08

Ci destreggiamo tra il caos più assoluto ancora mano nella mano, le mie dita intrecciate alle sue e il cuore leggero come una piuma. Sta davvero camminando in una discoteca piena di vividi esemplari di Vaginas Liberas et Faciles tenendo per mano me? 

Continuo a seguirlo pensando all'assurdità di questa situazione, quando intercetto con lo sguardo Lorenzo. Stringo la mano due volte a Giò per richiamarlo, si volta verso di me e gli indico la porta che conduce al giardino, dove è seduto mio cugino. Alza un pollice e ci avviamo verso di lui. Appena arrivati lascia la mia mano e mi dà una leggera spinta verso di lui.

«Tua cugina mi ha salvato la vita! Mi si era accollata la più stramba del locale. Te la affido Lore, vado a fare un giretto perché prima ho visto una rossa con una minigonna che... uuuh!» e alza gli occhi al cielo con un sorriso soddisfatto. Gira i tacchi e rientra in discoteca. 

Ho le mani che tremano dal nervoso, non so se sono più arrabbiata o triste, più delusa o schifata. Ma che razza di persona fa una cosa del genere? Per quale motivo poi? Io l'ho sentito il suo abbraccio, non era un abbraccio da "oh, grazie al cielo sei venuta a salvarmi."
Non sono pazza!
Quello era un abbraccio da "Non azzardarti mai più a staccarti da me" cazzo.
E quindi? Questa scenetta patetica? Questo scaricarmi a mio cugino come se fossi un pacco che si è dovuto trascinare dietro tutta la sera? Cristo santo, ma cos'ha nel cervello? 

«Lore vado un secondo in bagno, mi aspetti qui?»
«Certo Becca, tutto bene? Hai una faccia strana...»
«Tutto bene, credo che mi sarei dovuta risparmiare l'ultimo cocktail! Torno subito.» e mostro il sorriso più falso che sono in grado di fare.

Entro in bagno e mi chiudo la porta alle spalle. Mi appoggio con la schiena alla porta e mi lascio scivolare giù, rimanendo accovacciata per non so quanto tempo. Sento le lacrime che ho trattenuto prima rigarmi il viso, e mi sfogo nell'unico modo che conosco.

Ma cosa mi aspettavo? Che sarebbe rimasto di fianco a me per tutta la sera? Che saremmo finiti a parlare di noi su qualche divanetto, guardandoci negli occhi con la felicità dell'esserci finalmente trovati insieme nello stesso arco temporale?

Sveglia Becca, sono passati anni, eravate due ragazzini e la vita va avanti. Chissà, magari adesso non vi trovereste nemmeno bene caratterialmente. Io sono cambiata, perché non dovrebbe averlo fatto anche lui? Abbiamo continuato a sentirci sporadicamente per farci gli auguri durante i compleanni o le festività mentre era in America, ed è vero che era sempre come se tutti e due volessimo dire qualcosa, ma non ne avessimo effettivamente il coraggio; ma qualcosa cosa? 

Per quanto ne so, da parte sua poteva benissimo essere un discorso su quanto fosse importante la mia amicizia, ma nulla di più. Insomma, parliamo di una cotta -anche se chiamarla cotta per me è riduttivo- che è iniziata molto tempo fa. E il tempo non può essersi fermato a quella volta. Io le so queste cose, la mia testa le sa perfettamente! 

E allora perché sento questo cazzo di sasso gigante che spinge sul petto? L'ho rivisto oggi cavoli, non lo vedevo da quanto? Due anni? Forse tre? Abbiamo passato insieme neanche ventiquattr'ore e questo è già il risultato? No. No, no, no. Qua urge un cambio di rotta. 

Come ci arrivo a domenica prossima io, se basta un suo abbraccio per farmi perdere il controllo così? Se c'è una cosa che nonna Caterina mi ha insegnato, è che non esiste il tempo sbagliato per amarsi: se non è accaduto, non doveva accadere. Quindi queste morse allo stomaco sarà meglio che le faccia sparire nel minor tempo possibile. 

Nonostante l'opera di auto convincimento non riesco a capacitarmi dei suoi gesti.
Cos'è? Voleva vendicarsi perché l'ho rifiutato tempo fa? Ma io ero persa per lui, questo lo sapeva e lo sa benissimo. Ho solamente cercato di preservare il mio cuore dal dolore troppo grande di dovermi separare da lui in breve tempo. 

A pensarci oggi, in effetti, non è che ci abbia poi guadagnato gran ché. Ho passato comunque troppe notti ad addormentarmi tra le lacrime, e giornate in cui mi facevo violenza psicologica per non chiamarlo o mandargli un messaggio. E nel frattempo non ho potuto nemmeno averlo vicino come avrei voluto. 

No.
Non può essere una vendetta, Giò non è così, io lo conosco. O lo conoscevo?
Cerco di allontanare il prima possibile tutti i pensieri che fanno a pugni nella mia testa, anche perché mi conosco, e sarei in grado di restare qui dentro ore cercando di sgrovigliare questa matassa.

Esco appena dopo essere riuscita a darmi una calmata. Guardo lo specchio e vedo che ho gli occhi rossi e il trucco che mi riga le guance. Nessun problema, sono una donna previdente. Tiro fuori dalla borsetta due cotton fioc, li bagno con il mini flaconcino di crema idratante che porto sempre con me, e tolgo tutte le sbavature. Bagno indice e medio con l'acqua fresca e li appoggio sotto gli occhi massaggiando delicatamente finché il rossore si attenua. Butto un po' d'acqua anche sulle guance per farle ritornare del colore naturale e sono pronta. Almeno fuori.

Torno da Lorenzo, che è ancora seduto sul divanetto all'esterno, e mi godo l'aria fresca sul viso. Ci scambiamo opinioni sulla prima giornata poi decide di andare a cercare Gianluca dopo che gli ho raccontato come l'ho lasciato. 

Scelgo di aspettarlo fuori, manca poco alle tre e in caso non li vedessi arrivare uscirò direttamente io. Chiudo gli occhi e mi lascio andare contro lo schienale del divanetto, che per essere da esterno è veramente comodo.

Sta molto brutto se mi accuccio qui e faccio un pisolino?

«Sogno o son desto? Se non è destino questo...» Apro gli occhi per vedere chi sia l'artefice di codesta rima che Leopardi scansati proprio. Trovo il ragazzo dell'aeroporto davanti a me che sorride come un bambino in un negozio di caramelle. Spalanco la bocca sorpresa e mi alzo andandogli incontro.
«Il mio eroe!» dico con fare teatrale. Mi prende tra le braccia e gira su sé stesso.

Si okay, anche meno però.

Rido di gusto perché credo che stia iniziando ad entrare in circolo l'ultimo shot che ho bevuto, e mi blocco di colpo quando sento la solita scarica elettrica attraversarmi il corpo. Giò è da qualche parte e mi sta guardando, lo so.

Ah stai lì a fissare? Beccati questa, coglionazzo!

Mi stacco dall'abbraccio tenendo ancora le mani sulle sue spalle e mi rendo conto che praticamente io a questo manco lo conosco, di che cosa posso parlare per farlo rimanere ancora qui e far rosicare a morte quell'imbecille fatto a uomo?

«Ma sai che mi sono resa conto che non so nemmeno come ti chiami?!»

«Hai ragione, cavoli! Non abbiamo avuto modo di presentarci perché ti hanno trascinata via. Mi chiamo Cristian, comunque.» E fa un altro sorriso.

«Piacere, Rebecca.» sorrido di rimando e faccio per andarmi a sedere, facendo una leggerissima pressione sulla spalla per invitarlo ad unirsi a me.

Che classe ragazzi.

Parliamo del più e del meno, di come sia finito a lavorare a Tenerife, di dove sia originario, del mio lavoro e del mio paese. Annuisco di tanto in tanto e infilo in mezzo qualche frase per non sembrare completamente assente. La mia testa è concentrata sulla sensazione ancora nitida di avere gli occhi di Giò addosso. 

Neanche il tempo di finire il pensiero che lo vedo passarmi accanto indifferente. Si allontana dalla zona dove siamo seduti io e Giuseppe -ha detto Giuseppe, vero? Sì, Giuseppe- e lo vedo sbracciarsi di nuovo per attirare la mia attenzione. Lo guardo cercando di non farmi notare troppo da Marco, e vedo che si tocca il lobo per poi indicarmi.

Eh? Questo non era tra i segni.

Aggrotto le sopracciglia facendogli capire che non s'è capito un cazzo, e continuo ad annuire a Mirko mentre racconta i dettagli del suo lavoro in aeroporto. Guardo di nuovo Giò e lo vedo indicarmi più volte, e poi toccare di nuovo il suo orecchio alzando le sopracciglia come se fosse ovvio quello che mi sta chiedendo. 

Torno a guardare Davide mentre cerco di capire che cosa volesse intendere; saranno i cocktail che ho bevuto, ma quando ci arrivo mi sento una rincoglionita epica. Vuole sapere se io ho bisogno di aiuto. 

«Aaaaah!» mi lascio sfuggire a voce alta.
Ops.

«Sì, te lo giuro, e pensa che una volta in una valigia...» Fortunatamente Elia ha scambiato la mia esclamazione come un segno di entusiasmo al suo discorso. Guardo di nuovo Giò e scuoto la testa per negare.

Non ho bisogno proprio di niente, caro, guardati sta scenetta. Guarda con che bel tocco di maschio sto amabilmente parlando! Lo vedi Claudio? È bello tanto quanto te! E sta qui a parlare con ME!

Riporto nuovamente tutta la mia attenzione su Manuel, e ricomincio ad ascoltarlo, nonostante stia ancora parlando di valige dai contenuti improbabili. Vedo Giò avvicinarsi a noi. 

«Becky, dovremmo andare.» e mi rivolge un sorriso gentile. Guardo l'orologio, sono le due e tre quarti.

«Non abbiamo appuntamento con gli altri alle tre? Manca un quarto d'ora.»

«Sì ma, sai, stasera sei particolarmente bella, e ho pensato che potremmo andare via un pochino prima io e te... D'altronde la nostra camera è appartata, no?» E fa uno sguardo languido.

«Cos...?»
Non faccio tempo a finire di chiedergli che diavolo volesse dire che si abbassa su di me, mi carica in spalla, si rialza e si incammina.

«Scusa amico, la mia ragazza stasera mi ha fatto certe promesse... finirete la chiacchierata sui vibratori che trovi nelle valige un'altra volta.»

Inizio a dare pungi a più non posso alla schiena di Giò, che ovviamente sembra non battere ciglio. 

«Mettimi giù Giò!» E lui invece scoppia a ridere per l'accostamento delle parole.

«Ma sei fuori? Fammi scendere!»
Mi da una pacca leggera appena sotto il sedere e continua a camminare

«Non ti agitare, che mi vomiti sulla camicia a momenti.»

«Oh cristo, non sai quanto ci spero guarda! Adesso mi infilo due dita in gola e mi faccio venire i conati! Giò! Giò porca troia mettimi subito giù!»
E finalmente i miei piedi toccano terra. La sua mano tiene saldamente il mio braccio e alza un indice puntandolo verso di me.

«Non farlo mai più!»

«Come, prego?» Ma io non ci posso credere! Cosa si è appena azzardato a chiedermi 'sto rincretinito?

Si passa una mano fra i capelli, nervoso.

«Becky, non provarci mai più!»

Si gira e inizia a camminare veloce tra la gente lasciandomi lì da sola.
Di nuovo.

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