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Oggi è il compleanno di nonna Caterina, e come da tradizione è OBBLIGATORIO riunire tutta la famiglia per un pranzo all'insegna dei festeggiamenti. 

Poco importa se la gente normale aspetta il week end per fare baldoria, in modo da essere più libera e meno stanca; nonna è nata il 5 marzo e il 5 marzo si festeggia! 

Ho dovuto chiedere a Lina di poter cambiare il mio turno lavorativo, perché oggi avrei dovuto fare la mattina, ma questo mi avrebbe impedito di presentarmi a mezzogiorno -puntuale, mi raccomando, perché potrebbe essere l'ultima volta che festeggio con voi- per il suo settantacinquesimo compleanno. 

Abbiamo provato anche quest'anno a farle capire che è leggermente un problema questa sua imposizione, ma lei ha ribadito che la colpa non è sua, non ha deciso quando nascere, e se il mondo intero si ferma per festeggiare Gesù -che non è neanche di famiglia- noi possiamo prenderci un giorno libero per lei. Valle a dare torto! 

Mi sono dovuta anche fare carina per l'occasione, perché nonna non ammette tute o vestiti comodi durante queste amorevoli e spontanee riconciliazioni famigliari; poco male, è l'occasione giusta per sfoggiare il mio ultimo acquisto: un abitino a fantasia floreale su sfondo nero, molto castigato nella parte alta, ma con la gonna abbastanza corta da non farmi sentire una suora di clausura; con gli stivaletti a tronchetto nuovi sta un amore.

Sì, faccio ancora shopping compulsivo. No, non ne voglio parlare.

Sto aspettando che Lorenzo mi raggiunga in macchina per andare insieme a casa dei nonni, e nell'attesa leggo gli otto messaggi che Valentina mi ha inviato per descrivermi -cito testuali parole- quanto cazzo è bello il ragazzo nuovo che lavora nella pizzeria sotto casa sua. 

Prevedo un aumento di taglia a breve; conoscendola inizierà a cibarsi solo di pizza. Un colpo sul vetro mi fa sobbalzare riportandomi alla realtà, e mostro lo splendore del mio dito medio a Lore, che non manca mai di fare questi scherzi stupidi. Sale in macchina ridendo e si allunga per salutarmi con un abbraccio veloce.

«Addirittura il papillon? Non avrai esagerato?» chiedo indicando il farfallino blu che ha allacciato al collo. 

Si abbina ai suoi occhi, e in effetti devo dire che sta veramente bene oggi. Beh, mio cugino è bello sempre a dire il vero, ma con questa giacca beige sopra la camicia bianca, e i pantaloni blu come il fiocchetto, devo dire che sembra proprio pronto per posare su una rivista di moda.

«L'ultima volta che mi sono presentato senza niente al collo, nonna non mi ha fatto mangiare il dolce. Il nonno ne ha rubata una porzione e me l'ha data di nascosto.»

Scoppio a ridere ricordando le mosse da ninja del nonno che, per non farsi notare, camminava rasente alla parete lanciando occhiate furtive verso la cucina. Ovviamente nonna aveva sgamato subito le sue intenzioni, e di nascosto aveva messo nel dolce qualche goccia del suo lassativo, ma questo Lorenzo non l'ha mai saputo. 

Tra una chiacchiera e l'altra arriviamo a destinazione; le nostre mamme sono venute stamattina presto per aiutare la festeggiata con i preparativi e, se le conosco bene, avranno già iniziato a brindare col vino rosso. 

Questa scena si ripete tutti gli anni: quando arriviamo io e Lore, loro due sono già mezze ubriache e la nonna si lamenta perché in due non riescono a combinare nulla. 

Prendiamo i regali ed entriamo in casa; i nonni per queste occasioni lasciano sempre la porta aperta, perché dicono che non hanno tempo e voglia di fare avanti e indietro ogni volta che arriva qualcuno. 

Il salotto è vuoto, probabilmente gli uomini sono fuori a grigliare qualcosa, così io e Lore appoggiamo i pacchi sul divano e ci avviamo verso la cucina, e da dietro la porta sentiamo come dei singhiozzi sommessi. 

Guardo mio cugino, che ricambia lo sguardo con un'espressione scettica in viso.
«Io ti avverto,» gli dico, «Se becchiamo ancora i nonni intenti a fornicare sul tavolo, stavolta mi faccio pagare uno psicologo!»

Sì, è successo davvero. E di nuovo: no, preferirei non parlarne.

Apriamo di poco la porta per vedere quale sia la situazione all'interno, e la scena che ci si presenta davanti ci lascia leggermente interdetti: le donne della famiglia sono tutte a tavola, nonna ha una mano in fronte e scuote la testa; mamma e zia stanno piangendo mentre tengono un bicchiere di vino con una mano, e con l'altra si accarezzano a vicenda come a volersi dare conforto. 

«Ma almeno tu puoi sperare, capisci? Capisci?» sento dire da mia mamma, mentre cerca di asciugarsi le lacrime.

«Ma di che cosa stanno parlando?» mi chiede sussurrando Lore.
Faccio spallucce e metto un dito davanti alla bocca, per fargli segno di stare zitto. 

Non è normale trovare mia mamma e sua sorella in queste condizioni; sono due donne molto eleganti e anche composte. Anche dopo aver bevuto riescono a mantenere un certo decoro. Deve essere successo qualcosa di grosso per vederle così disperate e in lacrime.

«No Patrizia, no! La scienza fa progressi in continuazione, questo è vero, ma non credo arriverà mai a tanto.» Risponde mia zia, scuotendo la testa con fare disperato.

Cazzo.
Guardo mio cugino, anche lui ha gli occhi lucidi, anche lui ha capito. Ora resta solo da scoprire quale dei nostri genitori sia malato, perché è chiaro come il sole che il problema è questo. 

"La scienza ha fatto progressi", "tu puoi sperare"... queste sono le classiche frasi di chi è a conoscenza di una qualche malattia, probabilmente anche ad uno stadio avanzato. 

Non posso credere che ci abbiano tenuto nascosto un fatto così importante. Vedo mia mamma soffiarsi il naso e prendere un respiro profondo, poi beve un sorso di vino e inizia di nuovo a parlare:
«Lo so, tesoro. Ma almeno lui può adottarlo un figlio! Rebecca ha già ventott'anni ed è ancora single! Non rimarrà mai incinta. Mai!»

Cosa?

Lorenzo spalanca gli occhi e porta una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere, io rimango a bocca aperta dopo quest'ultima affermazione. Ma che razza di discorsi sono? Non hanno argomenti più interessanti del nostro futuro da genitori?
«Oh, non dire così, avanti. Becca è una bellissima ragazza.»

Grazie zia!

«Ed è questo il problema! Se è così bella e non ha nessuno, vuol dire che ha proprio un caratteraccio.» ribatte la mia genitrice.

Adesso basta. Direi che questa conversazione può anche terminare qui.
Spalanco la porta ed entro in cucina, mamma e zia sussultano vedendo me e Lorenzo, e nonna alza gli occhi al cielo, come a dire: "ecco, ci mancavate anche voi".

«Le donne della vostra età parlano di creme antirughe e secchezza vaginale, dovreste prendere esempio!» dico.

Nonna scoppia a ridere e loro due, invece, rimangono come imbambolate a guardarci. Poi l'espressione di mia zia cambia, da sorpresa passa ad arrabbiata; si vede che sta cercando di trattenersi dal dire qualcosa, ma poi sbotta: 

«È colpa vostra! Voi non ci renderete mai nonne! Noi vogliamo dei nipoti!» dice puntando l'indice verso noi due.

Mamma ricomincia a piangere, seguita a ruota da mia zia, e la nonna ricomincia a scuotere la testa. 

Io sono veramente troppo allibita per poter ribattere a questa affermazione, per fortuna Lorenzo prende parola, con la solita calma che lo contraddistingue:
«Mamma, ma che cosa dici? Siamo ancora giovani, non c'è bisogno di fare una tragedia simile!»

La mia genitrice gli lancia un'occhiataccia e scatta in piedi:
«Oh, zitto un po' tu! Puntavamo tutto su di te! Con Becca avevamo già perso le speranze quando si è lasciata scappare Valerio.» 

Mio cugino fa per aprire bocca ma lo fermo in tempo, appoggiando una mano sul suo braccio e scuotendo la testa. 

Per quanto io abbia un buon rapporto con mia madre -tranne quando è ubriaca e mi accusa di non voler procreare- ci sono cose che non riesco a dirle. 

Una di queste è il vero motivo per cui ho lasciato Valerio, ovvero la mastodontica montagna di corna che mi portavo appresso. 

Ho preferito lasciarle credere che fosse colpa mia, che sia stata io a tirarmi indietro. Avevo paura che si "vergognasse" per me o, peggio ancora, di me. 

Quindi nella sua personale visione dei fatti, la sua strana figlia dal carattere impossibile si è lasciata sfuggire uno degli uomini migliori che avesse mai conosciuto. 

Mia nonna, al contrario, sa tutta la storia, e mi fa un occhiolino complice non appena mi vede bloccare Lorenzo.

«Ora basta. Oggi è il mio compleanno, e non lo passerò ascoltando piagnistei. Non l'ho fatto quando avevate quindici anni, figuriamoci se mi ci metto ora.» Si alza, cerca qualcosa nella dispensa, e poi lo sbatte di fronte alle sue due figlie.

«Ecco, se volete piangere, almeno sbucciate 'ste cipolle, così uniamo l'utile al dilettevole.»

«Mamma, ma-» Mia zia non fa in tempo a finire la frase, che viene ammonita dall'indice ossuto di nonna.

«Non una parola, Paola. Altrimenti a pranzo niente dolce. E niente vino!»

Le due donne sbarrano gli occhi appena la minaccia dell'assenza di alcol raggiunge le loro orecchie, poi si scambiano uno sguardo rassegnato, e a testa bassa iniziano a lavorare, tirando su col naso di tanto in tanto.

«E voi due non state lì impalati, c'è da apparecchiare la tavola!»

«Sissignora» risponde Lore, sbattendo le scarpe tra loro e portando una mano alla fronte nel classico saluto militare.
Prendiamo l'occorrente e torniamo in salotto per eseguire l'ordine.

Dio benedica le nonne.

****


Se escludiamo Lorenzo, Gianluca e Valentina, l'unica cosa positiva di questi ultimi dieci giorni, in cui mia madre ha continuato a telefonare per accusarmi di essere il motivo principale per il quale non diventerà nonna -e grazie al cazzo, sono la sua unica figlia- dicevo, l'unica cosa positiva è stata l'arrivo di Alessandro. 

Ale ha trentadue anni, e stava coltivando il desiderio di diventare panettiere da molto tempo, così una settimana fa si è presentato in negozio dicendo di essere disponibile a lavorare gratis, pur di imparare il mestiere. 

Il caso ha voluto che nell'ultimo mese il lavoro in negozio sia praticamente raddoppiato, quindi Lina e Ugo sono stati ben felici di assumerlo come loro dipendente; ed ecco che ora mi ritrovo con un collega con cui è stato amore a prima vista. 

Uno di quei classici colpi di fulmine degni dei migliori romanzi rosa. Quando è entrato la prima volta mi ha fatto uno di quei sorrisi che ti fanno capire subito che la persona che hai davanti è fatta per te, e per fortuna la cosa è stata reciproca!

Rido tra me e me mentre vado a lavoro, pensando che non mi dispiace affatto che oggi io e Ale abbiamo turni diversi, e lui staccherà appena io entrerò in negozio, perché tanto abbiamo già programmato di passare la serata insieme. 

Certo, c'è stato qualche piccolo battibecco con Lorenzo, che mi ha accusata di avere occhi e tempo solo per il nuovo arrivato ultimamente, ma cosa ci posso fare? È stata una ventata d'aria fresca, ed io ne avevo davvero bisogno.

Entro in negozio e i suoi occhi blu mi accolgono illuminandosi non appena si poggiano su di me.
«Buongiorno, amore.» mi saluta sorridendo. Non ho mai amato certi nomignoli, eppure detti da lui non mi danno alcun fastidio.

«'Giorno» rispondo felice.

Il panificio è vuoto, quindi lo vedo fare il giro del bancone e avvicinarsi a me, mi schiocca un bacio a stampo veloce e poi prende le mie mani tra le sue.

«Sei pronta per stasera?» chiede euforico.

«Prontissima, anche se ancora non mi hai detto nulla del tuo programma.»

Ammicca alzando e abbassando le sopracciglia, poi dice: «Tu non preoccuparti, ho organizzato una seratina perfetta.» Mi fa un occhiolino e inizia a slacciare il grembiule.

«Ora stacco, tu fai la brava e chiamami appena sei pronta per uscire, d'accordo?»

Gli sorrido e annuisco contenta.
Mi lascia un altro bacio al volo e torna dietro al bancone per lasciarmi il tempo di andarmi a cambiare. 

Mi avvio nel retro per poter mettere la divisa, pensando a quale sarà il tipo di serata a cui ha pensato. Ci conosciamo da poco, è vero, ma ho già scoperto che Ale ha un talento naturale per far restare la gente a bocca aperta. Sono fortunata ad averlo incontrato.

****

La prima cosa che faccio appena uscita dal negozio è inviare un messaggio ad Alessandro per avvertirlo che sto tornando a casa per fare una doccia al volo; 

mi godo l'aria fresca sul viso mentre passeggio e, appena premo invio, mi arriva una raffica di bip bip

c'è un solo punto in negozio in cui il cellulare non prende, indovinate chi ha lasciato il telefono proprio lì, oggi? 

Dieci chiamate perse, tutte da mio cugino.
Altrettanti messaggi, sempre dallo stesso mittente, che mi intimano di chiamarlo appena possibile. 

Mi fermo al semaforo pedonale mentre aspetto di poter attraversare la strada e faccio partire subito la chiamata per Lorenzo.
Non è da lui lasciare messaggi del genere, dev'essere successo qualcosa.
Per fortuna risponde al quarto squillo.

«Lore, cos'è successo?»

«Becca, sono sotto casa tua, tra quanto arrivi?» chiede con la voce leggermente agitata.

«Sto tornando proprio ora, mi dici che succede?»
Cristo, mi farà venire un infarto. Sul semaforo lampeggia ancora l'omino rosso, guardo a destra e a sinistra per accertarmi che non arrivi nessuno.

Fanculo, io passo.

Ho bisogno di andare a casa e guardarlo negli occhi, sta tardando a rispondere e la cosa mi fa veramente preoccupare. 

«Giò è in città.»

La sua voce mi paralizza sul posto, o meglio, è la notizia a farlo. La vista inizia ad annebbiarsi e un nodo mi si ferma in gola.

«Cosa?»

Con la coda dell'occhio vedo uno spostamento alla mia destra, mi volto di scatto e vedo qualcosa come una luce, due fanali. 

Poi, il buio totale.

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