride, a me, inebetita, e sussurra ironica «Si, Laura, ragazza fortunata...»

Le mollo un piccolo calcio sullo stinco, senza farmi vedere. «Allora esigo uno sconto» dico, senza staccare gli occhi da lui «Mi toccherà fare tutti gli esercizi di greco di mio pugno, se chi aveva il libro prima di me non li ha già fatti...»

«Ehi, giuro che appena arrivo a casa ti completo tutti gli esercizi che non ho mai fatto l'anno scorso!» mi risponde dietro gli occhiali da sole.

«Sì certo, da 'mbriago come una rana...» commenta Ciubbe dal retro.

Tazio fa finta di non sentirlo: «Aoristi e ablativi assoluti tutta la notte, se necessario!»

Io e Nina scoppiamo a ridere, e lei interviene: «Tu lo sai che l'ablativo assoluto è un costrutto latino e non greco, vero?»

«No che non lo sa...» commenta l'altro da dietro.

«Certo che lo so, per chi mi avete preso?» poi si rivolge ancora a me «Farò quegli esercizi così bene e i tuoi voti subiranno un'impennata così drastica, che l'anno prossimo mi pregherai di rivenderti i miei libri di quest'anno. E così entrerai in un loop infinito per cui ti sarà impossibile liberarti di me» mi sorride furbo, mentre io cerco di mantenere un'espressione neutra, anche se mi stanno per cedere le gambe. Questo ragazzo non ha idea del fatto che, se pochi minuti prima, qualcuno mi avesse messo davanti alla scelta: vendi tua madre o parla con Tazio Rigoni, avrei scelto la seconda opzione ad occhi chiusi e senza troppe remore. Mia madre sarebbe stata onorata di sacrificarsi per farmi parlare con quello che è sempre stato il mio più grande sogno erotico fin dal primo giorno di liceo.

«Bene, accetto l'offerta volentieri. Ho davvero bisogno di un'impennata alla mia media di greco, che di solito si aggira intorno al quattro virgola tre...»

«Anche la sua!» interviene Ciubbe molesto, sempre da dietro.

«Senti Juri Chechi, ma tu da che parte stai?» sbotta Tazio, girandosi verso il suo amico rasta.

«Dalla parte degli onesti» risponde quello, solenne. «E degli amici che ti portano all'ospedale quando stai per tirare un crepo...»

Nina ride e risponde al posto di Tazio «Se come dici tu il problema è il menisco, ti faranno solamente stare a riposo un paio di giorni»

«Vieni a casa a curarmi tu?» le risponde Ciubbe con un guizzo improvviso, come se si fosse accorto di lei solo in quel momento, con un sorriso sfacciato. Per la prima volta, si muove dalla sua posizione distesa per sbucare con la testa tra i sedili anteriori, protendendo le braccia verso Nina: «Curami! Ti prego, dolce ragazza dalla pelle diafana e dalla bocca sanguigna, solo le tue tenui mani sul mio vigoroso corpo potrebbero alleviare il mio male incurabile...»
Lei spalanca gli occhi, sorpresa.

Tazio ride: «Così vigoroso da perder pezzi con una ruota...»

«Dolce ninfa dei boschi, divinità celeste, sacra e pudica pulzella! Alleggerisci il mio peso, guàda il mio animo...» continua quello imperterrito, facendo ridere sia me che Nina a crepapelle.

«Brutto coglione...» gli dice Tazio tirandogli una gomitata nelle costole. E poi, rivolto a noi: «È meglio se andiamo. Venite alla festa di Ciubbe, sabato? Così io e Laura ci mettiamo d'accordo meglio...»

«Creatura ultraterrena! Angelo guaritore! Ippocrate dei tempi moderni!»

«... vi mando l'invito via Facebook. Ok?»

Io e Nina annuiamo divertite, mentre lui accende la macchina e l'altro continua a urlare: «Salvami! Sono spacciato, senza di te, mia tenerissima...» si interrompe. «Com'è che si chiama?»

«Nina» sbuffa Tazio, mettendo in moto e rivolgendomi un ultimo sorriso. Io ricambio, ancora sottosopra.

Il rasta non si dà per vinto, e si lancia con tutto il busto fuori dal finestrino, le braccia spalancate verso di noi mentre la macchina si allontana: «... tenerissima Nina! Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo!»

«... unica frase di Shakespeare che conosci...» sottolinea la voce lontana di Tazio.

«Ninetta mia! Crepare di maggio! Ci vuole tanto, troppo coraggio!»

«Siamo in agosto, coglione...»

«Ehi, non si storpia De André, ok?» e poi ancora, poco prima di vedere la panda svoltare l'angolo: «NINETTA BELLA, DRITTO ALL'INFERNO, AVREI PREFERITO ANDARCI IN INVERNO!»

La panda scompare dal nostro orizzonte, e io e Nina rimaniamo ferme nel silenzio che ci circonda. Ci metto un attimo a realizzare ciò che è appena successo: il caldo afoso si riappropria di me in una frazione di secondo, il sole ricomincia a battermi sulla testa con una pala e le goccioline che ho sul collo lasciano una lunga scia cedendo sulla schiena. Mi metto le due mani sulle guance che sento divampare, premendomele forte, mentre Nina si volta a guardarmi con gli occhi sbarrati, toccandosi la frangetta con quel suo tic nervoso che la contraddistingue da sempre. Scoppiamo a ridere all'unisono, nel silenzio della città abbandonata, mentre mi chiedo se quello che è appena successo è stato frutto della mia immaginazione o se, davvero, Tazio Rigoni non solo mi ha rivolto la parola, ma mi ha anche invitata ad una festa.

Lo stupore generale è rotto dalla voce lontana di Cecilia: «... ma che cazzo di problemi aveva quel tipo!?»

Io e Nina ci scocchiamo un'occhiata, e facciamo per tornare verso la nostra amica, ancora seduta all'ombra sui gradini. «Avevo capito che i libri di terza te li aveva già passati tuo fratello» mi dice.

«Infatti» rido «li ho già tutti quanti da un pezzo».

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