31
Travis si ferma all'entrata. Vede i miei bagagli e me pronta ad andare via.
Sfila il cappotto più in fretta che può, facendo prevalere la disperazione, avanzando con le mani in avanti mentre io indietreggio. «Te ne avrei parlato», dice tremando, intuendo le mie intenzioni. «Prima dovevo...»
Lo guardo male mentre Nan entra in casa avendo la sua stessa reazione alla vista delle mie poche cose in un angolo.
«No, non lo avresti fatto perché il tuo passato doveva restare tale, non è vero?» alzo il tono rabbiosa. «Perché io non faccio parte della tua vita. Perché sono solo una stupita ragazzina da proteggere, proprio come tutti quelli che hai tenuto al sicuro!» gli occhi bruciano ma non mostro alcuna lacrima. Non voglio dargli il potere e la soddisfazione di vedermi ancora spezzata. «Sei proprio come tutti gli altri», scuoto la testa e zoppicante lo supero.
Mi afferra per un polso e lo spingo. «Non toccarmi!» urlo abbracciandomi rivedendo le immagini dell'incendio, risentendo le mani di Patrick addosso. Flash che continuano a tormentarmi, a raggiungermi, a ferirmi.
Travis ha un sussulto, credo abbia capito. «Sediamoci e parliamone», dice cercando di mantenere la calma. Usa un tono sottomesso, non è proprio da lui.
«Parlarne? È da quando ci conosciamo che mi tieni nascosta la verità. Adesso non voglio neanche saperla. È tardi...»
Nan è sparita ma sulla soglia compare Emerson con il suo fidanzato, Brian. Nell'attesa le ho inviato la mia posizione. Quest'ultimo mi saluta con un cenno e prendendo le mie cose scende al piano di sotto senza fare rumore. Emerson invece guarda male Travis. «Sei proprio uno stronzo!» gli ringhia addosso come una mamma che intende difendere il proprio cucciolo di orso, circondandomi le spalle con un braccio.
«Bambi...»
«NO!» mi fermo urlando così forte da sentire le corde vocali spezzarsi. «No, Trav. Tu sai tutto di me mentre io... non ti conosco...» sussurro infine senza voce. «Non so chi sei e... non ti credo. Grazie per avermi illusa», giro sui tacchi seguendo Emerson che continua a guardare male ogni cosa.
Entriamo a rilento in ascensore a causa della mia andatura. Travis mi corre dietro senza attendere o perdere tempo, deciso a trattenermi. «Bambi, entra in casa e parliamo. Ti dirò ogni cosa. Te lo prometto. Ero fuori per risolvere proprio questo problema. Non pensavo di...»
Nego. Non voglio sentire un'altra bugia. Non voglio più ascoltarlo. Il mio cuore non reggerebbe. «Dimmi solo una cosa», lo guardo finalmente dritto negli occhi colpendolo con tutta la rabbia che mi circola dentro le vene.
Infila i pugni dentro le tasche dei jeans che indossa. «Tutto», non esita.
«Ti rendi almeno conto di avermi persa?» le porte scorrevoli si chiudono e stringo forte il pugno notando i suoi occhi spalancarsi. Emerson mi abbraccia nell'immediato vedendomi barcollare all'indietro . «L'appartamento è più che sicuro. Anche il parcheggio. Ho fatto la spesa e trovi ogni cosa in ordine perché ho fatto pulire ogni stanza da cima a fondo per farti sentire a tuo agio», mi tiene compagnia credendo che io stia per avere un crollo nervoso. In realtà vorrei, mi piacerebbe mettermi ad urlare come una pazza, dare di matto, ma non ci riesco. L'ennesimo colpo è arrivato e io ho sentito un dolore così intenso da perdermi.
Saliamo in auto e Brian accende il riscaldamento stringendole la mano. Non appena si guardano complici mi sento male, così male da sentire il bisogno di aprire il finestrino. Boccheggio cercando di eludere un pianto isterico ormai alle porte mentre l'aria fredda frusta il mio viso. E, mentre ci allontaniamo dalla zona per raggiungere l'appartamento, mi rannicchio dentro me stessa adagiandomi al buio. Perché è dove sono ripiombata in un attimo. Era troppo bello per essere vero. Una come me non sarà mai felice. Non avrà mai fortuna.
Emerson ad un certo punto del viaggio si volta. «Come va?» chiede.
«Bene», mento.
Lei fa una smorfia. Ancora una volta Brian le stringe la mano. Una fitta al petto mi toglie il respiro e attendo impaziente di arrivare a destinazione e chiudermi in una stanza. Isolarmi mi sembra l'unica soluzione al momento. Non sono di compagnia, rischio di mettermi a piangere per tutto e non sono dell'umore per parlare.
Quando finalmente arriviamo, rimasta sola dopo avere rifiutato ogni tipo di proposta da parte di Emerson e averla ringraziata, chiudo a chiave la porta. Stringo al petto il vaso con le rose e la scatolina portandola nella stanza degli ospiti dove è tutto pulito e in ordine, proprio come aveva detto in ascensore. Sistemo il vaso sul comodino, tengo la scatolina stretta e stendendomi cerco di trovare conforto nel sonno che, purtroppo non arriva.
Stanca e nervosa, raggiungo la cucina. Il mio telefono continua a squillare. Non ho ancora ascoltato i messaggi vocali della notte in cui la mia vita è stata distrutta, a cui adesso se ne aggiungono di nuovi che non riuscirò ad ascoltare perché devo prima razionalizzare. Soprattutto devo capire quello che voglio davvero nella mia vita adesso che sono rimasta senza una casa, senza una famiglia, senza un amico. Perché con Dan, lo so che è finita. Dopo avere saputo la verità dentro di me si è spezzato quel filo. E, quel legame che credevo potesse essere duraturo, forte, si è rivelato fragile e del tutto inesistente.
Tutti continuano a mentirmi. Ogni persona che ho conosciuto continua ad avere dei segreti che rischiano di trascinarmi sempre più a fondo. Perché nessuno è in grado di dire la verità.
Apro il frigo prendendo una zucchina, una patata, una carota e una confezione di tacchino tagliato a fette. Recupero anche la crema al formaggio da spalmare controllando gli ingredienti per non stare male. Accendo il fornello mettendo sopra la padella con un filo d'olio a scaldarsi poi taglio gli ingredienti mettendoli a soffriggere con della cipolla. Arrotolo le fette di tacchino con un cucchiaino di formaggio aromatizzato e quando le verdure sono pronte le aggiungo al piatto.
Mi trascino in soggiorno. Accendo la tv selezionando dalla lista uno dei miei film preferiti di sempre di Tim Burton e ceno in compagnia del mio attore preferito, emozionandomi ancora come se fosse la prima volta, per un film che so a memoria.
Affamata a causa del nervosismo, frugo in dispensa trovando una torta al cioccolato di quelle ben confezionate che si trovano dentro un contenitore rotondo di plastica con la scritta color oro sopra. Porto anche questa insieme ad un bicchiere e una bottiglia di vino in soggiorno. Mi stupisce che Emerson se ne sia ricordata, presa com'è con i preparativi per il suo matrimonio. Ovviamente le lascerò dentro una busta i soldi per il disturbo. Non voglio niente gratuitamente.
Il telefono squilla insistentemente. «Ti prego, smettila!» gli urlo riagganciando.
Ci riprova e inserisco il silenzioso godendomi la bottiglia di vino, il dolce e il film, il primo di una lunga serie per la notte che ho davanti in cui non riuscirò a chiudere occhio.
Quando controllo il telefono, tra le tante di Travis trovo una chiamata di zia Marin. Mi affretto subito a richiamarla.
«Bambi, figlia mia!»
Chiudo gli occhi abbassando il volume della tv. È proprio bello sentire la sua voce in un momento del genere.
«Come stai?» la voce mi trema ma riesco a tenere a freno ogni emozione generata dalle sue parole.
«Meglio. Non sto mentendo. Il dolore sembra essere passato per qualche ora. Forse anche grazie ai nuovi farmaci. Tu piuttosto? Ho visto ogni cosa in tv...»
Tremo dentro. «Abbiamo perso tutto», sussurro mortificata. Mi sento in colpa per non essere stata così forte da mettere subito al tappeto Patrick.
«Prima o poi sarebbe caduta quella catapecchia. Lo sai anche tu. Ma sarai così brava da ricostruirla mandando a fanculo tutti quelli che invece sperano diventi la casa degli orrori. Stanno facendo soldi a palate a spese nostre quei bastardi. Stupidi avvoltoi! E quel... porco spero marcisca all'inferno.»
Abbozzo un sorriso. «Si, quando mi riprenderò penserò anche a questo. Ma non è rimasto niente di mamma, di papà, dello zio...»
«È importante avere un oggetto fisico? Bambi, hai rischiato la vita. Ti sei salvata e dovresti solo essere grata per la fortuna che hai avuto. Da questo brutto momento, raccogli tutta la tua forza e trasformala in qualcosa di positivo. Ma adesso dimmi un po', quel Travis... è davvero il figlio di quell'uomo, l'ex capo delle forze armate?»
Alzo gli occhi al cielo. Zia Marin è il suo tentativo di fare gossip. Lo so che è curiosa ma io ne sono meno di lei. «A quanto pare si.»
«Non te ne aveva parlato, vero?» intuisce dalla mia voce che sono del tutto estranea.
«Si. Non mi ha detto niente di niente del suo passato. Originario di Washington, ragazzo per bene, figlio di papà, arruolato nell'esercito per seguire le orme del padre e del nonno. Dopo un brutto incidente è sparito nel nulla. E io l'ho incontrato... quante probabilità c'erano?» alzo la voce sentendo il vino iniziare a fare il suo effetto. Sto anche sorridendo con sarcasmo. «Potrei definirmi presa per il culo dal destino.»
«Non sai altro?»
«No, solo quello che ogni fottuta testata giornalistica, ogni programma televisivo continua a raccontare. Io... non so... chi è davvero Travis? Perché non ha avuto il coraggio di dirmi la verità. Non lo avrei giudicato. Non gli avrei mai detto di perdonare suo padre o suo fratello. Non gli avrei mai detto di farsi vivo con la sua famiglia perché non spetta a me decidere. Ma...»
«Sei arrabbiata e delusa perché non ti ha reso partecipe della sua vita come tu hai fatto con lui», conclude per me.
Sto annuendo come se potesse vedermi. Parlare con lei mi fa sempre stare meglio. Sa esattamente come farmi ragionare, come dialogare. Mi fa sentire adulta. Tracanno un altro sorso di vino. «Esatto! Mi ha solo fatto vedere il ragazzo con problemi di fiducia e quelli a causa dell'aspetto anziché mettermi davanti tutto il suo pacchetto d'oro e farmi decidere da sola se continuare una possibile relazione o altro.»
Zia Marin riflette un momento. «Magari non voleva proprio questo», inizia. «Non voleva che pensassi che fosse raccomandato, uno viziato, uno di quei soliti ragazzi ricchi con la puzza sotto il naso, boriosi. Insomma, hai visto quelle foto e lo hai conosciuto. Ti sembra come suo padre?»
Gratto la fronte massaggiandola. «No, lui non è come suo padre. Non è come quei ragazzi. Ma non ha avuto il coraggio di dirmi che nella sua vecchia vita era un soldato, il migliore a detta di tutti quelli intervistati. Non mi ha detto come ha avuto l'incidente che lo tiene sveglio la notte. Io... non volevo forzarlo ma... volevo saperlo da lui, non da terzi.»
«Doveva essere sincero. Spettava a te decidere se rimanere o meno. Inoltre avrebbe dovuto fidarsi visto che l'hai accettato senza esitare. Adesso dove sei?»
«Sono da un'amica», mi alzo e zoppicando cammino un po' avanti e indietro stringendo i denti. «Domani posso venirti a trovare...»
«No, rimani lì e non uscire. Io me ne starò a letto a dormire. Anche se mi sento bene percepisco una certa stanchezza nelle ossa. Ho le riviste, la tv e un libro. Ho ancora le tue candele. A proposito, grazie per quelle che odorano di caffè.»
«Figurati. Ma possiamo sempre...»
«Parlare al telefono. Non puoi uscire di casa o ti seguiranno. Tutti si aspettano una tua intervista. Sei diventata famosa», ride prendendomi in giro.
Non le rispondo a tono perché le voglio bene. «Famosa e senza più un ragazzo a quanto pare», dico con una smorfia fermandomi e bevendo un altro sorso di vino.
«Un ragazzo che ami e che stai facendo scappare per non affrontare le conseguenze del suo passato. Vuoi un consiglio: tieni accanto chi sa affrontare i problemi, chi ti urla addosso e ti infastidisce per chiarire. Tieni accanto chi non cerca scorciatoie, chi ti regala un sorriso, un nuovo battito. Tieni accanto chi c'è e ci sarà sempre nonostante tutto. Nonostante te. Soprattutto tieni accanto quella persona che anche se a volte sembra distante sa come tenerti vicina. Adesso però dimmi: quante chiamate?»
«Troppe, peggio di uno stalker», sbuffo come una bambina.
Ride tossendo. «E perché non gli rispondi? In fondo non lo vedi. Puoi solo parlargli, urlargli addosso e poi riagganciare.»
«Perché mi sento tradita. Ma non è per chi è veramente è per il fatto che non me lo ha detto. Lui non si è fidato di me.»
Sospira. «Magari ha avuto paura quando gli hai dimostrato che saresti rimasta.»
«Paura di cosa?»
«Paura che te ne saresti andata dopo avere saputo del suo passato. Pensaci bene: hai visto la sua faccia e hai ingoiato il rospo. Avresti fatto lo stesso quando ti avrebbe detto del peso che porta sulle spalle ogni giorno?»
«Avrebbe dovuto fidarsi di me e basta. Mi sento presa in giro. Mi sento una stupida perché...» sprofondo sul divano. «Perché tra tutti i ragazzi mi sono innamorata di lui?»
«Perché hai visto in lui qualcosa che tutti gli altri non hanno. Qual è, che cosa ti ha colpito di lui?»
«La sua delicatezza, il suo essere spontaneo e tenace...»
Sento il suo sorriso e anche il mio si fa strada sulle labbra. «Io lo odio!»
Ride. «Se continuerai a farmi ridere così mi verrà una sincope e morirò prima del previsto. Tu non lo odi. Tu lo ami e devi sbollire un po', scaricare la rabbia, affrontarlo e poi riprendere in mano la tua vita.»
«Grazie», sussurro.
«Adesso devo riagganciare», brontola. «Tra poco passano per il controllo e devo fare spaventare quel pivellino», tossisce ghignando.
«Ti voglio bene. Non fare arrabbiare chi cerca di aiutarti. Quel poverino ti guarda come se fossi sua madre», uso un tono di finto rimprovero.
«È divertente. In fondo lo sa che gli voglio bene. Buona notte e pensa a quello che ci siamo dette.»
Dopo la chiamata mi sento sfinita. Bevo l'ultimo goccio rimasto dentro il bicchiere sentendo le guance in fiamme, la mente leggera. Fisso lo schermo mentre le lancette dell'orologio proseguono senza interruzioni ingigantendo la mia ansia.
"Caro MisterX,
O dovrei dire: Caro MisterStronzo?
Ho molte domande, poche risposte e in circolo una bottiglia di vino. Approfittane per parlarmi, non avrai un'altra occasione.
Stupida, Arrabbiata, Deluda, Tradita,
- B".
Mi metto comoda sul divano per alleviare il dolore che sento. Prima recupero una coperta, le rose e la scatolina che metto sul tavolo basso davanti per avere compagnia.
"Cara B,
Si, puoi chiamarmi anche MisterStupidosenzacoraggio o come vuoi, se questo ti fa sentire meglio lo accetto. Me lo merito. Fammi le tue domande. Risponderò.
- MisterX".
"Caro MisterX,
Me lo avresti mai detto?
- B".
"Cara B,
Si. Stavo solo aspettando il momento giusto per dirtelo. Per raccontarti la ragione del panico che mi raggiunge la notte. Non è facile affrontare le proprie paure, come ben sai.
- MisterX".
"Caro MisterX,
Il momento giusto non esiste. Non me lo avresti mai detto perché non c'era un motivo per farlo. Non mentire. Non sono stupida.
- B".
"Cara B,
Ti sbagli. Io l'avrei fatto. Ti prego di credermi. Ti avrei detto tutto di me. Perché sei importante. Perché ti voglio nella mia vita.
- MisterX".
"Caro MisterX,
Nella tua nuova vita o anche in quella che riguarda il tuo passato? Perché se devo accettare una persona non lo faccio per metà ma per intero.
- B".
Mi agito sul divano mentre le mie dita attendono un nuovo messaggio. Stiamo parlando su WhatsApp ma continuiamo a scriverci come nelle e-mail.
Leggo sulla parte alta della chat il suo "sta scrivendo" ma dentro di me scatena solo una forte sensazione.
"Cara B,
Nella mia vita. Per intero. Senti, so di avere sbagliato. Lo so. E so che me ne pentirò per tutto il resto dei miei giorni. Purtroppo mi sono bloccato quando ho visto che non avevi intenzione di abbandonarmi. Tu mi accetti così come sono e non me lo aspettavo. Cerca di capire, ti prego. È importante...
- MisterX".
Scuoto ripetutamente la testa. Zia Marin aveva ragione.
"Caro MisterX,
Non posso capire perché non mi hai raccontato niente. Mi hai tenuta a debita distanza da quella parte di te che è letteralmente saltata insieme alla tua faccia. Parte che io ho accettato sin dal primo istante, senza esitazione alcuna. Non puoi negarlo. Puoi solo sentirti uno stronzo!
- B".
"Cara B,
Puoi darmi la possibilità di parlarne faccia a faccia?
- MisterX".
"Caro MisterX,
No. Non voglio vederti. Ho bisogno di stare da sola. Ho avuto un brutto incidente. La mia casa è andata distrutta. Mia zia sta morendo. Ho chiuso con il mio migliore amico e sono completamente sola. Non posso più fidarmi di nessuno. Io... non posso guardarti in faccia e avere la consapevolezza di essere stata solo una distrazione.
- B".
Prendo un lungo respiro sventolandomi il viso. Mi alzo per prendere una bottiglia d'acqua e placare il bruciore allo stomaco.
Non mi arriva alcun messaggio bensì una sua chiamata. Decido di farmi male accettandola, tornandomene dritta sul divano per non crollare sul pavimento.
«Non piangere.»
«Non sto piangendo», la voce si inclina tradendomi. In realtà ho gli occhi appannati, le labbra tremule e il cuore sottosopra.
«Mi dispiace. Farò tutto quello che devo per tenere questa storia lontana da me, da noi. Ok?»
«Non c'è nessun noi, Trav. Non c'è mai stato perché non mi hai detto che ti terrorizza dormire perché hai vissuto l'inferno nel vero senso del termine in un posto orribile. Non c'è mai stato un noi perché non mi hai detto che la tua famiglia non è comunissima ma famosa e troppo... potente.»
Soffia dal naso. Lo immagino scrollare la mano dalla testa. «È per questo che non voglio che loro sappiano dove mi trovo attualmente. Bi, io sono scappato perché non volevo vivere come loro e con loro. Te l'ho detto questo, prova a capire...»
Strizzo le palpebre. «Io capisco troppe cose, Trav. Tu invece non hai avuto un minuto di coraggio per dirmi chi sei. Io non lo so più.»
«Tu mi conosci. Mi conosci più di chiunque altro. Bi...»
«No. Non ti conosco. Non conosco il vero Travis. Conosco solo l'uomo con la maschera che mi paga lo stipendio.»
Riaggancio scoppiando in lacrime.
Mi richiama. «Non piangere. Cazzo! Non piangere ti prego. Non lo sopporto tu non puoi piangere. Non puoi e non devi soffrire perché non lo meriti.»
«No, non lo merito», singhiozzo. «Non merito di stare così male dopo quello che ho dovuto affrontare.»
«Davvero non mi vuoi lì con te?»
«Si, davvero», il cuore dice no.
«Domani?»
«No. Non possiamo vederci. Risolvi i tuoi problemi.»
«Bi, smettila un momento e dimmi che non ti sto davvero perdendo per questo.»
Asciugo la lacrima. «Sta succedendo. Se ero davvero importante avevo il diritto di saperlo, anche se mi avrebbe fatto male; cosa che è successa. Io ti ho parlato della mia vita. Ti ho parlato della persona che ho perso.»
Segue un momento di silenzio. «Anch'io ti avrei parlato della mia vita. Sono cinque anni che mi tengo alla larga dalle persone proprio per questa ragione. Perché io non voglio vederli. Voglio essere quello che hai conosciuto.»
«Ma il passato farà sempre parte di te», gli faccio notare. «E io non andrò mai bene perché non appartengo al tuo mondo.»
«Si, il passato farà parte di me e dirà sempre chi sono. Ma non voglio avere a che fare con loro. Non appartengo a quel mondo. Non l'ho mai sentito mio. Ho cambiato cognome e vita. Mi interessa solo una cosa adesso, non di loro, non dei giornalisti...»
«Che cosa?»
«Di te. Mi interessa di te. Questa mattina quando Nan mi ha chiamato chiedendomi di guardare la tv perché avevamo un altro grosso problema io... non ho ragionato. È stato inaspettato...»
«Trav, non voglio più saperlo.»
«Avrei dovuto svegliarti ma stavo preparando la colazione ed ero felice...»
«Smettila», piagnucolo.
La sua voce appare diversa. «Stavamo bene. Poi me ne sono andato e ho mandato ogni cosa a puttane. Mi dispiace, Bi.»
Scuoto la testa. «Smettila», ripeto.
Singhiozza. Mi spiazza questa sua reazione. Sento uno strappo, quello del mio cuore. «Ti prego Bi... non lasciarmi. Io... non riuscirò a farcela. Non sarò così forte da sopportare un ritorno nel mondo senza di te.»
Sussulto. Il mio cuore continua a battere all'impazzata. «Ma io non ci riesco», piango. «Non posso fidarmi di te.»
Prende fiato tirando su con il naso. «Dimmi solo che posso fare qualcosa», sussurra rimanendo in attesa.
Mordo il labbro. Non me la sento di distruggerlo. «Forse.»
Prende fiato. «Mi basta come risposta. Lo prendo come un si con riserva», dice.
Mi scappa un sorriso. «Non sperarci troppo», sussurro.
«Mi dispiace», mormora in tono dolce.
Chiudo gli occhi. «Anche a me», mugugno.
«Ti stai addormentando? Devi essere sfinita vista l'ora. Vuoi che riagganci?»
Una parte di me vorrebbe urlargli addosso che è un vero idiota mentre l'altra annuisce. «No. Mi piace la tua voce.»
Sorride. È inconfondibile quel verso che fa prima di aprire le labbra mostrando i denti e quella graziosa fossetta appena accennata sulla guancia. È uno spettacolo della natura, come un fiore che sboccia.
«Grazie, è un bel complimento», esclama ricordando anche lui quella volta.
Annuisco assopendomi.
Fuoco. Fiamme alte. Fumo. Il mio cuore che batte all'impazzata. La paura che si fa strada dentro di me.
Fuoco. Fiamme alte. Fumo a bruciare gli occhi. La risata di Patrick.
Qualcuno bussa pesantemente alla porta. Balzo in piedi tutta sudata e scossa, dopo avere avuto un brutto incubo.
«Arrivo», brontolo.
Continuano a bussare. Mi affretto più che posso ad andare ad aprire.
Le ragazze mi circondano urlando come delle pazze portando dentro delle buste contenenti cibo e indumenti.
«Stavi dormendo?» Chiede subito Natalie rimboccandosi le maniche. Mette infatti in ordine il salotto come se fosse a casa sua.
«Mi avete appena salvata da un incubo. Che ore sono e che succede?» Domando loro stordita.
Si guardano tutte e tre un momento. «Bi, ti senti bene? Sono le sei, siamo già dopo il tramonto», afferma Beverly indicandomi fuori dalla finestra.
Spalanco gli occhi notando il cielo quasi scuro come la pece e qualche lampo in lontananza. «Ho dormito... così tanto?» Controllo immediatamente il telefono per assicurarmi che non ci siano chiamate dalla clinica. Abbasso subito le spalle portando la mano sul petto massaggiandolo.
Emerson mi posa il dorso sulla fronte. «Non hai la febbre quindi direi che sia stato il vino e un lungo pianto», dice guardandomi attentamente.
Arrossisco. «Credo sia finita», sussurro con sguardo basso dando finalmente voce ai miei pensieri.
Beverly spalanca la bocca. Natalie rimane con le confezioni di riso con salone, mandorle, sesamo e avocado in mano. Emerson invece si avvicina. «Hai parlato con lui?»
Confermo con un cenno della testa sentendomi una stupida.
«E...» attendono tutte impazienti, curiose. Nel frattempo ci sediamo a tavola. Sollevo il coperchio inappetente. L'odore del cibo investe le mie narici nauseandomi, allontanando il piatto. «E non ci riesco. Non posso farcela. Lui non me lo ha detto e io mi sento la ruota di scorta della sua vita. Mi fa sentire uno schifo!»
Beverly mi avvicina di nuovo il piatto e capisco, dalle loro innumerevoli attenzioni, di avere un aspetto trascurato. «So che sembra una scusa ma mi fa stare male.»
«Ma lo ami, non puoi lasciarlo andare», risponde biasciando Natalie.
«Non so più niente. Ho per la testa così tante cose da non riuscire a capacitarmi. Mi dispiace se non sono di compagnia», parlo corrucciata.
Emerson mi stringe una spalla avvicinandomi a sé. Preme la guancia sulla mia. «Andrà tutto bene. Vedrai. Intanto non bere fino a stordirti.»
«Si, è stato strano. Mi sento ancora fuori fase.»
Ridiamo.
Stiamo per metterci sul divano quando sentiamo bussare alla porta. Un colpo sicuro, uno un po' meno di seguito ma comunque forte. «Aspettate qualcuno?»
Le tre negano così mi avvio piano, con l'ansia addosso, alla porta.
Apro e rimango spiazzata. Lui è lì, dietro una delle sue rose confezionata. È qui davanti a me che attende impaziente, con lo sguardo speranzoso. «Era tutta sola a casa», dice porgendomela.
La prendo annusandola. «Ciao», saluta le altre che, quando mi volto stanno già mettendo i cappotti. Provo a fermarle ma in breve mi salutano con delle banalissime scuse e quando sono dentro l'ascensore ghignano facendo facce allusive mentre Travis mi fissa intensamente.
«Posso entrare?»
«No», rispondo ma è già dentro l'appartamento e si sta dirigendo proprio verso il soggiorno guardandosi intorno prima di mettersi davanti al camino riscaldando le mani. Non porta il guanto, noto. Toglie poi il cappotto e voltandosi attende una mia mossa.
Infilo la rosa insieme alle altre facendo attenzione a non farle cadere, tanto sono agitata. Mi siedo sul bordo del divano, come se dovessi scappare, rimanendo in attesa, in parte anche in allerta.
La collera iniziale sembra essersi dissolta nell'attimo esatto in cui ho incontrato di nuovo i suoi occhi.
Travis guarda fuori dalla vetrata il cielo cupo poi voltandosi ha un momento di esitazione che lo spinge infine a sedersi accanto a me.
«Ho fatto cose di cui mi pento e probabilmente mi pentirò sempre. Ma di una cosa non mi pento: di averti permesso di entrare in casa e poi nella mia vita», passa i palmi sui jeans. Sente caldo toglie la sciarpa sbottonando le maniche della camicia che arrotola sulle braccia. I suoi muscoli sembrano scolpiti nel marmo. Trattengo la voglia di toccare le vene in evidenzia.
«Da dove vuoi che parta?»
«Dalla verità», dico d'impulso.
«È vero quello che dicono sulle mie origini ma loro non sanno che io non volevo affatto seguire le orme di quei bastardi. Alla fine l'ho fatto seppur costretto e sono rimasto incastrato. Ma una volta lì mi sono detto che potevo essere almeno utile a qualcuno. Mi chiamavano "Falco". Vero anche questo. Ero il migliore cecchino.»
«Hai ucciso delle persone?»
«O ti difendi o muori», dice tra i denti.
«Hai o non hai ucciso delle persone?»
«Si. Me le ricordo tutte e tornano davanti a me ogni notte.»
Chiudo gli occhi. «Che cosa ti è successo?»
«Ero impegnato in una missione. Ci trovavamo in un campo minato, letteralmente. Ci avevano dato il comando di torturare i terroristi. Nel bel mezzo della caccia, invece mi sono ritrovato davanti un ragazzo come me. Ho esitato...»
Sussulto. «È stato lui?»
Nega. «Gli hanno sparato prima ancora che io potessi aiutarlo o sapere tutta la verità sulla missione. Preso dalla furia ho messo a tacere un vero terrorista mentre lo interrogavano e uno della mia squadra pronto ad attaccarmi ha fatto un passo falso mettendo un piede su una bomba innescandola.» Guarda fisso davanti a sé, disgustato da se stesso.
«È stato doloroso?»
«Cosa esattamente? Aspettare quei cinque secondi prima del boato, dell'impatto e pensare a tutto quello che perderai o che non hai mai vissuto... o morire?»
«Entrambe le cose.»
Passa la mano sulla bocca. «È stato un attimo come quando apri e richiudi le palpebre. Come quando accendi e spegni la luce. Vuoi sapere se ha fatto male? Si. Continua a fare male tuttora.»
«Gli altri che erano con te?»
Abbassa la testa. «Morti. Erano troppo vicini per mettersi in salvo. Solo io sono sopravvissuto. Ma risvegliandomi dopo circa tre mesi di coma ritrovandomi in ospedale, ho deciso di fare finta di non ricordare niente e ho cambiato la mia vita. Già, sono uno stronzo, visto che ricordo tutto.»
«Te ne penti?»
«No»
«Perché?»
«Non sono mai stato tanto me stesso quanto lo sono adesso. A volte deve succederti qualcosa di orribile per capire quello che davvero ha importanza.»
Tiro le ginocchia al petto. «L'altro ragazzo... hai detto che era come te e volevi aiutarlo, capire la verità...»
Si alza di nuovo. Parlare di quel giorno lo ferisce, gli risucchia via tutta l'aria dai polmoni. «Si, ma è morto proprio per questo!» risponde con rabbia.
Corrugo la fronte. «Che cosa significa esattamente?»
«Che il mio aiuto avrebbe capovolto l'operazione mostrando al mondo invece che quella missione era solo l'ordine di chi voleva insabbiare tutto eliminando delle persone innocenti. Ascolta, so che sembra complicato ma ci sono cose che richiedono tempo per uscire fuori. Io ho tenuto tutto dentro per anni e adesso mi sembra irreale parlarne. Mi sembra solo un vecchio sogno. Poi guardo la mia faccia, le cicatrici e al contrario ho la certezza che è successo, che questo è reale.»
Si inginocchia davanti a me. «Io ho provato ad aiutarlo ma gli hanno sparato perché sapevano cosa stavamo facendo. Io ero all'oscuro di tutto. Non sono stato attento perché ero troppo preso a fare il mio "dovere". Non passa giorno in cui io non mi senta in colpa.»
«Ma tu lo stavi aiutando. Volevi farlo. Non è colpa tua se gli hanno chiuso la bocca.»
Solleva lievemente il labbro in una smorfia. «Non ho fatto attenzione. Ho ucciso anch'io dei colleghi. Poi ho come perso la testa e ho provocato l'esplosione.»
«Magri non sei stato tu ma il karma che una volta tanto ha fatto il suo giro raggiungendo chi doveva essere punito.»
Passa una mano sulla testa leccando le labbra per inumidirle. Ha la gola secca, gli occhi agitati. «Dovevo essere punito anch'io...»
«A te è stata riservata forse la punizione peggiore», sussurro tenendo a freno la voglia di sfiorargli il viso.
Si avvicina. «Credo sia tutto», lascia uscire il fiato. Mi guarda come se si fosse tolto finalmente un masso da cuore. «È una storia pericolosa da raccontare», aggiunge facendo intuire bene il significato di queste sue parole.
Drizzo le spalle. «Ma non capisco perché chiuderti così tanto, allontanarti dal mondo quando invece avresti potuto essere davvero un esempio...»
Soffia dal naso come per schernire se stesso. «Un esempio? Io sono un mostro! Sono diventato quello che già ero.»
«Non è vero!»
«Per te che non ti sei fermata alle apparenze. Per gli altri lo sono e adesso non posso farmi vedere perché quando avranno davanti uno sfregiato scapperanno dalla paura o ci lucreranno sopra facendo arricchire ulteriormente quella che era la mia famiglia. Cosa che non succederà perché fino alla morte fingerò di non ricordare niente di loro. Tantomeno di quel terribile giorno.»
Deglutisco. «Sto per farti una domanda, non travisare...»
Si fa attento le sue mani si posano sulle mie cosce. Se ne sta in ginocchio, in attesa.
«Avevi una fidanzata o eri sposato con dei figli?»
Si sgonfia come un palloncino. «No, sono entrato nell'esercito che ero giovane e ne ho fatto un mestiere, una famiglia, un'amante oltre che un lavoro. Non ho avuto tempo per le relazioni. Non volevo che qualcuno si affezionasse e mi aspettasse invano.»
Forse anch'io mi sgonfio. Mi rendo persino conto di avere trattenuto il fiato per tutto il tempo. «Mi premeva saperlo... non per farmi gli affari tuoi», ammetto. Annuisce. «Per te sarebbe stato un ulteriore boccone amaro da digerire. Ho due nipoti o forse di più, dopo cinque anni non saprei dire. Andavo d'accordo con mia cognata. Ma solo perché mio fratello non si prendeva cura di lei. La tradiva. Quando tornavo dalle missioni passavo sempre a trovarli.»
La sua mano mi sfiora la guancia. Tirandomi a sé si avvicina. «Non volevo ferirti in questo modo», mormora.
«È ancora tutto molto confuso. Sono appena uscita da una casa in fiamme e solo dopo qualche ora vengo a sapere di essere su tutti i giornali e che la persona che mi ha salvata tiene dentro da tempo segreti che bruciano più del fuoco. È troppo per me...»
Travis stringe la presa sul fianco. «Sei una testona!»
Lo spingo in parte offesa e ride. Ma so che la sua è solo una risata finta, che serve a sciogliere la tensione. «Bene, adesso facciamo l'amore?»
Lo spingo ancora, mi sorride baciandomi una guancia. «Troverò un modo per risolvere tutto. Te lo prometto.»
«Non mi servono le promesse. Non mi servono neanche le bugie dette a fin di bene»
Abbassa il viso. Quando lo solleva i suoi occhi mi impediscono di muovermi. «Che cosa ti serve?» teme la mia risposta.
«Tempo», sfioro la sua cicatrice.
Fronte contro fronte, ad occhi chiusi, percepisco il suo fiato caldo e il rumore incessante del mio cuore. «Non posso concedertelo», dice brusco. Alzandosi torna a camminare nervosamente.
«Perché?»
«Perché significa che vuoi lasciarmi. Ecco perché! La gente prende tempo quando vuole allontanarsi.»
Aggrotto la fronte. «Non voglio allontanarmi», dico sincera.
Scuote ripetutamente la testa. «Lo stai già facendo», soffia con rimprovero guardando la vetrata. «E questo mi fa impazzire e incazzare allo stesso tempo.»
«Che cosa vuoi da me?» urlo alzandomi. Il piede fa malissimo ma uso il dolore come forza.
Mi raggiunge afferrandomi il viso. «Ti voglio. Tutta non a metà. Voglio la tua mente, il tuo corpo, il tuo cuore. Ti voglio al mio fianco e il pensiero di perderti mi fa impazzire. Perché io...»
Il mio cuore batte all'impazzata. «Perché?» lo provoco spingendolo. So che alimenta la sua frustrazione, la sua rabbia. «Dillo! Dimmi perché!»
«Perché ti amo!» urla.
Lascio sfuggire un singhiozzo. Travis non capisce, si agita. «Bi...»
Nascondo il viso sul suo petto tenendo il bordo della camicia così stretto da stropicciarlo e il pugno fasciato sul cuore.
«Ti prego, di qualcosa...»
Non ho parole. Solo una forte sensazione che mi impedisce di crollare. Mi stacco da lui ricomponendomi. «Chiudi bene la porta quanto te ne vai.»
Mi ferma. «Stai scappando...» non è una domanda. Lo dice tra i denti perché ha già capito. «Tu mi stai cacciando perché qualcuno te lo ha detto, ci hai creduto e poi se ne è andato, non è vero?»
C'è una ragione se ho tenuto i sentimenti legati per tutto questo tempo e ho preferito rimanere da sola. Non ho mai pensato che una persona possa essere felice da sola. Ognuno nasce a metà, diventa intero quando trova qualcosa o qualcuno a completarlo. Ma è anche vero che quando vivi da solo, fai tutto da solo, alla fine ti abitui. E quando poi all'improvviso, sconvolgendo ogni tuo piano entra a far parte della tua vita una persona, questo ti spaventa. Perché è facile stare soli. Impari molte cose. Impari a fare affidamento solo su te stesso. Non ti appoggi a nessuno. Ti volti e non hai bisogno di trovare qualcuno dietro pronto a raggiungerti, a camminare al tuo fianco. Quando invece hai qualcuno accanto a cui tieni le cose cambiano. Inizi a preoccuparti, a fare lavorare troppo il tuo cuore. Vai nel panico e pensi di non potere sopravvivere ad un dolore causato dall'abbandono.
Perché perdere l'amore è come quando cadi sbucciandoti le ginocchia. Apparentemente il livido scompare, la ferita si rimargina ma l'osso ne risente quando fuori fa freddo. Perché perdere l'amore è un po' come spegnersi. È come morire. Ed io ho sempre avuto paura di spegnermi, di morire per qualcuno.
Asciugo una lacrima. «Farai lo stesso», singhiozzo con il cuore che batte veloce. «Scapperai di continuo e non ti troverò mai al mio risveglio.»
«Non ci credi veramente...» indietreggia colpito dalle mie parole.
«No», tiro su con il naso. «Perché ti amo così tanto da avere paura.»
Rimane spiazzato. Apre e richiude la bocca. Per un attimo non sa cosa dire. Non sa cosa fare. Alla fine si avvicina. «Non allontanarmi», sussurra supplicandomi.
«Io non voglio farlo ma ci sono bugie che non riesco a sopportare. E ti sono immensamente grata per avermi salvata tirandomi fuori da quelle macerie.»
Si inginocchia ancora. Non oso guardarlo. «Trav alzati!»
Nega. «Non lasciarmi», dice con gli occhi rossi. Lancia persino la maschera sul divano. «Hai visto questo. Sono questo. Ti ripeterò la storia all'infinito se sarà necessario farlo. Ma resta con me», trema. «Sai meglio di me che aprirsi a qualcuno non significa solo raccontare qualcosa del passato, un ricordo, ma abbattere ogni muro che hai costruito nel tentativo di proteggerti. E non è facile. Sai che non è facile.»
Lo faccio alzare sentendo dolore quando uso un po' troppa forza. Lui mi abbraccia sfiorandomi la curva tra la spalla e il collo con le labbra. «Resta con me», ripete.
«Con quale garanzia?»
Alza il labbro e lo spingo. «Avere me come garanzia non ti basta?»
Mordo il labbro. «Forse», lo sfido.
Sorride maggiormente provando a baciarmi. Freno il suo entusiasmo. «Certo che sai come rovinare un bel momento...» replica all'attacco. «Quale bel momento? Quello in cui mi dici di essere un cecchino conosciuto o...»
Mi fa indietreggiare velocemente. Così tanto che il dolore lo sento appena perché sono distratta dalla sua espressione. La mia schiena aderisce al pannello, di fianco alla libreria bassa. «Quello in cui ti ripeto che ti amo», sussurra bocca contro bocca.
Il mio cuore ha uno spasmo. Picchio il pugno sul suo. Circonda il polso con le dita e aprendomi la mano fa sì che io lo abbracci. Mi si preme addosso per non lasciarmi scappare. «Torniamo a casa...» mormora.
Nego. «Non posso. Ho troppe cose da metabolizzare e da accettare.»
Mi solleva il viso. «Guardami almeno dritto in faccia e dimmi che è finita allora!»
«Non posso», lo guardo.
Le sue pupille si dilatano. «Perché? Dimmi perché?»
«Perché ti amo», urlo. «Perché ho paura di averti dato tutto e di essere rimasta con le braccia vuote e il cuore colmo di dolore.»
Chiude gli occhi. «Stai con me che a tutto il resto ci penso io.»
♥️🎄
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