Capitolo 8 di Anita Hamilton
«Insomma, Karen, la tua giacca è sotto al bancone. Vuoi darti una mossa?» sbotta per l'ennesima volta il signor Denver, che continua a sistemarsi il cappello a coppola con nervosismo.
«Abbi pazienza brontolone che non sei altro; do le ultime direttive e un saluto ad Anita e andiamo via» lo avvisa la moglie, roteando gli occhi verso il cielo.
Poi si china verso di me, che sono inginocchiata davanti ad uno scaffale per sistemare alcuni nuovi dischi impacchettati, e mi sorride dolcemente, come suo solito.
«Cara noi stiamo per andare a quella maledetta visita, ci dispiace di averti disturbata in uno dei tuoi giorni liberi, a breve dovrebbe arrivare mia nipote ad aiutarti. Se succede qualcosa, non esitare a chiamarci: ritorneremo qui in un lampo»
Annuisco freneticamente e la rassicuro sul fatto che andrà tutto bene e che riuscirò a cavarmela.
In un modo o in un altro, s'intende.
«Mi rincresce doverti lasciare da sola durante i tuoi primi giorni lavorativi, non capiterà mai più»
«Non dica così, la salute prima di tutto e poi, detto tra noi,» mi avvicino cautamente alla sua figura in modo da non farmi sentire dal vecchio poco piú in lá «sono così contenta di non dover subire le sue terribili freddure per le prossime ore!»
«Ti ho sentito, piccola ingrata, dovresti inginocchiarti al mio cospetto per averti dato pane da mangiare!» esclama l'anziano mentre si piega per raccogliere qualche oggetto precedentemente caduto. Sussulta per il dolore e si tocca la parte bassa della schiena con la mano.
«Track!» esclamiamo in coro io e la donna al mio fianco.
L'uomo ci guarda esasperato, ha recentemente scoperto che io e la moglie, insieme, siamo un binomio che distrugge la sua pazienza.
«Spero diano fuoco al negozio, così dopo potrei licenziarti!» continua lui imperterrito, mentre viene trascinato dalla moglie verso la porta.
«Non dimentichi che è stato proprio lei ad assumermi...e, a proposito, faccia una buona visita!» saluto vivacemente i due con la mano, prima di vederli scomparire dietro al primo incrocio della strada.
Sorrido.
Ah, che vecchietti adorabili! Sono uno spasso.
Rientro in negozio, decido di darmi da fare e comincio a recuperare vari scatoloni dal retro, rischiando anche l'amputazione di qualche arto.
Mentre i ticchettii del vecchio orologio a cucù scorrono lenti e inesorabili, rendendo l'atmosfera molto più spaventosa di quanto in realtà essa sia, afferro la scala per riporre i dischi nello scaffale piú alto.
Proprio quando tento di allungare il braccio verso il punto di massima altezza, e quindi un vero e proprio momento cruciale, il campanello trilla e un gran boato mi giunge all'orecchio.
Solo dopo mi accorgo di aver gridato per lo spavento e, per poco, non rotolo giù dalla scala. I dischi che cercavo di porre accuratamente al loro posto si trovano sparpagliati sul pavimento, a pochi metri di distanza da me.
Improvvisamente, tra gli alti scaffali compare la figura di una ragazza minuta che, rendendosi conto della situazione probabilmente da lei stessa causata, mi viene in contro e si appresta a sorreggere la scala alla quale mi ero momentaneamente aggrappata nemmeno fossi un koala.
«Oh mio Dio, ti sei fatta male?» mi domanda preoccupata, una volta che, sana e salva, le mie scarpe toccano finalmente il suolo.
«Io no, mi preoccuperei di più per loro» indico la moltitudine di dischi stramazzata al suolo. Un sospiro fuoriusce dalle mie labbra e, una volta che sento il mio battito regolarizzarsi, mi inginocchio per raccogliere in grembo tutti i dischi.
La ragazza si china per fare lo stesso e nel frattempo si presenta:
«Comunque mi dispiace, non volevo spaventarti; io sono Chloe Denver, tu invece devi essere Anita Hamilton, i nonni mi hanno parlato molto di te, piacere» la ragazza, ancora visibilmente mortificata, mi porge la mano. Per la prima volta, mi permetto di osservarla piú attentamente.
I capelli acconciati in un adorabile caschetto biondo scuro, la frangetta e le chiare lentiggini sul volto tondo le conferiscono un aspetto fanciullesco e dolce. Una gonna lunga e una maglietta bordeaux le fasciano il suo corpo minuto in modo armonioso. Sul volto un sorriso luminoso e rassicurante, proprio come quello della nonna. Le stringo la mano e ricambio il piccolo sorriso che mi rivolge.
«Allora Anita, come ti trovi qui?» mi domanda con l'intenzione di intavolare una conversazione.
«Benissimo, direi»mi guardo un po' intorno. «È esattamente quello che cercavo e di cui avevo bisogno. Poi qui è tutto così tranquillo e rilassante»
«Sfido chiunque a dire di essere "rilassato" sul posto di lavoro» ridacchia lei.
«Tu lavori qui da molto?» le chiedo con un pizzico di curiosità.
«"Lavorare" è un parolone, però posso affermare con fierezza di esserci cresciuta qui dentro» i suoi occhi brillano mentre mi rivela questo piccolo dettaglio della sua vita.
«Deve essere stata una bella infanzia, allora» rifletto tra me e me, anche se lei mi sente ugualmente.
S'incupisce improvvisamente e, subito, penso di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Ah, sì...qualcosa del genere» balbetta lei, mentre si volta per sistemare i dischi nello scaffale successivo.
«Io invece sono cresciuta tra campi e colline. Sai, una volta mi sono persa in un orto di melanzane e da quel momento non sono più riuscita a mangiarle. Fin qui tutto bene, ma il fatto é che amo letteralmente la parmigiana che cucina mio zio Max, così quando devo mangiarla mi faccio bendare» lei si ferma e, improvvisamente, sento fermarsi anche le pulsazioni del mio cuore.
Poi vedo le sue spalle vibrare in modo inconfondibile e la sua risata fragorosa esplodere nel negozio.
«Oh mio Dio, ho appena immaginato una bambina riccioluta che piange tra dozzine e dozzine di melanzane alla ricerca della via d'uscita e poi ne vede una sulla forchetta e, immediatamente, qualcuno la benda» si porta la mano alla bocca per fermare la sua ilarità.
Mi ritrovo a sospirare di sollievo ora che la tensione sembra essere sparita.
«Ehi tu, smettila di prendermi in giro, è stata un'esperienza terribile!» ribatto fingendomi offesa.
Le ore passano in questo modo, tra risate e dischi lucidi.
È orario di pranzo quando Chloe mi affida una consegna per una certa famiglia Lorren che, teoricamente, dovrebbe abitare due strade più avanti, nella casa dai mattoncini rossi.
Quando esco dal negozio, il vento si diverte a scompigliarmi i capelli, cosí con una mano cerco di metterli a posto dietro le orecchie.
So perfettamente dove mi sto dirigendo, ora basterà svoltare a destra e mi ritroverò davanti casa Lorren. Ed ecco che davanti a me appare un muro diroccato di un terribile colore grigio topo.
Okay, forse avrei dovuto svoltare a sinistra. Torno indietro velocemente e con l'ansia che si agita nello stomaco.
Erano due maledette strade da percorrere, non chilometri e chilometri nel deserto!
Neanche il tempo di raggiungere l'incrocio che, dal vicolo stretto di una stradina adiacente, appare la figura minuta di una bambina.
Il suo volto è una maschera di terrore, si guarda freneticamente intorno fino a che il suo sguardo non si ferma su di me, perforandomi.
Corre nella mia direzione e si arresta con un gran fiatone.
Mi allarmo immediatamente e le poggio una mano sulla schiena piegata.
«Che succede, piccola?» le domando con il tono più sicuro e gentile possibile.
«C'è un uomo che mi sta seguendo! Forse è un ladro di bambini, ti prego aiutami!» mi spiega gesticolando animatamente e indicando il vicolo buio.
EH? Un ladro di bambini? In pieno giorno?
Ora, da persona normale, dovrei prendere la bambina e scappare alla prima stazione di polizia nei dintorni per denunciare l'accaduto ma, visto che sono tutto tranne che una persona nella norma, prendo dalla mia tracolla il mio fidatissimo spray al peperoncino, mi armo di tutto il coraggio che solo una pecorella diretta al macello può avere, e sospiro.
«Tu resta qui e non muoverti, vado a controllare» la ragazzina, ancora scossa, annuisce freneticamente.
Mi dirigo a passo lento verso l'entrata della stradina, inoltrandomi in essa con sguardo vigile. Dopo qualche metro di silenzio tombale vi è un angolo da svoltare.
Rilascio aria dalle narici e, nonostante mi stia praticamente facendo sotto dalla paura, mi faccio coraggio.
Ed è un attimo.
Io che raggiro rapidamente l'angolo, il rumore di passi veloci, impugno immediatamente lo spray e poi succede tutto.
Mi sarei aspettata tutto tranne che di ritrovarmi col sedere per terra mentre, dolorante, mi tocco la fronte, temendo di non trovarla neppure tutta intera.
Se fossi andata contro un muro avrei di sicuro riportato gravi conseguenze alla scatola cranica quindi, di conseguenza, non riuscirei a pensare come invece sto facendo.
Così, quando riapro gli occhi, chiusi precedentemente come d'istinto per la botta appena ricevuta, trovo a qualche centimetro da me delle gambe fasciate da un paio di jeans neri strappati.
Risalgo la figura con lo sguardo partendo dalle scarpe rovinate fino ad incrociare degli occhi straordinariamente verdi, più scuri del fitto boscame.
La bomboletta di spray che prima era stretta nel palmo della mia mano, ora sta elegantemente rotolando a qualche metro da me, producendo un suono sinistro.
Rimango lì, con la bocca semi-spalancata sia per lo stupore che per il fascino del ragazzo mai visto, su cui sono inevitabilmente andata contro rischiando di perdere qualche ossa facciale.
«Credi di rimanere a fissarmi come un pesce lesso ancora per molto o alzarti e darmi una spiegazione sul cosa le stavi facendo?» indica qualcosa dietro di me e poi incrocia le braccia al petto.
Giro velocemente la testa e alle mie spalle vi è la ragazzina di prima, che spaventata lo indica.
«È lui, stia attenta signorina!»
Aggrotto le sopracciglia mentre l'adrenalina inizia a ribollire nelle mie vene.
Mi alzo di scatto portando le mani a spolverare le mie gambe da eventuali residui di terra. Con uno slancio porto la ragazzina dietro di me, iniziando a sudare freddo.
Sono disarmata davanti a un uomo che è il triplo di me e non so cosa diamine fare.
«Non provare ad avvicinarti, lurido ladro di bambini!» sbotto irritata puntandogli l'indice contro e sfoderando uno sguardo omicida e una voce sicura che non mi appartiene.
Lui mi guarda da capo a piedi mentre la confusione che alberga sul suo bel visino scompare, per dare posto a un sorrisino ironico e di scherno.
«E tu chi diavolo sei? Non vogliamo piccole Fiorenti rimbambite alte un metro e una lattina nei nostri quartieri, quindi vedi di andartene subito» mi sbotta contro, rendendo l'espressione del suo viso spaventosamente seria, tanto da sembrare disgustata.
Ancora con questo "Fiorente"? Ma di che diamine parlano tutti quanti?
Se crede di spaventarmi o farmi demordere l'osso si sbaglia di grosso, incrocio le braccia al petto sfidandolo con lo sguardo.
«Se provi a fare un solo passo, toccando me o lei, caccio un urlo così forte che mi sentiranno tutti nel raggio di cento metri. Puoi essere alto e grosso quanto ti pare, ma in manette questo non conta»
Ma in che diavolo di situazione mi sono cacciata?
Improvvisamente scoppia a ridere, mentre il mio sguardo apparirà sicuramente confuso.
Cos'ha da ridere, ora?No, perchè io sono serissima.
«Vedi di calmarti razza d'isterica, c'è stato un fottuto fraintendimento!» questo non fa altro che innervosirmi ulteriormente.
Ora che il cane ha capito di essere in pericolo tenta di demordere l'osso per discolparsi. Mi crede davvero così stupida? Se pensa che abbasseró la guardia e mi farò fregare sotto al naso, si sbaglia di grosso.
«Che figata questo coso, come si usa?» un bambino riccioluto compare dietro l'affascinante delinquente e, tra le mani, agita il MIO spray al peperoncino.
«Ehi! Quello è mio, giù le mani!» faccio per avvicinarmi a lui, ma Mister fascino-malsano allunga il suo braccio davanti al ragazzino per nasconderlo dietro di sè.
«Ma che fai, sei tu il delinquente, mica io! Chi è lui, un bambino che hai rapito? Guarda che dopo questa andrò dritta alla stazione di polizia e ti farò arrestare!» lo minaccio ancora.
Ma cosa cavolo ho detto se probabilmente non saprei neppure come ritornare al negozio senza perdermi?
Dettagli che lui non conosce, peró.
«Io non sono un delinquente, sei te la pazza che ha rapito mia sorella!»
Sorella? Ma cosa va blaterando questo tizio qua? Forse ha ingerito stupefacenti.
Divento paonazza.
«Certo che come criminale fai piuttosto schifo, pensi davvero che io ti creda?» ribatto infuriata, mettendo nel mio tono tutto il disprezzo che al momento riempie i suoi occhi.
Meravigliosi ma pur sempre disgustati, affascinanti ma che esprimono solo astio nei miei confronti, tanto da farmi rabbrividire.
Mi hanno rivolto occhiate di tutti i tipi, dalle più ridicole alle più crudeli,
dalle più insignificanti alle più accurate, eppure c'è qualcosa in questo sguardo penetrante che lo rende più sconvolgente di qualsiasi altro.
Neanche il tempo per ribattere che improvvisamente sentiamo delle risate fragorose. Ci voltiamo entrambi verso i due ragazzini, che ora sono uno al fianco dell altro e si stanno tranquillamente sbellicando dalle risate.
«Okay ragazzi, il gioco è bello finchè dura poco e con questo scherzetto di merda non vi azzardate a disturbarmi a lavoro per i prossimi due mesi.»
Gioco? Scherzetto? Questo tizio lavora pure?
Se ora partecipassi a un concorso di espressioni facciali, vincerei il primo posto per "miglior faccia d'ebete dell'anno", con tanto di bocca spalancata e gocciolina di sudore sulle tempie.
«Qualcuno può spiegarmi che diavolo sta succedendo?» domando spazientita, ricordando ai miei simpatici interlocutori la mia presenza.
Sono così arrabbiata che potrei essere paragonata ad una presenza demoniaca in un ospedale psichiatrico abbandonato.
Dovrei smetterla di guardare quei stupidi programmi sul paranormale, lo so.
Il verde dei suoi occhi incrocia il nero senza fondo dei miei, sembrano intraprendere una guerra fatta di sguardi, finché lui non distoglie il suo, allontanandolo dalla debole ma curiosa presa del mio.
«Ascolta, mia sorella e mio fratello hanno voluto farci uno dei loro soliti scherzi, anche se questa volta hanno esagerato» lancia uno sguardo fulminante ai due per poi riportare la sua attenzione su di me.
Infatti ora che li guardo meglio, si somigliano spaventosamente e se solo avessi prestato più attenzione mi sarei accorta molto prima che i bambini sono una coppia di gemelli.
«Fai finta che non sia successo nulla e dimentichiamoci di quest'accaduto» propone tranquillo.
«Ah, allora sarebbe questa la tua soluzione del problema?» mi porto le braccia al petto, dopo aver fulminato sia i bambini, che parlottando tra di loro mi stanno abilmente prendendo in giro per la mia altezza, sia l'armadio vivente che mi sta osservando così intensamente che potrei prendere fuoco da un momento all'altro.
«Problema? Sono solo due bambini.
E tu sei solo una sconosciuta che si trova nel posto sbagliato. Ritornatene a casa e chiudiamola qui.»
Lo vedo voltarsi e allungare le braccia sulle spalle dei due bambini, pronto per allontanarsi verso qualche meta a me sconosciuta.
La bambina si volta leggermente verso di me e, continuando a camminare, mi saluta con la mano.
Guardo le spalle possenti del ragazzo intrappolate in una maglietta nera, fino a che non svoltano l'ennesimo angolo e scompaiono dalla mia visuale. Mi lasciano lì, travolta dal gelo e dal silenzio di quella stradina. Stringo i pugni lungo il busto così forte che sembrano voler esplodere, mentre il mio viso si colora di rosso per la rabbia e l'irritazione.
Ma chi diavolo si crede di essere quel tipo?
Angolo autrice:
Salve a tutti, questo è il mio primo angolo autrice. Abbiamo deciso di scriverne uno sotto ogni capitolo per la necessitá di firmarci, dal momento in cui a scrivere questo romanzo siamo in due. Ci tenevo a ringraziare tutte le persone che hanno deciso di intraprendere la lettura di questa storia e a tutte quelle che ritagliano un po' del loro tempo per commentare. Complimenti, riflessioni e critiche costruttive ci rendono davvero molto contente e ci aiutano a crescere. Grazie mille a tutti, vi auguro un buon proseguimento.
//Lucy🐧
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