Capitolo 4: la rivoltella
Tancredi mi disse di aver avuto un serio litigio con suo padre. Adesso non starò qui a dirvi tutto ciò che mi disse poiché parlammo per ore, della sua situazione, della sua famiglia e così si andarono intrecciando nomi, luoghi e situazioni che alla fine scaturirono nel litigio con suo padre. Sinceramente della situazione non ricordo quasi nulla. Annegai nella marea d'informazioni buttatomi addosso annaspando tra quelle onde di problemi familiari e fraintendimenti. Tuttavia sono sicuro di avergli dato, al mio solito, degli ottimi consigli o molte frasi fatte.
A causa della mia mancata capacità nel ricordare e associare i nomi non capii davvero nulla dei vari rami della sua famiglia. D'altronde non è nemmeno raro che io confonda o non riconosca i membri larghi della mia stessa famiglia. Mi sembrano tutti uguali. Dopo aver parlato per due ore di cose di cui non ho assolutamente memoria vidi che Tancredi era molto sollevato, riempendomi così d'orgoglio poiché attribuivo il suo nuovo stato d'animo alle mia eccelse capacità oratorie, e così si alzò da quel muretto che gli aveva sporcato tutto i pantaloni, e che aveva sporcato anche i miei, e mi aiutò ad alzarmi porgendomi la mano in modo deciso. Dopodiché sputò a terra e mi abbraccio. Sicuramente una strana combinazione di azioni.
"Ci conosciamo da poco, ma ti stai comportando da vero amico. E lo dico con tutta la mia sincerità, e lo specifico per non creare fraintendimenti: non sono gay."
Mi sentii un po' a disagio.
"Ehm... Grazie, sono felice di esserti d'aiuto."
Mi diede una pacca sulla spalla e vidi che aveva un lacrima non sbocciata sulla coda dell'occhio sinistro.
"Vedrai che tanto si aggiusta tutto."
Come dissi queste parole, s'innervosì di colpo e cominciò a rimuginare su non so cosa. Andava avanti e indietro, e poi si fermò di scatto.
"ECCO COSA DOBBIAMO FARE!" urlò come in preda a una crisi mistica, "Dobbiamo andare in quel posto a fianco la casa dello zio di cui ti ho parlato."
Non avevo idea di cosa stesse dicendo.
"Ma certo, sì. Fammi solo chiamare a Becca così le dico che torno tardi."
La chiamai ma il telefono come al solito squillò ma lei non rispose. La richiamai e, dopo qualche secondo, rispose.
"DOVE SEI? È TARDI!"
"Oh ma' stai zitta e ascoltami. Sono fuori, puoi stare tranquilla. Torno più tardi. Non ti preoccupare."
"Com'ha fari cu tia! Mi vo' fari moriri! Ava' figghiu me torna che lo sai che mi spavento!"
"Becca non fare scena. Non ti preoccupare, tanto lo sai che non faccio niente."
"Va bene. Io ti aspetto."
"Non ce n'è bisogno, ma fa' come vuoi."
Poi chiusi la chiamata e dissi a Tancredi che era tutto a posto. Davvero odiavo quando Becca faceva così. Quando cominciava gridando o tutta preoccupata per farmi sentire in colpa o roba simile. Faceva sempre così, e non funzionava quasi mai, infatti come anche voi avete visto, c'è voluto poco, anzi, pochissimo a placare quella sua enormemente vasta disperazione.
Anche se questa cosa mi dava fastidio in realtà la capivo. Becca è una donna vedova che ama i suoi figli da morire, e anche se questi suoi modi mi infastidiscono, per certi versi, li apprezzo davvero tanto. È evidente che tiene sia a me che a mio fratello Filibubero. Tiene a noi più di ogni altra cosa, e apprezzo molto questa sua peculiarità, che è forse tipica di ogni madre. In realtà non solo apprezzo quella Becca, ma anche la stimo. Lei da sola ha avuto il coraggio e la forza di andare avanti e di portare avanti una famiglia. Non so se mi spiego.
D
A
S
O
L
A
Ma vi parlerò più avanti di Becca e di come con qualche sua sciocchezza riesca a mettermi di buon umore. Ora riprendiamo il racconto.
Così io e Tancredi ci incamminammo. Era lui a guidare il passo, io lo seguivo e basta, anche perché non sapevo dove stessimo andando. Dopo qualche minuto a camminare insieme in un silenzio per nulla imbarazzante, ci trovammo vicino la statale, e la percorremmo per qualche minuto. Mentre entrambi osservavamo la vastità dello spazio che ci cirocondava con le campagne vive e nostalgiche che constrastvano il grigiore dell'asfalto rovinato, ascoltavamo gli automobilisti insultarsi davanti agli incroci. Girammo di colpo a sinistra in una stradina piccola e sterrata.
"Ecco qua vicino abita mio zio Rodolfo."
"Davvero un posto affollato." risposi ironicamente.
Poi Tancredi scavalcò una casetta malandata, con un prato d'antico pelo e di color sabbia sbiadito, e a tratti bruciato. Pensai che forse era il prato di suo zio Rodolfo. Anche se in verità non avrei saputo dirlo con certezza dato che a me sembrò più una casa abbandonata. Tancredi prese una pala che era nascosta dal folto prato e cominciò a scavare.
"Che stai facendo?", domandai stranito.
"Come che sto facendo?", rise, pensando forse che stessi scherzando e poi continuò a scavare.
"Ti serve aiuto? Magari lì in mezzo c'è un altra pala. O magari un pokémon raro visto che sei in mezzo all' erba alta."
"No, stai tranquillo, ho quasi finito."
Salii anch'io sul muretto di quella catapecchia e cominciai a osservare con maggiore attenzoine ciò che stava facendo. Ero curioso di sapere cosa stesse cercando; magari lì c'era il cadavere di suo zio Rodolfo.
Quando ebbe finito di scavare lo vidi chinarsi e tirar fuori dal quel buco che aveva scavato una Rivoltella, ovvero, una pistola a semi-automatica a sei colpi. Ma una vera rivoltella. Ne fui subito spaventato.
"Che devi farci con quella? E dove l'hai presa? Perché era là?"
"Come che devo farci? Lo sai. Ti ho parlato poco fa di mio zio Rodolfo, e di dove fosse casa sua."
"Tancredi lo so che avete litigato ma non fare cose di cui potresti pentirti, alla fine tutto torna a posto, come ti ho detto prima."
Mi guardo incredulo e rise.
"Su, fammi fare, andrà tutto bene."
Scavalcò di nuovo sulla strada e cominciò a dirigersi verso una casa più avanti. Preoccupato e intimorito lo raggiunsi velocemente. Non riuscivo a capire cosa avesse intenzione di fare e cominciai a credere che la sua nuova meta fosse la casa di suo zio. Tentennante gli andai quasi addosso e gli afferrai il polso.
"Tancre' non fare minchiate."
"Ma sei cretino? Tanto non lo verranno mai a sapere."
Si dileguò ed entrò in una casa poco più avanti a quella di prima, anche se molto simili tra loro. Lo vidi entrare e non avevo la minima idea sul da farsi. Avrei dovuto chiamare la polizia? O sarei dovuto scappare? O magari avrei dovuto fermarlo (si e prendermi una pallottola in pancia). Entrò furtivo da una finestra, e poi
TUM!
Sentii uno sparo, e poi un altro e un altro ancora. Lo vidi uscire di fretta con la testa bassa mentre accennava una risata.
"Che cazzo hai fatto? A chi hai sparato? Ci sono feriti?"
Lui mi guardò scioccato.
"Come a chi ho sparato? Ti ho parlato prima della vecchia casa di mio zio Rodolfo."
"E SPIEGAMI ALLORA!", urlai innervosito e anche molto spaventato.
"Ma agli scarafaggi ho sparato.", mi rispose con nonchalance.
"Agli scarafaggi? Spiegati meglio che mi stai preoccupando."
"Ma allora non mi hai ascoltato prima. Sì, ho sparato agli scarafaggi. Pensavi volessi ammazzare qualcuno?"
"Be' sinceramente mi era leggermente sorto questo dubbio."
In realtà ne ero quasi certo.
Tancredi rise e nel mentre che si piegava dalle risate divenne tutto rosso.
"Ora ti spiego, ora ti spiego. Di nuovo. Visto che la prima volta non mi hai ascoltato. Praticamente ero curioso."
"Curioso di cosa?" esclamai frettoloso.
"E fammi finire. Ero curioso di sapere cosa si prova a sparare a degli insetti. Cioè loro sono grandi quanto un proiettile. E mi sono chiesto cosa sarebbe successo a sparargli. E poi loro sono immuni alla bomba atomica, no? E allora i proiettili che gli fanno?"
Naturalmente scherzava su quest'ultima battuta.
"E perché allora mi hai portato qua?"
"Perché come ho detto prima, questa è la vecchia casa di mio zio Rodolfo, e ormai non ci vive più nessuno. Quindi avremmo sicuramente trovato molti insetti, e inoltre essendo una zona isolata nessuno ci avrebbe sentito."
"E quindi?" chiesi curioso.
"E quindi cosa?"
"Che fine hanno fatto gli insetti?"
"Non lo so."
"Come non lo sai!"
"Sai... Quando ho sparato ho chiuso gli occhi."
"Cioè tu hai una pistola, dei proiettili, e li sprechi su degli insetti che alla fine non hai nemmeno guardato?"
"Sì."
"Ma poi i proiettili costano. E tu li sprechi così. Sei davvero un mito.", dissi ridendo. In fondo era davvero una cosa buffa.
"Esattamente, ma poi non ho bisogno di preoccuparmi dei proiettili, in quella casa ne ho una cassetta piena."
"E che vuoi farci? Distruggere un formicaio?"
"No no, io lavoro per la mafia."
La cosa mi fece ridere ma sinceramente un po' gli credetti, anche se sapevo che stesse scherzando.
"Fammi sparare un colpo."
Mi guardò, con un occhio chiuso, quello verde, per proteggersi dai raggi solari e mi diede la pistola in mano.
Adesso, amici miei, voglio dirvi una cosa: chiunque vi abbia detto che sparare con la pistola vi farà sentire potente, o ha detto una grandissima minchiata, o ha dei complessi di un qualche tipo. Sparai due colpi, e non provai niente. Dopo di ciò gli resi la pistola e Tancredi seppellì di nuovo l'arma.
Successivamente lo accompagnai a casa, augurandogli di risolvere i problemi con suo padre. Alla fine anch'io tornai a casa, erano circa le nove e Becca cominciò con le sue solite domande.
"Sei tutto sporco di terra Sognatore, hai portato la zita", (fidanzata) "a zappare?"
"No, abbiamo coltivato pomodori."
"Quindi hai una fidanzatina eh?"
"Si", no, "e non te la presenterò mai."
"Ava' dai, dimmi chi è."
"Mamma... Stavo scherzando."
"Proprio non ti capisco che non vuoi dire le cose a tuo madre."
"Se ne avessi una te lo direi Binna." Becca la chiamavo anche così. "Ti voglio bene."
"Anch'io."
"Ma che mangiamo? che ho fame."
La serata passò tranquilla e dopo andai a farmi una doccia, visto che io, a differenza vostra, dopo essermi sporcato mi lavo.
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