Capitolo 3: Ania e Tancredi

"Tancre', hai deciso di ritirarti dopo due settimane?"

"Ma no", mi rise, "ho avuto alcuni problemi e ho fatto richiesta per continuare da casa e..."

Lo interruppi.

"Ma è legale questa cosa?"

"Ma sì, ma certo che è legale. Adesso fammi finire. Praticamente, è un casino, ma la cosa importante è che risulto comunque come studente della scuola. Ma i prof. non vi hanno detto niente?"

"No...", risposi un po' titubante. In fondo era possibile che a non sentire la notizia fui io data la mia continua mancanza d'attenzione.

"Ma se ne saranno dimenticati, o magari hai usato la tua abilità nel non ascoltare niente."

"Sì, probabilmente è come dici tu. Casomai na 'sti giorni ci vediamo?"

"No guarda non posso, sono occupato a non fare niente. Sto scherzando, casomai in questi giorni ci organizziamo. Va bene?"

"Sì sì, allora a posto Bronx."

Poi chiusi la chiamata.
"Bronx", ci chiamavamo così tra amici, e non so perché lo chiamai così visto che lo conoscevo da poco. Lui però mi parlava come se ci conoscessimo da una vita, e mi sembrava giusto fare lo stesso. Inoltre mi sembrò molto strana tutta la sua situazione scolastica. Pensai che i prof. non ne avevano parlato poiché Tancredi non aveva ancora parlato con nessuno, e perciò non c'era stato bisogno di parlare della sua "andata fisicità scolastica". Lo so, lettore e amico mio, che nulla di ciò che ho detto ha senso, ma sono sicuro che tu mi abbia capito.

Quel medesimo giorno uscendo con Rubio, andammo compiendo azioni del tutto rispettabili, come solitamente facevamo. Mica andavamo in giro a fermare il traffico per far incazzare gli autisti, o mica facevamo finta di comparare tantissime cose per poi non prendere niente e correre via ridendo. Noi eravamo dei serissimi giovincelli.

Mentre tornavamo dal supermercato dopo aver comperato quella bibita giallastra che Rubio beveva usualmente con quella sua grande bocca, vidi Ania. Era in giro con una sua amica, così io e Rubio le andammo incontro per salutarle, ed eventualmente, in tale remota eventualità, attaccare bottone.
Mentre ci avvicinavamo notai che Ania abbassava lo sguardo, come avesse timore nel salutarci.

"Hey Ania", esclamò Rubio. Nonostante Rubio non fosse granché, era molto spigliato nei rapporti sociali, e non aveva nemmeno un briciolo di timidezza con le ragazze. Lo stesso non si poteva dire di me. Non che me la cavassi male, ma Rubio era incredibilmente sciolto.

Ania allora alzò lo sguardo e ricambiò il saluto. La sua amica le disse qualcosa all'orecchio e così si fermarono, e una volta raggiunte cominciammo a parlare. La sua amica, Carla, era una gran chiacchierona, e si trovo subito con Rubio. Anche lui infatti se cominciava a parlare non la smetteva più. Non come te, lettore dei miei stivali. Non hai detto ancora nemmeno una parola da quando ci conosciamo, e probabilmente non lo farai mai. Potresti quantomeno dirmi qualcosa di tanto in tanto, e invece mi guardi fisso come un allocco mentre io continuo a smonologare come un pazzo.

Comunque, Carla era una ragazza davvero allegra, anche lei molto carina, dai capelli riccissimi e rossi e con dei grandi occhi cerulei, circoscritti in una bizzarra forma del viso. Dopo un po' di tempo a parlare insieme finalmente chiesi ad Ania, quello che le volevo chiedere già da tempo. Mi feci serio e, nel mentre che Carla andava civettando con Rubio, le posi la fatidica domanda.

"Ma sei mongoloide che cambi scuola al quarto anno?"

Lei mi guardò e accennò un timido sorriso, poi rise in maniera chiara e sincera.

"Si sono mongoloide", rispose ridendo, "ma non ho cambiato scuola per questo. Adesso sono qua, in questa città intendo, perché ci siamo dovuti trasferite per motivi di lavoro."

"Non mi aspettavo che tutto ciò avesse qualcosa di così assurdo: tipo un senso."

Dopo un po' ci salutammo e ognuno di noi riprese per la sua strada, e allontanandomi le sentii parlare di quanto Rubio fosse simile al padre di Carla. Dopo di ciò la timidezza tra noi passò. Bronx, sì lettore, parlo con te, sei proprio distratto, so cosa pensi. Forse dovrei avere un tocco più delicato durante le discussioni, ma io non voglio. Voglio dire sempre, o quasi, esattamente quello che penso. Non riesco nemmeno a immaginare, mio caro imbecillotto, quanto o se possa infastidirti il mio continuo interrompere la storia per parlarti di me, ma in fondo è anche questo uno degli scopi della storia; farmi conoscere.

A proposito, visto che ormai ho interrotto le cose ne approfitto, non ho ancora detto una cosa importantissima. Ania, quell' Ania insomma, quella con cui ho dialogato poc'anzi, quella che da poco ha cominciato a far parte della mia classe, avete capito no? Be' spero di sì. A me, proprio quell'Ania piaceva. C'era qualcosa in lei che mi attirava.

Forse era lo sguardo indeciso e confuso, o magari il viso che esprimeva la dolcezza di una vita amara. Forse la amavo (sì, come no). Ma in fondo che ne so io dell'amore, e che ne sapete voi dell'amore. Probabilmente sia io che voi altri non abbiamo provato altro che delle cotte; ma io almeno ne sono consapevole, e non scambio la cocaina con il borotalco, come fanno molti di voi.

Passarono alcune settimane e i rapporti con me e Ania si andavano stringendo. Una cosa che non fece altro che attirare la mia curiosità fu il fatto che nonostante fosse molto carina, non era affatto stupida. Certo, stupidità e intelligenza non sono necessariamente collegate, ma ciò non è molto evidente nella superficialità tipica dell'adolescenza. E mentre il rapporto con Ania procedeva in direzione di un reciproco avvicinamento, di Tancredi, nemmeno una notizia.

Decisi che era il momento di richiamarlo, ma nell'istante subito dopo il momento in cui aprii la rubrica, mi chiamò lui. Non so perché ma quando vidi la sua chiamata aspettai un po' prima di rispondere.

"Minchia compa' non ti sei fatto più sentire!"

"Ma chi è che apre una chiamata così? E poi eri tu che dovevi farti sentire. Coglione."

"Sognatore, hai ragione", disse ridendo, "infatti ti ho chiamato per questo. Che ne dici di venire domani a casa mia? E magari fai venire anche quel tuo amico Rubio e quell'altro tale, come si chiamava? Girolamo forse? Va be' non importa, ci vediamo domani."

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere che chiuse la chiamata. Non mi aveva nemmeno detto dove abitasse. Allora lo richiamai, per chiederglielo, a punto, e per sapere chi caspita fosse 'sto Girolamo.

"Tancre', sono sempre io, non mi hai detto dove abiti e nemmeno quando venire."

"Ah sì giusto, abito in via (vorresti saperlo) numero (ma fatti gli affari tuoi), ti aspetto domani alle cinque. Va bene?"

"Sì. va bene."

"Vuoi sapere altro? Che magari mi scordo le cose."

"No, a posto, ci vediamo domani."

Poi chiusi la chiamata.
Successivamente scrissi a Rubio, e gli chiesi di venire, ma purtroppo per quel giorno era impegnato. Avrei chiamato anche Girolamo, se solo fosse esistito.
Il giorno dopo, dopo un'altra discussione con Becca che, ovviamente, non portò a nulla, uscii di casa.
Quando esco di casa vado sempre a piedi, con delle cuffiette per ascoltare della musica. Mi piace camminare. Mi piace camminare e perdermi nei miei pensieri. Mi piace pensare e guardare quello che mi circonda. Mi piace osservare tutti quei vecchi palazzi che compongono il mio piccolo paese; le chiese, i monumenti, o meglio, i loro resti, e tutti quei palazzi che provano in vano a ristrutturare.

Ecco, loro mi fanno quasi tenerezza, è una sorta di accanimento terapeutico edile. Tuttavia, amavo, e amo ancora passeggiare. Sia da solo che in compagnia. Dopo essere passato per un drogato in virtù del mio solito sguardo involontariamente ostile durante le passeggiate, arrivai a destinazione.

Chiariamo un po' le cose: non arrivai davvero a destinazione, visto che la destinazione era casa di Tancredi, ma andando verso casa sua lo vidi fuori da casa sua, da solo, seduto su un muretto grigio e rovinato vicino casa sua. Aveva la faccia visibilmente sconsolata, così mi sfilai le cuffie, mi avvicinai a lui e mi misi seduto al suo fianco. Mi guardò e fece con il capo come un cenno di saluto, ma senza parlare. Capii che era effettivamente successo qualcosa e allora gli chiesi cosa fosse accaduto.
Tancredi alzò lo sguardo verso il cielo, che altro non è, almeno secondo me, un mare dalla parte sbagliata, e cominciò a parlare.

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