40
«Spingi!»
«Sì.»
«Spingi, Giò!»
«Sto spingendo.»
«Spingi di più!»
«Becky, rischio di spaccartela così!»
«È più elastica di quanto tu creda, spingi ho detto!»
«Non credo che sia una buona id-»
Aaah che nervi! Emetto una specie di grugnito di disapprovazione.
«Fai venire me sopra, forza!»
Lo sposto con una spinta e salgo a cavalcioni, iniziando a muovermi su e giù.
«Ci sei, Giò?»
«Quasi... ci sono quasi, ancora un po'.»
«Muoviti, non ce la faccio più!»
«Dai Becky, un'altra spinta.»
Prendo un respiro, mi isso sulle ginocchia e affondo con tutta la forza che ho.
«Oh, sì! Rebecca, sei stata grandiosa.» dice sfinito.
Finalmente! Mi rilasso e scendo, con le gambe leggermente tremolanti, e guardo il risultato di tutta questa fatica.
La mia valigia ora è perfettamente chiusa e siamo riusciti a far stare tutto al suo interno.
Guardo Giò soddisfatta del risultato finale.
«Siamo una bella squadra, direi!»
«Già, speriamo che non esploda anche questa in aeroporto.» dice con nonchalance, facendo un sorrisetto sghembo.
Lo guardo mezza terrorizzata e incrocio le dita mentalmente nella speranza che il modello nuovo -che ho dovuto comprare poco dopo il nostro arrivo- sia un po' più resistente di quello precedente.
«Andiamo a fare colazione con gli altri prima di fare il check out dal villaggio?» chiedo, sentendo già lo stomaco borbottare in segno di approvazione.
«Andate voi, io devo ancora fare il mio bagaglio e non ho fame. Ci vediamo quando tornate dal bar, okay?»
«D'accordo.» annuisco e gli lascio un bacio veloce, prima di incamminarmi verso l'esterno. Giò mi blocca appena prima che io apra la porta per uscire.
«Aspetta!»
Mi raggiunge con due passi e mi travolge con un bacio.
È un bacio pieno, forte. Niente a che fare con quello che gli avevo appena accennato io.
Appena stacca le sue labbra dalle mie lo guardo; la morsa che solitamente ho allo stomaco quando siamo così vicini, stavolta è diversa... quasi dolorosa.
L'ho avvertita più di una volta con lui in questa ultima settimana, ma ora è come se la sensazione fosse amplificata.
«Lo sai che ti amo, vero?» Lo dice con gli occhi leggermente lucidi, e potrei giurare di aver visto un lampo di tristezza passarci in mezzo.
«Lo so.» E mi sforzo di sorridere, ma credo sia venuto fuori qualcosa di più simile ad una paresi che altro. Fa un mezzo cenno anche lui con la bocca, ed è qualcosa che non assomiglia neanche vagamente a quella che di solito è la sua espressione felice.
Annuisce appena e va sul terrazzo, lo vedo scavalcare il muretto che separa i nostri appartamenti e faccio due respiri profondi prima di uscire per incontrare i ragazzi.
Va tutto bene, Becca. Ti stai facendo delle paranoie senza motivo. Sta andando tutto bene.
****
«Perché Giò non è venuto?» chiede Lore non appena ci sediamo ad uno dei tavolini del bar.
«Doveva finire di preparare la valigia, e in più non aveva fame.» Faccio spallucce mentre giro distrattamente quello che qui spacciano per cappuccino.
«Mmh» Gianlu addenta il suo cornetto e scuote la testa in segno di diniego, manda giù il boccone e riprende: «Ieri sera l'ho sentito mentre parlottava al telefono a voce alta, sembrava incazzato. E stamattina non si presenta per l'ultima colazione... no, non mi convince la faccenda. Qui gatta cicogna.»
Cos-? Che cos'ha detto?
«Gianlu...»
«Mh?» Si volta verso di me con le sopracciglia sollevate, tutto tranquillo, come se avesse detto la cosa più normale del mondo.
«Che cosa hai appena detto?»
«Ho detto che ieri sera l'ho-»
«Sì, l'ho capito quello. Passa alla parte del proverbio, per cortesia.»
«Ah, ho detto qui gatta cicogna!»
Lorenzo si butta una mano in faccia con una forza tale, che ho quasi paura si sia lasciato il segno. Io serro le labbra per non scoppiare a ridere, e Gianluca sposta lo sguardo da me a mio cugino con un'aria confusa.
«Cosa vorrebbe dire "qui gatta cicogna"?» domando, cercando di restare seria.
«È un modo di dire, Becca! Come a dire che c'è qualcosa sotto.» E alza gli occhi al cielo. Io davvero non so come gli escano certe volte.
«Scusa, ma mi sapresti dire il nesso tra gatta-cicogna, e il fatto che dovrebbe esserci qualcosa sotto? Non ha senso Gianluca!»
«Ma che ne so! Mica l'ho inventato io! Si dice così e basta.»
«No, Gianlu, non si dice così e basta, si dice 'qui gatta ci cova'. COVA!»
Gianlu scoppia a ridere e scuote la testa.
«Certo che ne hai di fantasia tu.» E mi arruffa i capelli come si fa coi bambini.
Io ci rinuncio.
Per tutto il ritorno agli alloggi sento una forte morsa allo stomaco, ho come una sensazione di nausea e mi auguro vivamente che non sia stata quella brodaglia a provocarla. Mi appunto mentalmente di portare una moka e del caffè in polvere per la prossima vacanza, a meno che non sia in Italia!
Arrivati agli appartamenti saluto i ragazzi, con i quali ho appuntamento tra un'oretta qui fuori, e aspetto che entrino. Do un'occhiata alla porta di Giò e vedo che è socchiusa. Busso appena ed entro, cercando di ignorare quella maledetta sensazione che sembra volermi prendere a pugni il petto.
Lo vedo seduto sul letto, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani a tormentarsi i capelli. Mi guardo intorno e vedo tutta la sua roba ancora in giro. I vestiti sparsi per la camera, il caricabatterie attaccato alla presa, la valigia in un angolo, dove l'avevo vista la prima volta che sono venuta qui dentro. Le porte dell'anti bagno e del bagno sono spalancate. Dentifricio e spazzolino ancora sul ripiano del lavello, asciugamano e accappatoio appesi ai ganci.
«Beh? Hai deciso di rimanere un altro po' in vacanza per caso?» Sorrido nonostante la nausea si sia fatta ancora più accentuata da quando ho messo piede in questa stanza.
Solleva il capo e mi guarda. Gli occhi gonfi e rossi, le mani ancora intrecciate sulla testa e l'espressione... colpevole, oserei dire.
«Becky...» ed è una supplica.
Becky, cosa? Cosa deve fare Becky? Cosa deve...
Poi, in un attimo, tutta la settimana mi compare davanti.
Tutte le cose che ho sentito, quelle che non ho capito sul momento e quelle a cui non ho dato peso. Le frasi dette da lui, quelle dette da Isabella... è come se le vedessi chiaramente lampeggiare davanti ai miei occhi e andare ad incastrarsi perfettamente come pezzi di puzzle. Era tutto davanti me, ed io non l'avevo visto.
Ho fatto domanda per lavorare qui tempo fa, non mi hanno preso quella volta...
Parlo di quando ti mancherò, ci si manca anche quando si sta insieme a volte.
Appena torno a casa voglio cercare un posto dove vivere con te.
La cosa importante è che tu mi dica che quando tornerò verrai a vivere con me, giuramelo.
Ma dimmi Becky, dove sarai lunedì? Qualcuno dovrà consolare quel povero ragazzo.
Promettimi di non togliere il braccialetto rosso quando litigheremo.
Se tu credessi in noi tanto quanto me, sarei più tranquillo per domani.
Voglio che indossi la mia maglietta, così mi rimarrà il tuo profumo.
La consapevolezza mi colpisce come un pugno in pieno stomaco. La nausea che avevo si sta trasformando in un vero e proprio conato di vomito. Deglutisco a vuoto e sento gli occhi pizzicare, mentre cerco di reggermi sulle gambe, di non cadere, di non urlare.
«Non torni, vero? Resti qui...»
Spalanca gli occhi e una lacrima gli riga il viso; quel viso perfetto, che in questo momento sto odiando con tutta me stessa.
«Becky... ti prego, io non-»
«Perché?» Non voglio sapere altro. Solo il perché.
«C'è un ospedale qui che-»
Non gli lascio finire nemmeno questa frase. So benissimo del suo animo buono, di sua sorella e tutta la storia.
«Perché non me l'hai detto subito? Perché mi hai fatto questo? PERCHÉ?» Alzo la voce ma non basta. Vorrei gridare con tutto il fiato che ho in gola. Vorrei prenderlo a pugni. Vorrei correre il più lontano possibile da questa stanza, che è stato il posto dove abbiamo fatto l'amore per la prima volta, dove ci siamo baciati per la prima volta, dove ci siamo trovati dopo sette cazzo di anni. Non risponde. Mi guarda come se mi stesse supplicando di perdonarlo.
«Per quanto?» domando cercando di calmare il respiro, che sembra non volerne sapere di tornare regolare.
«Un anno.»
Ho bisogno di uscire. Mi volto e inizio a camminare verso la porta. Giò mi afferra per un braccio e mi obbliga a girarmi.
«Becky ti prego, ti prego lascia che almeno ti spieghi.»
«Mollami!» strattono il braccio e mi stacco da lui. «Ho bisogno di stare un attimo da sola.»
«Ma non-»
«Che c'è? Tu ti sei preso un anno, no? Posso avere dieci cazzo di minuti anch'io?» Non credo di aver guardato mai nessuno con così tanto odio in vita mia.
Lui abbassa lo sguardo e scuote appena la testa in segno di approvazione.
Esco fuori sbattendomi la porta alle spalle. Entro nel mio appartamento e corro verso il bagno. Lo schifo che ho provato fino ad ora lo vomito tutto nel wc.
Tiro l'acqua e, appena sento di non aver nient'altro da poter rigettare, mi alzo a fatica sulle gambe che ancora tremano mentre metto i polsi sotto l'acqua fresca che esce dal rubinetto.
Mi guardo allo specchio e mi riconosco a fatica: sono bianca come un cadavere, ho gli occhi arrossati e i capelli sono un vero schifo. Mi appoggio alla parete, dietro di me, scivolo per terra piano e, finalmente, lascio uscire tutte le lacrime che sono riuscita a trattenere davanti a Giò.
Perché? Perché mi ha fatto questo? Perché non mi ha detto subito che sarebbe rimasto? Perché mi ha avvicinata se sapeva che poi non avrebbe potuto tenermi con sé? Perché cazzo deve farmi sempre tutto questo male avere a che fare con lui?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top