06

Prendo l'ultimo pezzo di dolce che è rimasto nel mio piatto e con somma soddisfazione poso il cucchiaio. Come faccia certa gente a rinunciare al tortino caldo con cuore di cioccolato rimarrà sempre un mistero per me. Alzo gli occhi e vedo i ragazzi fissarmi con aria incredula.

«Beh? Che c'è?»

«Becca...» Inizia Gianluca «Hai mangiato un piatto di pasta, qualcosa tipo dieci polpette, le patate arrosto e il dolce. Ma dove la metti tutta 'sta roba? Peserai tra sì e no cinquanta chili!»

«Gianlu, hai presente quelle ragazze che possono mangiare tanto quanto un reggimento e non mettono su nemmeno un grammo?»

«Sì.»

«Ecco, loro per me possono crepare tutte insieme allegramente, perché le odio più di quando prendo la pioggia dopo aver speso centoventi euro dal parrucchiere! Vado a correre tutte le mattine e faccio tre sedute alla settimana con un personal trainer per cercare di mantenermi in forma almeno un minimo.»

«E col personal trainer ci fa anche la ginnastica da camera.» Sghignazza mio cugino cercando di mascherare il tutto con qualche colpo di tosse.

«LORENZO!» Mi copro gli occhi con la mano dalla vergogna. Ma si potranno andare a spifferare le mie cose private così? Gli lancio uno sguardo assassino e vedo con la coda dell'occhio Giò irrigidirsi mentre mi guarda malissimo.

Beh? Devo anche giustificare i miei rapporti sessuali a lui adesso?

«Vabbè, ginnastica stesa o in piedi non importa... Quindi sprechi tutta la fatica fatta abbuffandoti?»

Ma che... ma... ma che ragionamenti fa questo? Ma che siamo pazzi?

«Gianluca, non si mangia per poter fare sport. Si fa sport per poter mangiare! Cioè, le basi proprio!»
I ragazzi iniziano a ridere e io con loro. Guardo Giò e sembra essersi rilassato.

«Che si fa? Andiamo? Anche perché qui sta iniziando a fare un gran caldo», dice Lore facendosi aria con un tovagliolo. Effettivamente è vero, in più loro per mettersi in tiro hanno indossato tutti e tre la camicia.

«Cazzo allora non lo sento solo io!» Gianluca si passa una mano tra i capelli cercando di raccoglierli poi mi guarda 

«Becca, hai un elastico? Una spillina? Una fascia? Vanno bene anche quelle coi fiocchetti floreali! Sto scoppiando!»

Guardo nella borsa ma non ho portato nulla per poter legare i capelli perché di solito quando esco li tengo sciolti. Gli faccio segno di no con la testa.

«Giò dammi il tuo elastico.»

«Non ho un elastico, Gianluca.» E calca un po' troppo il tono sul suo nome. Continuo a far finta di cercare qualcosa nella borsa perché è ovvio che ci sia qualcosa che non vuole far sapere, e mi piace rispettare la privacy delle persone.

«Ma sì che ce l'hai, porti sempre un elastico al polso.»

Fanculo la privacy. Lancio uno sguardo veloce, senza farmi notare, al polso di Giò, che si sta sfilando qualcosa velocemente e infila la mano in tasca.

«Ma se ti dico che non ce l'ho, non ce l'ho!» ribatte.
Rimetto la borsa sul tavolo e fingo assoluta indifferenza mentre chiedo con un sorriso finto quanto una banconota da settantacinque euro chi voglia il caffè.

Vedo che i ragazzi mi rispondono ma le loro voci non arrivano alle mie orecchie. La mia mente è rivolta all'oggetto che Giò aveva addosso e che si è preso la briga di nascondere prima che io alzassi lo sguardo. Un elastico rosso. E senza accorgermene, torno a sette anni fa.


Settembre 2012

«Sei nel mio spazio.»

«No cara, sei tu che stai sconfinando!»

«Senti ciccio, il divano ha chiaramente tre posti, il che vuol dire che un cuscino è tutto mio, uno è tutto tuo, e quello che sta nel mezzo va diviso equamente! Ma quanto avevi in matematica? Ci arrivavi alla sufficienza?»

Giò mi guarda con un sorriso stampato in faccia, lo sa che mi altero facilmente quando cerca di sindacare su questioni ovvie, e stuzzicarmi credo sia stata la sua principale distrazione quest'estate.

«Ah sì? Allora la risolviamo subito!» Mi prende per un braccio e mi fa sdraiare davanti a lui. La mia schiena contro il suo petto, il suo braccio allacciato alla mia vita.

«E tutta 'sta confidenza?!» Chiedo con un tono che dovrebbe essere indignato.

«E dai Becky, è la mia ultima sera qui, domani riparto. Fammi guardare il film in pace nella posizione che preferisco.» E riporta lo sguardo sulla TV. 

Cerco di ignorare la morsa che mi stringe lo stomaco ogni volta che menziona la sua partenza. Manca così poco che continuo a chiedermi se mi sia resa veramente conto di quello che significherà non averlo più intorno da domani in poi. Nessun bagno di mezzanotte insieme a lui e gli altri, nessuna colazione insieme prima del lavoro, nessun gavettone ad aspettarmi appena esco di casa la sera, nessun abbraccio improvviso a farmi diventare più rossa di un peperone, e nessun paio di occhi che sorprendo a fissarmi ogni volta che sono sovrappensiero. 

In questi ultimi giorni mi sono domandata spesso se ho fatto bene a scegliere di evitare un legame più profondo con lui. Ci troviamo talmente bene insieme che a volte mi sembrava quasi di andare "contro natura" allontanandolo quando la situazione diventava a rischio, quando sentivo sulla pelle brividi troppo profondi, o il cuore che minacciava di uscirmi dal petto da quanto batteva forte. 

Ma lui riparte domani, e io nelle storie a distanza non ci ho mai creduto. Studia lontano, lui, lavoro sempre, io. Quando avremmo avuto la possibilità di viverci come una coppia normale? Quando avremmo raggiunto una quotidianità?

Sì, ho fatto bene. Ho fatto decisamente bene. 

Le farfalle che ho nello stomaco mentre sono sdraiata tra le sue braccia non sembrano d'accordo con me. Mi godo questa ultima manciata di minuti e cerco di rilassarmi, mentre ricaccio indietro le lacrime che minacciano di uscire. 

Non deve accorgersene.
Non deve sapere che ho rimpianto di non essermi lasciata andare ogni singola volta; che mi sono violentata nell'allontanarmi. 

Deve credere che a me stia bene così; almeno uno dei due deve mettersi il cuore in pace. Non fa niente se non sarò io, non importa se adesso sono convinta che non lo dimenticherò mai. Passerà. È passata a tutti prima o poi, no?

Persa nei miei pensieri non mi sono accorta che il film è finito, stanno passando i titoli di coda e ne ho perso praticamente la metà. Allungo la mano sul tavolino e abbasso il volume, poi mi giro verso di lui per controllarlo, visto che da un po' non lo sento muoversi come faceva all'inizio per trovare una posizione comoda per entrambi. 

Lo guardo e mi accorgo che sta dormendo, è ancora più bello con quell'espressione beata sul viso. I capelli arruffati gli scendono morbidi sulla fronte, le ciglia lunghe e nere che vibrano ad ogni respiro, il nasino un po' storto che adoro, e quelle labbra perfette appena socchiuse. 

Prima di poter formulare qualsiasi pensiero vedo la mia mano muoversi piano e lasciargli una carezza leggera. Apre gli occhi pigramente e mi regala un sorriso quando vede il rossore che ha dipinto le mie guance. Un'altra piccola carezza, solo una, solo perché non ti rivedrò per chissà quanto e credo che mi mancherai da stare male.

«Abbiamo fatto bene Becky?»

Non ho bisogno di chiedergli a cosa si riferisca. So che parla di noi.

«Sì, abbiamo fatto bene.»

«Tu ne sei convinta?»

«Beh, almeno uno dei due deve esserlo, no?»
Gli sorrido e mi alzo, staccando a fatica gli occhi dai suoi.

«Vieni a salutarmi domattina, ragazzina?»

«Puoi scommetterci!»

«Coi capelli sciolti?»

Scoppio a ridere, una di quelle risate che minaccia di trasformarsi in pianto isterico da un momento all'altro, di quelle fatte solo per non far vedere le lacrime che sono arrivate al limite.

«Perché mai coi capelli sciolti? Non vado bene con la coda?» Metto su un finto broncio e passo la mano tra i capelli legati per mettere a posto qualche ciocca uscita al controllo dell'elastico.

«Sei bella sempre Becky, ma vorrei sentire di nuovo il profumo dei tuoi capelli quando mi abbraccerai domani. Un'ultima volta...»

Devo togliermi da questa situazione per non correre tra le sue braccia. Non sono mai stata brava con le parole dolci. Riesco bene a dimostrare quello che sento, quello provo, quello che penso addirittura, ma le parole, quelle non fanno per me. E stare davanti a lui che mi guarda così, come se avesse il cuore in mille pezzi, mi fa male.
Troppo.

 Alla fine è un ragazzo, no?
A loro passa più in fretta che a noi. 
Sicuramente tra una settimana si sarà già dimenticato dell'estate passata qui. 
Tornerà all'università, sarà circondato da ragazze più belle, più intelligenti, più alte, più tutto. Non vale la pena rimuginare su queste sue ultime parole, meglio buttarla sul sarcasmo come ho sempre fatto.

«Beh, ci sei stato tutta stasera attaccato ai miei capelli! Domattina verrò con la coda più bella che tu abbia mai visto.» E gli faccio una linguaccia.
Ride con un sorriso che non arriva agli occhi, mi lascia un bacio sulla fronte e se ne va.

Guardo fuori dalla finestra e vedo le prime luci dell'alba; non ho chiuso occhio tutta la notte e mi sento stanca come se non dormissi da giorni.
Credo che questa spossatezza abbia poco a che fare col mancato appuntamento con Morfeo. 

Do un'occhiata allo specchio dopo la doccia, metto su un po' di trucco per coprire le occhiaie, pettino i capelli in una coda alta, mi vesto e mi incammino fuori per raggiungere Giò al bar per il saluto finale con gli altri. 

Quando arrivo sono tutti e tre già seduti, muniti di brioches e cappuccino.
Saluto tutti con un sorriso che non sorride poi tanto, mi fermo al bancone per chiedere un caffè e una pasta vuota. 

Prendo la mia colazione e mi siedo con gli altri, cercando di fingere un'indifferenza che in questo momento proprio non ho.

Finiamo di fare colazione tra le solite battute e i soliti scherzi, poi usciamo, pronti per salutare Giò. 

Un abbraccio con mio cugino che si raccomanda di tenersi in contatto.
Uno con Gianlu che gli chiede di mandargli le foto delle ragazze più sexy dell'università. 

E l'ultimo per me.
Il più lungo, il più stretto, quello che fa più male. 

Le mie braccia strette in una morsa attorno al suo busto, la mia testa appoggiata sul suo petto; le sue che mi avvolgono le spalle facendomi sentire protetta, il suo viso appoggiato nell'incavo del mio collo.

«Non avevamo detto capelli sciolti?» mi chiede a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri.

«Veramente l'avevi detto solo tu.» ribatto con la voce spezzata.

Lo sento sorridere sulla mia pelle. Poi si tira indietro e con un movimento rapido sfila l'elastico rosso dai miei capelli e se lo mette al polso. 

«Così ti avrò sempre con me.» Mi strizza l'occhio, allarga le labbra in un sorriso gigante, fa un ultimo saluto con la mano rivolto a tutti mentre indietreggia, si gira e se ne va. 

Resto a guardarlo finché la sua schiena non diventa un puntino sfocato. Rilascio l'aria che mi accorgo solo ora di aver trattenuto, rilasso le spalle che avevo tenuto rigide fino a quel momento, e allento i pugni sentendo il palmo delle mani bruciare per averci conficcato le unghie.

Mi giro verso gli altri appena sento gli occhi al sicuro dalle lacrime, faccio un sorriso e inizio a chiacchierare con loro come se niente fosse.

Passerà.
Sicuramente passerà.

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