51-Giò-

Potrei uccidere Lorenzo in questo stesso istante se me lo ritrovassi davanti. 

L'ho incontrato oggi pomeriggio in centro, non l'avevo avvertito che sarei tornato per due semplici motivi:
1- volevo fare una sorpresa a lui e a Gianlu.
2- sarebbe corso da Becky per informarla della mia presenza, e lei avrebbe fatto di tutto per evitarmi. 

Sarebbe capace anche di rinchiudersi in casa pur di non affrontarmi, o affrontare i suoi stesi sentimenti. 

A capodanno è fuggita con Valentina per non dovermi vedere neanche da lontano, chissà cosa avrebbe escogitato questa volta. 

Ripartirò comunque domani pomeriggio, non mi sembrava il caso di scombussolarle la vita per una sola giornata di permanenza.

Ma il buon Lorenzo, ovviamente, appena mi ha visto non ha potuto tenere la bocca chiusa, nonostante l'avessi pregato di non avvertire nessuno della mia presenza -specialmente lei- e ha dovuto fare i conti con la sua coscienza di cugino numero uno al mondo, scatenando addirittura un incidente. 

O almeno, questo è quello che mi è parso di capire. 

Mi ha lasciato un messaggio.
Un fottuto messaggio vocale per avvertirmi che Becky è stata investita. Non ci ho capito più un cazzo, l'ho chiamato immediatamente e la telefonata è stata tutto tranne che chiara.

Lore aveva la voce rotta dal pianto, stava guidando e non riusciva a prestarmi attenzione. Le uniche cose che sono riuscito a captare -in quel caos di singhiozzi e clacson premuti per farlo passare- sono state:
Becca.
Investita.
Stesa a terra.

Dio, sto impazzendo.
Sono corso a casa dei miei nonni, ho preso la loro macchina e ora sto cercando di non investire nessuno nel tentativo di arrivare in fretta all'ospedale. 

Sono tutti nel mezzo, cazzo.
Ho il respiro irregolare da almeno dieci minuti. Mi gira la testa e credo di stare anche per vomitare.

Becky.
La mia Becky.

Non ci posso pensare; le immagini di lei in un incidente non fanno altro che passarmi davanti agli occhi, neanche fossi stato presente.

Sto pregando.
Non credo di aver mai pregato in vita mia.
Sono un chirurgo, santo cielo.
Ho studiato medicina! 

Sono quello che alza gli occhi al cielo quando sento qualche conoscente o amico dire "Grazie a Dio si è salvato".
No, non è stato grazie a Dio che tuo marito o fratello o amico si è salvato, è stato grazie a me! All'equipe che mi ha sostenuto durante l'intervento; agli infermieri, gli O.S.S., gli anestesisti e gli addetti alle pulizie che hanno sanificato e igienizzato la sala operatoria. 

Eppure, adesso, mi ritrovo a pregare qualcuno -chiunque esso sia- di salvare la mia Becky.

Quanto cazzo possiamo essere egoisti e fragili noi esseri umani? Ci basta il pensiero di poter perdere una persona, per osare chiedere aiuto a qualcuno a cui non abbiamo mai nemmeno creduto. 

Ci arroghiamo il diritto di poter invocare una qualunque entità solo perché staremmo troppo male se dovesse succederle qualcosa.
Durante il resto della vita, però, facciamo gli uomini duri, quelli che non hanno bisogno di nessuna preghiera, quelli che sanno contare solo su sé stessi.
Siamo volubili.
Sono volubile. 

Quando si tratta di Rebecca tutta la razionalità che possiedo va a farsi benedire, e con lei anche il mio istinto di sopravvivenza, a giudicare da come sto guidando. 

Finalmente arrivo al pronto soccorso, prendo il cazzo di bigliettino alla cassa automatica, lo appoggio sul cruscotto e inizio a cercare parcheggio. 

I cartelli mi avvertono che per i primi quindici minuti la sosta sarà gratuita.
Quindici minuti sono il tempo che serve per parcheggiare, entrare e riuscire ad avere l'attenzione degli addetti al triage.
Che stronzata! 

Mollo la macchina davanti alle porte d'ingresso, pagherò la multa o il carro attrezzi, non me ne frega un cazzo adesso, devo solo entrare e chiedere informazioni su Rebecca. 

La sala d'attesa, come al solito, è gremita di gente.
Le persone non capiranno mai che ci sono situazioni di urgenza, ed altre per cui si può tranquillamente aspettare, senza intasare il sistema del P.S. 

Mi avvicino al bancone, c'è un ragazzo che si sta ancora sistemando il camice, di sicuro ha appena iniziato il turno, oppure è appena tornato da una pausa. 

«Scusami» cerco di attirare la sua attenzione, e quando finalmente mi guarda, proseguo: «Sto cercando una ragazza, ha avuto un incidente questa sera.»

«Nome?» chiede mentre digita qualcosa sul pc.

Nome.
Nome... oh mio Dio. Lo guardo con occhi sbarrati, e lui mette su un'espressione confusa.

«Non... scusami, io non-»

Sorride in modo affabile.
«Tranquillo, succede a molti, è il panico. Fammi dare un'occhiata. Età?»

Beh, ha due anni meno di me, questa è facile. Ma come cazzo posso essermi dimenticato il suo nome?

«Ventotto. Ha ventott'anni. Ha avuto un incidente stasera, è stata investita in centro. Era con suo cugino, o forse lui è venuto dopo. Era al telefono! Era al telefono mentre è stata investita.» cerco di dargli più informazioni possibili, mentre continuo a cercare il suo nome nella testa. È incredibile quello che può fare un attacco di panico, o d'ansia. Non so nemmeno io che cos'ho in questo momento.

«Guarda, dovrebbe essere nella seconda stanza a destra di quel corridoio» dice indicando una corsia alla sua sinistra, «Ma è appena tornata dalla sala operatoria, non si potrebbe entrare...»

La sala operatoria? Perché è andata in sala operatoria? Ma cosa cazzo è successo?
«Sono un chirurgo. Ho fatto tirocinio anche in questo ospedale mentre studiavo. Per favore, entro solo due minuti.»

Il ragazzo mi guarda, probabilmente cercando di capire se sia vero quello che ho detto. Non credo sia normale, per uno che fa il mio mestiere, dimenticare un nome così, all'improvviso. La mia faccia disperata deve averlo convinto, e infatti alla fine cede con un: «D'accordo, ma solo due minuti!»

«Grazie infinite!» Mi sporgo appena per stringergli una spalla, e corro a cercare Becky.
Becky!
Porca puttana, non poteva venirmi in mente due secondi fa? 

La porta della sua stanza è chiusa, faccio un respiro profondo e cerco di rilassare le spalle, sulle quali ho accumulato tutta l'ansia del mondo, a quanto pare. Abbasso la maniglia, faccio un altro respiro e mi decido ad entrare.

No.
No!
Quella non è Becky.
Non può essere lei! 

È stesa sul lettino, i lividi sul volto la rendono praticamente irriconoscibile. Ha un respiratore a coprirle metà faccia; la testa è fasciata da bende e garze, ha una flebo attaccata al braccio ed è pallida come il lenzuolo che le ricopre metà corpo.

I capelli sono ancora sporchi di sangue, si arrabbierà da morire non appena si sveglierà. Perché lei si sveglierà. 

«Vero? Stai per svegliarti, non mi farai uno scherzo del genere, non è così?»

Ma Rebecca non risponde.
È inerme, e sembra così piccola su questo letto. 

Mi appoggio coi gomiti al tavolino che usano i pazienti per mangiare, passo la mano tra i capelli più e più volte, nel tentativo di togliermi dalla testa le immagini che il mio cervello continua a propinarmi davanti spacciandole per il suo incidente. 

Quanto dev'essere stato brutto per ridurla così?
Quanta paura deve aver avuto la mia piccola Becky?

Non la vedo da cinque mesi, due settimane, un giorno e nove ore,minuto più minuto meno.
Non posso credere che sia in una stanza d'ospedale il luogo in cui i miei occhi siano riusciti a posarsi di nuovo su di lei.

La vista mi si appanna piano piano, ed io inizio a piangere senza nemmeno accorgermene.
«Dai, ora svegliati però, okay? Non ho nemmeno visto tuo cugino di là, gli avrai fatto prendere uno spavento...»

Sento un lamento provenire dall'altra parte della tenda che divide la stanza. Mi impongo di fare silenzio per non disturbare, ma un singhiozzo più forte degli altri me lo impedisce.

Sento una mano calda appoggiarsi alla mia schiena e d'istinto nascondo il volto tra le mani. Odio l'idea che qualcuno mi veda in questo stato, e soprattutto che mi abbia ascoltato in un momento così privato.

«La conoscevi da tanto?»

Mi alzo di scatto e mi volto ancora più velocemente.
Quella voce.
La sua voce.
Potrei riconoscerla tra milioni.

«Becky!» 

È davanti a me, perfettamente sana, ha solo un piccolo graffio sulla tempia. Nessun vestito strappato, nessuna fasciatura, nessun livido. La stringo immediatamente tra le braccia e rilascio un sospiro di sollievo.

«Oh mio Dio! Sei qui! Non ci posso credere, mi hai fatto spaventare a morte.» l'abbraccio più forte che posso, respiro nei suoi capelli e finalmente ritrovo un attimo di serenità.

«Mu fuffochi fosì.»

«Come?» La lascio solo un attimo, giusto per riuscire a interpretare quello che ha detto.
Lei tira indietro la testa e prende fiato.

«Mi soffochi così!»

«Oh, scusami!»

Allento la presa e la guardo bene, prendo il suo viso tra le mani per accertarmi che non sia un'allucinazione.

Becky.
La mia Becky sta bene, è qui, davanti a me.

Le regalo qualche carezza leggera, muovendo i pollici in circolo. Credo siano le uniche due dita che riesco a "comandare", le altre non ne vogliono sapere di lasciarla.

Dio, è così bella, e mi è mancata così tanto.
In questi mesi non ho fatto altro che fare turni su turni per cercare di non avere il tempo di telefonarle, di mandarle qualche messaggio o e-mail.
Aveva bisogno di tempo, lo so, ma ho seriamente pensato di diventare pazzo a forza di andare contro la mia stessa volontà.

Ma ora è qui, davanti a me, e gli attimi in cui ho creduto di averla persa sono stati così devastanti, che ho bisogno di stringerla ancora di più.
Ancora una volta.

Mi avvicino piano, la vedo sgranare leggermente gli occhi ma non me ne curo. Ho bisogno di baciarla, ho bisogno di sentire che siamo ancora qualcosa. Che sono ancora qualcosa. 

Ho bisogno di lei, semplicemente.



Spazio S.

Su, tirate un sospiro di sollievo insieme a me: Becky sta benone!
Tutti i retroscena verrano svelati domani nel prossimo capitolo e, come al solito quando si tratta di lei, ci sarà da ridere!
Buona giornata a tutti, S.

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