37
Torniamo alle stanze sfiniti, abbiamo accompagnato i ragazzi fino all'uscita del villaggio, e l'umore non è dei migliori. Ci siamo commossi un po' tutti. È incredibile come pochi giorni insieme ci abbiano unito.
Tengo mio cugino per mano mentre cammina a testa bassa. È orribile veder partire la persona che ti piace; me la ricordo bene la sensazione di quando ho salutato Giò sette anni fa.
Spero davvero che loro riescano a tenersi in contatto, a vedersi, a viversi. Spero tanto che siano più coraggiosi di me. Ci salutiamo davanti alle stanze e ci diamo appuntamento 'per quando ci svegliamo'. Entro in stanza e faccio una doccia veloce prima di mettermi a dormire. Quando esco dal bagno trovo Giò sul mio letto che giocherella con qualcosa nelle mani.
«Come sei entrato?»
«Lasci sempre la porta finestra aperta.»
«Meglio per me.» sorrido e mi siedo di fianco a lui. Prende il mio polso e allaccia un braccialettino di corda rossa.
«E questo?» lo rigiro nelle mani e lo guardo mentre alza il suo di polso, mostrando un bracciale identico proprio sopra il mio elastico, ormai scolorito dal tempo.
«È il famoso filo rosso» risponde, come se fosse la cosa più scontata del mondo.
«Lo vedo che è un filo rosso. Anche se non so perché dovrebbe essere famoso...»
«Non conosci la leggenda del filo rosso?» Giò mi guarda sbigottito.
«Non mi sembra... cosa narra questa leggenda?»
Sorride e mi solleva senza sforzo facendomi sedere in braccio a lui. Appoggio la testa alla sua spalla e strofino un po' il naso al suo collo, beandomi del suo profumo e ascoltandolo mentre inizia a raccontare.
«È una leggenda molto diffusa in Giappone, anche se credo abbia origini cinesi. In poche parole, secondo questa leggenda, ogni persona quando nasce ha un filo rosso invisibile che la lega ad un'altra. E non importa cosa succederà a queste persone, qualsiasi evento saranno costretti ad affrontare e sopportare, queste due anime sono destinate ad incontrarsi e a stare insieme. L'ho sempre trovata bellissima.»
Sorrido sulla sua pelle e mi alzo un po' per poterlo guardare negli occhi. Il suo verde si fonde col mio nocciola, ed io mi sento paralizzata da quello che il suo sguardo è in grado di trasmettermi. C'è amore, c'è paura, c'è speranza. C'è tutto quello che provo, io in quegli occhi.
«Quindi stai dicendo che pensi che sia io la persona che è legata a te da questo filo rosso?»
«Oh no, non lo penso. Io ne sono sicuro! Siamo noi. Siamo perfetti. Qualsiasi cosa accada, noi riusciremo a ritrovarci. In alcune varianti della leggenda, si dice che basti tirare il filo rosso per far sapere all'altra persona che la si sta pensando. Quante volte al giorno pensi che tirerai il tuo bracciale?»
Faccio finta di fare qualche calcolo a mente e poi butto lì un «Due, forse tre... dipende da quanto saranno lunghi i turni che farai in ospedale.» inizio a ridere, ma lui rimane serio.
«Mi prometti che non lo toglierai?» chiede con l'espressione preoccupata.
«Perché dovrei toglierlo?»
«Metti che un giorno litighiamo, o che ti dica qualcosa che ti farà male... prometti di non toglierlo.»
Non capisco perché ogni tanto se ne esca con queste ipotesi che fanno pensare sempre al peggio. Lo so che la nostra storia è stata un po' travagliata, ci siamo rincorsi per così tanto tempo che è un miracolo se non siamo morti per un attacco cardiaco. Ma stiamo per tornare a casa insieme, partiamo da qui insieme! Non credevo fosse così pessimista. Giocherello col bracciale facendolo ruotare intorno al mio polso.
«Un po' mi dispiace che pensi sempre al peggio. Alle eventualità negative. Lo so che abbiamo passato più tempo separati che insieme, ma mi fa pensare che tu non riponga tanta fiducia in noi due...» dico.
Mi sposta e si viene a sedere di fronte a me. Appoggia un dito sotto il mio mento e mi fa sollevare la testa, obbligandomi a guardarlo.
«Io ci credo tantissimo in noi due e in questa storia. Vorrei che ci credessi anche tu.»
Ma che...? Gli ho appena detto la stessa cosa, e mi risponde con lo stesso concetto?
«Mi prendi in giro, Giordano?»
«No, perché?»
«Ti ho appena detto che mi sembra che tu creda poco in noi, e che mi dispiace, e tu mi dici che vorresti che io tenessi a noi tanto quanto te?»
«Sì! Se tu credessi a noi tanto quanto me, sarei più tranquillo domani.»
Domani? Domani è domenica, dobbiamo tornare a casa. Perché è preoccupato di tornare a casa?
«È perché non l'ho detto agli altri che sei preoccupato? Lorenzo credo l'abbia capito da solo. Volevo solamente avere l'occasione di parlargliene con calma, solo io e lui, come siamo sempre stati abituati a fare!»
Sorride con un sorriso che non arriva agli occhi e scuote la testa.
«Non fa niente, Becky, ne riparliamo domani. Sono distrutto adesso, d'accordo?»
Si allunga verso di me e mi lascia un bacio prima di stendersi al mio fianco e portarmi con sé.
Mi addormento di nuovo con la solita brutta sensazione che mi attanaglia lo stomaco.
Perché mi sembra sempre che mi sfugga qualcosa?
****
Vengo svegliata da qualcosa che mi solletica il viso. Apro un occhio controvoglia e vedo una specie di nappina che penzola sul mio naso. Nonna Caterina ne aveva un paio simili, attaccate alle tende di casa sua. Apro anche l'altro occhio per cercare di capire da dove provenga questo reperto storico, e mi accorgo che Giò lo sta facendo ondeggiare sopra la mia faccia, con un'espressione tutta felice e gongolante.
Prendo un cuscino e lo porto sopra la faccia.
«Ancora cinque minuti.»
Giò me lo strappa via e si mette sopra di me, ancora bello sorridente.
Non dev'essere affatto male svegliarsi così ogni giorno.
«Non ci pensare neanche, alzati!»
«Mmh.»
«ALZATI!»
Mi tiro a sedere e gli lancio un'occhiataccia. Do un'occhiata all'orologio e vedo che sono le undici e trenta.
«Giò, ma sei cretino? Non è neanche mezzogiorno! Ma... ma perché?» Mi viene da piangere. Lui non sa cosa possa voler dire lasciarmi dormire meno di cinque ore.
Per tutta risposta fa penzolare di nuovo quello stupido ammasso di cordine davanti al mio naso. Lo afferro e lo lancio dall'altra parte della stanza.
«Lasciami dormire!»
Segue con la testa la parabola che faccio fare a quel coso e rimane serio con lo sguardo fisso nel punto in cui è caduto.
Okay, mi sento un pochino in colpa.
Alzo gli occhi al cielo e scendo dal letto -senza essere assolutamente d'accordo, sia chiaro- raccolgo il malefico oggetto che mi ha solleticato la faccia poco fa, portandomi via dal mio meraviglioso sonno, e mi accorgo che è un portachiavi. Questa stupida nappina giallo ocra fa da portachiavi ad una stupida chiave nera.
«Cos'è? C'è una leggenda anche per i portachiavi di filo giallo per caso? È la chiave del tuo cuore?»
«Ma come siamo simpatiche di prima mattina!»
«Beh, la prossima volta fammi dormire qualche ora in più e ti posso assicurare che sarò dolce come uno zuccherino.»
«Ma è l'ultima giornata che siamo in vacanza! Vuoi sprecarla dormendo tutto il giorno?» mette su un piccolo broncio e spalanca gli occhioni.
Mi arrendo.
«Allora? Cos'è questa chiave misteriosa?»
Tende le labbra in un sorriso che potrebbe sciogliere un igloo e manca poco che inizi a scodinzolare come un cagnolino.
«Ho noleggiato un motorino!»
«Bravo, e dove vai di bello?»
«Ce ne andiamo in giro per la città!»
«Tu e chi?»
«Io e te!»
Mi viene un po' da piangere. Ricordo bene che sette anni fa io e i ragazzi, dopo una delle nostre serate alcoliche, avevamo fatto la lista delle cinque cose 'sciocche' che avrebbe dovuto fare il nostro partner ideale per conquistarci. Quando era stato il mio turno avevo messo in elenco:
- regalarmi un pupazzetto di quelli vinti alle macchinette che li pescano
- dedicarmi una canzone al karaoke
- avere qualcosa di mio da portare sempre addosso
- avere qualcosa dell'altro da portare sempre addosso
- fare una gita fuori porta con una moto o un motorino.
So che Giò è un ragazzo fantastico, ma era ubriaco perso quella sera, non potrebbe mai ricordarsene. Eppure questa idea che ha avuto, mi riempie comunque il cuore di gioia. Proprio come se fosse destino. Sorrido ai suoi occhioni e inizio a cambiarmi.
Dieci minuti dopo sono pronta per la nostra piccola escursione, poi mi viene un dubbio.
«E gli altri? Se si svegliano e non ci trovano?»
«Ho già lasciato un messaggio a Gianluca per dirgli di avvisarci quando saranno tornati sul pianeta terra. Credo dormiranno fino a tardo pomeriggio, comunque.»
Annuisco contenta e ci avviamo fuori.
Appena usciti dal villaggio mi trovo davanti ad una Vespa adorabile, dello stesso colore del porta chiavi che Giò teneva in mano poco fa. Mi porge un casco e infila il suo.
«Pronta?»
«E se volessi guidare io?»
«Becky, l'ultima volta che ti ho visto su qualcosa che aveva solo due ruote è stato sei anni fa, era la bicicletta di tua nonna Caterina e per poco non hai tirato giù la fiancata di un cancello quando ti ci sei schiantata contro. Direi che non è il caso di guidare qualcosa che supera i quindici chilometri orari.»
«Ma quanto sei pignolo...» Salgo dietro di lui e appoggio la testa sulla sua spalla.
«Pronta!»
Mette in moto e ci immettiamo nelle strade di Tenerife.
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