Capitolo (⁴√625) *(3): Roulette Russa

"Io, il sognatore... sarei te? Mi prendi per il culo?"

"No. Sono serio. E tu lo sai bene quanto me."

"E in che modo io sarei te?"

"Su questo punto c'è molto da dire. Ma diciamo che per ora io sono solo il frutto della tua immaginazione."

Lo guardai tentennante e dopo qualche secondo mi misi a ridere. Quello che mi stava dicendo era troppo assurdo, non potevo assolutamente credergli.

"E quindi tu non esisti e io sono pazzo praticamente."

"Io sono quello che tu vorresti essere. Sia fisicamente che mentalmente. Io non sogno che qualcosa accada, io le cose le faccio. TU sei stufo di essere come sei, e non puoi nemmeno mentire a te stesso, perché io so la verità."

"Non vorrei mai essere come te."

"Quante menzogne che ti racconti. E menomale che dici di voler essere il più sincero possibile. Io sono te, non negarlo."

Quelle parole che inizialmente mi sembravano assurde piano piano si insidiavano dentro di me e cominciavano a farmi dubitare di me stesso e tanto più Tancredi parlava, tanto più le sue parole mi sembravano reali e concrete.
Mi sentivo come girare la testa ma non poteva essere davvero tutto finto, sennò come si spiegava la sua relazione con Ania, c'erano troppe cose che non si spiegavano. Ragionai per qualche istante e poi mi sciolsi.

"Senti frate’ non puoi convincermi" dissi con un indecisione quasi pietosa. Poi aggiunsi, "Se è così allora com'è possibile che Ania ti conosca? Se tu non esisti lei non dovrebbe sapere chi sei."

"E tu sei sicuro che lei sappia chi sono?"
"Certo che ne sono sicuro."

“Avete mai parlato di me?"

"Un sacco di volte."

"Non è vero. Non avete mai parlato di me. Ogni volta che tu provavi a parlare di me con lei, lei s'arrabbiava come se la stessi prendendo in giro. Voi due di me non avete mai parlato bene. Ero io inconsciamente a non farti continuare la discussione, sennò avresti sicuramente continuato a domandare visto che sei invadente su ‘ste cose. Pensaci. Seriamente. Lei ti ha mai parlato di me?"

"No, ma non vuol dire niente. Magari è solo chiusa su certe cose. Magari non le andava di parlare di te. E alla festa vi siete baciati, e io vi ho visti, su questo non puoi dire niente."

Mi osservò come si fa con un folle in preda al delirio, in un misto tra pena e ironia e poi, lentamente, si avvicinò a me e continuò a parlare.

"Tu ci hai davvero visti baciare o te lo sei immaginato?"

"Vi ho visti. Sicuro al cento per cento."

"Dimmi, a che ora finiva la festa?"

"Ma che c'entra, scusa?"

"C'entra eccome. Rispondi."

"Io me ne sono andato prima ma la festa finiva verso le tre e mezza."

"E tu stranamente te ne sei andato alle due e sei tornato a casa che erano quasi le cinque. Non è strano."

"Mi sono fermato sul tetto di un edificio a pensare."

Mi diede le spalle e si coprì il volto con la mano in segno d’imbarazzo.
"E tu hai perso quasi tre ore a pensare? Ma per favore. Se fosse successo davvero allora avresti i percorsi sinaptici più lenti che un essere umano abbia mai avuto. E per arraganza, forse, sappiamo entrambi che non è così. Vuoi sapere la verità? La verità è che tu, o meglio, NOI abbiamo baciato Ania e dopo la festa siamo rimasti un po' insieme. Poi sei tornato il Sognatore e hai perso venti minuti a pensare sul quel tetto, per questo sei arrivato tardi. Tu non te ne sei andato prima dalla festa. Tu sei rimasto fino all'ultimo e alla fine sei pure stato un altro po' insieme ad Ania."

"Stai dicendo solo minchiate. Io ho pensato molto tempo a cosa sarebbe stato giusto fare?"

"Ma allora perché dovrei convincerti di essere me?"

Lì non seppi cosa rispondere, ero senza parole.

"Adesso ti spiegherò tutto, così non potrai negare."

In realtà ero già quasi convinto, e lui probabilmente lo sapeva e per questo ha deciso di spiegarmi tutto.

"Secondo te perché la prima settimana di scuola nessuno mi parlava? Io non c'ero e tu non eri ancora abbastanza convinto dentro di te a darmi una volontà, ma quando poi hai deciso di parlarmi allora lì mi hai accettato e mi hai dato vita. Non ti sembrava strano che nessuno mi conoscesse nonostante io fossi stato in classe con voi una settimana?"

"Be’, può succedere di passare inosservati."

"Per questo hai usato la scusa delle lezioni da casa, non mi avevi dato ancora il pieno consenso, e non me lo hai ancora dato. Se in questo momento coesistiamo è perché dentro di te, tu vuoi essere un po' entrambi, ma solo uno può essere vivo."

"No, ci sono troppe cose che non quadrano. Sto impazzendo!"

"Ci sono infatti molte cose strane che la tua testa ha rimosso per non farti scoprire la verità."

"Tipo?"

"Tipo il fatto che non ti ricordi niente di quello che ti ho detto sui miei familiari. Proprio perché non esistono. Non ho detto niente e il tuo subconscio ha rimosso quelle due ore di vuoto. O tipo il fatto che l'unica volta che ti ho invitato a casa mia mi sono fatto trovare fuori, perché non ho davvero una casa."

"Ma se io sono te allora sono stato io a sparare a Bartolomeo."

"E sei stato anche tu a rapinare l'altro signore della sua stessa azienda, infatti quel signorotto diceva che aveva l'impressione di conoscerti. Ricordi?"

"Flavietto. Per questo anch’io avevo l'impressione di conoscerlo."

"Vedi? I tuoi sogni poi, c'erano due te! Era quasi ovvia la cosa ormai. Per questo la tua mente ha deciso che io, che altro non sono che parte della tua mente mi sarei svelato. Ormai la tua mente aveva intuito ciò che la tua stessa mente aveva programmato."

Poi cominciò a girare intorno e a camminare nevroticamente avanti e indietro, su e giù, a destra e a sinistra e nel frattempo mi raccontava tutto ciò che la mia mente aveva architettato.
Vi ricordate l'ultima uscita con Ania di cui vi ho raccontato? Avevo avuto un flash di altre sue chiamate, perché io, o meglio Tancredi, o meglio, io la chiamavo spesso, e le chiamate poi scomparvero perché Tancredi le ha eliminate dal registro per evitare che mi facessi domande.

E per lo stesso motivo, Ania, mi contraddisse quando le dissi che era tanto che non ci vedevamo. Una volta che mi spiegò che Ania si comportava così perché pensava la prendessi in giro, e che in realtà noi la incontravamo spesso, e che sempre noi stavamo frequentandoci con lei a mia insaputa. Piano piano lui prendeva sempre di più il controllo di me. E poiché siamo la stessa persona già dalla prima volta che gli parlai mi sembrò di conoscerlo da sempre, perché lo conoscevo davvero da tutta la vita. Dopo avermi parlato di Ania mi parlò della pistola e dei colpi che avevamo fatto.

"Sai perché hai preso la pistola?"

"Perché?"

"In realtà se lo so io lo sai anche tu."

"Parla. Voglio capire bene questa storia."

"Per nessun motivo particolare. Come tanti tu volevi una pistola per vendicarti, come hai fatto per Bartolomeo, o per avere qualche soldo, come hai fatto con Flavietto."

"Ma la sera che hanno sparato Bartolomeo io ero a casa. Com'è possibile?"

"Il solito trucchetto. Se ricordi anche quella sera sei tornato a un orario insolito, alle ventuno, anche se io alle diciannove e trenta ero già andato via. Secondo te cosa è successo in quell'ora e mezza di vuoto?"

 “Porca troia..."

"Già."

"Quindi io sono colpevole. Non dovrei essere qua."

"Menomale che ci sono io allora. Hai visto che non sono stato io a rubare la pistola? Cioè in realtà sì, ma penso che noi due ci siamo intesi."

"Menomale che ci sei tu un cazzo. Se tu non ci fossi stato non lo avrei nemmeno corso quel rischio."

"E quel pezzo di merda sarebbe rimasto impunito."

Tutto quello che mi aveva detto combaciava perfettamente e ormai sarebbe stato da idioti non ammettere la verità. Mi rimaneva solo una cosa da fare: liberarmi di lui.
E nel mentre che, totalmente turbato, riflettevo sul da farsi, lui mi fissava tutto serioso e rigido.

"Lo so a che stai pensando."
Rimasi attonito. Era ovvio che lo sapesse.

"Vuoi liberarti di me vero? E come intendi fare? Lo sai solo tu, o io, o nessuno. Non puoi fare niente. Tutto quello che penserai io lo saprò."

Ero nel panico, allora corsi verso di lui e mo ci buttai di sopra per atterrarlo, ma non afferrando nulla caddi a terra di faccia.
Lui era dietro di me e scoppiò nuovamente ridere.

"Quindi volevi picchiarmi eh? Non hai ancora capito che io non esisto? E che se proprio dovessi picchiarmi sarebbe come picchiare te stesso? O come picchiare l’aria, se preferisci."
Mi alzai di scatto e riprovai a percuoterlo. Lo colpii, mi colpì, fu complesso. Fu come picchiare un clone e sentire tutto quello che sente lui.
Dopo di ciò ci alzammo entrambi in simultanea, fu quasi inquietante. Mi aspettavo che contraccambiasse, invece si limitò a scrutarmi col viso beffardo.

"Cosa intendi fare ora?"

"È l'unico modo che mi è venuto in mente per liberarmi di te. Per ora."

"Inutile. Mi aspettavo qualcosa di meglio da me. In genere sei un tipo riflessivo, e sai che così non concluderai nulla."

Dopo questa frase Tancredi scomparve nel nulla in un istante. Non sapevo dove fosse andato e non avevo idea di come richiamarlo, quindi feci la cosa più istintiva che mi venne in mente: urlai.

"Tancreee’!"

Poi di nuovo.

"Tancredi! Vieni qua!"

E mentre riprendevo aria per riempire i miei polmoni vuoti sentii delle finestre aprirsi.

"Oh ma a cu vucii? S'ha fari canea vattini a n'atra banna!"[1]
Era il vicino di casa che, giustamente, non voleva sentirmi gridare. Avrei continuato a gridare fregandomene di tutto se non fosse che avevo già capito che farlo era inutile.
Con la terra che sembrava girare in senso opposto mandandomi in confusione, decisi di correre da Ania per avere conferma di ciò che mi era stato detto, anche se ero già convinto della veridicità della cosa.

Iniziai una gara disperata muovendomi a tutta forza verso casa sua e nel mentre provando a chiamarla al cellulare per dirle di scendere.
Dopo essermi catapultato di fronte il suo portone cliccai a raffica il campanello del citofono. Rispose suo padre.

"Chi è?"
Iniettai altro l’ossigeno nel mio corpo scarico e poi tornai a consumarlo.

"Sono un amico di Ania, lei dov'è?"

"Non è in casa... mi pare. Aspetta che controllo."

Dopo qualche secondo ad aspettare il dialogo riprese.

"Ania non è in casa. Dovrebbe essere a casa di Carla... mi pare."

"E dove abita Carla?"

"Un bel po' lontano."

"E dove?"

Non appena mi disse l'indirizzo mi affrettai ad arrivare dall’altra parte della città. Le mia gambe sembravano prendere fuoco al contatto con l’aria e il  mio torace si gonfiava e sgonfiava con un ritmo feroce. Arrivai lì tutto sudato e con lo sguardo spiritato. Non proprio in bellissime condizioni. Cominciai a suonare il campanello e quando Carla uscì venne per salutarmi, ma la interruppi, le dissi che ero di fretta e che dovevo assolutamente parlare con Ania.

"Ma Ania non è qua."

"Come non è qua?"

"Oggi doveva venire qua ma alla fine non ha potuto."

"E dov'è?"

"Non lo so. Tu invece sai qualcosa di Ru-"

La sua frase venne interrotta dalla mia suoneria. Era lei.

"Ania dove sei?"

"Sono qua che ti aspetto dove mi hai detto tu. Quando mi hai chiamato prima mi dicevi cose strane. Ma tu piuttosto dove sei?"

"Ma dove ci dovevamo incontrare? E che ti ho detto al telefono? Tu mi sembra che non mi avevi risposto."

"Ma che dici. Comunque io ti aspetto qua alla casetta dove c'è la pistola."
"Arrivo!"

Malgrado la stanchezza ripresi la corsa senza badare a Carla e  pensando a cosa le avessi detto, anzi, a cosa le avesse detto Tancredi. Era stato sicuramente lui a chiamarla e a parlarle senza che io mi rendessi conto di aver perso il controllo. Dopo un po' a correre dovetti fermarmi. Avevo il fiatone e non riuscivo più a reggermi in piedi, ero stremato. Guardai per alcuni momenti il mio sudore cadere a gocce dai miei capelli unti. Poi continuai. So che vi state chiedendo perché avessi tutta questa fretta, ma avevo bisogno di una conferma. Capite bene che ognuno cerca di avere più prove possibili quando si tratta della proprio sanità mentale o della propria esistenza come Io.

Alla fine arrivai in quella vietta non asfaltata dove vi era La casa vicina la Casa dello zio Rodolfo, Anche se lo zio Rodolfo non esisteva di fatto. Dal fondo della via vidi Ania appoggiata sul muretto e mi precipitai verso di lei. Non appena si rese conto della mia presenza prese a sogghignare (probabilmente per com'ero conciato) ma appena notò il mio aspetto allunato smise subito.
Tenendola per le spalle cominciai a farle domande frenetico e preoccupato come un cane rabbioso.

"Ania. Ania. Ania. Ascoltami. Che ti ho detto al telefono? Come ti sembravo? Ero serio? Che ti ho detto al telefono te l'ho già chiesto?"

Lei si allontanò da me, probabilmente la infastidiva il fatto che le facessi domande e che la scuotessi mentre le parlavo.

"Intanto ti calmi." disse tutta seria.
Presi un bel respiro per tranquillizzarmi.

"Mi calmo. Mi calmo." dissi respirando faticosamente. Ma non appena riprendetti a parlare mi agitai di nuovo. "Però devi dirmi che cosa ti ho detto. Sul serio!"

"Tu mi hai detto tante cose. Tipo che stavi impazzendo e che probabilmente avresti delirato."

"Ania... io sto impazzendo… forse. E non ho detto altro?"

"Dicevi che tu non eri in te e che se ci fossimo incontrati non avrei dovuto ascoltarti, ma che ci saremmo dovuti incontrare lo stesso."

"E tu sei venuta comunque? Lasciamo perdere. Ania, ascoltami. Io forse sto un po' uscendo fuori, ma adesso sono in me. Va bene?"

" Mmmh..."

"Ania, dimmi, tu lo conosci Tancredi?"

"Mi avevi detto anche questo..."

"Questo cosa?"

"E mi avevi detto di non dirtelo."

"Dirmi cosa?"

"Lo vedi che non ricordi..."

Andai verso di lei con lo sguardo pieno di timore e rabbia allo stesso tempo.

"Ania. C O S A  T I  H O  D E T T O?"

"Mi hai detto che già da un po' questa situazione va avanti, e che Tancredi era una persona immaginaria che vedevi, per questo mi chiedevi di lui."

"Che situazione?"

"Dei tuoi problemi, diciamo. E se tu adesso me lo chiedi è perché sei in preda ad uno dei tuoi momenti."

"Ania, no. Sono in me per ora. Io davvero vedevo Tancredi e tutto. Ma sono io il vero me ed è stato Tancredi che aveva il controllo di me a chiamarti. E ha detto quelle cose per farti credere che in questo momento io sia instabile. Sono sano per ora!"

"Non lo sembri. Sembri pazzo."

"No, Ania, credimi. Lo so che è tutto confusionario e che mi sono spiegato male... ma credimi!"

Lei non mi guardava in faccia e lentamente cominciò a ritirarsi in sé stessa

"E perché mi hai portata qui dove tieni la pistola?"

"Non lo so. Non sono stato io a organizzare questa cosa. È stato lui!"

Provai a spiegarle un po' meglio la situazione me lei non volle ascoltarmi, e non poteva capirmi, così se ne andò intimorita da tutto ciò che le avevo detto, da tutto quello che le stavo dicendo e da tutto quello che le avrei detto.
Rimasi isolato in quella vecchia casaccia senza sapere che fare. Dovevo in qualche modo rievocare Tancredi. Dovevo risolvere questa assurda quanto terribile situazione che oramai mi stava sfuggendo di mano.

La lotta non poteva essere fisica, bensì psicologica, ma non sapevo nemmeno come renderla possibile, come attuarla. Non è che potessi ripetere un mantra e auto-convincermi ad annullare tutto. Mica potevo entrare nel mio subconscio in qualche modo o che so io. Cominciai a pensare a cosa sarebbe successo se Tancredi fosse riuscito per davvero a prendere il pieno controllo. Dopo un po' di riflessione su quello che era successo, su come risolvere il problema, e su cosa sarebbe potuto succedere prendendo in considerazione centinaia di opzioni giunsi alla considerazione più ovvia e banale.

Se avevo davvero questo grave problema mentale la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di andare da uno psichiatra e iniziare un qualche tipo di cura mentale o farmacologica. Forse sarebbe stato difficile guarire, e magari Tancredi non me lo avrebbe permesso, magari avrebbe fatto in modo che io non ne parli e cancellerebbe gli appuntamenti, ma era la cosa migliore da fare: farsi aiutare da un esperto.

E mentre scendevo dal muretto che recintava quella vecchia casa, mi passò per la testa un idea geniale: volevo affrontare Tancredi? La cosa migliore da fare per affrontarlo era costringerlo a venire, e il modo migliore per costringerlo a venire era ricattarlo, minacciare la cosa più cara per lui: Me stesso. Entrai nella casa e cominciai a scavare per riesumare la pistola e dopo averla dissotterrata scesi nella stradina e cominciai a chiamarlo. Dopodiché levai dalla rivoltella tutti i proiettili tranne uno e feci girare il caricatore e me lo puntai alle tempie. Avrei giocato alla roulette russa con lui, e lui si sarebbe presentato sicuramente, sennò saremmo morti entrambi.

[1]Ma a chi stai gridando? Se devi fare casino vattene da un’altra parte

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