Capitolo 14: Cazzo!!
Tutta la situazione mi straniva. Sembrava quasi una fuga d’amore, e la luna m’ispirava pensieri.
"Chissà se la luna guardando nel mare il suo riflesso pensa se ci sia un altra Luna infondo all'abisso? Magari se m'è innamorata del suo riflesso, tipo Narciso. È proprio difficile capire quale sia la verità assoluta in certi casi. La verità è una strada a doppio senso e ci s' invortica."
Udii una voce da non so dove
"Hey, stronzo!"
Mi girai a destra e sinistra per capire da dove venisse la voce. Non era la voce di Tancredi e in giro non vedevo nessuno.
Poi la udii di nuovo
"Frate’ guardami e non fare il ritardato."
Continuai a guardarmi in giro ma non vedevo nessuno. Non riuscivo a capire chi mi stesse chiamando.
"Ma sei scemo? Guarda in alto cazzo!"
Alzai la testa e vidi la luna con due grandi occhi e una bocca che mi parlava. Era come la luna con la faccia di Georges Mèliès.
"Mi stai parlando tu o sono pazzo?"
"Entrambe. Ti sto parlando io perché sei pazzo."
Sì, la luna mi stava parlando, e mi parlava come un qualcuno appena uscito dal ghetto.
"Perché mi chiami? Che vuoi?"
"Voglio che fai meno il drammatico."
"Faccio il drammatico quanto mi pare."
"La verità è una strada a doppio senso e ci s' invortica gne gne. Ma smettila un poco!"
"Smettila tu. E fatti i fatti tuoi."
"Mi sto facendo i fatti miei."
"A me non sembra proprio."
"Fra’... guarda che sono frutto della tua fantasia, estensione del tuo subconscio, illusione, immaginazione, pensieri sotto forma di impulsi visivo-uditivi! Hai capito?"
"Se sei parte di me lo sai che ho capito."
"Effettivamente."
"Allora perché sei qua?"
"Ma te l'ho detto, no? Perché sembravi una checca. Io, essendo te, odio un sacco questo modo di parlare così melenso e adolescenziale."
"Infatti mi sentivo un po' una ragazzina in preda agli ormoni mentre pensavo."
"Eh, lo so, lo so. Cioè mica siamo in un libro scarso scritto da chissà quale mongoloide per dare una sorta di sfogo ai suoi disturbi psicologici inutili. Insomma."
"Ma lo sai che hai proprio ragione."
"Ma lo vuoi capire che sono te?"
"Ah, sì... scusa. Comunque abbiamo ragione. Questa è una storia vera, e se fosse un libro lo avrebbe scritto il più intellettualmente sopraffino e abile e integerrimo degli uomini."
"Eh, già."
"Ma perché sei ancora qua, scusa?"
Non appena lo dissi la luna tornò una semplice luna, e io cominciai a sentire dei passi provenire da fuori.
Qualche secondo dopo vendo un ombra scavalcare il cancelletto arrugginito che delimitava il mio cortile.
Era Tancredi.
"Ma parlavi solo?"
"No, ma ti sembro il tipo?" dissi mimando un’espressione che lasciasse intendere l' opposto.
"Abbastanza."
"Meh."
"Comunque, che mi dovevi dire?"
"Ascoltami Tancre’, sono serio. Sei stato tu a sparare a Bartolomeo?"
"Be’, Sì. Ma era un pezzo di merda, Se lo meritava. Chissà quante altre volte avrà fatto cose di ‘sto tipo."
"Forse se lo meritava, Ma non è compito nostro fare certe cose. Ci sono Tribunali, poliziotti e un sacco di altre cose. Noi dovevamo solamente bruciargli la macchina con eleganza."
"Sono sicuro che anche tu hai sognato e avresti voluto picchiarlo, ma a te bastava immaginarlo. Dovresti essere più come me. Le cose devi farle, non sognarle."
"Questo non vuol dire niente. E poi sei stato tu a dire che non volevi uccidere nessuno e che non lo avresti mai fatto."
"Infatti non l'ho ucciso."
"Ma c'eri quasi cazzo! Sei una persona incoerente."
"Io dico sempre di essere incoerente, e il comportarmi da incoerente fa di me una persona coerente."
"Se sei incoerente dicendo di essere incoerente diventi coerente e diventando coerente sei incoerente con quando hai detto di essere incoerente e così via. Sei un coglione."
"E quindi?"
"E quindi non fare più ‘ste cretinate! Se ci mettiamo d'accordo per una cosa non devi farne un’altra! E poi hai sparato a una persona! Ma ti rendi conto?" ribattei tutto d’un fiato.
"Io ho fatto solo quello che dovevo, non mi pento di niente. E poi io l'ho fatto anche per te!"
"Lo so che lo hai fatto per me, e per questo non ho detto niente riguardo a te. Ma resta comunque una cosa sbagliata. Senti Tancre’ io ti voglio bene, ma hai fatto una cosa da schizzato."
"Anch'io ti voglio bene, ma sei tu che non capisci. Se una cosa va fatta, va fatta e basta."
"È inutile parlare con te. Ma chi altro lo sa che sei stato tu?"
"Nessuno."
"Ania nemmeno?"
"Nessuno."
Continuammo discorrere per un’ora e fino a far scaldare entrambi i nostri animi. Nonostante io non sia un tipo violento il tutto culminò quasi in un conflitto fisico. Capite bene, amico mio, che se un vostro amico non comprende di aver fatto qualcosa di così sbagliato, come sparare a qualcuno, allora la discussione prenderà inevitabilmente una brutta piega e difficilmente le cose andranno poi risolversi.
Questo, per fortuna, era uno di quei rari casi.
"Tancre’, solo una cosa."
Mi guardò dubbioso e per qualche motivo aveva un occhio, quello giallo, chiuso.
"Dimmi."
"Ma dove hai preso la pistola?"
"Te l'ho già detto una volta."
"Sì e non mi ricordo. Dove l'hai presa?"
"Senti, è tardi. Io vado a casa."
"Però rispondimi."
"Ma che importanza ha scusa? Io vado a casa."
Poi si allontanò in silenzio e scavalcò di nuovo sulla strada per poi 'incamminarsi nel buio.
Dopo averlo visto allontanarsi salii in casa e vidi mia madre sveglia. Disse che aveva percepito che non fossi in casa e che si era preoccupata ma si calmò quando dopo essersi affacciata dal balcone mi vide da solo nel cortile.
“Avevo bisogno di aria fresca. Mi sentivo rinchiuso.” mi giustificai.
Dopo quella sera Tancredi scomparve nuovamente e per lo stesso periodo di tempo lo stesso successe con Ania. Probabilmente erano insieme e fare in terzo in comodo era tra i miei talenti ma non tra le mie passioni. Sbloccai il telefono e aprii la rubrica e per un secondo ebbi l’impressione di avere la rubrica piene di sue chiamate, ma l’impressione scomparve immediatamente.
La chiamai comunque e lei rispose tempestivamente.
"Sì?"
"Zoccola, hai da fare?"
"Sono in giro con un mio amico e Carla."
"Vi va se vi raggiungo? È un po' che non ci vediamo."
“Per me va bene. Ma perché dici che è un po' non ci vediamo?"
"Dico che è un po' che non ci vediamo perché, essenzialmente, è un po' che non ci vediamo. Strano vero?"
"Secondo me hai vuoti di memoria."
"Probabile. Ma voi dove siete?"
"Siamo in centro, vicino il Central Thè."
"Va bene. Aspettatemi là."
Li raggiunsi dopo venti minuti e la prima cosa che notai fu l’amico di cui mi parlava.
Un non-alto dai riccioli d’oro, con movenze femminili e dall’atteggiamento mellifluo.
Si vedeva da come di vestiva e da come parlava che era un Dipendente della peggior specie. Li salutai tutti, ma rimanemmo presto solo io e Ania poiché Tony, questo era il suo nome, si allontanò insieme a Carla.
Avrei voluto dirle tutto su Tancredi e su Bartolomeo, ma sapevo che lui era un argomento da evitare con lei. Certe volte sembrava facesse finta di non conoscerne l’esistenza. Non che io abbia parlato di Tancredi con lei molto spesso, ma una o due volte sarà sicuramente successo, quindi era un argomento da evitare. Però qualcosa da chiedere ad Ania l'avevo.
"Ma dove hai messo la pistola?"
"Non te lo posso dire. Sei stato tu a dirmi di non dirtelo."
"Lo so, lo so, ma mi può servire."
"A chi devi sparare sta volta?" disse mimando la pistola con le mani.
"A te. Ovviamente."
Lei rise.
"Sul serio. Dov'è?"
"A che ti serve?"
"A niente per ora. Ma non si sa mai. Anzi forse la distruggerò."
"Mmmh..."
"Ma poi la pistola è di Tancredi. Lui non ti ha chiesto niente?"
"Senti smettila."
Immaginavo una risposta del genere.
"Va bene, la smetto. Ma hai intenzione di dirmi dove hai messo la pistola?"
"E se ci seguissero?"
"Ma secondo te si mettono a seguire due ragazzi per un caso improbabile e privo di prove?"
"Non è che hanno molto da fare qua."
"Effettivamente", aggiunsi sarcasticamente."Però, dai, andiamo."
"Okay ti accompagno."
"Però stavolta evita di spararmi che poi la cosa diventa lofia[1]."
Non appena finii la frase partì in quarta, mi agguantò il polso e ,i strattonò in avanti.
La cosa mi portò a pensare a tutte le volte che qualcosa del genere era successo, facendomi riflettere sulla ripetitività dei gesti e dei comportamenti e su quanto sia diverso un umano da un computer data la somiglianza nel metodo di reazione.
"Ma dove stiamo andando?"
"Forse mi sono persa."
"Sei davvero unica. Ma ti ricordi più o meno com'era il posto?"
"Diciamo di sì."
"Allora spiegami che magari capisco dove l'hai messa."
Alla fine dopo una spiegazione lunga e confusionaria capii dove avesse rifugiato la prova della stupidità umana.
Trovare il luogo generico, ovvero una sorta di cantiere abbandonato, fu sicuramente più facile che trovare il luogo specifico. Ironia della sorte volle che l’edificio in costruzione sarebbe dovuto diventare, a opera compiuta, un negozietto di armi.
Appena recuperai la pistola la guardai un po' per accertarmi che fosse lei e la riportai insieme ad Ania in quella vecchia casetta vicino la casa dello zio Rodolfo.
L’atmosfera era di un terribile e romantico vuoto sonoro che ruppi abilmente con una delle mie solite cretinate. In genere tali atti erano involontari, questa volta lo feci per necessità. il motivo penso sia ovvio. Quando lei tornò a casa rimasi a contemplare la pistola come fosse l’unico anello. Forse dovevo distruggerla, o forse Tancredi aveva ragione e avrei dovuto conservarla nel caso un giorno potesse tornarmi utile. Non trovai una soluzione quella sera, e quindi decisi che la cosa migliore da fare per adesso era lasciarla lì dov'era.
Rincasato mi venne passò di mente l’oggetto smarrito di mio padre, così decisi di consultare Becca per riuscire a trovarlo e toglierle un pensiero visto che di tanto in tanto ci ripensava.
"Becca, ma che avevi perso?"
"La confusione mi viene! Sempre io devo fare le cose qua! Sono stanca!"
"Oh ma’, perché rispondi con un altra cosa? Ti ho chiesto che hai perso, così casomai ti aiuto a cercare ‘sta cosa."
"Sì, ma non ricordo dov'era messa ‘sta cosa."
"Sì... per questo ti voglio aiutare a cercarla. Che cos'è?"
"Una cosa di tuo padre.”
"L'avevo capito. Ma perché parli sempre a metà? Dimmi cos'è e basta."
"Una pistola."
"Una pistola?"
"Sì."
"E me lo dici adesso che hai perso una pistola?"
"Io veramente lo dico da mesi."
"E che pistola era?"
"Una di quelle che si girano per caricare."
"Una rivoltella?"
"Che ne so come si chiama. Penso di sì."
La cosa mi fulminò e, come durante la fase REM, rimasi in silenzio a muovere gli occhi rapidamente.
"Ehm... e dove l'avevi messa l'ultima volta?"
"Io mi ricordo che era nascosta nell'armadio."
"Magari l'hai spostata per pulire o qualcosa così. Non l'hai toccata proprio?"
"No. Nemmeno una volta. Infatti per questo pensavo che fossi stato tu ad aver sparato a Bartolomeo. La pistola scompare da qualche mese, lui mi disturba e un ragazzo lo spara. Però lo so che non sei stato tu."
"Comunque sarà in casa, giusto?"
"Sì certo. Ma io ho cercato ovunque e non l'ho trovata."
"Dai adesso ti aiuto io."
In casa non riuscimmo a trovarla, e mentre cercavo cominciai a pensare qualcosa di impossibile: che era stato Tancredi a rubarmi la pistola. La cosa sembra insensata, ma una rivoltella grigia scompare e Tancredi aveva la stessa pistola. Inoltre non mi aveva detto come l'avesse avuta. La cosa però mi sembrò quasi banale, ma dei sospetti erano più che leciti anche se poco probabili. Quando l'avrebbe presa? Come faceva a sapere dove la teneva Becca? E mille altre erano le domande che non avevano risposta e che perciò rendevano vana l’idea.
Mi convinsi velocemente che lui non c'entrava nulla, tuttavia il dubbio restava e non riuscivo a liberarmene. Avevamo un’altra cosa di cui discutere oltre a ciò che avevamo lasciato in sospeso.
Fu un caso che il giorno dopo lo incontrai vicino casa mia. Tra noi non c’erano bisogno di convenevoli, così in breve e col tono quasi ostile andai dritto al punto.
"Perché Ania non parla mai di te?"
"E che ne so io."
"Cioè è una cosa un po' strana. Ogni volta che le parlo di te lei si comporta come se io la prendessi in giro."
"È una ragazza particolare."
"Abbastanza. Ma non mi hai ancora detto una cosa."
"Mi faccia indovinare. Lei, signore, ha in questo momento l'intenzione di chiedere alla mia persona in quale luogo e in quale modo un umano giovane della mia età sia riuscito nell'azione di procurarsi un’arma da fuoco a distanza semi-automatica? Voleva forse lei, o Sognatore, chiedermi delle informazioni riguardo questo?"
"Esatto. Dove hai preso la pistola."
"Ma tu non mi ascolti mai vero?"
"Senti, non uscirtene sempre con queste frasi. Dove hai preso pistola? Rispondi e basta."
"Ma tu lo sai dove l'ho presa. Anzi, lo sappiamo entrambi."
M'innervosii di scatto per le sue risposte che facevano tutto tranne che rispondere.
"Dimmelo senza fare giri di parole e senza dire altre cretinate. Parla cazzo!"
Anche se la mia alterazione andava peggiorando lui rimaneva immobile e apatico.
"E che pensi? Pensi che io possa aver rubato la rivoltella di tuo padre? E come avrei fatto?"
"Io questo non l' ho mai detto. Come fai a sapere questa cosa? E perché non rispondi? Cazzo!"
Tancredi scoppiò a ridere e a far versi senza senso, farneticare un sacco sotto voce cose che non compresi.
Gli occhi mi s’infuocarono e il sangue, a causa dell’accelerato battito cardiaco, iniziò a scorrere sempre più velocemente cambiando il colore della mia carnagione e il calore della mia pelle.
"Ma che problemi hai? Perché ridi come un malato?"
Lui continuò senza fermarsi e senza badare a me.
M’addossai a di lui e lo presi per il colletto della maglietta, avrei voluto picchiarlo.
"Senti, non me ne frega niente del perché sei pazzo! Dimmi dove hai preso la pistola e basta" sbraitai.
Non ottenendo nessuna reazione chiusi la mano e gli diedi un pugno in viso con quanta più forza avevo, ma lui fu come intangibile, sembrò non accusare il colpo e non averlo nemmeno percepito.
"Non ti sei fatto male?"
Rimasi sbigottito, ma aveva ragione, era come se il pugno lo avessi preso io, ma per l'adrenalina non ci feci caso.
"Tancre’, non m'interessa qualsiasi cosa tu dica. Dimmi solo come hai avuto la pistola. È quella di mio padre? Se sì, come l'hai presa?"
"Tu ancora non l'hai capito vero?"
"Che cosa?"
"Eppure tu dovresti essere il primo a saperlo."
"Smettila di girarci intorno e dimmi cosa. Che cosa dovrei sapere?"
Lui si fermò di colpo, rimase qualche secondo in silenzio con uno strano e leggermente macabro sorriso sulle labbra e poi parlò.
"Che io sono te!"
[1]Losca
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