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Il viso attaccato al cuscino a causa delle lacrime ormai asciutte. Il sudore addosso per l'incubo avuto nel corso della notte per il breve sonnellino concessomi. Uno, abbastanza lungo da non permettermi di stare bene, di sentirmi al sicuro.
Sguscio dal letto caldo posando i piedi nudi sul pavimento di legno freddo. Un brivido mi attraversa salendo lungo la spina dorsale. La pelle si rizza come quella di un gatto pronto a soffiare, a graffiare.
Infreddolita, saltello infilandomi la vestaglia. Uscendo dalla stanza, scendo i pochi gradini di legno tenendomi al corrimano che termina con un pomello rotondo lucido, raggiungendo il soggiorno dove, accendo subito il camino.
Notando pochi ceppi corro sul retro a prenderne altri.
Quando torno in casa sono senza fiato a causa del freddo. Mi tremano così tanto le mani da non sentire neanche i polpastrelli.
Le riscaldo davanti al fuoco per una manciata di secondi prima di spostarmi dentro la stanza di zia Marin trovandola beatamente addormentata.
La osservo tenendomi a distanza da lei, dal suo sonno tranquillo che, a differenza del mio, sembra giovarle, confortarla.
Immagino la sua reazione quando saprà che intendo portarla in una clinica specializzata molto simile ad una casa di cura. Un paradiso per chi è affetto da vecchiaia o malattie terminali e intende passare il tempo che gli resta in un posto tranquillo, allontanandosi dai problemi, dai cattivi pensieri, dalle auree negative.
Appoggiata allo stipite della porta, la collana con la foto di Nic dentro il piccolo cuore che la custodisce come uno scrigno tra le dita, cerco di non pensare a come sarà quando mi abbandonerà anche lei. Quando non ci sarà più nella mia vita.
Tutti prima o poi ti lasciano. Non puoi farci niente. Semplicemente è la vita. O forse un destino avverso che sta tentando di farmi restare sola.
Non ho paura della solitudine. Ho paura di voltarmi e sentirmi vuota, priva di peso. Ho paura di non lasciare niente a nessuno, neanche un segno lieve.
Nonostante ciò, continuo a pensarci. A pensare a quello che eravamo, quello che avevamo. Continuo a pensarci perché farlo è l'unico modo che ho per riaverlo indietro, magari sentirlo vicino.
E se cerco di non pensarci, lo faccio perché l'ha chiesto il mio cuore. Troppo stanco di sentirsi vuoto. Troppo pieno di ricordi per riprendere a battere ad un ritmo sostenuto.
Stacco la spina quando non mi va di rivivere certi ricordi. Perché mi fa troppo male. Ma, se non ti lasci attraversare dal dolore e lo ignori, prima o poi ti travolgerà.
Perché le cose che hai dovuto vivere non scompaiono, rimangono lì premute sulla pelle, dentro le ossa. Infestano ogni ricordo.
Mi sono indurita. Perché l'ho perso. Lui era l'unica cosa che non volevo perdere.
Mi sono chiusa subito dopo, perché perderlo mi ha portato via tutto. Mi ha prosciugata dall'interno.
Una volta ero dolce, così tanto da sciogliermi per un complimento sincero. Ero in grado di sorridere per ore per uno sguardo complice, per un sussurro.
Adesso sono come un cubetto di ghiaccio. Non mi lascio scalfire. Non mi lascio abbagliare.
Nonostante ciò, voglio bene lo stesso. Solo, non so più come dimostrarlo, perché ho creato tra me e le persone un muro. Ho indossato una corazza.
L'ho fatto per proteggermi. Per proteggere questo cuore prosciugato e vuoto.
E non mi serve nessuno a sedersi in quel posto lasciato vuoto che appartiene solo a lui.
Voglio solo qualcuno pronto ad insegnarmi a sapere dire 'addio' senza avere più la voglia di guardarmi alle spalle.
Sentendo bussare alla porta vado ad aprire trovando davanti il fattorino di "Tasti Pinkberry".
Riconoscendomi, il ragazzo dagli occhi coloro miele e dalla frangetta attaccata alla fronte spaziosa, nasconde la sorpresa e anche un sorriso compiaciuto, porgendomi una confezione color pesca.
Sbirciando dentro vi è una scatola curata nel dettaglio e sopra una rosa.
La sua particolarità sta nel colore. Non è di un comune rosso. È un colore scuro, molto simile al nero. La annuso e il suo odore è delicato, piacevole. Non troppo dolce.
Anche il fattorino odora di buono. Di muffin, di torta al cioccolato, di dolce.
«Buona giornata», sorride lasciandomi sulla soglia come un'ebete.
Lo vedo correre in auto, quella della ditta, pronto a portare qualche altro ordine nelle vicinanze.
Chiudo la porta con una spinta del piede posando sul ripiano dell'isola, la scatola con la rosa. Apro la busta bianca tirando fuori il biglietto attaccato alla confezione.
"Buon risveglio B.
Spero apprezzerai questa rosa, oltre alla piccola sorpresa che, presumo possa risollevare ulteriormente il tuo umore.
- MisterX"
Sorrido sventolandomi con il biglietto. Ho le guance in fiamme e le labbra piegate all'insù senza una ragione.
Sollevato il coperchio della scatola piena di decorazioni, trovo dentro due vasetti di yogurt confezionati come si deve e secondo le norme igieniche, due muffin e due bicchieri di cioccolata calda.
«Sei davvero uno stalker», sussurro portando il biglietto e la rosa nella mia stanza, dopo averla sistemata dentro un vaso posizionandola sulla scrivania, nel mio angolo tranquillo.
«Bambi sei sveglia?» urla zia Marin con la voce impastata dal sonno. «Puoi aiutarmi?»
Corro subito da lei. «Sono qui», dico aiutandola a trascinarsi verso il bagno dove la lascio per un paio di minuti fino a quando non mi richiama.
In cucina, intanto, apparecchio la tavola con delle tovaglie quadrate.
Ad ogni posto a sedere, sistemo un piatto e su questo un muffin, lo yogurt e il bicchiere.
Ancora sorridente scatto una foto e notando zia Marin trascinarsi in cucina, faccio finta di niente.
Lancia subito un'occhiata alla scatola. «Da dove viene questa roba? Sei uscita senza avvisare?» Chiede senza preamboli.
Bevo un sorso di cioccolata. Fondente, come piace a me. Lecco le labbra in estasi. «No, è un regalo.»
Con zia Marin non ho mai avuto poi così tanti segreti. Abbiamo sempre basato il nostro rapporto, la nostra convivenza sulla verità, sul rispetto reciproco, sulla sincerità. Nessun segreto, a parte il mio attuale lavoro e il mio annuncio che le causerebbe chissà che altro.
Soppesa il mio sguardo sereno. «Un regalo», assaggia il muffin ai mirtilli. Mastica lentamente poi annuisce leccandosi i baffi. «È un buon partito?»
Sgrano gli occhi. Per poco non mi strozzo ripensando immediatamente al quantitativo di soldi che avremo sul conto dopo che...
Arrossisco. Pulisco le labbra e nego. «È solo una persona gentile che ho conosciuto per caso», parlo facendo la vaga non sapendo che altro dire. «Si è accorta che ero triste e ha voluto rallegrarmi la giornata».
Zia Marin ovviamente intuisce il mio conflitto. Per lei sono sempre stata un libro aperto. «C'è qualcosa che devo sapere?»
Alzo gli occhi dallo yogurt tenendo il cucchiaio a mezz'aria. «In realtà si, una cosa di cui voglio parlarti c'è», colgo la palla al balzo, nella speranza di non vederla dare di matto da un momento all'altro.
Si fa subito attenta. «Sentiamo», assaggia il suo caffellatte con un pizzico di cannella. Guarda il bicchiere confermando mentalmente la bontà.
Non dovrebbe mangiare cose nocive al suo organismo, ma ogni tanto le è concesso sgarrare.
«Ieri mi hanno consigliato di vedere una casa di cura specializzata. A quanto pare abbiamo un appuntamento per visitarla proprio oggi. Ti va di andare insieme oppure vuoi davvero stare qui ad annoiarti?»
Zia Marin capisce in fretta il mio discorso sconnesso. Allontana lo yogurt con una smorfia poi intreccia le dita sul tavolo. Sono in parte gonfie a causa delle medicine. La fede che non ha mai tolto. Neanche quando suo marito è morto in seguito ad un incidente stradale quando lei era ancora molto giovane, un po' come me con la morte di Nic.
«Non è un ospedale», inizia subito con la trattazione.
«Dalla brochure no. È una clinica privata simile ad una casa di riposo», spiego non conoscendo bene il termine da usare. Ma zia Marin sembra convincersi lo stesso.
«E quanto costa? Ce la facciamo con le bollette e...»
«Tu non preoccuparti di questo. Ci penso io. Ho un colloquio di lavoro martedì ma accetterò perché in questo modo avremo altre entrate».
Zia Marin strizza l'occhio. Conosco l'espressione per cui corro nella mia stanza a stamparle il volantino del posto nella quale Emerson mi ha chiesto di recarmi, dopo essersi prodigata.
Mostrandoglielo le lascio il tempo per pensarci un po' sopra.
«E tu? Starai bene senza di me?»
Vorrei dire di no. Non sono pronta. «Ti verrò a trovare», rispondo invece per darmi forza. «Non è poi così lontano».
Zia Marin guarda me poi la stampa con le foto. «Mi cureranno e mi faranno divertire?»
«Così c'è scritto», alzo le spalle. «Ma se non ti piace dopo la visita, non ci andrai. Troveremo altro», le prometto.
Fa una smorfia tornando allo yogurt. Mangia concentrata e attenta.
Bevo l'ultimo sorso di cioccolata mettendo da parte il muffin al gusto red velvet per dopo, quando avrò bisogno di zuccheri per tenermi in piedi.
«Va bene. Ma se non mi piace mi lascerai morire qui in pace», minaccia e so che è sincera. Lo vedo nei suoi occhi stanchi di combattere che non ce la fa più. E sono sicura che lei voglia raggiungere suo marito. Ricongiungersi con quella metà rimasta vuota troppo a lungo.
Sparecchio mentre si sposta in soggiorno a leggere il giornale e a guardare un programma in tv.
Pulisco la cucina poi mi occupo della sua stanza cambiando le lenzuola, spolverando, togliendo i centri e la disposizione dei quadri con le foto.
Torno in camera per farmi una doccia e, quando sono pronta chiamo un taxi per farci accompagnare alla clinica, per parlare con il direttore del posto contattato da Emerson.
Seduta sul sedile anteriore del taxi, zia Marin impegnata in una discussione tranquilla con il conducente del mezzo mentre il tachimetro scorre troppo in fretta, pesco il telefono dalla tasca del cappotto color cammello che indosso. Sotto, pantaloni in tartan grigi, sopra un maglione morbido e i capelli lasciati liberi sulle spalle, con la testa coperta da un berretto.
Fuori fa parecchio freddo. Le temperature si sono abbassate di colpo nel corso della notte.
"Caro MisterX,
È stato un bel gesto il tuo.
Bello, ma un po' sospetto visto che hai azzeccato i nostri gusti in fatto di colazione. Questo lo chiamo stalking. Ma ti perdono solo perché hai fatto felice la persona per cui sto cercando di lottare, di tenere ancora con me.
Ho apprezzato molto la rosa. Produzione propria?
Spero tu abbia riposato almeno un po'. Buona giornata,
- B".
Guardo fuori dal finestrino sentendomi tanto piccola quando siamo in mezzo al traffico nel Midtown, sulla Fifth Avenue.
Ingorghi con gente che sfreccia da una parte all'altra con gli occhi puntati sugli schermi. Sembrano palline da biliardo. Ovunque ti giri sei circondata da persone, auto, grattacieli con i vetri a specchio, locali e ambulanti.
Apro il finestrino lievemente appannato. È coperto esternamente dalle gocce di pioggia che, leggera scende da un cielo grigio chiaro ad illuminare la zona con la sua luce pallida che, quasi fa male agli occhi.
"Cara B,
Ne sono lusingato. Mi fa piacere sapere di avere reso almeno qualcuno felice.
Tu non lo sei?
Non sono uno stalker. Siete voi ad avere gusti semplici e comuni.
Magari se ci sarà una prossima volta potrei optare per una colazione salata, ma dubito tu la gradisca.
Le rose sono coltivate in un bel giardino. Forse un giorno potrai accedervi e ammirarlo di presenza. Ti avverto però: ne sono geloso.
Non ho dormito ma in compenso sto avendo una mattinata alquanto movimentata al lavoro. Il genere di cose che preferisco.
- MisterX".
Mi piace come scrive, come riempie uno spazio virtuale con parole e pensieri profondi. Mi stuzzica anche il suo strano modo di fare spirito. Mi incuriosisce come riesce a tenermi testa argomentando tutto senza mai cadere nel banale o in inutili ripetizioni o peggio: cliché.
"Caro MisterX,
Essere felice non rientra tra le mie priorità attuali.
Sto accompagnando mia zia a vedere un posto in cui poter vivere e forse anche morire serenamente ma, lottando.
Spero tanto che lei accetti la mia offerta, perché altrimenti sarò costretta a vederla sfiorire giorno dopo giorno. E non sono pronta.
Hai un giardino segreto?
Interessante... forse un tantino inquietante.
Sei un giardiniere pazzo? Un serial killer che coltiva rose sui cadaveri delle vittime? In quel caso si spiegherebbe il colore atipico e particolare nonché l'odore tenue della rosa.
- B".
Superiamo l'Empire State Building e per pochi istanti rimango senza fiato. È facile perdersi in un posto come questo.
"Cara B,
Mi hai appena fatto ridere in piena riunione davanti ad un gruppo di ricchi stronzi che, attendevano un mio giudizio su un progetto.
Rose coltivare sui cadaveri...
È da pazzi!
Sto scuotendo la testa ormai da un paio di minuti continuando a ridere mentre tutti, al contrario mi fissano come se fossi impazzito di colpo. Forse lo sono. Momentaneamente, mi sembra ovvio. Tutto a causa tua.
Complimenti, hai una fervida immaginazione. Per caso, leggi tanti thriller?
Sentiti pure in colpa se oggi avrò un calo delle mie prestazioni. ;)
Divertito,
- MisterX".
Sorrido. Zia Marin accorgendosene sbircia sporgendosi lievemente, ma non le permetto di leggere lo scambio di e-mail, con uno sconosciuto che mi ha offerto un lavoro, una possibilità di fuga dalla realtà per qualche minuto e una buonissima colazione. Soprattutto mi ha regalato più di un sorriso.
"Caro MisterX,
Esistono le pillole blu per un aiuto. Dicono funzionino anche bene quando si ha un calo improvviso delle prestazioni. ;)
Ritornando alla tua domanda: leggo molto in effetti, quando ne ho il tempo. Ma sono curiosa di sapere come possa esistere un roseto così particolare in un posto contaminato come questo.
- B".
Il taxi finalmente di ferma davanti un cancello in ferro battuto nero, delimitato da due colonne bianche di pietra e un muro che circonda il rettangolo in cui si trova la bellissima struttura in stile vittoriano davanti a noi.
Una siepe, il prato e un viale a serpentina che conduce all'entrata dove si trova un enorme portone in legno bianco con rifiniture in oro.
Pago la corsa al tassista, aiutando zia Marin con la sedia a rotelle. La trascino premendo il pulsante del campanello sotto una delle siepi.
Il cancello si apre in automatico dopo un rumore metallico.
«Sembra tranquillo.»
I miei occhi senza volerlo, si posano sempre dove non dovrebbero. Vedono tutto, ogni dettaglio, anche quello che si cerca di nascondere.
Zia Marin è letteralmente accecata dalla bellezza del posto.
Da questa sua espressione, so già di averla conquistata.
Lei adora i posti come questi. Eppure mi chiedo se riusciranno a curarla. Se riuscirò a pagarle questo paradiso rendendola felice.
Più che rigida la trascino davanti all'enorme portone da dove esce un uomo in divisa bianca. Sembra sportivo nel complesso.
Niente capelli, una folta barba e due occhi scuri a scrutarci attentamente.
Mi porge subito la mano curata e morbida. «Sono il dottor Stewart, lei deve essere la signorina Bambi e lei... la signora Marin Stevens, piacere di conoscerla», sorride in modo rassicurante baciando il dorso della mano ad entrambe.
Zia Marin sta sorridendo lisciando il plaid azzurro che ha sulle gambe. «Mi chiami solo Marin dottor Stewart».
«Prego», l'uomo ci lascia passare dentro la struttura.
L'atrio, uno spazio ampio dal pavimento in marmo chiaro, ospita una piccola sala d'attesa con divani in stile moderno e quadri grandi con rappresentazioni fotografiche dei paesaggi più belli e conosciuti della città.
Nessun riferimento storico. Tutto nuovo. Tutto pulito e in ordine.
Accanto ai divani, un tavolo basso con delle riviste letterarie, di moda e di cultura. Ci sono persino quelli con i quiz iniziati da qualcuno durante l'attesa e lasciati lì in modo tale che qualcun altro ci giochi.
Superato questo, un enorme bancone. Una reception. Dietro vi è una donna in camice bianco con uno chignon, che a solo guardarlo mi fa venire un gran mal di testa, tanto è tirato e perfetto. Le sue guance sono rosee e le labbra sembrano gonfiate da un po' di filler.
Quando attraversiamo il corridoio tinteggiato di grigio ci sorride mettendo in ordine delle cartelle poco prima di essere interrotta dal telefono.
Superato il corridoio il dottore ci mostra le prime stanze come: l'angolo dei lettori, una biblioteca piena zeppa di vecchi e nuovi volumi; l'angolo degli amanti dei telefilm e dei giochi, pieno di divani color rosso vino, tavoli bassi, una parete piena di dischi e dvd; l'angolo per per coloro che amano la musica, l'arte, un giradischi, un pianoforte e tanti altri strumenti che non conosco.
È tutto in ordine, disposto in modo metodico. Ogni stanza ha un suo colore, un suo stile. Attorno c'è odore di pulito, di buono.
Nel complesso questo primo piano è accogliente, mi dico scoccando un'occhiata a zia Marin che, nel frattempo, chiacchiera curiosa con il dottore.
Dopo le sale in cui passare le giornate, piene di persone, medici e infermieri, ci viene mostrata la mensa con la cucina adiacente. Ci sono cuochi e volontari già pronti.
Qui c'è odore di pasta al sugo fresco, di torta alle fragole e biscotti alla cannella.
Il pavimento è a scacchi e le pareti bianche.
In sala, si trovano circa tre pilastri, questi separano la cucina dalla mensa e dietro le vetrine si intravedono cibo e bevande, soprattutto i cuochi al lavoro.
I tavoli sono tutti apparecchiati e vi sono bidoni enormi all'angolo; in modo tale che chiunque possa dare una mano con le pulizie.
Così ci spiega il dottore. Perché a quanto pare, in questo posto, tutti danno una mano e il proprio contributo come possono.
Dal piano inferiore passiamo a quello superiore pieno di stanze.
Il silenzio è piacevole in questo corridoio spoglio e ristretto.
Il dottore ci porta nella stanza numero 76 aprendo la porta con un badge.
Veniamo accolte dall'odore dei limoni, dal calore piacevole e gradevole di una stanza semplice nel complesso, ma bene arredata, dotata di ogni comfort.
Qui dentro lo stile è classico. Il letto con la testiera in legno, le coperte color crema. Un cassettone su cui poggia un vaso pieno di rose, due comodini ai lati. Su uno di questi una lampada nell'altro un telefono.
C'è anche la tv, per chi intende rimanere in camera a rilassarsi, spiega brevemente il dottore mostrando a zia Marin il bagno. Un quadrato piastrellato sui toni del bianco e del blu.
«Questa, qualora lei voglia affidarsi alle nostre cure, sarà la sua stanza. Può usare l'ascensore e le aule quando vuole, purché rispetti le regole di convivenza. Può anche andare in giardino se gradisce l'aria fresca e nel frattempo la cureremo sperimentalmente», non accenna al costo, che sicuramente sarà stratosferico, tanto meno a mostrarci la parte in cui si trova l'ospedale.
Ci porge una chiave magnetica, un depliant più organizzato rispetto a quello trovato sul sito e un foglio da compilare.
«La ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato dottor Stewart. È davvero un bel posto», mi complimento stringendogli la mano quando finito il giro, ci riaccompagna all'entrata.
«Un dottore verrà a prenderla qualora lei sia interessata signora Marin».
Mi guarda. «Presentatevi pure qui se avete intenzione di partecipare alla ricerca. La prossima settimana raccoglieremo fondi vendendo barrette di cioccolata, vi aspetto», le lancia subito uno sguardo accattivante e lei sorride arrossendo.
Non credo di avere mai visto tanto attenta e ammirata nei confronti di un uomo mia zia. È sempre stata fedele nel complesso. Ma, in fondo lo sa anche lei che il dottore sta solo cercando di convincerla ad affrontare la sua malattia, a combattere, vivendo in un posto meraviglioso che profuma tanto di speranza.
«Venga pure a trovarci quando vuole. Le amiche di Emerson sono anche le mie», dice quando zia Marin è già sul taxi.
«Grazie ma non ha accennato al costo...»
Il dottore piega la testa di lato. «Come ho detto: le amiche di Emerson sono anche le mie. Buona giornata, Bambi».
Capisco lo strano gioco di parole sentendomi in qualche modo messa a nudo da un uomo che, a quanto pare, frequenta il sito e annuendo, abbozzo un sorriso raggiungendo il taxi.
Chiedo all'autista di portarci al "LupoNero" e guardo zia Marin cercando di capire la sua opinione.
Accorgendosi che la tengo d'occhio dice: «Smettila di starmi con il fiato sul collo. È fastidioso!»
«Allora dimmi che ne pensi», prendo subito il discorso mentre il conducente del taxi ci porta velocemente e senza tante chiacchiere al locale di Dan.
Zia Marin guarda fuori dal finestrino i palazzi della zona residenziale più ricca, poi le sue mani piene sfiorando l'anello che non ha mai tolto.
«Sarò sincera con te», dice inumidendo le labbra con un lieve alone di rossetto.
Per l'occasione si è vestita per bene. Ha persino messo gli orecchini. Anche se so che muore dalla voglia di toglierli.
«Mi piace il posto. C'era una bella atmosfera», dice guardandomi intensamente.
«Ma?»
«Ma non voglio lasciarti sola ad affrontare un prezzo così alto solo per aiutarmi a superare un altro anno», parla con voce stanca.
Scuoto subito la testa. «Posso farcela. Te l'ho detto ho un lavoro e verrò a trovarti. Per una volta pensa un po' a te stessa», le stringo le mani che rischia di martoriarsi.
«Dimmi solo se vuoi andarci o meno», la guardo speranzosa.
Lei mi avvicina dandomi un bacio sulla fronte. «Ho già confermato. Qualcuno verrà a prendermi. Non dovrai svegliarti ad ogni mio cambiamento del respiro. Non dovrai correre da una parte all'altra quando starò male. Non dovrai cucinare per me la notte o organizzarmi ogni cosa perché non riesco a muovermi. Non dovrai sollevarmi quando cado o portarmi in bagno. Ci saranno degli infermieri pronti a servirmi, a farmi sentire meglio. Solo una cosa ti chiedo...»
Mi faccio attenta. «Voglio che mi vieni a trovare tutte le volte che vuoi e che mi chiami almeno una volta al giorno per raccontarmi quello che fai».
«Ti porterò se sarà possibile il mitico pollo di Dan», sussurro per confermare.
Il tassista si ferma di fronte al locale aiutandomi con zia Marin.
Ringrazio, pago la corsa e spingo la carrozzina all'ingresso del locale.
Ci sistemiamo all'angolo, quello più tranquillo.
La parete per metà in legno per metà in mattoni fino al tetto. Le lampade antiche, fanno ripensare alle vecchie locande.
Dan dietro il bancone sta servendo due signori rivolgendo loro dei calorosi sorrisi.
Zia Marin mi becca ad osservarlo, non nascondendo il sorrisetto furbo.
So già a cosa sta pensando.
«Non hai mai accettato i suoi tentativi. Prima o poi conoscerà una ragazza e te lo ruberà», dice tamburellando con le unghia sulla superficie del tavolo. «Non ti dispiacerà neanche un po'? Non sarai gelosa?»
Gioco con un tovagliolo di carta. «Io e Dan siamo amici sin da quando eravamo bambini, zia. Non c'è mai stato niente tra di noi perché ci vogliamo bene.»
Zia Marin fa una smorfia. «Io ci vedo benissimo e noto come vi guardate voi due. Non avete mai provato?»
Nego. «Ne abbiamo già parlato una infinità di volte zia. Non è mai successo niente perché io e lui siamo solo amici. C'è stato per me, sempre. E io spero di esserci per lui», torno a guardarlo proprio quando si volta imbambolandosi.
Sorrido salutandolo con la mano e lui prendendo un taccuino e i menu corre subito da noi.
Bacia zia Marin che, quando lo vede arrivare si illumina come se avesse davanti una star del cinema, mentre mi alzo circondandogli il collo con le braccia per pochi istanti lasciando a lui il compito di baciarmi forte una guancia.
«Stai bene?» scruta nei miei occhi.
«Si, sono riuscita a convincerla», gli sussurro all'orecchio.
Dan mi sorride e sedendosi accanto a me guarda zia Marin.
«Hai deciso?» si rivolge direttamente a lei.
«A quanto pare mi farò internare in una clinica dove gli infermieri non sono niente male. Un toccasana per la mia salute», sorride bevendo un sorso d'acqua.
«Mi fa piacere. Ti manderò il tuo brodo di pollo preferito e un dolce almeno una volta a settimana», le rivolge il suo sorriso ammiccante.
«Terrai d'occhio la mia bambina?»
Gli mollo una spallata e lui circonda le mie con un braccio avvicinandomi a sé.
«Sarò la tua spia», ghigna.
Gli pizzico il naso.
Zia Marin sta sorridendo maliziosa. So a cosa sta pensando ma io e Dan siamo da sempre così. All'asilo, non riuscivano a separarci. Giocavamo a rincorrerci, con le bambole, con i camion oppure fingevamo di essere dentro una storia in cui lui era il principe da salvare e io la principessa temeraria.
Alle elementari, abbiamo lottato per stare nella stessa aula, anche se a distanza di qualche banco, ma le insegnanti avrebbero preferito tenerci debitamente lontani, perché provocavamo sempre tanto scompiglio.
Alle medie, ci siamo un po' divisi. Lui iniziava ad essere un ragazzino pericoloso perché si incontrava con tipi che non mi stavano poi così tanto a genio.
Al liceo, ci siamo scontrati un paio di volte a causa della sua gelosia patologica nei miei confronti. Alla fine però siamo sempre ritornati sui nostri passi, ci siamo abbracciati e voluti bene. Ci siamo coperti le spalle a vicenda nonostante tutto, anche quando non avremmo voluto.
«Bene, perché altrimenti dovrò ucciderti. Sai troppe cose», scherza parecchio di buonumore.
L'uscita è stata rigenerante per lei e mi fa piacere.
«Troppe e in grado di farmi rischiare l'osso del collo comunque», esclama sorridendomi, alludendo agli ultimi segreti nascosti a zia Marin che, crede ancora che mi sono licenziata per un altro lavoro.
Dan si alza. «Arrivo subito con il pranzo. Ho mezz'ora di pausa mi unisco a voi se non disturbo».
«No, non disturbi affatto. Stavo giusto dicendo a Bambi che non vi vedo più stare insieme da giorni», replica prontamente zia Marin imbarazzandomi. «Non voglio che succeda di nuovo. Ormai Nic è andato!»
Mi irrigidisco. Dan le sorride forzatamente. Si è sempre comportato bene nei suoi confronti, nonostante la lingua lunga e le frasi spesso inopportune.
«Perfetto, a tra poco», dice facendomi l'occhiolino.
Lo spingo e lui corre in cucina mentre i dipendenti continuano il loro lavoro girando tra i vari tavoli sempre pieni.
"Cara B,
Ti stupiresti nel sapere quanti tipi di rose esistono nel mondo.
Queste, sono davvero speciali. Rappresentano in minima parte il mio animo.
Per quanto riguarda le pillole, non mi servono. Ripeto, sono messo bene lì sotto.
Hai impegni per stasera?
- MisterX"
Leggo solo ora il messaggio e mi ritrovo a sorridere come una stupida dietro uno schermo con uno sconosciuto che potrebbe essere un maniaco.
"Caro MisterX,
Rispondo solo ora perché sono riuscita a convincere mia zia a sopravvivere.
Devo prenderla come una vittoria?
Stasera ho un grosso impegno. Devo creare dei video. Devo lavorare per mantenere lo stato naturale delle cose.
Avevi qualcosa in mente?
- B".
«Posa quel dannato arnese e pranziamo», zia Marin mi fa sobbalzare. Indica Dan con un vassoio.
Ci mette sotto il naso il pranzo sedendosi accanto a me.
Avvicino l'insalata di pollo assaggiandola. Mugolo di piacere e lui mi guarda soddisfatto. «Sei sempre stata la prima ad assaggiare i miei esperimenti», dice divertito ripensando a tutte le strane pietanze cucinate da zia Marin nei pomeriggi pieni di noia e freddo.
«E tu a sopportare i miei problemi. Mi sembra uno scambio equo».
Mastica lentamente. Zia Marin intanto ci osserva con un sorrisetto stampato in faccia. So cosa sta immaginando ma con Dan va avanti così da una vita.
A parte quel bacio non c'è stato niente. Anzi, ora che ci penso è stato proprio quel bacio a destabilizzare un po' la nostra amicizia.
«Sei sempre stata presente nella mia vita sin da quando ne ho memoria. Sei come una sorella e sopporterò sempre i tuoi problemi», replica rubandomi dal piatto un po' di insalata e del mais.
Provo a fermarlo e sorride in modo furbo prima di avvolgermi il collo con il braccio massiccio. Ha una pelle che profuma sempre di buono.
«Ci caschi sempre», mi provoca.
Gli mollo una gomitata e lascia la presa guardandomi intensamente. Ricambio pronta a ridere e strillare ad ogni suo possibile attacco.
«Siete sempre stati affiatati e affettuosi tra di voi. Dimmi Dan, non hai ancora una ragazza?» Ci interrompe di proposito godendosi lo spettacolo.
Guardo male zia Marin che, è sempre stata immune al mio attacco. Mangia con disinvoltura pulendo il coltello sulla fetta di pane.
Dan smette di masticare poi rigirando la forchetta sul piatto quasi vuoto risponde: «No, non ho nessuna ragazza».
Zia Marin lo guarda curiosa e piena di domande. «E come mai?»
«Non credo voglia rispondere», intervengo.
Lui si alza togliendo i piatti vuoti. Lecco un dito pieno di salsa e lui mi fa un breve cenno di ringraziamento.
Quando si allontana la guardo male. «Fai sul serio?»
Liscia il tovagliolo con finta innocenza. «Ho solo mosso un piccolo sasso per fare cadere il masso», esclama tamburellando con le dita sul tavolo.
«Non hai pensato che forse è meglio lasciare le cose così come sono tra me e lui? Perché rovinare tutto? Per dei baci e una scopata?»
«Perché ti scaldi tanto? E poi, che cosa sono questi termini?» Mi provoca.
«Perché Dan è davvero il fratello che non ho mai avuto e non tollero questo atteggiamento», replico minacciosa alzandomi dal tavolo.
«Dove vai?»
«A vedere se ha intenzione di pranzare ancora con noi».
Ho sempre avuto l'affanno di chi ha dovuto lottare. Ho sempre stretto i denti, mitigato ogni situazione cercando di capire che cosa fosse giusto o sbagliato. Mi sono sempre ritrovata in situazioni simili: discussioni piene di rabbia, prive di rispetto, dove tutti sono contro tutti, dove io mi sento sempre l'unica spettatrice di una lotta, del caos che da lì a poco, farà una strage.
Mi dirigo in cucina. So di non avere alcun diritto di invadere il suo ambiente di lavoro, ma non sopporto questo lato di zia Marin.
Ha sempre tentato di farci mettere insieme con risultati a dir poco disastrosi. E, puntualmente arriva quella sua dannata domanda alla quale non sappiamo rispondere proprio perché io e lui siamo sempre stati qualcosa, ma non innamorati.
L'amore è altro. Il nostro è un rapporto duraturo che non lascerò intaccare da un sentimento come l'amore.
Vedendomi arrivare si sposta verso il lavandino in acciaio. Lo raggiungo. «Scusala. Sai che non la smetterà mai», dico mortificata.
Nega asciugandosi le mani. «Non mi fa arrabbiare il suo tentativo», replica più freddo del necessario.
Drizzo le spalle. «Che cosa intendi?»
«Mi fa arrabbiare il non saperci definire e il non sapere spiegare perché non ho una ragazza o qualcuno nella mia vita. Ci sei tu ma non lo sei e tutti ad alludere come se mettessero il dito nella piaga pur sapendo come mi sento», dice gesticolando poco prima di prendere tre piatti disponendoci sopra tre fette di torta.
Provo ad aiutarlo, mi blocca la mano intrecciando le nostre dita.
«Scusami. Continuo a sentirmi in colpa per te».
Il mio cuore sta battendo forte. Sorrido e d'impulso lo abbraccio. Lui mi schiaccia contro il ripiano e rimaniamo così per pochi minuti. Tra il rumore della friggitrice, quello del campanello premuto dal cuoco per richiamare i camerieri e l'odore del cibo.
Inclina gli angoli delle labbra, guardandomi con l'aria di chi sta per perdersi in un sogno. Socchiude gli occhi poi si avvicina regalandomi una scossa. Una persona che ti abbraccia in questo modo, in fondo, è un buon motivo per continuare a sorridere.
«Non devi. Hai fatto abbastanza per me. Inoltre non è ancora successo e... il nuovo lavoro non è male».
Si allontana di un passo rimanendo con le braccia intorno alla mia vita. «Fare dei video seminuda davanti ad una webcam è la tua ambizione?»
Nego. «È un'entrata in più. Non mi costa niente e mi diverte. Non mi sono ancora spogliata del tutto e nessuno mi vede in faccia», dico spingendolo.
«Non ancora, ma domani?»
«Mi stupisce che tu l'abbia visto».
Arrossisce lievemente aprendo e richiudendo la bocca. Non riesce a replicare per cui provo ad allontanarmi.
Stringe la mano sul mio polso avvicinandomi con un lieve strattone. «Volevo solo...»
Alzo gli occhi. «Controllarmi? Già, l'hai sempre fatto. Non sono più una bambina, Dan. So cosa faccio e i soldi che guadagno mostrandomi in webcam mi servono per pagare le nuove cure a zia Marin. Se non lo capisci... smetti di guardarli e di... pagare. Visto che puoi approfittare della mia presenza da vicino», mi allontano.
Di nuovo al tavolo, zia Marin nota il cambiamento del mio umore. Non dice niente e gliene sono grata.
Sentendomi soffocata controllo il telefono. C'è una notifica, un nuovo messaggio da leggere.
"Cara B,
In mente ho tante, troppe cose.
Mantenere tutto così com'è non è sempre un bene. Bisogna cambiare registro o idea qualche volta. Commettere qualche pazzia. Magari toccare il fondo per potere risalire in superficie.
- MisterX".
"Caro MisterX,
Saprò mai il tuo nome?
Mi piacerebbe sapere cosa nascondi dentro quella testa. Non sembra vuota.
La mia, attualmente è in fumo ma sono positiva.
- B".
"Cara B,
Il mio nome non ha importanza. Sono un uomo e hai un colloquio di lavoro. Questo basta e avanza per te.
Grazie per il complimento sulla mia testa. So di non essere una zucca vuota ma un vaso pieno.
È successo qualcosa?
- MisterX".
Dan arriva con il dolce ma non ho poi così tanta voglia. Mangio svogliatamente facendo finta di essere interessata alla sua conversazione con zia Marin, mentre continuo a scrivere ad un anonimo arrogante che crede di sapere tutto di me.
"Caro MisterX,
Sono solo un po' nervosa. Tutto qua. Non sei una zucca vuota, no, ma un arrogante presuntuoso si.
Tu come stai?
- B".
Sento vibrare il telefono dopo appena un minuto.
Sullo schermo: una chiamata anonima. Corrugo la fronte e scusandomi mi sposto fuori per rispondere.
«Pronto? Se è uno scherzo non sono dell'umore».
«Hai anche una bella voce. Questa si che è una novità».
Spalanco gli occhi raggelando. Il sangue affluisce sulle guance e mi guardo intorno smarrita.
No, non può essere vero.
♥️
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