38

Dopo essere andati in centro per pranzare, io e Giò siamo ripartiti per le strade sconosciute di questa meravigliosa isola. 

Quando decide di fermare il motorino, la vista che ho davanti mi spezza il fiato. Dal punto in cui siamo posso scorgere una scalinata che scende fino alla spiaggia sottostante, bianca e pura, che si incontra con l'azzurro incredibile dell'oceano. È perfetto. 

«Credo che questo panorama non me lo scorderò più...»

Giò sorride soddisfatto della scelta, aspetta che io scenda e fa lo stesso.
«Bello, vero?»

«Stupendo!»

Ci incamminiamo mano nella mano verso quel piccolo pezzo di paradiso ed io non riesco a non guardarmi attorno come farebbe una bimba in un negozio di giocattoli.
Mi siedo sulla sabbia calda per poter continuare ad ammirare il panorama, e Giò si sistema dietro di me, facendo poggiare la mia schiena contro il suo petto e cingendomi la vita in un abbraccio che, se possibile, è ancora più bello di quello che ci circonda. 

«Come hai trovato questo posto?» 

«Sono venuto l'anno scorso per un convegno. È durato tre giorni, ma nel tempo libero ho fatto qualche escursione per conto mio.»

D'improvviso qualcosa mi stringe lo stomaco. La consapevolezza di non sapere quasi nulla su quello che ha fatto in questi anni mi arriva dritta in faccia come uno schiaffo a mano aperta.

Dove sei stato?
Con chi uscivi?
Cos'hai mangiato?
Chi ti ha fatto compagnia mentre pensavi a me?
Chi ti ha baciato mentre ti pensavo?
Chi ti ha toccato mentre piangevo?
Con chi ti sei consolato?
Sei riuscito a innamorarti di qualcun'altra?
Quanto studiavi?
Hai fatto qualche figuraccia degna di essere ricordata?
Hai riso?
Hai fatto a pugni con qualcuno? Perché non sei venuto a prendermi?
Perché non sono venuta a prenderti?

Inizio a giocherellare col suo bracciale di filo rosso ed il mio elastico, che tanto mio non è più.
«Cosa c'è?» chiede all'improvviso.

«Pensavo...»

«A cosa?»

«A niente... solo, pensavo.»

«Cosa vuoi sapere?»

«Tutto.»

Lo sento sorridere sulla mia pelle e respirare nei miei capelli.
«Tutto cosa?»

«Tutto quello che non so, quello che ci siamo persi in questi anni.»

E così inizia a raccontare. Gli anni difficili degli studi, il master in America, le serate con gli amici dell'università, il mega viaggio di laurea, le ragazze che ha frequentato, le persone in cui ha cercato i miei occhi e la mia risata, il paio di risse in cui è finito dopo aver bevuto qualche birra di troppo, l'amore per il suo lavoro, l'adrenalina del tenere in mano un bisturi, la paura di non farcela, di fallire, di non essere abbastanza bravo o preciso. Il lavoretto al pub che si era trovato mentre ancora studiava, le prime figuracce con i clienti quando ancora non conosceva i nomi dei drink e come prepararli.

E io gli racconto un po' di me, dei viaggetti che ho fatto con Valentina, del mio lavoro al panificio, di Ugo e Lina e di quanto abbiano riempito le mie giornate nell'ultimo periodo. Di com'era essere assistente alla poltrona, del fatto che forse un po' mi sono pentita di non aver proseguito gli studi, del primo lavoro che ho fatto appena ottenuto il diploma. 

Di mamma e delle sue telefonate isteriche che mi rinfacciano di avermi dato alla luce, di papà e del fatto che mi considera ancora e sempre la sua bambina. Di Lorenzo e tutte le volte che senza saperlo mi ha aiutata. Di Gianluca e di quella volta che sono andata a prenderlo completamente sbronzo alla stazione, e l'ho trovato con un carrellino del supermercato vicino, mentre cercava di attraversare il muro perché era convinto che il piccione che gli aveva defecato in testa fosse un gufo che voleva avvisarlo di essere stato ammesso ad Hogwarts. 

Di qualche ragazzo e degli amici al liceo, di come ci siamo promessi di mantenerci in contatto e di come poi ci siamo persi di vista. 

Abbiamo raccontato di quello che è successo prima e dopo esserci conosciuti, e ci abbiamo messo in mezzo anche qualche aneddoto capitato mentre passavamo l'estate insieme, ma di cui non eravamo a conoscenza. 

Ho sentito il tempo essere un po' meno in debito nei miei confronti, e mi sono sentita sollevata quando mi sono resa conto che, è vero, abbiamo sprecato anni, ma ne abbiamo comunque tanti altri davanti.

Il cielo inizia a colorarsi con i toni del tramonto e noi, a malincuore, ci alziamo per tornare al villaggio. Giò tira fuori il telefono e se lo piazza davanti alla faccia.

«Ma quanto sei narcisista.» lo prendo in giro e lui per tutta risposta mi afferra un polso e mi trascina davanti a sé.

«Voglio un ricordo di cosa sia la felicità. Tre, due, uno... chees.»

Mi aspettavo un semplice selfie, invece il simpaticone ha impostato l'autoscatto con qualcosa tipo trenta foto sparate a raffica una dopo l'altra. Scoppio a ridere appena me ne rendo conto e cerco riparo contro il suo collo. 

Appena la sessione fotografica finisce ci avviamo alla vespa. Mi sento come una quindicenne al primo appuntamento col ragazzo che le piace stando abbracciata a lui in questo modo. Ho il cuore leggero e gli occhi felici.
«Poi ricordati di inviarmi quelle foto.»

Che voglio anche io un ricordo di quel momento di perfetta felicità.

****

Appena esco dall'appartamento trovo i ragazzi fermi di fronte alla mia porta, gli do un'occhiata e scoppio a ridere. 

Hanno un lenzuolo avvolto al corpo e messo a mo' di mantello, le braccia aperte messe nella classica posizione che si usa per dire il Padre Nostro, e la testa leggermente inclinata. Sono praticamente immobili, sembrano delle statue.

«Beh? Cosa dovreste rappresentare conciati così?» chiedo non appena riprendo fiato.

Gianlu rimane fermo nella sua posizione, ma gira gli occhi verso di me e inizia a parlare.
«Mi sembra più che ovvio, Becca. Sei pronta per... l'ultima cena?»

Non ci posso credere. Anche gli altri due cretini sono rimasti fermi nelle loro pose da presunti apostoli, ma le spalle hanno iniziato a vibrargli visibilmente nel tentativo di trattenere una risata, con scarsi risultati devo dire. 

Mi metto una mano in faccia e scuoto la testa, rassegnata all'idiozia dei miei amici, pensando che, però, persone migliori di loro non credo avrei potuto trovarle.

«Lo sapete che gli apostoli non andavano in giro con il mantello, vero?»

«E tu che ne sai? C'eri? Non mi sembra! Quindi non credo proprio tu possa metterti a sindacare su una questione del genere!»

Gli altri due hanno perso definitivamente la loro immobilità dopo essersi piegati per ridere. C'è da dire che si divertono con poco. Tra un singhiozzo e l'altro Lore riesce a prendere fiato e a parlare.
«Scusa ma, veramente? Dovevamo essere gli apostoli?»

Guardo lui e Giò confusa.
«Cioè, vi siete messi dei lenzuoli bianchi addosso, e non sapevate nemmeno il perché?»

Giò mi guarda e fa spallucce.
«No. Aveva detto che aveva un'idea fighissima, che ti avrebbe fatto morire dal ridere, ma non sapevamo di preciso cosa voleva rappresentare.»

Gianlu continua a lanciargli delle occhiatacce, incrociando le braccia al petto e facendo un leggero broncio.
«E cosa avete pensato quando vi ho dato i mantelli? Sentiamo!»

Giò e Lore si guardano di nuovo, fanno ancora spallucce e rispondono in coro: «I magnifici quattro!»

Gianlu sembra indignato.
«Ma i magnifici quattro non avevano il mantello!»

«E perché gli apostoli sì invece?»

Oh Gesù. Se andiamo avanti così finiamo domattina.
«Ok ragazzi, siete stati super divertenti qualsiasi cosa doveste essere! Andiamo a cena, vi prego!»

****

Come siamo passati dal decidere di bere un drink tranquillo tutti insieme, all'essere seduti in spiaggia attorno ad un falò, con non so chi che suona la chitarra, resta ancora un mistero. 

Siamo una decina di persone, tutti più o meno coetanei, tutti ovviamente italiani, a cantare i grandi classici da 'ultima sera di vacanze'. 

Siamo passati da La Canzone Del Sole a Samarcanda, abbiamo stonato I Migliori Anni e peggiorato la situazione con Questo Piccolo Grande Amore, infine ci siamo ripresi appena con Il Cielo è sempre Più Blu e 50 Special.

Non è ancora mezzanotte, e stasera abbiamo deciso di rientrare ad un orario decente, per avere il tempo domattina di alzarci con calma e preparare le valige, visto che nessuno l'ha fatto in anticipo, e fare il check out in tutta tranquillità dopo aver fatto colazione. 

Sto per chiedere ai ragazzi di iniziare ad avviarci agli alloggi, quando Giò mi sorprende chiedendo al ragazzo che ha suonato fino ad ora, di prestargli la chitarra. So che al piano è bravissimo, mi è capitato più volte di sentirlo suonare, ma con la chitarra non ce n'è mai stata l'occasione. 

È di fronte a me e la luce del fuoco lo rende ancora più bello, per quanto possibile. Si mette la chitarra in posizione e inizia leggero a sfiorare le corde creando una melodia che conosco bene. Inizia a cantare un po' in imbarazzo, lo vedo dal modo in cui tiene lo sguardo fisso sulle fiamme, mentre la sua voce appena graffiata lascia volare le parole libere nell'aria, belle come non mai cantate da lui. 

Nessuno canta con lui, tutti lo guardano rapiti, me compresa, mentre piano piano prende sicurezza e inizia a guardarsi un po' intorno. Sento gli occhi pizzicare appena, quando mi guarda e accenna un piccolo sorriso, tutto per me, solo per me, continuando a suonare e cantare.

Noi distesi su quel letto così caldo
Che non puoi fare a meno di spogliarti
E se lo fai, io mi perdo nei tuoi occhi
Mentre dici che non c'è altro uomo nella vita tranne me
Noi due stesi sopra un letto che non rifacciamo mai
C'è qualcosa di perfetto fra di noi
Tu che giochi con le dita mentre parli un po' di me
C'è il profumo della vita nel caffè
E accarezzo le tue gambe con le mani
Come se stessi suonando un preludio di Chopin
E accarezzo le tue gambe coi miei baci e sembra che
Siamo immersi in paradiso insieme agli angeli, insieme agli angeli.
E invece sei tu, che hai fatto di me un uomo migliore
E invece sei tu, che hai fatto per me un mondo migliore

Il buon vecchio Cremonini non delude mai.

Accenno un piccolo sorriso a Giò, mentre restituisce la chitarra al suo legittimo proprietario, e mi perdo a pensare alle parole della canzone che ha cantato poco fa. 

Chissà se le pensa davvero quelle cose... chissà se davvero crede che io abbia reso il suo mondo un posto migliore solo con la mia presenza, solo perché ora ne faccio parte... chissà se sono riuscita a fargli capire che lui, il mio mondo, l'ha completamente stravolto; l'ha ribaltato, e ha rimesso tutte le cose nella giusta prospettiva. 

Chissà se lo sa quanto l'ho aspettato in questi anni, quante volte ho rivisto nella mia testa le immagini della nostra prima estate insieme. Chissà se immagina che a casa, sotto il letto, ho nascosto una scatola che parla di noi; 

di quella sera in cui siamo andati al cinema da soli perché a Lore e Gianlu non interessava il film che noi volevamo vedere; di quella volta che in treno siamo andati fino a Firenze perché gli avevo detto di non averla mai vista di notte; di quel giorno in cui sono andata a tifare per lui e i ragazzi. 

Ho custodito quell'estate perfetta conservando gelosamente ogni dettaglio: un biglietto del cinema, la maglietta che mi aveva lanciato dopo aver fatto il primo goal, la cartolina che mi aveva mandato a Natale, la foto scattata a Firenze, che non si vede che sorridiamo, perché il flash della mia macchina fotografica si era rotto, ma io me lo ricordo lo stesso. 

L'ho riaperta spesso, quella scatola, l'ho guardata a volte col sorriso, a volte tra le lacrime. Mi sono chiesta tante volte se dovessi essere grata per aver provato quello che io ho sempre definito 'il mio grande amore', oppure amareggiata per averlo lasciato andare. Ho sempre optato per la prima opzione: grata. 

Tutto quello che è amore dovrebbe farti sentire così. 

E adesso che lui è qui, davanti a me, lo guardo chiacchierare con gli altri ragazzi del gruppo e non posso fare a meno di pensare che ce la siamo meritata questa vacanza, io e lui. Ci doveva essere prima o poi un'occasione che ci avrebbe fatto finalmente riavvicinare. Ci dovevano essere i litigi, le gelosie, qualche lacrima, e la convinzione che fosse ora di abbandonare tutto. 

Ci dovevamo essere noi, testardi come non mai, a urlarci addosso e a dormire abbracciati. A insultarci e a fare l'amore. A perderci e a ritrovarci. A sentirci in trappola e poi liberi. A guardarci di nascosto e amarci come sempre. 

Lore mi dà una leggera gomitata, e quando mi volto verso di lui lo trovo col sorrisino che sfodera quando deve farmi capire che la sa lunga.

«Che c'è?» chiedo, sperando di sembrare il più naturale possibile.

«Oh niente, mi sembravi un po'... incantata, ecco.» Fa vagare lo sguardo e continua con quell'espressione furbetta. 

Rido scuotendo la testa e mi alzo in piedi, gli allungo una mano subito dopo essermi scrollata la sabbia di dosso.
«Avviamoci, che è tardi... io e te dovremo fare una luuunga chiacchierata, non appena saremo a casa.»

Lore mi sorride, afferra la mia mano per aiutarsi ad alzarsi e, stavolta, mi sorride di cuore.
«Oh sì, cuginetta! Credo anch'io!» 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top