29
Resto accoccolata tra le braccia di Giò beandomi del calore del suo corpo e del contatto della sua pelle contro la mia. Ci sono poche cose al mondo che riescono a tranquillizzarmi come lo stare abbracciata a lui.
Eppure, nonostante questo senso di pace e calma, non posso non pensare a quello che è successo stasera.
Gli ho permesso di trattarmi male, di usare le parole al solo scopo di ferirmi, di tornare come se niente fosse e fare l'amore con me.
L'ho accettato.
Non sono riuscita a rifiutarlo.
Non sono stata in grado di dirgli no.
Quando si è presentato alla mia porta e l'ho guardato negli occhi, ci ho visto dentro tanto di quel dolore, che è venuto naturale provare a scacciarlo via a forza di baci e graffi e morsi. Continuo a tormentarmi chiedendomi quando sia diventata una di quelle ragazze a cui bastano due carezze per perdonare un comportamento da schifo.
Non sono mai stata così.
Con i miei ex, dopo un litigio, potevano passare anche giorni interi prima che tornassi ad essere tranquilla e a comportarmi normalmente.
Gli altri li facevo sudare, quando mi mancavano di rispetto.
Ma di nuovo, gli altri non sono Giò.
Mi fa paura questa cosa.
Fa tremendamente paura sentire di non avere il controllo su una situazione, figuriamoci su sé stessi.
Sarà così tra noi, dunque?
Lui che mi tratta male, mi dice che sono solo una scopata, e io che lo accolgo a braccia aperte dopo poche ore?
Lo so che erano solo parole le sue.
So che non le pensava davvero.
Ma bisogna smettere di credere che non facciano male.
A me, le parole, fanno male da morire, perché io ci credo. Anche quando mi rendo conto che sono dettate solo dalla rabbia, una parte di loro mi rimane incastrata dentro.
Sono come la muffa.
Trovi un piccolo puntino nero su un muro gigante e, senza nemmeno rendertene conto, nel giro di poco ha invaso tutta la casa.
Ed io non posso permettere che il nostro rapporto sia coperto di muffa.
Abbiamo aspettato così tanto, che tutto quello che abbiamo ora devo proteggerlo con tutta la forza che ho pur di farlo restare puro e incontaminato.
Devo lottare con le unghie e con i denti per non permettere alle parole che ci siamo detti stasera di creare crepe, che si trasformerebbero presto in voragini pronte ad inghiottire tutto.
Ho avuto paura per tanto di quel tempo, con Giò, che ora che ho trovato il coraggio di viverlo e vivermi, non posso certo lasciare che un qualsiasi dubbio si insinui nella mia testa crescendo a dismisura, facendomi vacillare poco per volta fino a cedere di nuovo al terrore.
Sono pronta a parlare, a chiedere, ad ascoltare. Ma è lui a rompere il silenzio.
«Hai sentito?»
Tendo l'orecchio per captare qualsiasi rumore possa essere stato coperto dai miei pensieri chiassosi, ma non sento praticamente nulla. C'è solo il suono dei nostri respiri in questa stanza.
«Cosa?»
«Sento il cricetino che hai in testa girare veloce sulla ruota! Che c'è? Cosa vuoi chiedermi?»
Alzo la testa guardandolo negli occhi. Ha un'espressione tranquilla, come se la tempesta non si fosse appena abbattuta su noi due, finendo giusto in tempo per non lasciare morti, ma solo feriti.
«Non mi hai ancora detto come mai oggi ti sei comportato così.»
«Così come?»
«Giò...»
Si mette su un fianco e me lo ritrovo di fronte. I riccioli neri ricadono morbidi sulla fronte, gli occhi che sono tornati al solito verde brillante, e la bocca ancora un po' arrossata dai miei baci.
È perfetto.
«Ci sono tre motivi. Ma sono disposto a dirtene solo due, saprai accontentarti?»
«Perché solo due?»
«Perché non sono pronto a parlare del terzo. Non ancora, almeno.»
Lo osservo e vedo un'ombra passare veloce sul suo volto. Ha sempre parlato di tutto con me, dev'essere una cosa grossa questo terzo motivo.
«Vai con gli altri due, allora, ti ascolto.»
«Il primo, è che sono uno stronzo. Non ho giustificazioni. Nessun motivo al mondo doveva autorizzarmi a prendermela con te, o a dirti certe cose. Non posso pretendere che tu mi capisca o che mi perdoni, ma vorrei fosse chiaro che nemmeno mezza parola di quelle che ho detto stasera era pensata davvero. Quando ti ho detto che ti amo, che ho bisogno che tu sia qui, che ho bisogno di sentirti: quelle erano sincere. Quelle erano sentite. E so perfettamente che questo non mi dà il permesso di parlare a vanvera nei tuoi confronti. Ma ho davvero bisogno che tu creda e ti convinca che è stato solo un momento. E che mi sento davvero una merda. Mi credi, Becky?»
Guardo i suoi occhi e non mi sono mai sembrati così sinceri e mortificati. Accenno un sorriso e passo la mano tra i suoi capelli, in una carezza morbida e rassicurante.
«Ti credo. Soprattutto quando dici che sei uno stronzo.»
Ride e appoggia le labbra sulla mia fronte.
«E il secondo?»
Torna a guardami, improvvisamente serio e quasi... malinconico?
«Oggi è l'anniversario di mia sorella.»
Lo guardo inarcando un sopracciglio.
«Tu non ce l'hai una sorella.»
Accenna un sorriso che non coinvolge lo sguardo.
«Ce l'avevo... Oggi è l'anniversario della sua morte.»
Resto spiazzata da questa confessione. Abbiamo parlato tantissime volte del rapporto mio e di Lorenzo, gli ho sempre detto che è come un fratello per me. Ne parlavo in modo così tranquillo, e mai una volta lui ha accennato a questa cosa. Resto in silenzio per spronarlo a continuare.
«Ho passato troppo poco tempo con lei. Ci ha lasciati quando io avevo circa quattro anni. Aveva una malattia rara, ricordo che quando la portarono a casa dall'ospedale, aveva il braccio pieno di puntini rossi, dovuti a tutti i prelievi che le avevano fatto per cercare di capirci qualcosa. Quando dissero ai miei genitori che sarebbe stato necessario portarla in America per farla operare, e gli comunicarono il costo delle spese che avrebbero dovuto sostenere, io venni mandato direttamente dai nonni per quasi un mese. Loro presero una specie di aspettativa sul lavoro, e iniziarono a girare per tutte le banche della regione per chiedere un finanziamento, portandosi dietro cartelle cliniche, risultati ai test, tesi raccolte in giornate passate in biblioteca e tutto il necessario per riuscire a convincere almeno qualche direttore a dar loro retta.»
Si passa una mano sulla fronte e fa un sospiro profondo, come a cercare la forza per continuare il racconto.
«Purtroppo, nessuno accettò di concedergli un prestito. Non avevano le credenziali adatte, non potevano garantire la restituzione della somma ipotecando qualcosa, e soprattutto, le ricerche che avevano fatto dimostravano che non era sicuro che l'intervento avrebbe avuto successo. Era solo un tentativo. "Perché spendere milioni quando la bambina potrebbe comunque morire tra un mese?" Questo è quello che si sono sentiti rispondere una delle ultime volte. Quando hanno capito che non c'era nulla che potessero fare tramite le banche, iniziarono a cercare persone che operassero pro bono. In quel periodo era diventata quasi una moda. I chirurghi si facevano pubblicità facendo qualche intervento gratuito al mese. Credo abbiano parlato con più di duecento ospedali. Gli interventi 'gratis' erano già stati assegnati, e nessuno poteva fare di più. Così decisero di smetterla di tormentarsi e tormentare lei, portandola avanti e indietro tutti i giorni tutto il giorno. Tornarono a casa e iniziarono a godersi il tempo che gli era concesso. Ricordo che quando era ora della pappa, correvo sul divano aspettando che la mettessero in braccio a me, ed ero io a darle il biberon. La prima volta che ha sorriso è stato perché io le facevo le linguacce sul lettone dei miei. E la prima volta che abbiamo sentito la sua risata è stato perché io ballavo per lei saltando come un matto. Ha iniziato a gattonare perché io mi mettevo al suo fianco mostrandole come si faceva. Per camminare invece, non c'è stato il tempo.»
Ha parlato di tutto questo guardando un punto indefinito alle mie spalle. Quando torna con gli occhi su di me, sento i miei gonfi di lacrime.
«Scusami, non volevo rattristarti. Piano piano si impara a conviverci, davvero. È solo che quando arriva questo giorno, sono un po' più intrattabile del solito.»
Sorride come a volersi giustificare.
«È per questo che fai domanda negli ospedali che fanno operazioni pro bono, quindi?»
«Anche. Penso spesso a come sarebbe avere ancora la mia sorellina qui con me. Ero solo un bambino, ma ho tantissimi ricordi di lei. E quando penso questo, non posso far altro che domandarmi quanto debba essere stato difficile per i miei genitori. Non mi hanno mai fatto mancare niente, certo, eppure non ho mai visto mia madre sorridere in modo sincero. C'era sempre un'ombra ad aleggiare nel suo sguardo. Era come se le mancasse un pezzo per tornare ad essere intera.
Mio padre si è buttato a capofitto nel lavoro. Passava sempre meno tempo a casa con noi, e mi è mancato tantissimo averlo vicino. Non sono situazioni facili da affrontare quando sei così piccolo e, soprattutto, quando non hai la possibilità di avere i tuoi genitori accanto al cento per cento, perchè anche loro stanno affrontando qualcosa di troppo grande e doloroso. Ho pensato spesso a quanto sarebbe stato bello trovare anche solo una persona che provasse ad operarla.
Ne bastava una che dicesse: "metto io a disposizione un po' del mio tempo e della mia esperienza per provare ad aiutarvi". Era questo che serviva. Qualcuno che provasse. Non c'è stato nessuno quella volta. Voglio che qualcuno nel mondo possa dire: "c'è un chirurgo italiano che ci prova, può aiutarvi, chiedete di lui". Solo questo.»
Lo guardo e non posso far altro che pensare che una persona così, è troppo poca nel mondo.
«Ci vorrebbero un milione di Giò su questa terra. Sei bellissimo. E non parlo dell'aspetto fisico.»
Mi guarda cambiando espressione. Probabilmente non vuole più pensare a cose che gli fanno male, ed io sono già grata del fatto che abbia condiviso una cosa così intima con me.
«Ah no? Quindi non stai con me solo per il mio bel faccino?»
Sorrido e alzo gli occhi al cielo.
«In effetti sì, ma mi sembrava indelicato dirtelo adesso.» Faccio spallucce e torno ad accoccolarmi tra le sue braccia. Per troppo poco tempo, visto che Giò mi sposta iniziando a farmi il solletico.
«Rimangiati subito quello che hai detto.»
«Mai!» Ho il fiato corto. Sto ridendo talmente forte che non riesco a parlare.
Le sue dita continuano a punzecchiarmi sui fianchi, facendomi emettere dei suoni davvero poco femminili.
Blocca le mie mani in alto, all'altezza della testa.
«Dimmi che mi ami.»
Sgrano gli occhi per la sorpresa. Sa che non riesco a dirle certe cose. Perché farmi una domanda simile? Non è comunque chiaro che lo amo da impazzire?
Faccio un respiro profondo cercando di trovare il coraggio di dirgli quello che provo davvero, o qualcosa che almeno gli somigli.
«Sei l'unica persona con cui io abbia mai davvero fatto l'amore.»
Mi guarda. Scruta il mio viso decidendo se farsi bastare questa piccola confessione. Lo leggo nei suoi occhi che sta valutando se sarò in grado di sopperire alle parole mancate con i gesti.
Provaci almeno, Giò. Provaci, perché per me è così difficile, che non so se sarò mai in grado di dar voce ai miei pensieri.
Sorride e mi travolge con un bacio inaspettato, dolce e passionale nello stesso tempo.
Si stacca da me per guardarmi di nuovo negli occhi.
«Ti amo anch'io.» E mi stringe tra le sue braccia.
Spazio S.
Povero piccolo Giordano :(
Non è sicuramente una giustificazione al suo comportamento, ma diciamo che possiamo dargli almeno qualche attenuante, via.
Ma cosa sarà quest'ultima cosa che deve scoprire Becca?
Qualcuno ha qualche idea?
Fatemi sapere, nel frattempo io v auguro una buonissima giornata.
Un bacio, S.
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