53 -Giò-

«Sai cosa dovremmo fare io e te?»

Rebecca mi sta fissando con un occhio mezzo chiuso, un sorrisino sul volto e le guance in fiamme. Credo che abbia decisamente alzato troppo il gomito, stasera.

«Cosa?»

«Del sesso d'addio!»

Sputo fuori l'acqua che stavo bevendo e inizio a tossire cercando di non strozzarmi.
«Cosa?!»

«Daaaai, che ci hai pensato anche tu!»
Prova a fare un occhiolino, ma quello che viene fuori somiglia più ad un tic nervoso. A un certo punto della serata l'ho persa di vista, è uscita con Valentina a parlare e sono tornate dentro per brindare a Sdace. Non ho la più pallida idea di chi sia; probabilmente qualcuno di importante, visto che gli hanno dedicato almeno tre drink!

«Lore, tua cugina è ubriaca.» avverto Lorenzo, lui sa sempre come prenderla.

«Lascialo stare, sta messaggiando col suo grande amore. Ci penso io, in questi mesi l'ho vista parecchie volte in questo stato.» Le parole di Gianluca mi lasciano di stucco. Come sarebbe a dire? Beve spesso? Perché?

«Giaaaanluuuu! I'm feeling bluuuuue.» gli dice strascicando le lettere e facendo il labbruccio. Poi gli butta le braccia al collo e si lascia coccolare un po'. Questa del parlare inglese da brilla dev'essere una novità.

«Che vuol dire "feeling"?» chiede Gianlu guardandomi con aria interrogativa.

«Sentire, sentirsi...»

«Ti senti blu? Cazzo sei, un puffo?»

Becky scoppia a ridere, sputacchiando un po' ovunque dopo aver fatto una mezza pernacchia, e butta la testa all'indietro come se avesse sentito la cosa più divertente del mondo. 

«No Gianlu, non sono un puffo. Giò, sono diventata un puffo per caso?» mi guarda ammiccando, e anche da così ubriaca è tremendamente bella. E più vera, anche.

«No, direi di no.» le rispondo sorridendo.

«Meno male. Non si può fare sesso d'addio con un puffo. Vero Giordano?»

«Vero.»

Gianluca mi guarda alzando un sopracciglio, e io scuoto la testa in segno di diniego per fargli capire di lasciar perdere.

«Giò, vieni qua!»

La sua voce inizia ad essere leggermente fastidiosa a dire il vero, sta parlando appena più forte del solito. Poco poco, eh... Gianluca è da quando l'ha abbracciata che si chiude un timpano con la mano. Di questo passo glielo lesionerà. 

Mi avvicino a Becky, che lascia andare la presa su Gianluca e si fionda tra le mie braccia, col viso pericolosamente vicino al mio. Sa di alcol e fragola, e del suo shampoo preferito. 

«Lo sai? Se penso che cinque mesi fa mi hai chiesto di andare a vivere insieme, e io ti ho anche creduto, e ho accettato, mi viene da prenderti i testicoli e tritarli come si fa con il ghiaccio per il mojito!»

«Becky...»

«Ah no no, è vero! Hai detto... no, aspetta, come mi hai fatto giurare? Ah sì! "Quando tornerò verrai a vivere con me". Così mi hai fatto dire!» e scoppia di nuovo a ridere, appoggiando la testa sulla mia spalla.

«Oddio, è esilarante, davvero! Scusa, tu non lo trovi esilarante?» Sto per rispondere che non c'è proprio un cazzo da ridere, ma mi accorgo troppo tardi che ha fermato un ragazzo, aggrappandosi al suo polso, ed è con lui che sta parlando.

«Cosa?» chiede questo, con la faccia che è un misto di confusione e divertimento.

«Questo ragazzo qui, è il più stronzo del mondo! C'hai presente Bin Laden? Era un angioletto a confronto! Mi ha fatto giurare che sarei andata a vivere con lui, e poi dopo un po' mi ha detto che sarebbe tornato dopo un anno! UN ANNO! Ti rendi conto? Non è fottutamente stronzo uno così?»

«Beh, amico... la tua ragazza non ha tutti i torti!»

«Non sono la sua ragazza, io! Non sarò mai più la ragazza di nessuno perché gli uomini, anche quelli che sembrano i più perfetti del mondo, sono tutti delle emerite merdacce! Lui più di tutti gli altri!»

Puntella un indice sul mio petto più e più volte. Sempre nello stesso punto, tra l'altro, e la cosa inizia ad essere leggermente dolorosa. Credo stia cercando di farmi venire un livido.

«Allora Giò, dimmi un po'... vuoi ancora che andiamo a vivere insieme quando torni?»
Il sorriso è sparito dal suo volto, e adesso ha un'aria tremendamente seria. 

«Certo che lo voglio.»

«Ah sì? Anche se ti odio da morire?»

Okay, lo so che è ubriaca, ma queste cose fanno comunque male. Ho paura che, da qualche parte dentro di lei, le pensi davvero. 

«Davvero mi odi?»

«Pfff...» un'altra mezza pernacchia, e di nuovo i suoi lineamenti tornano sorridenti, «Noooo che non ti odio. Non ti odierò mai. Ed è per questo che ti odio un casino.»

Beh, da un certo punto di vista ha anche senso.

«Senti, che ne dici se ti accompagno a casa?»

«Nooo! Non voglio andare a casa» piagnucola «Ci sono i ladri a casa mia.»

«Cosa?» 

Veramente? Le sono entrati i ladri? Quando? Perché Lorenzo e Gianluca non mi hanno detto niente? Nemmeno Mario mi ha avvisato, e lui è il pettegolo per eccellenza di questo paese!

«Sì! Lo sai? A Natale sono venuti e mi hanno attaccato le stelline nel soffitto, quei luridi bastardi!»

Cerco di restare serio e di non riderle in faccia, la sua espressione è troppo buffa: sembra un piccolo gattino incazzato. Non farebbe paura neanche ad una mosca.

«Beh, se ti hanno messo le stelline, come fai a definirli ladri? Ti hanno regalato qualcosa, semmai... cosa ti hanno rubato?»

Lei mi guarda sorridendo, con una luce negli occhi che non riesco ad interpretare, ma sicuramente non è nulla che abbia a che fare con qualcosa di felice. Sembra quasi... rassegnata.

«Tutte le mie lacrime. Si sono rubati tutte le mie lacrime, ed io non riesco più a dormire sotto tutte quelle stelle.»

Una pugnalata in mezzo al petto credo che mi avrebbe fatto meno male. Ed ora me li ricordo quegli occhi, quella luce... sono gli stessi di quando ci siamo salutati otto anni fa. 

Stavo lasciando la città per tornare dai miei, e lei sorrideva nello stesso identico modo, come una che non ha più forze per lottare. 

Le ho fatto una corte spietata, deve esserle costata un'immensa fatica trattenersi per proteggersi il cuore.
Devo averla sfinita.

«Stai a casa dei tuoi nonni?» chiede all'improvviso, e tutto il dolore che aveva sul viso sembra essere sparito di colpo. 

«Sì.»

«Posso restare anch'io stanotte?»

No.
Non è affatto una buona idea.
Io e lei nella stessa casa, vuota per giunta, dato che loro sono in viaggio.
No, decisamente no.
Ma poi lei mi guarda così, e io...

«Certo che puoi.»
E finalmente torna a sorridere anche con gli occhi.

****

A differenza di Rebecca, io ho sempre amato vivere ai piani alti. Quando mi sono trasferito dai miei nonni, ricordo che non sopportavo l'idea che chiunque passasse davanti a casa potesse vedere cosa succedeva all'interno solamente allungando un po' il collo. 

Ma mai, e dico mai, come oggi ho amato le case a pian terreno. Trascinarla dentro è stata un'impresa. 

Scalciava come un'ossessa e ha tentato la fuga almeno quattro volte con la scusa di un ultimo bicchiere di vino prima di andare a letto, perché concilia il sonno. 

Si è addormentata appena ha appoggiato il sedere in macchina, e ora si preoccupa di conciliare il sonno! 

Alla fine l'ho presa per la gola dicendole che le avrei dato della cioccolata se avesse fatto la brava e mi avesse seguito dentro. Questo non mi ha risparmiato qualche epiteto poco elegante da parte sua.

«Wow, questa casa è sempre uguale. Sembra magica.»

Sorrido mentre la osservo guardarsi intorno con aria meravigliata. I capelli non hanno praticamente più una forma, il trucco è un po' colato e sulla maglietta ha una chiazza di vino rosso, segno che l'ultimo bicchiere doveva decisamente risparmiarselo. Eppure è sempre bellissima ai miei occhi.

«Già. I miei nonni non amano molto i cambiamenti. Quando si affezionano a una cosa la lasciano per anni e anni.»

Si gira verso di me e accenna un sorrisetto malizioso.
«Allora sono come noi, i tuoi nonni. Anche noi due quando ci affezioniamo a qualcosa la teniamo per molto tempo. No?»

Viene verso di me piano piano, ma con aria sicura, poi allaccia le braccia al mio collo e si avvicina lentamente al mio viso.
Potrei anche morire qui per quanto la voglio.

«Io non sono affezionato a te, Becky. Io ti amo. Te l'ho già detto mi pare.»

Lei storce un po' la bocca e punta lo sguardo in alto stringendo gli occhi, come a dover ricordare qualcosa.
«Mh... forse l'hai detto, ma non mi ricordo se l'hai dimostrato.»

Mi accarezza il naso col suo, e in un gesto lento e sensuale fa sfiorare più volte le nostre labbra.

«Becky, sei ancora ubriaca.»

Se qualcuno se lo stesse chiedendo, sì! Mi sto maledicendo da solo per quest'ultima frase. Ma lei ancora una volta mi stupisce.

«Un po', forse. Ma non abbastanza da non essere consapevole di quello che voglio.»

Devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non sdraiarmi per terra e tirarla giù con me.

«E domani?» 

È una domanda bastarda, lo so, ma non posso permettermi di sperare ancora con lei. Lo so che l'ultima volta ho sbagliato io, ma Becky non deve assolutamente pensare che, solo perché l'errore è stato mio, abbia sofferto meno di lei. 

«Domani andiamo insieme a fare la spesa e ti preparo la colazione.» risponde sorridendo.

Dio, come vorrei crederle. Come vorrei che fosse sempre così tranquilla, così sicura. Domani, a voler essere ottimisti, cadrà in un vortice di paranoie e insicurezze, ed io dovrò essere pronto a raccogliere tutti i cocci che lascerà di sé in giro per casa. 

Ma lei ne vale la pena.
Ne è sempre valsa la pena.

«Davvero? Niente ripensamenti? Nessun rimpianto?»

«Non voglio pensarci adesso. Adesso voglio solo stare tra le stelle... ancora una volta.»

Si è fatta seria.
Così seria che, se non la conoscessi, sarei pronto a giurare che davvero domani non si pentirà di nulla, e che io non mi pentirò di averle creduto.

Si avvicina di nuovo a me e io non credo di riuscire ad allontanarla, perché mi è sembrato di morire in questi mesi senza lei. 

Durante gli anni dell'università ho studiato le diverse reazioni del corpo umano, e tra queste c'era anche la crisi d'astinenza. 

Non avrei mai creduto di poterla provare sulla mia stessa pelle, eppure è quello che è successo quando Rebecca ha deciso che la nostra storia sarebbe finita lì, a Tenerife. 

I dolori muscolari sembravano non diminuire, iniziavo a sudare freddo e avevo nausee continue; non ho dormito per giorni ed ero in perenne stato di irrequietezza. Un eroinomane avrebbe gestito il nostro distacco molto meglio di me.

Ma adesso è davanti a me, mi sta implorando con lo sguardo di baciarla, e sembra così convinta di quello che vuole...

Appoggio la fronte alla sua e la sento inspirare il mio odore.
Dio, mi mancava così tanto questo suo gesto.

Prendo il suo viso tra le mani e la bacio;
e tremo mentre la sento tremare, sorrido mentre la sento sorridere, mordo piano mentre la sento mordere.

Perché forse ha ragione Rebecca: io e lei non sappiamo tenerci. Ma, a quanto pare, siamo ancora meno bravi a lasciarci.

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