21
«Ma cos'è questa mania di buttarmi a testa in giù con la faccia attaccata al tuo culo? Siamo nell'era dei primitivi per caso? Vedi qualche caverna in giro?»
Silenzio.
Continuo a dimenarmi cercando di liberarmi dalle sue braccia che mi bloccano, senza alcun risultato.
«Giò, mettimi giù cazzo, posso benissimo camminare da sola!»
Accelera il passo e stringe la presa sulle mie gambe.
«Sta diluviando, te ne sei accorto? Dobbiamo morire di polmonite in vacanza?»
I miei piedi toccano terra e appena riprendo stabilità gli tiro uno spintone.
«Ma si può sapere cosa ti è preso? Sei fuori di testa?»
Passa una mano nei capelli tirandoli indietro in modo nervoso e finalmente mi degna della sua parola.
«Cosa è preso a me? Cosa è preso a te! Cosa stavi facendo là dentro?»
«Il presepe! Stavo ballando, cosa dovrei fare in un locale in cui si balla, scusa?»
«Senti, fai poco la spiritosa, i tuoi giochetti mi hanno stancato!»
«I miei giochetti? I miei gioch... Senti, mi spieghi qual è il tuo problema?»
«Il mio problema è che stavi ballando appiccicata a Stefano, facendo quegli stupidi sorrisini solo per farmi ingelosire!»
Ah, era così palese? Ops.
«Oh scusami tanto! Volevi che rimanessi lì al tavolo con te e Bea? Ma come?! Io pensavo di farti un favore a lasciarvi un po' da soli!» faccio spallucce, sarcastica.
«Cosa le hai detto oggi? Ha cambiato completamente atteggiamento dopo che ha parlato con te.»
AHAHAHAHAHAHAH
«Oh! Ecco che finalmente viene fuori il nocciolo della questione! Che c'è? Sei dispiaciuto perché non sei riuscito a conquistarla? Non sei così bravo come pensi se bastano due chiacchiere con me per farle cambiare idea, non credi?»
«Becky, smettila!» Il tono di voce sempre più alto. Stiamo praticamente urlando in mezzo alla strada.
«No smettila tu, cazzo! Smetti di chiamarmi Becky, smetti di tirare fuori cose che risalgono a sette anni fa, smetti di far finta di essere geloso, smetti di portarmi via quando ti pare, e soprattutto smetti di urlarmi addosso!»
Mi afferra un braccio e mi tira verso di sé.
«Ma lo vuoi capire che mi dà fastidio vederti con altri uomini? Lo capisci che mi viene da spaccargli la faccia a uno se lo vedo ballare strusciandosi a te? Eh? Afferri il concetto che potrei seriamente far male a qualcuno se allungasse troppo le mani? Se ti guardasse più del tempo consentito?!»
Sgrano gli occhi, incapace di credere alle sue parole.
«Più del tempo consentito? E chi dovrebbe stabilire quant'è questo tempo, sentiamo? Tu? Ma ti ascolti quando parli?»
«E tu mi ascolti quando parlo? Lo stai facendo di nuovo Becky, stai di nuovo trovando un appiglio. Stavolta è la mia scelta sbagliata di parole, nonostante tu abbia perfettamente capito cosa volessi intendere!»
Stringe un po' la presa sul mio braccio, mi guarda e sembra che stia quasi supplicando. Ma supplicando per cosa, esattamente? Cosa vuol dire che ho trovato di nuovo un appiglio? Scosta una ciocca di capelli che con la pioggia si è attaccata alla fronte e me la porta dietro l'orecchio. Mi accarezza piano la guancia col pollice mentre cerca di ritrovare la calma. La pioggia che sta cadendo su di me rischia di evaporare dopo questo tocco, così leggero eppure capace di scaldarmi in un attimo. Ma perché deve avere sempre questo effetto su di me?
«Non farlo più, Becky. Non farlo ancora, non stavolta.» La sua voce si è fatta più bassa, più roca.
«Senti...» abbasso un attimo lo sguardo perché sostenere il suo è diventato davvero troppo faticoso.
Pesano cento chili quegli occhi quando mi guarda così.
Il mio cuore non ce la fa, non è in grado di sopportare il peso della ragione e della delusione che ci leggo dentro, ma mi costringo a continuare il mio discorso.
«...mi sembra chiaro che non riusciamo a trovare un punto d'incontro. Questi continui dispetti che ci facciamo non hanno senso. Faccio un mea culpa e ammetto di averti sfidato, ogni tanto. Lasciamo le cose così, mh? Probabilmente ci siamo intestarditi per qualcosa che c'era anni fa e che non c'è più. Godiamoci la vacanza da amici e dimentichiamoci di tutte queste ripicche da bambini, ti va?»
Dimmi di no. Dimmi che non ti va e che sono una stronza, però poi abbracciami. Falla tu questa cosa perché io non ci riesco e lo sai. Lo sai che faccio schifo con le parole e che non riuscirò mai a dirti che ho bisogno che tu rimanga qui un altro po'. Solo un minuto, per farmi capire che anche se ho detto nero, tu l'hai capito che intendevo bianco. Guardami negli occhi. Leggici dentro come facevi sette anni fa. Leggimi ancora, Giò.
Ma le persone che si nascondono dietro a corazze di parole, finiscono per mischiare le lettere rendendo analfabeta anche il più accanito dei lettori.
«È questo quello che vuoi?»
Abbasso la testa e stacco i miei occhi dai suoi. Li ho resi illeggibili, a cosa serve guardarlo?
«Vaffanculo Rebecca. Vaffanculo.»
Toglie la mano dal mio viso, si gira, e se ne va.
Rimango a guardarlo coi piedi ancorati a terra mentre il mio cuore batte così forte che sembra voler uscire dal petto per raggiungerlo.
Per chiedergli scusa.
Per abbracciarlo.
Ho la testa che urla di corrergli dietro e ogni singolo muscolo che rimane immobile.
Vedo la sua schiena farsi piccola nella strada e inizio a sentire un freddo che ha poco a che fare con la pioggia che continua a inzupparmi.
Ho perso. Di nuovo. Contro di lui e contro me stessa.
Ho perso e l'ho perso.
Ancora.
****
Ho camminato senza meta per almeno un'ora. I miei piedi hanno deciso di muoversi quando ormai aveva smesso di piovere, e Giò era troppo lontano. Tutta questa situazione è surreale. E l'unica persona da poter incolpare, sono io.
Quante volte si può perdere qualcuno che non è mai stato tuo?
Troppe. Decisamente troppe.
Tengo occupata la mente come posso: scrivo un messaggio a Lorenzo dicendogli che sono tornata agli alloggi per un'emicrania improvvisa. Penso alle cose che ho lasciato nella stanza di Stefano e faccio un appunto mentale per passarle a riprendere domani. Borsa, vestiti vecchi, vestiti nuovi, sandali.
Scrivo un messaggio a mia mamma per tranquillizzarla che va tutto a meraviglia in questa splendida settimana di merda. Ne scrivo uno anche a Valentina per ricordarle che ha un'amica deficiente dalla punta dei piedi a quella della testa.
Ma si dice così? Va beh, tanto le ho appena scritto che sono deficiente, non ci farà caso.
Già che ci sono avverto Valerio che rivoglio i miei cazzo di libri, e poi metto il telefono in borsa prima di combinare altri danni. Arrivo per miracolo al villaggio e cammino verso la mia stanza. Non credo di aver mai avuto i piedi pesanti come stasera. Il freddo mi è entrato nelle ossa e mi fanno male le spalle.
Sarà perché sto portando addosso il peso delle mie scelte?
Mi fermo davanti alla mia porta per cercare le chiavi e butto l'occhio a quella di Giò. Si vede uno spiraglio di luce fuoriuscire dal basso, probabilmente è ancora sveglio. Chissà, magari sta creando una bambolina vudù da infilzare con mille spilli mentre mi maledice.
Continuo a frugare nella pochette senza risultato. È grande quanto la mia mano 'sta borsa, dove possono essersi infilate le chiavi? Poi ho un flash: ho fatto il cambio da Stefano stasera. Le ho prese, vero? Non posso essere stata così stupida da averle lasciate nell'altra borsa. Mi accovaccio e butto tutto a terra. Telefono, portafoglio, fazzoletti, mascara. Come diavolo mi è venuto in mente di prendere il mascara e lasciare le chiavi?
No!
No no no!
Ho camminato un'ora per quelle stradine, non riuscirei mai a ricordare dov'è il pub con gli altri ragazzi.
Ho un telefono, l'ho appena usato!
Provo a chiamare Lorenzo.
Uno squillo. Due, tre quattro.
Vaffanculo a lui e a quei cazzo di tamburelli.
Provo con Gianlu. È fidanzato, no? Terrà il telefono a portata di mano nel caso dovesse chiamare la sua ragazza!
Uno squillo. Due, tre quattro, cinque.
Porca troia.
Sono chiusa fuori, mi sto congelando, i ragazzi non rispondono e non ho idea di come fare a raggiungerli.
Raccolgo le mie cose insieme al mio orgoglio e al mio coraggio e faccio l'unica cosa sensata che mi viene in mente per togliermi da questa situazione. Busso alla porta di Giò.
«Ehi, sono Becca.»
Silenzio.
Busso di nuovo.
«Apri per favore, lo so che sei sveglio.»
Sento dei passi venire verso la porta; quando si apre il mio cuore perde un battito, come sempre. Ha una canottiera semplice e un paio di pantaloni della tuta, eppure è bellissimo. Mi guarda come si guarderebbe un ladro che viene a chiederti un pasto caldo dopo averti svaligiato la casa. Cerco di accennare un sorriso, con scarsi risultati.
«Cosa vuoi?»
Partiamo benissimo direi.
«Scusami, io... ho lasciato le chiavi nell'altra borsa, sono rimasta chiusa fuori.»
«E quindi?»
«Ho provato a chiamare gli altri ma non rispondono, non ho idea di come tornare al pub perché non so bene neanche come ho fatto ad arrivare qui e-»
«Senti,» non mi lascia nemmeno finire la frase. «Non ho intenzione di uscire di nuovo per accompagnarti.»
«Oh... no, okay, hai ragione. Ti ricordi almeno come si chiama il posto? Magari chiedo indicazioni a qualcuno.»
«No.»
«Ah... sai se c'è una sorta di reception qui? Magari qualcuno ha la copia delle chiavi.»
«No.»
«Okay... ricordi la strada che hai fatto per tornare agli alloggi per caso?»
«No.»
Bene. Decisamente non vuole aiutarmi. Ora, io capisco che abbiamo litigato neanche due ore fa, ma siamo pur sempre due adulti. Sono in una situazione di emergenza, altrimenti non avrei certamente chiesto aiuto a lui, cavolo!
«Beh, allora fammi entrare!» Incrocio le braccia al petto come se avessi la ragione dalla mia parte.
Giò alza le sopracciglia in un'espressione incredula.
«Come, prego?»
«Hai sentito. Sono rimasta chiusa fuori, sono bagnata fradicia -per colpa tua tra l'altro- nessuno risponde al telefono, non so come tornare dai ragazzi, sono stanca morta e mi fanno male i piedi. Metti da parte l'orgoglio, come ho fatto io bussando alla tua porta, e offrimi l'acqua calda della tua doccia e metà del letto!»
Giò mi guarda con gli occhi spalancati, fa un mezzo sorriso divertito, alza le mani in segno di resa e si sposta per farmi passare.
Prevedo una notte lunga e tempestosa.
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