26

Sdraiata su un fianco, sveglia ormai da ore, continuo ad osservarlo. Ho paura di chiudere gli occhi e non trovarlo nei miei sogni. Ho paura di svegliarmi sola, con un posto vuoto accanto e una voragine dentro. Ho paura di commettere ancora uno sbaglio. Per questa ragione me ne sto con le mani affondate sotto il cuscino, la guancia sprofondata sul tessuto morbido.
Nella penombra riesco solo a vedere il suo profilo attraversato da una striscia lieve di luce. Tengo a freno la voglia di toccarlo per vedere se è reale, se non sto sognando. Mi avvicino solo e chiudendo gli occhi inspiro il suo odore. Penetra lentamente dentro prima di colpirmi forte con la sua intensità.
Nascondo un sorriso avvicinandomi ancora e quando provo a mettere la guancia sul suo petto, mi accoglie tra le braccia continuando a dormire. Allungo il viso nascondendolo sotto il suo collo.
La sua pelle si rizza visibilmente. Trattengo il fiato credendo di averlo svegliato. Invece, dorme profondamente. Sento il suo fiato caldo sulla mia pelle nuda e chiudendo di nuovo gli occhi provo ad addormentarmi.
I minuti passano. Dentro la stanza si avverte solo il freddo, il calore umano dei nostri corpi, dei nostri respiri. C'è odore di rose, del mio profumo e del suo. Questi: vanno a mescolarsi creando un connubio esplosivo, intenso ma piacevole.
Mi agito. In realtà non sono neanche io. È Travis quello ad essere scosso. Alzo la testa accendendo la luce dopo essermi sporta dal mio lato per arrivare al filo e quindi all'interruttore. La luce ferisce le mie pupille abituate all'oscurità di questa notte apparentemente tranquilla.
Batto le palpebre cercando di mettere a fuoco. La stanza prende colore e li vedo. I suoi occhi sono strizzati, tenuti chiusi a forza, increspati da un dolore che solo lui riesce a sentire ma che è in grado di trasmettermi. Appanna i miei sensi peggio di uno schiaffo dato senza preavviso in faccia.
«No!» mugola allungando il collo.
Le sue spalle sussultano come se stesse scuotendo qualcosa di dosso. Continua a scrollare ripetutamente la testa. «No, no!» dice ancora con voce stridula, tra i denti e del tutto scosso. Le sue dita arricciano la coperta a cui si aggrappa rischiando di strapparla.
Poso i palmi sulle sue spalle per tenerlo fermo. Non posso svegliarlo o si sentirà male. Non posso causargli neanche un ulteriore trauma. Penso ad una soluzione mentre se ne sta sotto la coperta a contorcersi. Il suo dolore visibile mi fa stare male.
«No... no!»
Continua a ripetere sempre la stessa parola. La dice però in modo diverso.
Presa dallo sconforto mi rannicchio di nuovo sul suo petto. Il contatto della mia pelle fredda e nuda sulla sua sembra calmarlo. Premo le labbra sotto l'orecchio. «Va tutto bene», sussurro. «Sssh», provo a rassicurarlo non sapendo come comportarmi di fronte alla sua agitazione.
I minuti passano lentamente. Quando sembra calmo, scatta a metà busto affannato. Il petto di nuovo scosso, la fronte imperlata di sudore e la paura nel sangue. Batte le palpebre guardandosi intorno e, vedendomi spaventata scosta la coperta dandomi le spalle, passando le dita rabbiosamente tra i capelli, sul viso. «Ti ho fatto male?» Usa un tono strozzato.
Nego brevemente con la testa osservandolo dal mio angolo dalla quale non oso staccarmi.
«Ti ho spaventata?»
Nego di nuovo. Non so come mi sento attualmente. Un po' confusa.
Si volta. «Non mentire...» sospira e alzandosi si sposta in bagno lasciandomi sola.
Infilo il pigiama sentendo freddo e lo seguo trovandolo appoggiato al ripiano del mio vecchio lavandino di ceramica. Apre il rubinetto lavando il viso ripetutamente. Lo alza poi guardandosi inorridito allo specchio. Come se volesse spazzarlo via.
Da questo comprendo le sue domande rivolte prima a me. Mi avvicino. Chiudo il getto freddo e abbracciandolo da dietro, massaggiandogli il petto, bacio la sua spalla premendo forte le labbra sulla pelle. «Va meglio?»
«No, non va mai meglio», replica voltandosi.
Asciugo il suo viso con un asciugamano morbido preso dal cassetto. Il gesto sembra confortarlo anche se non del tutto. «Con il tempo passa ma non va mai via del tutto. Ti ci abitui ma speri sempre che sia solo un incubo.» Mi accarezza la guancia. «Dimmi la verità», sussurra con voce arrochita.
Stringo la sua mano baciandone il palmo. «Dimmi cosa devo fare quando ti agiti. Io ci ho provato ma non ha funzionato del tutto e mi sono sentita inutile. Dimmi che cosa ti fa stare meglio.»
Mi avvicina stringendomi al petto. «Tu. Mi fai stare meglio tu. E sembrerà una frase scontata, melensa forse anche strana detta da uno come me con così tanti problemi ben evidenti ma è così, Bi.»
Stringo le dita sulla sua schiena. «Voglio aiutarti. Farti sentire al sicuro.»
Mi bacia la spalla, il collo, infine mi stringe le mani sulle guance. Strofina la punta del naso sul mio. Rimaniamo così per pochi istanti. La tensione dentro il bagno si fa palpabile. Le mie mani premono sulla sua schiena facendolo avvicinare. Mi alzo sulle punte e continua a tenermi ferma, a guardarmi intensamente.
«Non ti rendi conto di quello che mi provochi dentro, non è vero?»
Sorrido e freme. Il suo fiato caldo investe la mia pelle. «Se è simile a quello che ti provoco fuori...»
Emette un verso strozzato. Preme le labbra sulle mie facendomi avvicinare al lavandino dove mi solleva sul ripiano continuando a baciarmi dolcemente, senza fretta.
Ci stacchiamo affannati. «Hai fame?» Chiedo ricomponendomi.
Strofina i palmi sulle mie braccia. «Vado io», replica in fretta e, dopo essersi rivestito esce dalla stanza.
Lo aspetto per qualche istante fino a quando lo vedo tornare con un sacchetto. «Ho fatto la spesa», esclama divertito.
Lo osservo standomene seduta sul letto, la schiena appoggiata alla testiera. Il momento di prima sembra essere passato in secondo piano, questo solo per lui che cerca sempre di prendere il meglio dalla vita non lasciando al dolore, al ricordo, di avere la meglio sul presente. Lo ammiro sempre di più per questo.
Sedendosi accanto comodamente, mi passa la confezione. Sollevo il coperchio di plastica dopo avere staccato la forchetta e il tovagliolo dentro la bustina sotto la confezione. Assaggio il pasto freddo assaporando ogni ingrediente fresco al palato. Rigiro la forchetta sul piatto.
«Ehi, che succede?» mi dà un pizzicotto sulla guancia forse vedendomi distratta.
Lo spingo dolcemente. «Stai meglio?»
Posa il piatto semivuoto e anche il mio sul comodino avvicinandomi a sé. «No, però mi sento meno nervoso rispetto a prima. Mi dispiace che hai assistito di nuovo.»
Gli porgo il piatto. «Mangia», ordino. «Hai bisogno di calorie ed energia.»
«Tu come stai?»
«Preoccupata, ma passerà», dico chiudendo il coperchio. Mi sento piena.
Travis finisce di mangiare, pulisce gli angoli della bocca e alzandosi mi tira fuori dal letto senza una ragione. Mentre me ne sto in piedi, accende un po' di musica mettendola a basso volume.
«Che fai?» chiedo quando mi stringe la mano e il fondoschiena. «Balla con me», mi prega convincendomi con lo sguardo.
Sorrido. «Vuoi ballare», la mia non è una domanda. Mi sembra solo strano questo suo modo di chiedere scusa per un qualcosa che non può controllare sempre. È così dolce da coinvolgermi.
«Si», annuisce con un lieve sorriso.
Impazzisco quando si comporta in questo modo. Mi fa fare una giravolta. Rimango di spalle muovendo i fianchi. Sorrido sentendo le sue labbra sul collo. Annusa la mia pelle come per accertarsi di essere sveglio. Mi volto gettandogli le braccia al collo continuando a sorridere come una stupita.
«È così che voglio vederti», dice rubandomi un bacio, lasciandomi addosso una lunga scossa che si deposita sul basso ventre. «È così che voglio svegliarmi. Con te che mi sorridi, che mi stringi, che mi fai sentire di avere una possibilità. Di non essere un caso disperato.»
Attendo che continui lasciandolo libero di parlare. Mi piace quando dialoghiamo, ci capiamo. Mi piace sentire l'intesa che abbiamo.
«È ancora valida la mia proposta», muove i fianchi poi mi fa fare un'altra giravolta.
Finisco a contatto con il suo petto. «Davvero?» chiedo bocca contro bocca abbassandogli il viso. «Hmm, Hmm», annuisce sollevandomi. Mi reggo sulle sue spalle. «Se vuoi la proposta posso sempre fartene una. So essere convincente», ammicca.
Rido. «Non provarci!» rispondo. «Ti avevo avvertito.»
Mi lascia scivolare su di sé mentre gira intorno. La mente si alleggerisce per un attimo e un senso di vertigine mi investe andandosi a mescolarsi all'euforia che mi provoca dentro. Rimetto i piedi per terra e lui sta aspettando una risposta. Boccheggio. «Prima o poi userò quella chiave e mi avrai così tanto tra i piedi da volere scappare perché sarò insopportabile.»
Sorride in modo dolce ed oscilliamo. Prima a destra poi a sinistra e poi di nuovo. «È una promessa?»
«Prendila come una minaccia, mio caro MisterX», rido quando mi carica sulla spalla dandomi una pacca sul sedere. I miei piedi oscillano nel tentativo di liberarmi ma a niente serve ogni mio tentativo. «Mettimi giù», strillo minacciosa cercando di modulare il tono di voce.
«Sei sicura?» mi solleva tenendomi per i fianchi. Alzo le braccia e quando mi lascia andare lo abbraccio avvinghiandomi a lui.
«No, no, no», continuo a ridere.
«Allora che intendi fare?»
«Userò quella chiave quando vorrò», ripeto.
Mi lancia sul letto sdraiandosi sul mio ventre. Gli accarezzo i capelli e il viso e lui si rilassa. Continua però a sorridere. Questo mi incuriosisce e allo stesso tempo mi insospettisce. «Che c'è?» Mi agito.
«Sai che cosa mi piace di te? Che non sei una di quelle persone che si arrendono o che rendono tutto più facile. Mi piace la tua strana fragilità quando si trasforma in forza. Riesci ad essere spietata. Non ti metti a piangere per motivi banali ma odi mostrare le tue lacrime per paura di essere fraintesa e consolata o persino compatita. Mi piace quando ti vergogni ma mostri lo stesso il rossore delle tue guance. Mi piace persino quando ti arrabbi e come una furia spazzi tutto quanto dentro e fuori di me. Mi piace la tua lingua lunga. Che non hai paura di dire ciò che pensi quando lo pensi anche se non sempre riesci davvero a fare uscire tutto ciò che hai dentro. Mi piaci perché sei una donna che non si ferma a ciò che vede, ad una maschera che portiamo tutti per nascondere le debolezze. Mi piace che non ti fermi ma vai a fondo scavando grosse voragini piene della tua presenza, che quando ti allontani il vuoto che lasci si sente forte. Mi piaci davvero e non solo perché mi sai ascoltare. Non solo perché mi vedi. Mi piaci perché in qualche modo sei come uno di quei raggi di sole nella mia vita piena di nuvole temporalesche.»
Mi stringe la mano baciandola, scaricandomi addosso forti brividi. «Ti sto spaventando?»
Corrugo la fronte sentendomi ancora in balia della piacevole sensazione generata dalle sue bellissime parole. «No. Ma non farti venire strane idee in testa perché dobbiamo dormire almeno per qualche ora e non possiamo fare rumore.»
Fa una smorfia. «Già, il tuo amico...» dice arricciando il naso. Mettendosi a pancia in giù mi tira sotto di sé. Solleva il bordo del pigiama baciandomi il ventre provocandomi il solletico.
Ogni particella di me si tende. Avvicino il suo viso per fermarlo. «Tu vuoi che usi quella chiave. Io voglio che non ti arrabbi più se mi vedi con Dan. Prima mi ha fatto paura la tua reazione.»
Affonda il viso sul mio petto mentre le sue mani sollevano il tessuto toccandomi la pelle, facendomi allungare come un gatto. «Sono geloso in una maniera che non riesco a spiegare. Non volevo comportarmi da ragazzino ma... vederlo in quel modo... vedere come ti guarda... Bi, io non riesco a tollerarlo.»
Sorrido. Lui non comprende la mia reazione. «Che succede?»
Sollevo le ginocchia. «Che cosa vuoi chiedermi?»
Deglutisce schiarendosi la gola intuendo di non essere stato poi così furbo. I suoi occhi non si posano mai nei miei per più di due secondi. «Niente», prova a stendersi ma lo intrappolo. «Trav, dimmi che cosa mi nascondi.»
Sembra colto alla sprovvista dalla mia audacia, dal modo in cui l'ho capito al volo. Sulle sue guance si posa un lieve alone di rossore. «È solo un pensiero che ho fatto prima.»
Sporgendosi spegne la luce. Osservo i suoi muscoli guizzare sotto la camicia aperta. Sfioro subito i pettorali. «Rendimi partecipe dei tuoi pensieri», sorrido in modo dolce per dargli la spinta, ma rimane serio per cui mi ricompongo passando ad un'altra tecnica. «Dimmelo», attendo.
Travis raccoglie i pensieri. «Non voglio solo che usi la chiave per venire da me quando ne hai voglia.»
Non capisco al volo il suo discorso. «E che cosa vuoi?»
Inumidisce le labbra. Prendendo le mie mani me le stringe a coppa baciandole. «Mi prenderai per pazzo e non voglio spaventarti. Dimentica quello che ho detto.»
«Trav, dobbiamo essere sinceri. Dimmelo!»
«Vieni a vivere con me», dice d'un fiato. «Voglio questo. Ti sembrerà presto, assurdo, un modo per tenerti lontana dal tuo amico... ma ci penso da quella notte.»
«Da quando?»
Arrossisce lievemente e la mia mano liberandosi dalla sua stretta si posa sulla sua guancia. Il calore emanato dalla sua pelle mi trasmette una piacevole sensazione in grado di riscaldarmi il cuore.
«Quando ti sei addormentata sul divano la prima volta che ci siamo incontrati.»
Rimango spiazzata e lui annuisce per confermare ulteriormente. «Ti ho fatto una carezza, non so se ricordi. E li ho capito di appartenerti. Lo so è assurdo, non ci conosciamo ma...»
Premo le labbra sulle sue tappandogli la bocca. Capovolgo la situazione baciandolo lentamente poi con più intenzione. «Sei un pazzo!»
Sorride. «Già», nasconde il viso sotto il mio mento chiudendo gli occhi dopo avermi sistemata sotto il suo peso a farmi da coperta. «Pazzo di una peste», mugugna.
Accarezzo la sua nuca fino a quando non si addormenta. Poi provo a chiudere gli occhi anch'io sentendomi stranamente leggera. Riesco a scivolare nel mondo dei sogni ritrovandomi in un posto tranquillo. Mi sento proprio come se fluttuassi nel mare.
Le sue labbra sulla fronte mi distraggono dal sonno, apro gli occhi. «Dove vai?» mugugno allarmata.
«Dormi», mi schiocca un bacio sulle labbra. «Mi manchi», sussurra.
Lo trattengo. «Non andare.»
Preme più forte le labbra sulla fronte. «Devo sistemare alcune cose. Tu dormi. Tornerò prima di quanto immagini.»
Mugolo. «Perché devi sempre scappare da me?»
«Perché i vampiri e i fantasmi si vedono solo di notte.»
Lo trattengo. «Ma tu non sei un fantasma o un vampiro. Sei il mio...»
Crollo ancora aggrappata al mondo dei sogni.
Quando mi sveglio, controllo subito di non essere sola ma ogni dubbio si dissolve colpendomi allo stomaco con una fitta abbastanza forte da farmi avere paura. Mi abbraccio prima di sollevare il biglietto sul cuscino.

"Ti sei addormentata sul più bello. Magari prima o poi accetterai la mia proposta e mi troverai al risveglio accanto a te.
Nel frattempo ti auguro una buona giornata. Prenditi pure del tempo da passare insieme al tuo amico e a tua zia. Quando tornerai io sarò qui ad aspettarti.
Tuo,
- MisterX"

Sorrido nascondendo il viso sul cuscino annusando il suo odore. Lo stringo forte al petto e dopo qualche momento decido di alzarmi, di non perdere tempo prezioso oziando. Mi stiracchio andando a fare una lunga e rigenerante doccia in cui cerco di scaricare, insieme all'acqua, ogni sensazione passata in un giorno alquanto difficile che mi ha segnata per sempre. Perché ci sono momenti nella vita che lasciano una forte impronta nell'anima. Sono quelli che con ogni probabilità non dimenticherai mai perché li hai vissuti, nel bene o nel male, con tutto il tuo cuore.
Indosso indumenti comodi e soprattutto che tengono caldo, visto che le temperature in casa sembrano in picchiata.
Esco dalla stanza trovando Dan seduto sullo sgabello, una tazza di caffè fumante tra le mani e gli occhi rivolti al contenuto.
«C'è una mosca dentro o cosa?» Chiedo.
Si riscuote guardandomi come se lo avessi colto alla sprovvista strappandolo via dai pensieri. «Buongiorno», mi saluta in modo robotico alzandosi, con un bacio sulla guancia.
Mi siedo sullo sgabello mentre mi passa un piatto abbastanza pieno e una tazza di caffè caldo, fumante. Il pasto del perdono, o così l'ho sempre chiamato quando Dan me ne ha preparato uno dopo avere fatto qualcosa di imperdonabile.
«Dimmi che c'è?» brontolo andando dritta al punto.
«Niente», alza le spalle con finta innocenza.
Lo guardo di sbieco. «Dan!»
Per poco non sputa il caffè. Pulisce le labbra. «Niente, stavo per parlare di ieri sera ma non credo sia il caso.»
Bevo un sorso di caffè tagliando un pezzo di uovo. Mi hanno fatto sempre una certa impressione. Per questo li mangio di rado cercando sempre di non pensare alla parola 'pulcino'. Arriccio il naso allontanando l'uomo dal toast rovinandomi da sola il momento che più preferisco: la colazione.
Dan se ne accorge e conoscendo la mia strana fissazione lascia scivolare sul suo piatto l'uovo fritto e lasciato morbido dentro.
«Invece penso proprio che sia il caso di parlarne. Perché non mi dici chiaramente quello che pensi?»
Prende fiato mentre mastica la poltiglia bianca. «Ok», dice deglutendo. Lecca le labbra e voltandosi fa schioccare la lingua. «Punto primo: il tuo ragazzo è alquanto strano. Punto secondo: è inquietante. Punto terzo: l'hai fatto dormire in camera tua?»
Porto il piatto vuoto nel lavandino voltandomi a braccia incrociate. Evidentemente ha sentito la mia risata, le nostre chiacchiere. «Punto primo: si chiama Travis. Punto secondo: è un ragazzo come pochi se non unico. Punto terzo: smettila di dire che è inquietante e accettalo o se proprio non ci riesci stanne fuori. Punto quarto: decido io chi fare dormire con me nel letto.»
Lavo i piatti fissando fuori dalla finestra. La giornata non sembra particolarmente imprevedibile o tempestosa.
Dan si affianca aiutandomi. Inizialmente non dice niente. Mi permette di avere il mio spazio. «Non hai più fatto dormire nessuno nel tuo letto dopo la morte di Nic. Hai persino cambiato materasso e chiuso sempre a chiave la porta della tua camera dopo quel momento. Che cosa ha di diverso questo tizio che a malapena conosci?»
Asciugo le mani mettendo in ordine il divano. «Per iniziare mi lascia libera di scegliere. Non mi giudica, mi fa sorridere, mi fa sentire bene e mi rende felice.»
Dopo averlo detto mi volto dandogli le spalle. Conosco la sua reazione e nonostante ciò mi fa sempre un po' male guardare nei suoi occhi il riflesso della delusione celato da un sorriso falso. «Non hai mai detto la stessa cosa di Nic», soppesa il mio sguardo cercando di dire qualcos'altro.
Assottiglio le palpebre. «Nic mi rendeva felice ma non come fa lui. Travis è presente. Nic era più come un'ombra. Un giorno c'era l'altro non sapevi più dov'era finito. Tornava, scappava, tornava e inventava bugie. Ero solo succube del suo sguardo. Sapeva come raggirarmi per tenermi buona», aggiusto il cuscino sul divano quasi con frustrazione, poi spazzo per terra togliendo la cenere spruzzata via da una folata di vento.
Dan fa una smorfia aiutandomi. Non riesco a comprendere la ragione di questo suo discorso. Lui neanche lo sopportava Nic. «Credi che sia presto? È per questo che mi stai facendo fare questo discorso?»
Riflette un momento per capire se parlare liberamente o trattenersi. «No, non è per questo. Sono passati anni e vederti di nuovo in te per me è un gran sollievo. Credimi.»
«Ma...» inarco un sopracciglio rimanendo in attesa.
Deglutisce saettando ovunque con gli occhi. «Ma sei sicura di conoscere così bene Travis?» cambia argomento.
«Dan!»
«Mi fa sentire un incapace, ok? In questi anni io non sono riuscito a farti stare bene adesso arriva questo... strano essere e tu sembri rinascere.»
Lo guardo male. «Devi smetterla di paragonarlo ad un mostro. Ha solo qualche cicatrice in faccia. Non è bello quello che pensi di lui e ad essere sincera mi dà fastidio. Anzi, mi disgusta perché il Dan che conosco non ha mai preso in giro nessuno per il suo aspetto.»
Mette le mani avanti. «Ci stiamo scaldando troppo. Dico solo quello che penso. Mi inquieta come persona. Ha sempre quell'aria cupa ed è parecchio silenzioso. Poi ti guarda in modo strano...»
Trattengo una risata isterica. «Travis è divertente. Ti ricrederesti se solo provassi a conoscerlo anziché giudicarlo senza una base con cui farlo.»
«Volevo solo metterti in guardia, tutto qua. Quando hai conosciuto Nic non mi hai creduto quando ti dicevo di non fidarti ciecamente di lui. Adesso non commettere lo stesso errore.»
Mi reco nella mia stanza. Prima di entrare mi volto verso di lui. «Travis non è come Nic. E tu faresti meglio a risolvere i tuoi problemi prima che qualcosa vada storto e ci travolga entrambi.» Detto ciò chiudo la porta alle mie spalle sbattendola.
Mi cambio e dopo avere caricato un video registrato di recente e salvato sul portatile senza avere mai il tempo di pubblicarlo, esco di casa insieme a Dan che, per fortuna non parla, non si lamenta e soprattutto non mi mette in guardia sui pericoli che corro quando inizio una relazione che a lui non piace.
Travis non è mai stato come Nic. Tra di loro sono enormi le differenze sia caratteriali che comportamentali. Nic era un bugiardo. Non aveva scrupoli. Era un manipolatore nato. Diceva sempre quello che pensava senza problemi. Creava spesso dissapori e non amava particolarmente le sorprese. Mi offriva la sua compagnia e io la mia. Eravamo innamorati ma non nella maniera che tutti credono. Ci nascondevamo perché la differenza di età era un ostacolo, questo solo i primi anni. Poi quando le cose sembravano andare meglio, un giorno, ho ricevuto una chiamata inaspettata da uno sconosciuto e una stupida lettera in cui mi dicevano che era morto. Di lui conservo tanta rabbia, illusioni e un senso di impotenza. Perché non sono riuscita a dirgli addio come avrei voluto. Vedere la sua bara chiusa e prossima ad essere seppellita mi ha scaricato addosso molteplici sensazioni contrastanti. Da allora ho vissuto nel buio. Perché per quanto lui fosse sbagliato, nella mia vita contava qualcosa. Il suo abbandono è stato un fulmine a ciel sereno per il mio cuore.
Ma la colpa è solo mia. Mia soltanto. Ho sempre messo la felicità degli altri al primo posto. Prima di me. Il bene di chi ho amato o amo, le necessità di chi ho voluto bene o voglio bene tuttora. Tutto viene sempre prima di me. Prima delle mie necessità. Prima dei miei bisogni. Prima dei miei sogni. Prima dei miei sentimenti. Perché tutto è più importante. Tutto ha la priorità. Ma, anche se ho messo sempre il mondo davanti a me, ogni volta mi sono ritrovata persa, ferita, umiliata, distrutta in mille pezzi. Mi sono sempre messa da parte. Ho accantonato i conflitti. Ho accettato ogni cosa rimanendo persino in silenzio per non ingigantire le cose, i problemi. Mi sono lasciata calpestare da chi doveva solo ricambiare il mio amore. Poi però ho smesso. Ho detto basta. Ho avuto il coraggio di rialzarmi. Ho iniziato a pensare un po' di più a me stessa, al mio amore. Alcuni credono sia puro egoismo. Dal mio punto di vista invece è solo amor proprio. Perché bisogna imparare a saper dire di no, a reagire, a non avere paura, ad essere forti da soli.
Sul taxi guardo Dan distratto dalle immagini di un video divertente sullo schermo. Poso una mano sul suo braccio richiamando l'attenzione.
«Non parlo mai di Nic perché sai che da un momento all'altro è sparito senza darmi una spiegazione, senza un biglietto e due settimane dopo è persino morto. Per me è stato difficile. Faceva sempre così: spariva e poi tornava trovandomi ad aspettarlo come una stupita. Ma dopo quella lettera... dentro di me si è come spezzato qualcosa. Non ho aspettato più nessuno.»
Dan assorbe ogni mia parola con sguardo lontano, forse a quei momenti. Era con me quando in casa è piombato un uomo in giacca e cravatta. Sapevo già che gli era successo qualcosa ma non mi avevano detto altro durante la breve chiamata in cui la linea andava e veniva e il mondo davanti ai miei occhi, intorno vacillava prima di farmi sprofondare completamente nel buio.
«Adesso è arrivato Travis...» sussurra guardando fuori dal finestrino. «Ma devi fare ugualmente attenzione.»
«Starò attenta.»
Arrivati alla clinica, ci dirigiamo nella stanza di zia Marin. La troviamo invece impegnata in una partita a scacchi nella sala comune con un arzillo anziano probabilmente con problemi di memoria e anche di udito. Porta infatti dentro l'orecchio un apparecchio acustico ma appare divertente. Principalmente ospitale nei nostri confronti.
Vedere zia Marin, dopo il momento vissuto solo qualche ora prima, lontana dalla stanza, con un sorriso e soprattutto divertita, mi riempie il cuore di gioia.
Ci avviciniamo a lei che richiamando il suo infermiere ci fa spostare in una stanza luminosa per parlare tranquillamente, senza essere distratti o interrotti.
Pareti di un rosa chiaro, tenute. Un camino acceso al centro con colonne bianche a fargli da cornice, due poltrone davanti su un enorme tappeto, un pianoforte al centro della stanza. La ricreazione di un salotto all'angolo accanto ad una vetrata. C'è persino l'angolo delle bevande, tutte analcoliche. È un ambiente creato appositamente, privo di anima.
«È bello vedervi insieme», dice sistemandosi la coperta sulle ginocchia. Nonostante il sorriso, sento che non sta bene. La malattia la sta divorando dall'interno facendola sfiorire all'esterno velocemente.
Facendo un cenno al ragazzo simile ad un folletto gli permette di allontanarsi e in parte rilassa le spalle sentendo meno il suo fiato sul collo, visto che hanno iniziato a controllarla per evitare altri incidenti. «Allora, hai conosciuto il ragazzo di Bambi? Com'è?»
Dan gratta la fronte. «Lo tengo d'occhio», dice in fretta in tonto secco. Il suo telefono ronza e scusandosi si sposta fuori dalla stanza.
Zia Marin lo osserva. Quando chiude la porta mi rivolge tutta la sua attenzione. «Che diavolo ha combinato alla faccia?»
«Ti riassumo in breve prima che torni: ha licenziato Patrick senza dargli un preavviso e dopo avere raccolto la testimonianza di tutte le ragazze che ha molestato e chissà che altro lo ha fatto denunciare e arrestare. Ha chiuso il locale e ha venduto il lotto ad un tizio che intende aprirci una sala giochi.»
Zia Marin ascolta le mie parole come se stessi dicendo qualcosa di estremamente importante. Un gossip che non intende perdere. «E chi lo ha ridotto in quello stato?»
«Patrick prima e dopo essere uscito dalla prigione.»
Tappa la bocca scuotendo la testa. «L'ho sempre detto che di quel tipo non c'era da fidarsi. Adesso che cosa intende fare?»
«Non ne ho idea. Gli ha fracassato la vetrina del locale e lui è scappato per qualche giorno a casa nostra per fare calmare le acque. Crede che Patrick si fermerà solo a quel gesto.»
Inarca un sopracciglio con i suoi occhi vispi. «Se lo crede allora perché è scappato?»
«Ho pensato anch'io questa cosa, infatti non lo lascio solo proprio per questa ragione.»
Zia Marin posa una mano sulla mia stringendola priva di forza. È fredda, secca e piena di macchie simili a bruciature. «Non metterti nei guai a causa sua. Non puoi sempre fargli da scudo. È grande abbastanza ormai. Deve responsabilizzarsi. Arriverà anche il momento in cui gli servirà da lezione e prendere una decisione gli costerà caro.»
Annuisco anche se titubante. «Mi trovo tra due fuochi attualmente», ammetto guardando la tenda bianca pallida svolazzare in un movimento lieve, perché sospinta dall'aria fredda che entra da uno spiffero. Qui dentro c'è odore di naftalina e spray per la pulizia dei mobili. Non riesco però a decifrarne la fragranza.
«Il tuo ragazzo non sopporta Dan o viceversa?»
«Diciamo che è una cosa reciproca», replico.
Mi sorride. «Fagli risolvere i loro conflitti da soli. Tu non puoi schierarti.»
Faccio una smorfia. «Ieri è stata una giornata pessima», dico sbuffando.
Zia Marin mi avvicina intuendo il mio cambiamento di umore. Sistemo le braccia sulle sue gambe appoggiando la testa che lei accarezza.
«Io ti ho fatto una promessa. Non intendo venirne meno. Quindi non preoccuparti per me, mi troverai finché avrò fiato. Per il resto... dovrai cercare di risolvere al meglio tutto quanto da sola.»
Dan rientra sedendosi accanto. Notandomi in posizione corruga la fronte. «Che succede?»
Mi metto subito composta. «Niente.»
«Vi va una partita?»
Accettiamo passando gran parte della giornata insieme a lei e a molti altri pazienti ricoverati nel posto.
Dopo cena l'infermiere ci raggiunge tenendo in mano un piccolo vassoio con dei bicchierini. Dentro ci sono delle pillole. «È arrivata l'ora della medicina e dei saluti signora Marin. Deve riposare.»
«Sono qui con i miei nipoti, mi sto divertendo, mi sento viva e tu mi dici di andare a dormire?» sbrocca guardandolo male.
Io e Dan di comune accordo, silenziosamente, ci alziamo dal tavolo. «Anche noi dobbiamo andare.»
Zia Marin guarda ancora male l'infermiere. Quest'ultimo mi fissa pregandomi di aiutarlo. «Ti accompagno io in camera?»
«Si, grazie», acconsente.
Dopo averla accompagnata in camera e averla salutata scendo al piano di sotto. Dan mi aspetta all'entrata, sta fumando una sigaretta. Quando me la passa rifiuto. In altre occasioni avrei accettato volentieri ma attualmente non ne ho voglia.
«Facciamo una passeggiata?» propone.
Guardo il cielo. Non sembra minacciare pioggia nonostante la lieve foschia.
«Si. Ci faranno bene due passi», dico seguendolo.
L'aria fredda è intrisa dell'odore di terreno umido. Camminiamo in discesa in direzione del centro. Dan guarda in alto un aereo. Il lampeggiante che lentamente scompare dal nostro campo visivo. Qui c'è un odore strano. Di asfalto bagnato, di scarico. «Gli hai raccontato quello che è successo?»
Mi stringo sotto il giubbotto. «Si. Dovevo essere sincera con lei.»
Si volta. Non capisco la sua espressione. «Che c'è?»
«Quindi le hai anche detto che fai video seminuda per pagare il debito al tuo ragazzo?»
Arrossisco. Sento forte la sensazione di difendermi dal suo attacco celato da una risposta uscita fuori dalla sua bocca con risentimento. «Detta così sembra una cosa brutta. Ma si, gli verso i soldi che guadagno con i video ma solo per estinguere il debito che non intendo più avere nei suoi confronti, visto che mi ha aiutata.»
Vedendo che non parla mi fermo tra due palazzi. Al centro vi è un vicolo cieco recintato, pieno di scatoloni vuoti. Alcuni gatti giocano con un povero topolino.
«Non pensi che lui voglia trattenerti facendo leva proprio su questo?»
«Dan, ma ti ascolti quando parli? Travis non mi sta sfruttando in alcun modo. Non sta usando neanche il debito. Mi ha solo aiutato e adesso, com'è giusto, si sta riprendendo il suo denaro. Se proprio ci tieni a saperlo lui neanche lo vuole indietro.»
«Perché i ricchi sanno come comprare tutto», sibila tra i denti.
«Che cosa?» alzo il tono.
«Ma guarda chi abbiamo qui: Chip e Chop, proprio come ai vecchi tempi.»
Ogni mio muscolo si tende alla vista di Patrick. Esce dalla sua auto nuova a passo spedito.
Dan si irrigidisce mettendosi in fretta tra me e lui pronto a proteggermi, a farmi da scudo. «Mi stai seguendo?»
Patrick tiene uno stecchino all'angolo della bocca. Indossa una camicia nera e un paio di jeans scuri tenuti stretti da una cintura con una placca in oro al centro. La collana d'oro al collo e come sempre quei capelli pieni di gel che emanano puzza di bruciato. «Volevo fare quattro chiacchiere ma hai riattaccato.»
Guardo Dan per avere subito una risposta. «Era lui al telefono prima?»
Patrick ride. «Ma sentila. Usa ancora quel tono arrogante con te? Non sei mai riuscito a metterla in riga. Cosa che al contrario avrei fatto se solo non fossi intervenuto quella notte», sorride guardandomi in cagnesco.
I suoi occhi in modo viscido mi fissano dalla testa ai piedi nauseandomi. «Ti trovo bene», dice sorridendo. «Hai trovato lavoro da qualche altra parte?»
Avanzo e Dan mette una mano in avanti fermandomi. «Che cosa vuoi? Ti ho già dato quello che ti spettava. Adesso vattene e lasciami in pace», dice provando a superarlo.
Patrick nega emettendo un verso con la lingua. Sputa lo stuzzicadenti e con una rabbia esplosiva, afferrando per il colletto del cappotto Dan, lo spinge contro la parete del vicolo. «No, non funzionano così le cose. Adesso tu mi dici che ne hai fatto dei soldi che abbiamo messo da parte per l'appartamento da usare dopo ogni serata.»
Li guado entrambi confusa. «Quali soldi? Che appartamento?» Domando.
Patrick si volta. «Quelli che voi stronzette guadagnavate come extra», sorride ancora in quel modo.
Prendo fiato gonfiando il petto iniziando a contare. Dan riesce a liberarsi ma io non lo guardo in faccia. Ecco perché non mi pagavano mai le ore in più passate a ballare per quei luridi maniaci. Volevano comprare un appartamento per farci delle feste, per spassarsela alle nostre spalle.
«Quindi fammi capire, tu vuoi i miei soldi e quelli delle altre che hai violentato?»
Patrick prova ad avvicinarsi ma Dan lo spinge contro il muro. «Bi, vattene!» ordina.
Patrick ride. «Hai paura? Temi che venga a sapere qualcos'altro, non è vero? Tipo...» Dan lo colpisce così forte da mandarlo a terra.
Patrick si tiene la mandibola ridendo e divertito, forse anche su di giri e sotto effetto di qualcosa, ricambia con furia.
«Dimmi dove sono i miei soldi!» urla.
Dan pulisce l'angolo della bocca. «Andati», boccheggia quando Patrick mandandolo a terra gli molla un calcio sull'addome. Dan stringe i denti rialzandosi poco prima di essere colpito al volto.
«Che diavolo significa... andati?»
Dan sorride. I denti imbrattati di sangue. «Li ho dati a tutte quelle che hai anche solo sfiorato come ricompensa per avere parlato contro di te. Questo molto tempo prima dell'arresto.»
Patrick spalanca gli occhi. Diventa una furia.
Rimasta impalata a lungo, decido di mettere per un attimo da parte il risentimento nei loro confronti o lo shock. Ecco che cosa erano tutti quei soldi dentro la busta. La ricompensa per pulirsi la coscienza.
Cerco qualcosa intorno per fermare Patrick. Non c'è niente con cui difendersi. Nessuno passa da qui vicino, nessuno accende le luci per guardare nel vicolo. Siamo solo noi.
Quando Patrick prova ad attaccare Dan mi lancio in sua difesa afferrandolo da dietro. Lui mi scaglia a terra e dopo avere assestato un pugno a Dan stordendolo mi si avvicina. Lecca le labbra continuando a sorridere. Indietreggio ritrovandomi appoggiata ad un muro umido, troppo freddo. «La prima volta non ti è bastato?» minaccia.
«Lasciala in pace lurido stronzo!»
Prova a toccarmi ma Dan lo scaglia a terra riempiendolo di pugni. «Non la toccare!» urla rabbioso.
Patrick ride forte per provocarlo poi si difende. Estrae un coltello facendolo scattare fuori dal manico. La lama mi abbaglia riflettendo alla luce.
Dan è di spalle e io non rifletto un secondo sulle conseguenze. «Attento!» urlo mentre mi avvento su di lui per disarmarlo ricordandomi le lezioni prese per difesa personale. «Lascialo in pace!»
Patrick si volta velocemente e con una forza indomabile mi spinge dietro la schiena il polso ferendomi con la lama senza indugio. Sento una forte fitta ma non ho il tempo per controllare i danni perché afferrandomi per la gola mi spinge contro il muro.
Picchio forte la testa. Piccoli punti neri si formano davanti ai miei occhi cancellando la sua espressione divertita mentre mi urla: «adesso non ti difendi più? Sei solo stupida stronza!»
La sua voce si affievolisce e la sua presa lascia il mio collo quando vedo sbiadita la figura di Dan alle sue spalle. «Che cazzo le hai fatto?» urla scagliandolo nuovamente a terra riempendo il suo viso di pugni fino a lasciarlo privo di sensi.
Il mio corpo diventa pesante. Mi ritrovo a terra, seduta come una bambola di pezza. Abbasso gli occhi sulla ferita al fianco, una pozza continua ad allargarsi macchiandomi i vestiti, facendomi sentire freddo. Guardo davanti ma non vedo più niente. Non c'è niente intorno a me. È tutto silenzioso. Tutto buio.

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