41 -Giò-
I dieci minuti sono passati da almeno venti minuti.
Ho provato a seguirla in camera, ma quando l'ho sentita vomitare mi sono obbligato a tornare sui miei passi.
Le ho fatto male.
Stavolta gliene ho fatto davvero.
Cazzo.
Non ho trovato il coraggio di dirle la verità, alla fine.
Gianluca mi aveva avvertito che così l'avrei spezzata, ma il bisogno di farle capire cosa potremmo essere -se solo lei non partisse già con i suoi pregiudizi sulle storie a distanza- mi ha convinto a non dirle niente fino all'ultimo.
Lo so che ho sbagliato, so perfettamente che aveva ragione lui quando diceva che Becky doveva essere libera di scegliere. Il punto è che io la conosco, so com'è fatta. Se a inizio settimana le avessi detto: "ehi, sai, vengo in vacanza con voi, ma poi non torno a casa perché rimango a fare una sorta di volontariato per un anno", lei non si sarebbe neanche avvicinata a me. Mi ci potrei giocare le palle che si sarebbe auto convinta che di nuovo non era il nostro momento, che non è destino e tutte le sue puttanate.
Io avevo bisogno che lei sapesse cosa vuol dire stare tra le mie braccia, fare l'amore insieme, ridere e fare pace. La verità è che forse ne avevo bisogno anche più di lei. Cristo, mi è mancata così tanto in questi anni...
Due colpi alla porta -dati in maniera non troppo amichevole, devo dire- mi distraggono dai miei pensieri, facendomi quasi saltare sul posto. Vado ad aprire e mi ritrovo davanti una Rebecca che non ha nulla a che fare con quella che conosco.
Non sono il pallore o i capelli disordinati a lasciarmi interdetto, ma gli occhi. Con quegli occhi ci ho fatto l'amore un milione di volte; mi hanno fatto capire tutto quello che lei non era in grado di dire a parole; sono stati il mio salvagente, la cosa a cui mi sono aggrappato quando lei continuava a non parlare, a non farmi capire, quando tentava di nascondersi.
Li ho visti arrabbiati, felici, stanchi, grati, tristi.
Mai delusi.
Mai, fino ad ora.
Quando inizia a parlare, lo fa alternando una parola ad un pugno.
«Io» un pungo.
«Ho» un altro.
«Il-tuo-schifo» tre, quattro, cinque..
«Di-profumo» ancora.
«Addosso» l'ultimo.
«Come cazzo faccio adesso, eh?»
Me ne dovrebbe dare altri mille, lo so. Non bastano per quello che ho fatto, non sono sufficienti per il male che le vedo addosso. La prendo per le spalle e la faccio entrare, chiudendo la porta per evitare che tutto il villaggio senta le sue urla.
«Becky, ti prego... non mi hai lasciato parlare e capisco, davvero, capisco che sei incazzata da morire ma, ti scongiuro, lasciami spiegare...»
L'espressione che le si dipinge sul volto mette quasi i brividi. Fa un ghigno malefico e inizia a scuotere la testa.
«Non ti ho lasciato spiegare perché non sei nella posizione di spiegare un bel niente. Dimmi: ti hanno per caso fatto sapere solo oggi che saresti dovuto rimanere un anno qui a Tenerife?»
Abbasso la testa. Il coraggio di guardarla negli occhi è andato a farsi fottere insieme alla mia possibilità di costruire qualcosa con lei.
«No.» rispondo.
«Qualcuno ti ha minacciando dicendoti che ti avrebbero ammazzato il gatto se me ne avessi parlato prima?»
Evito di sorridere. Il suo sarcasmo l'ho sempre amato, ma non mi sembra il caso ora. Mi limito a scuotere di nuovo la testa.
«No.»
«Hai per caso fatto una scommessa che avresti perso, in caso io avessi saputo tutta la verità all'inizio?»
«No, Becky.»
Trovo il coraggio di alzare lo sguardo sul suo viso, il ghigno che c'era fino ad un minuto fa ha lasciato spazio ad una maschera di dolore misto a rabbia ed incredulità.
«E allora perché? Perché hai voluto farmi così male, Giò?» mi sta supplicando di dirle la verità, ma come posso farlo, senza rischiare di ferirla ancora di più? I suoi occhi delusi si riflettono nei miei, lucidi di dispiacere.
«Perché non saresti mai stata con me, altrimenti. Non ti saresti mai lasciata avvicinare.» Abbasso la voce perché mi sto vergognando.
So che il mio ragionamento non è del tutto sbagliato, se si prova a guardare la cosa dal mio punto di vista, eppure non posso fare a meno di vergognarmi. Di pensare che l'ho presa in giro, non ho avuto le palle di raccontarle la verità. Neanche fossimo alle elementari, cazzo.
«E avresti potuto biasimarmi?» chiede. Anche la sua voce si è abbassata. La rabbia probabilmente ha lasciato spazio alla delusione.
Sono indeciso su cosa risponderle. Se dicessi quello che penso davvero, rischierei di peggiorare la situazione. Eppure di bugie ne ho dette già fin troppe, no? Ho fatto trenta, posso fare anche trentuno, ormai, e provare a giocare almeno la carta della sincerità.
«Sì! Sì, cazzo! Ti potrei biasimare perché sette anni fa hai preso la stessa identica decisione, e l'hai rimpianta tanto quanto me, lo so io e lo sai tu!»
«Era diverso.»
«Era uguale! La stessa identica situazione! Io e te che siamo perfetti insieme, ma che dobbiamo stare lontani per un po' di tempo.»
«No, Giò. Sette anni fa te ne sei andato, eri in vacanza e sei tornato nella tua città, senza far minimamente riferimento al fatto che saresti tornato. L'hai deciso dopo, spinto da chissà cosa, ma con me non ne avevi fatto parola. Io pensavo che saresti rimasto là per sempre!»
«Spinto da chissà cosa? Spinto da chissà-» passo le mani tra i capelli in un gesto di disperazione e sfinimento. Sono io quello in torto, ma ragionare con lei a volte è davvero impossibile.
«Tu! Eri tu quel qualcosa che mi ha spinto a tornare, Becky, e lo sai bene. Lo sai bene quanto me che ho deciso di trasferirmi solo per te.»
Perché lei è l'unica persona che sembra non averlo capito? Anche i miei genitori, senza che gliel'avessi mai neanche nominata, hanno capito che era una ragazza la ragione per cui avevo scelto di cambiare città. Mio nonno soffriva già di alzheimer all'epoca, e la prima cosa che mi chiese fu: "Allora? Chi è la giovanotta per la quale hai deciso di venire a vivere con questi due rimbambiti?"
«Non cambia il fatto che io non sapevo che saresti tornato. Non definitivamente, almeno.»
«Beh, stavolta invece lo sai. Tra un anno sarò di ritorno, tra un anno potremo stare insieme. E nel frattempo possiamo sentirci per telefono o su Skype, possiamo vederci quando avremo le ferie o avrò dei turni che mi permetteranno di stare a casa più di un giorno. A volte capita, quando si fanno le notti per esempio...»
Scuote la testa e guarda in giro, come se non credesse a quello che sto dicendo. Devo provare di più, devo tentare il tutto per tutto. Faccio un passo verso di lei e prendo le sue mani nelle mie, aspetto che rivolga lo sguardo a me, prima di iniziare a parlare di nuovo.
«Becky, dimmi la verità... se ti avessi detto che sarei rimasto qua, tu mi avresti dato una possibilità? Sii sincera...»
Abbassa la testa, e quando la rialza c'è un piccolo impercettibile sorriso, che non ricorda per niente qualcosa di felice, però.
«Probabilmente no.»
Stavolta sono io a sorridere, o a provarci almeno.
«Mi credi quando ti dico che non volevo farti male? È che ti conosco così bene, che non avevo dubbi nemmeno io sulla tua risposta. Tra i due, sei sempre stata tu quella che ha cercato di ripararsi un po' di più, rinunciando anche a ciò che ti faceva felice pur di non soffrire in futuro. Ma adesso lo sai, sai cosa possiamo essere noi due insieme, se tu vorrai. Adesso sappiamo davvero a cosa rinunciamo, prima potevamo solo immaginarlo.»
Scuote la testa, di nuovo, ed io cerco di non perdere il contatto visivo con lei. Non posso permetterle di portare di nuovo i sui occhi via da me, adesso che so com'è averli addosso per davvero. Stringo le sue mani un po' di più, nella speranza di passarle un po' del coraggio che avrei io nell'affrontare questa distanza che ci separerebbe per questi dodici mesi.
«Ehi, ti prego... siamo noi, siamo Becky e Giò. Giò e Becky. Siamo perfetti insieme, lo sai anche tu, cazzo. Non puoi tirarti indietro solo perché sai che sarà difficile, o perché ho fatto la stronzata di non dirtelo subito. Non possiamo rinunciare di nuovo così, non dopo tutto questo tempo.»
Vedo i suoi occhi farsi di nuovo lucidi, e il suo viso si sforza per accennare un altro piccolo sorriso.
Ma quando parla, mi spezza il fiato.
«Sai, quando ho collegato tutti i pezzi e ho capito che saresti rimasto qui, il primo pensiero che ho avuto è stato qualcosa tipo: "merito di più di uno stronzo che mi ha nascosto una cosa così importante".» Si asciuga una lacrima in un gesto veloce, poi mi affida di nuovo la sua mano.
«Adesso invece, credo che sia il contrario, Giò. Sei tu a meritare di più. Sono arrabbiata, tanto, ma l'ho capito il tuo discorso, davvero. Il problema è che dopo sette anni io non ho più voglia di aspettare. Voglio tutto, e lo voglio subito. Tu invece meriti una persona che sia in grado di darti la certezza che sarà lì per te, quando tornerai. Meriti qualcuno a cui non pesi il fatto che starai lontano per un anno, perché sa già che l'attesa vale il premio finale. Meriti una ragazza che dopo aver passato una settimana perfetta con te, ti dica che ti aspetterebbe anche una vita intera. Ma quella ragazza non sono io Giò, mi dispiace.»
La sua immagine mi appare sfocata ora, ho la vista appannata e tutto quello che riesco a pensare è che questa è probabilmente l'ultima volta che la rivedrò per non so quanto tempo, e non posso nemmeno guardarla come vorrei, perché sto piangendo.
Come un coglione.
«Becky...» Non provo ad aggiungere qualcosa, la sto già pregando di ripensarci, di rivalutare, di darmi un'altra possibilità.
Me ne basta una sola.
Ce ne basta una sola.
Sorride e si asciuga le lacrime, di nuovo. Quante volte l'ho fatta piangere in una sola settimana? Quante volte i suoi occhi sono stati gonfi per colpa mia? Quante volte il suo sorriso non è comparso a causa mia? Eppure ci prova, anche adesso sta tentando di piegare un po' gli angoli della sua bocca verso l'alto.
Fa un passo verso di me e si lancia tra le mie braccia, sento il suo petto scosso dai singhiozzi, e fa più male che ricevere un pungo in pieno stomaco.
«Mi dispiace, Becky. Ti avrei portata anche sulle stelle, se avessi potuto...»
Un singhiozzo un po' più forte degli altri, ed io muoio ancora un po'.
«Beh, ma ci siamo stati... siamo solo tornati un po' prima del previsto.»
La stringo più forte a me, perché ho bisogno di imprimere nella mia testa com'è averla fra le mie braccia.
«Ti amo.» E la paura di non averglielo detto abbastanza si fa spazio piano piano dentro la mia testa e il mio cuore. Lo sento fin dentro le ossa che avrei dovuto dirglielo un milione di volte in più che l'amo, che l'avrei aspettata, che non ci sarà mai nessuno di più giusto di lei tra, tra le mie braccia.
Annuisce appena e fa un passo indietro, staccandosi da me con un movimento così piccolo, ma che fa così male...
«Credo che dovrei andare adesso» dice mentre cerca di ricomporsi un po', «Passi a salutarci prima che lasciamo il villaggio?»
«Certo...»
Sorride.
Ci prova.
«D'accordo. Ciao, allora...»
«Ciao...»
Spazio S.
E così, abbiamo scoperto qual'era il famoso "segreto" di Giordano.
Non ho niente da aggiungere, perché sono molto triste :(
Ci rileggiamo domani, come sempre...
Buona giornata, S.
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