14
Sono rannicchiata contro il petto di Giò da non so bene quanto tempo; si è seduto su una panchina con me in braccio come fossi una bambina.
Continua ad accarezzarmi la schiena in modo delicato, come se avesse paura di farmi male.
Mi ha portata di peso su questo terrazzo panoramico, si è seduto portandomi a sé e non si è più mosso, né ha parlato. Nonostante sia riuscita a calmarmi un po', i singhiozzi sembrano non voler cessare. Ho tanta di quella rabbia in corpo ancora, che mi fa quasi paura. Probabilmente questa è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo da tempo.
La mia testa continua a tornare alle parole di Valerio. Perché la gente quando è nel torto, anziché chiedere scusa, cerca di ferirti ancora di più? È vero che vige la regola "attacca per primo per non essere sbranato" ma c'è un limite a tutto. Con tutte le cose che poteva criticare di me, ha scelto di scagliarsi proprio sul mio rapporto con Lorenzo, l'unica persona che mi ha aiutata a lavorare su me stessa quando mi sembrava di non essere più in grado di ricominciare da capo. L'unico che ha cercato di farmi capire che se le cose erano andate così, probabilmente c'era una ragione ben precisa, che sicuramente non era destino.
Destino... non ci ho mai creduto tanto al destino, io. Le persone si affidano spesso a questa cosa per giustificare il non avere fatto abbastanza.
Non ho ottenuto il lavoro che tanto desideravo? Era destino. Non è colpa mia che non sono abbastanza qualificata.
Non sono riuscita ad entrare in quell'università? Era destino. Non c'entra il fatto che potevo studiare e prepararmi di più.
Ho scoperto il mio futuro marito a letto con un'altra? Era destino. Il mio corpo non può aver tradito la mia testa ed aver issato delle mura. Lui non può essersene accorto.
Eppure ci ho pensato tanto a questa storia del fato. Dicono che se due persone sono destinate a stare insieme, prima o poi si debbano ritrovare.
Ecco quando l'ho preso in considerazione io al destino: quando mi sono resa conto che mi stava prendendo per il culo.
Quando Giò è tornato la prima volta, ed ero andata alla piazzetta che era stata il nostro punto d'incontro l'estate precedente mano nella mano con Edoardo, fiera di non averlo cercato -esattamente come lui aveva fatto con me- per poi sentirmi dire che si sarebbe trasferito in città per finire gli studi.
Quando mi sono lasciata con Edo, e passato il periodo di "lutto" avevo deciso di provare a darci una possibilità, e l'ho trovato insieme ad Isabella.
Quando ho preso a frequentare Valerio senza sapere che lui, con questa stangona, si era appena lasciato.
Quando è tornato l'ultima volta, dall'America, e ho girato per le vie in lungo e in largo ogni singolo giorno, senza mai incontrarlo.
E adesso.
Adesso che siamo insieme in vacanza, liberi tutti e due, e lui continua a fare un tira e molla che mi fa male, mi lascia stordita.
Eppure è qui.
Lo sento il modo in cui mi abbraccia. L'ho sentito quando mi ha portata via di peso. Non era per farmi smettere di urlare, per evitare di dare spettacolo o per non beccarmi una denuncia per aggressione.
Mi ha allontanato perché ha visto che le parole di Valerio mi stavano facendo troppo male. È rimasto con me perché sapeva che stavo crollando.
E allora perché ho la sensazione che stia continuando comunque a sfuggirmi qualcosa del suo atteggiamento nei miei confronti?
Perché continua a ronzarmi in testa l'idea che ci sia qualcosa che va oltre, e di cui io non sono a conoscenza?
Troppe domande senza risposta e troppe considerazioni per una mente sobria come la mia. Ho pianto abbastanza. Questa è la MIA vacanza, non posso passarla a maledire un dentista da quattro soldi e a cercare di decifrare i comportamenti di Giò. Mi godrò questi giorni cercando di non pensare troppo e di non interrogarmi troppo. In fin dei conti, i comportamenti sono già delle risposte, no? Lascerò parlare i fatti da domani. Stasera ho bisogno solo di alleggerire la testa.
«Giò?»
«Mmh?»
Alzo la testa, cerco di pulire i residui di trucco che sicuramente mi saranno colati sul viso, e lo guardo negli occhi.
«Andiamo ad ubriacarci?»
****
«Quindi voleva davvero tornare con te? Dopo tutto quello che è successo?» La voce di Lorenzo mi arriva vagamente distorta; in questo locale c'è la musica troppo alta, fa caldo, e io ho bevuto decisamente troppo.
«Sssccciii, e se lo vuoi sapere, ha anche insinuato che io e te avessimo copulato, caro mio!»
«Cosa? Ma come gli è venuta in mente una cosa del genere?» Gianluca ha una faccia che mi sembra sconvolta. Ma non ne sono sicura al cento per cento perché credo che i lineamenti del suo viso si stiano leggermente sformando. Che abbia preso qualche malattia? Ha gli occhi sfocati e la bocca che fa un su e giù non molto naturale. Mi fa piacere che si sia unito a noi, è dall'ora di pranzo che non lo vedo.
«Gianluuuu! Sei tornato? Era ora! Sono contentissssima.» e lo abbraccio perché mi è mancato. Dovrò aggiornarlo su quello che è successo stasera al ristorante.
«In che senso sono tornato?» Che dolce, sembra un bambino quando fa quell'espressione confusa.
«Ah giààà! Perché tu non lo sai, ma stasera è venuto al ristorante in cui ho cenato il mio ex! Ti ricordi? Quello che usava il suo trapano per curare le carie e per fare il porco con le altre donne! Trapanava sempre, quello, chissà dove lo trovava il tempo per lavorare! Credo si sia trapanato anche la sua assistente alla poltrona!»
«Ma non eri tu la sua assistente alla poltrona?»
«Ah già... allora se l'è trapanata di sicuro!» E scoppio a ridere perché sono fottutamente divertente quando ho un po' di alcol in circolo. Non capisco perché gli altri non se ne rendano conto.
«Poi, il signor trapano-tutto mi ha detto che gli manco, che la cucina non cucina più da sola, che non leggo sul suo divano, e che probabilmente ho scopato con mio cugino dopo che ci siamo lasciati perché eravamo tipo in simbiosi! Ma ti rendi conto Gianluca? È ora che vai a tagliarti i capelli comunque, sembri Gesù con questo taglio.»
«Gesù di Nazareth?» chiede divertito
«Ma perché tu ne conosci altri, Gianluca?»
«Gianlu, è più normale lei da ubriaca che tu da sobrio!» Giò gli dà due pacche sulla spalla e scoppia a ridere.
«Eeeehi! Non sono ubriaca, Giordano!»
«Giordano? In sette anni che ci conosciamo non penso tu mi abbia mai chiamato Giordano!»
«Sì, beh, tu continui a chiamarmi Becky! Non lo sopporto quando mi chiami Becky! È un'abbreviazione che odio!»
«Tu odi che ti chiami Becky solo perché sono l'unico a farlo.» e mi fa un sorrisetto che dovrebbe alludere a qualcosa che adesso non riesco a cogliere.
«Non... questo non c'entra proprio niente! Anzi adesso te lo trovo io un soprannome!»
Giordano. Come cavolo si può storpiare il suo nome? Orda? Dano? Gior? Gior potrebbe essere divertente, anche se è un po' scomodo da pronunciare.
«ANO! Ti chiamerò Ano adesso!» E rido un sacco perché, andiamo, Ano fa ridere un casino proprio. Gianlu e Lore mi seguono, e Giò scuote la testa divertito.
«D'accordo, per stasera puoi chiamarmi come ti pare, Becky. Adesso però, Ano, Gianluca di Nazareth e Lorenzo l'incestuoso, ti portano in camera e ti mettono a letto, okay?»
«Ma io non ci voglio andare a dormire! Che ore sono? Gianluca tu lo sai che ore sono? Guardiamo se c'è un barbiere aperto nei dintorni? In questi villaggi c'è sempre di tutto, secondo me qualcosa troviamo!»
«Facciamo così: adesso andiamo agli alloggi perché sono quasi le tre, domattina quando ci svegliamo andiamo a cercare un barbiere che tagli i capelli a Gianlu, che ne dici?»
Lorenzo doveva fare qualcosa che aveva a che fare con la pace nel mondo. Lui riesce sempre a trovare una soluzione che vada bene a tutti. C'è un lavoro del genere nel mondo? Esiste qualcuno che si occupi di non far litigare gli stati tra di loro? C'è un paciere degli stati? O delle nazioni? Dei paesini almeno. Si potrebbe cominciare dalle piccole cose.
Il barista ci sta guardando divertito da un pezzo. È un bel ragazzo, anche se quel ciuffo biondiccio tinto che ha sulla fronte poteva risparmiarselo.
«Ehi tu, Malgioglio di Tenerife! Hai un paio di forbici?»
Mi guarda strano.
«Che c'è? Le aprirai in qualche modo le confezioni qui, no? Prestami un paio di forbici!»
Continua a fare un'espressione poco convinta.
«LE FORBICI.» cerco di scandire bene le lettere, e gliele mimo con la mano usando l'indice e il medio.
«Forbici, zac zac zac!» Ma è così difficile da capire?
«Aaah, seguro! La tijera!»
«Ma quale teiera? Ma che ci dobbiamo fare il thè secondo te? Siamo a Londra per caso? Sono le cinque del pomeriggio? Non mi pare! Dammi un paio di zac zac!»
Ride e va sul retro. Torna con un bel paio di forbici in mano e me le porge. Mi giro soddisfatta verso Gianluca.
«Adesso ti taglio i capelli!»
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