30
Mi sveglio con una piccola scia di baci umidi sul viso. Apro gli occhi sorridendo e incrocio quelli di Giò.
«Buongiorno» e mi stiracchio appena beandomi del suo sorriso.
«Ho deciso una cosa.» Mi dice con un'espressione convinta.
«La notte porta sempre consiglio. Cos'hai deciso? Sentiamo...»
«Appena torno a casa vado a cercare un posto dove poter vivere con te.»
Sgrano gli occhi e scatto a sedere.
«Cosa?»
Ma è impazzito durante la notte? Ma che pensieri son questi? Si dicono così certe cose? Ma è appena spuntato il sole! Io non sono pronta! Il cuore comincia a battermi furioso nel petto e sento gli occhi pizzicare.
«Calmati. Non ho detto nulla di così strano.»
«Sicuro? A me sembrava proprio di sì!»
«Becky, siamo adulti. Stiamo insieme, e stiamo bene. Litighiamo e ci riappacifichiamo adesso che siamo in vacanza, figurati cosa non combineremo una volta a casa. Voglio avere un posto dove sarò certo di trovarti quando farò lo stronzo, o quando sarai acida.»
«Io non sono acida.» E incrocio le braccia al petto mettendo su il broncio.
«No. Ma io un po' stronzo lo sono. Quindi quando sarò a casa darò disdetta del mio appartamento, e inizierò a cercare qualcosa che andrà bene per entrambi.»
«Giò, è venerdì! Significa che...» venerdì, sabato e domenica. Faccio il conto con le dita e riprendo «... tra tre giorni saremo di ritorno. Sei serio? E se non fossi d'accordo? Se non volessi vivere con te subito?»
Ride scuotendo la testa.
«Non vuoi abitare insieme a me? Non credi che abbiamo già perso abbastanza tempo?»
Si mette su un fianco, sostenendo la testa con una mano e sistemando bene il cuscino sotto il gomito piegato.
Mi sembra di aver perso tempo?
Francamente, sì!
Ogni volta che lo guardo, ogni volta che lo abbraccio, ogni volta che mi bacia, sento come se il tempo fosse in debito con me. Le mie paure e il nostro orgoglio non hanno di certo aiutato. Ma è come se avessi la costante sensazione di essere in ritardo per il nostro "noi" e per i nostri giorni. I nostri domani dovevano esserci già ieri.
Che senso avrebbe in effetti rimandare qualcosa che è inevitabile? Quando ci si ama, la convivenza è il passo successivo. Il tempo che di solito una coppia normale impiega a conoscersi e a frequentarsi, noi l'abbiamo già speso ad amarci a distanza, a pensarci senza essere insieme e ad abbracciarci senza poterci toccare.
Mi scruta cercando di capire cosa stia passando nella mia testolina, poi riprende:
«Senti Becky, hai presente l'altro ieri? Quando mi dicevi quanto tu ami la pioggia perché il caldo dopo un po' ti soffoca?»
«Sì.»
«Ecco. La mia vita fino ad ora è stata come la stagione estiva. Bella, con tanta luce e il mare e il divertimento. Ogni tanto, però, mi sento soffocare. Ho bisogno di tornare a respirare a pieni polmoni, e l'aria di cui ho bisogno sei tu. Tu sei come la pioggia d'estate di cui parlavi. Mi rinfreschi, mi dai sollievo, mi fai smettere di boccheggiare nel mondo. Mi fai ricordare quanto è bello e prezioso il resto, solo perché ci sei anche tu.»
Dio, quanto è bravo con le parole. E la cosa bella è che io lo conosco: lui è altrettanto bravo con i fatti. Lui le cose che dice, poi le fa concretizzare. Sento un sorriso farsi strada prepotente sul mio volto.
«Quindi stai dicendo che appena torneremo, tra soli tre giorni -anzi facciamo quattro visto che dovremo aspettare il lunedì- noi andremo in un'agenzia immobiliare e inizieremo a fissare appuntamenti per visitare case e sceglierne una tutta per noi?»
«No... Sto dicendo che quando tornerò, inizierò a guardarmi intorno e a vedere se c'è qualcosa che fa al caso nostro.»
«È la stessa cosa che ho detto io, cosa cambia?»
«Cambia...»
Non capisco questa puntualizzazione. Ma l'importante è che stiamo praticamente dicendo la stessa cosa, giusto? A meno che...
«Cambia perché io l'ho detto al plurale parlando di NOI, mentre tu hai parlato al singolare. Vorresti dire che io non sarò coinvolta nella scelta di dove andremo a vivere?»
Scoppia in una risata e si lascia cadere sul letto.
«No, Becky, è ovvio che sarai interpellata per qualsiasi cosa e che andremo insieme a visitare case e appartamenti. Anche se credo di conoscerti abbastanza, potrei anche andare da solo se volessi, sai? Sono sicuro che ne sceglierei una di cui ti innamoreresti all'istante.»
Faccio una smorfia arricciando il naso. Tutta questa convinzione puzza.
«Mmh... non ne sarei così sicuro se fossi in te. Non sono facile da accontentare.»
«Allora vorrà dire che ne costruirò una. Sceglierai tu la grandezza delle stanze, la disposizione, il materiale dei pavimenti, dove mettere porte e finestre, e quanti gradini ci dovranno essere prima di arrivare alla porta.»
Per quanto riguarda le case, questo è sempre stato il mio sogno: averne una rialzata di almeno un paio di gradini, con tutto il portico che gira attorno. Però non ricordo di avergliene mai parlato.
«Come fai a sapere dei gradini?»
Sorride e mi fa sdraiare accanto a lui, tra le sue braccia.
«Lo so perché ti conosco. So anche del portico.» si mette di nuovo su un fianco e fa incrociare i suoi occhi coi miei, diventati lucidi dall'emozione.
«La cosa importante, è che tu mi dica che quando tornerò, tu verrai a vivere con me.»
Sorrido vedendo quell'espressione quasi disperata che si è dipinta sul suo viso.
«D'accordo.»
«Giura.» e mi porge il mignolo.
Ma che siamo all'asilo?
«Giuro!»
«Devi dire la frase completa e stringere il mio dito con il tuo.»
«Giordano...»
«Rebecca!»
Non sembra intenzionato a mollare. Alzo gli occhi al cielo sbuffando e afferro il suo stupido mignolo.
«Io, Rebecca Forti, giuro solennemente che verrò a vivere con te.»
«Appena tornerò!»
«Beh di certo non potrò farlo qui in vacanza.»
«Appena tornerò!» ripete con tono di rimprovero.
«Appena tornerai!»
Lo vedo rilassarsi e iniziare a ridere. Scioglie le nostre dita e mi prende il viso tra le mani, scoccandomi un bacio che riecheggia nella stanza.
Si può essere più felici di così?
****
L'idea di Lore di fare un giretto in città prima che i ragazzi partissero non sarebbe neanche stata malvagia, non fosse per la piccola Barbie Bea che si è accollata al suo Dano come una tenace sanguisuga farebbe con la sua preda.
Passeggio al fianco di mio cugino da mezz'ora, godendomi lo spettacolino di loro due che camminano a braccetto poco più avanti di noi. La morettina continua ad ancheggiare sicura sui suoi sandali a tacco dodici, passandosi convulsivamente la mano libera nei capelli per tirarli indietro e avere un aspetto ancora più sexy, e ridendo ogni volta che Giò apre bocca.
Sul serio.
Prima l'ho sentito dire che iniziava ad avere fame e lei ha riso.
Ma che cazzo c'è da ridere se uno ha fame? Io ce l'ho continuamente, con me si sarebbe fatta venire i crampi allo stomaco dalle risate, 'sta scema.
«Becca mi stai stritolando un braccio!» La voce di Lorenzo mi riporta alla realtà, facendomi rendere conto che lo stavo stringendo forse un po' troppo energicamente.
«Eh? Oh, scusami.» e allento un po' la presa.
Giò si gira verso di noi con un sorriso a cinquantacinque denti -che presto cadranno- e fa l'espressione più innocente del mondo.
«Che c'è Becky? Sei nervosa per caso?»
Lo soffoco. Se stanotte viene da me lo soffoco nel sonno.
Ricambio il sorriso lanciandogli la classica occhiata da "tanto prima o poi dovrai pagare" e scuoto la testa.
«Ho solamente fame. Tendo a diventare un po' isterica quando non mangio.»
Lo vedo annuire soddisfatto con la faccia di chi la sa lunga, prima di tornare a guardare avanti.
«Raggiungi Ste, è dall'altra parte della strada, sta prendendo qualcosa da sgranocchiare prima di pranzo!»
Provo un amore spasmodico per Sonia dopo questa affermazione!
Le sorrido che un altro po' e mi slogo la mascella, e batto le mani felice!
«Ah sì? Vado subito, allora.»
«Vengo anch'io! Ho mangiato poco a colazione.» Giò si stacca Bea dal braccio e viene verso di me.
«Se vuoi ti porto io qualcosa.» faccio spallucce e batto le ciglia con l'espressione più dolce del mondo.
«No. Voglio scegliere io. Andiamo!» mi prende per un braccio e mi trascina in mezzo alla strada.
«Mi stai slogando la spalla!»
Continua a camminare guardando avanti. Vedo Stefano alla nostra destra, ma sento Giò tirarmi dalla parte opposta. Dà un'occhiata verso i ragazzi dietro di noi, poi si infila in un vicolo cieco e molla finalmente la presa.
«Tu mi farai diventare matto!»
«Io? E perché mai, sentiamo?» Sostengo il suo sguardo e incrocio le braccia al petto.
«Ma non ce la fai proprio a stare lontano da Stefano?»
«E tu non ce la fai proprio a stare lontano da Bea?»
«Ma si è attaccata lei! Cosa dovevo fare? Dirle: "scusa, ma sto con Becky e non posso girare a braccetto con te"?»
«E io cosa dovevo fare? Dire a Sonia: "scusa, ma sto con Giò e non posso andare da Stefano per mangiare"?»
Sorride soddisfatto.
«Ma che hai da ridere?»
No seriamente. Cos'ho detto che faceva così ridere?
«Stai con Giò?» e inclina la testa da un lato continuando con quel sorrisetto scemo. Che mette in evidenza le fossette e mi fa andare ai matti.
Sbarro gli occhi e scuoto la testa in segno di diniego.
«N-no! Non era quello che intendevo!»
«Oh sì, invece! Stai con me, Becky?»
«No!»
«Sì!»
«Non... ma possibile che ti devi fissare su queste scemenze? Era per dire. Perché tu hai detto "sto con Becky" e io ho seguito il tuo discorso.» Stacco gli occhi dai suoi e li faccio vagare in cerca di qualcosa che mi tolga da questo imbarazzo. Li poso sul muro alle sue spalle. Un gran bel muro devo dire. Mattoni chiari decorati con scritte di tanti colori.
«Becky?»
Quel verde mi piace. Chissà come si chiama quella tonalità.
«Becky?!»
Potrei farci la parete del mio salotto. È bello perché tende un po' anche al blu.
«Becky!»
«SI STO CON TE STO CON TE SEI CONTENTO?» urlo esasperata mentre sento le guance andarmi in fiamme. Giro i tacchi e mi avvio a passo svelto per tornare dai ragazzi.
Faccio in tempo a fare tre passi e sento di nuovo il braccio che rischia di staccarsi dalla spalla, mi ritrovo con la schiena contro il muro e Giò a due centimetri dal viso. Gli occhi verdi sono più luminosi del solito, e ha labbra incurvate in un sorriso dolce, felice.
«Molto, molto contento!» si avvicina e mi regala uno di quei baci che ti lasciano con le ginocchia tremanti.
Infilo le mani nei suoi riccioli tirandoli un po' e mi stacco da lui.
«Adesso che torniamo, vedi di tenere a posto gli arti se vuoi continuare ad averli attaccati al corpo. Chiaro?»
Sorride di nuovo annuendo soddisfatto.
«Te l'ho mai detto che sei bellissima quando fai la gelosa?»
«EHI!» punto l'indice verso il suo petto guardandolo male, molto male. «Io non faccio la gelosa. Io SONO gelosa. E ora torniamo!» Giro su me stessa e mi dirigo verso la strada principale, testa alta schiena dritta e petto in fuori.
Perché mettere da parte l'orgoglio va bene. Ma sempre con un certo portamento.
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