Capitolo 7 di Violet Price

«Non capisco per quale motivo tu debba nutrire così tanto risentimento nei suoi confronti. Lo stai dipingendo come l'orco cattivo della coppia, quando è palese che David sia un bravo ragazzo e un ottimo lavoratore. Oltretutto, questo è un periodo molto difficile per lui.»

«Papà, ascolta, io ci provo anche ad essere comprensiva...»

«Il tuo problema è che hai la testa dura come il pane. Come il pane? Cosa dico? Sei marmo, Violet. Devi imparare ad ascoltare. Io ho molta più esperienza e posso dirtelo. Quel ragazzo ha ragione da vendere, ma tu sei sempre pronta a replicare come se fossi una donna vissuta!»

«No, questo non è vero! So ascoltare».

«Ok, allora fa' come credi» sbotta, scorbutico. Io respiro, sospiro, brucio l'aria con gli occhi.

«Domani sarò impegnato per tutta la giornata, quindi non so se...»

«Va bene, ho capito» lo interrompo, risparmiandogli di arrampicarsi agli specchi per trovare una delle sue banalissime giustificazioni.

«Buonanotte, Viola»

«Buonanotte papà»

Con l'alito amaro e la seccatura in corpo mi dirigo in bagno. Sono arrabbiatissima. Come può dare ragione a David e non a me? Sembra che ogni azione sia giustificata dalla malattia di Victoria, assurdo.

Chiudo la porta e mi svesto velocemente, prima di entrare nella vasca. Lascio sbollire il dispiacere e poi mi immergo con il capo e i capelli nell’acqua, che modella i pensieri, rendendoli meno spigolosi.

E' sempre stato così, fin da piccola.

Il vapore accarezza le mie guance rosse, io provo a distendere i nervi, ma non mi sento molto bene. Detesto sentirmi così insoddisfatta tanto quanto detesto essere sopraffatta dalla solita sequela di emozioni malsane. Per di più il broncio non mi dona affatto e io non sono a mio agio quando lo indosso.

Sospiro.

Guardo la maglia del pigiama di Anita ripiegata sul lavabo e penso a tutte le volte che David lasciava le sue giacche di tweed sul mio letto.

Non ha ancora visualizzato il mio messaggio, ma sono sicura che l'abbia letto quando gli è apparso in anteprima sullo schermo del cellulare.

Mi assopisco, ma dopo venti minuti apro gli occhi perché l'acqua è diventata tiepida, quasi fredda. Poggio le mani sui bordi della vasca per fare pressione e mettermi in piedi, ma è come se mi attirasse e mi implorasse di non andare. Un ultimo sforzo e sono dinanzi allo specchio luminoso.
                                 ***                                                         
David mi ha scritto "Tra un'ora ti chiamo" e io indosso il mio sorriso migliore perché sono sollevata dal fatto che mi abbia risposto.
Sono anche sicura che mio padre gli abbia parlato e che abbia provato a farlo ragionare. Gliene sono tanto grata.

Applico sui miei capelli castani uno spray ai cristalli liquidi per rigenerarli, districarli e renderli lucenti. 

Voglio godermi Chicago, 'stasera.

«Posso?» domanda Anita bussando alla porta.

«Entra pure, Ani »

Rovisto nello scrigno portagioie alla ricerca della collana di perline celesti regalatami da David. Poi, sbarro gli occhi azzurri, tenendo tra le mani l’anello d'argento che ho appena scorto.

«Sei bellissima!»

La tormalina rossa brilla alla luce del sole e mi sembra di rinascere.

Mi volto. La mia coinquilina mi guarda con curiosità.

«Cos’è, uno di quei cerchietti che vanno tanto di moda?»

Avevo compiuto sei anni da qualche ora, quando mia madre me lo regalò.

«E’ un anello»

Lo infilo, esco dal bagno mentre Anita recupera la sua maglietta e prendo la mia borsa. «A più tardi» la saluto poi, uscendo dalla camera 323.

Mi allontano dal college e cammino per una buona mezz’ora ascoltando musica per le strade di Chicago. La luna rutilante oscura il cielo violaceo, quando mi inoltro in un viale deserto. A momenti David dovrebbe chiamarmi.

Cammino lungo un sentiero delimitato da ginepri profumatissimi. Un leggero venticello mi colora il naso e io mi chiedo per quale motivo non abbia portato con me il giubbino.

«Fermati!»

Sfilo le cuffie, voltandomi d’istinto, senza capire cosa stia succedendo.

Un motorino avanza verso di me, puntandomi in faccia una fastidiosa luce biancastra. Poi, mi si para dinanzi, impedendomi di continuare a camminare.

«Sì, principessa, parlo con te!»

È un ragazzo a parlare alle mie spalle, nel cuore del silenzio. Ha braccia macchiate d’inchiostro, il collo pieno di scritte verdi e nere, i pantaloni sporchi di calcestruzzo e il volto coperto da un casco grande e rosso. Dietro di lui, però, scorgo un'altra figura, che improvvisamente mi addita, facendomi impallidire.

«C-Chi siete?» domando con tutto il coraggio che riesco a racimolare, mentre le mani mi tremano e poi mi coprono il viso spontaneamente, senza che io dia loro alcun impulso per farlo. Stringo la borsa a me, mentre tanta angoscia mi assale e la mia testa prega con tutta la devozione di questo mondo.

Le parole volgari sono sostituite da urla traboccanti di minacce. In un attimo sono una cascata e respirare comincia ad essere faticoso. Il motorino viene spento. Una risata riecheggia nell'aria ed è talmente acuta da riuscire a penetrare le pareti della mia mente con così tanta violenza che quasi mi sembra di trottolare su me stessa.

«Ferma, cazzo!» mi intima uno dei due, poggiando qualcosa contro la mia tempia. Percepisco un dolore lancinante alla mano e al braccio destri. Perdo uno, due, tre battiti e cado a terra.

Qualcuno urla ripetutamente il mio nome. Lentamente prendo coscienza.
«Violet. Dio, rispondi!»
Le ciglia sembrano essersi appiccicate alle palpebre. Qualcuno mi abbraccia. Mi sento al caldo, ma non riesco a capire chi sia accanto a me. Poi i miei capelli si spargono sul mio viso. Sono di nuovo a terra, sola.

«Violet, mi senti?»

Mi lamento, farfugliando il suo nome. Sì, è lui, l'ho riconosciuto dalla voce.
Steve è accanto a me, ne sono sicura.

Mi volto a destra e vedo gli occhi rossi del mio amico annegati fra mille lacrimoni, la faccia pallida come la mozzarella.

«Perché sei venuta qui? Non ne vale la pena» piange sulla mia spalla nuda e io non riesco a fare a meno di sorridergli con riconoscenza. E' così avvilito e rattristato che i sensi di colpa mi assalgono e il groppo in gola che avevo diventa sempre più insopportabile. E' come se fosse il mio angelo custode, Steve. E' sempre con me, al mio fianco, e per tutto questo non posso fare altro che essergli profondamente grata.
Mi alzo faticosamente riprendendo consapevolezza e lo ringrazio sinceramente per avermi aiutata.

«Sei svenuta, ma non hai sbattuto la testa» mi spiega, prima di consigliarmi premurosamente di ritornare al college per controllare che sia tutto a posto. Rifiuto e mi tocco le tasche per recuperare il cellulare e avvisare mio padre, ma non lo trovo.

Ho una brutta sensazione e in più mi sento come se fossi svestita, come se avessi perso qualcosa. Mi guardo intorno e poi guardo me stessa: il vestito, i tacchi...la borsa! Mi passo le mani sul viso e le nocche pulite mi svuotano.

«Non ho l’anello!» urlo. «L’anello di mia madre è stato rubato!» impazzisco, ansimando e spalancando le labbra come una psicopatica.

«Aspetta, Violet, calmati!» le sue sopracciglia scure si avvicinano e provano a rincuorarmi insieme al suo sguardo comprensivo, ma niente da fare.

«No, Steve! Tu…tu non capisci, non…»

«Ascoltami» mi prende il viso tra le mani, ma io sono fuori di me. Mi scosto. Non posso. «Ti rendi conto di cosa mi hanno portato via?»

Tutto quello che avevo di lei adesso non è più mio.

«Vieni»mi prende per mano, «calmiamoci un po'»

Con me non funziona questa stupida, stupidissima frase. Sono continuamente calma, ma quando perdo la pazienza non so più come ritrovarla.

«In periferia c'è soltanto gentaglia. Quello non era il tuo posto. Adesso sei provata, è normale, ma non urlare in questo modo. Non ti fa bene»

Non ribatto niente perché non ho le forze per farlo. Cammino a passo lento, tenendomi al suo braccio senza proferire parola. Sono esausta e sconvolta.

Steve rispetta il mio silenzio. Sa ascoltare. Sa consolare. Ogni tanto apre bocca, ma senza mai essere inopportuno.

Mi confido ogni tanto, ne ho bisogno.

«E quindi lui non ha mai più telefonato?»

«No.»

Lascio scivolare qualche lacrima, evitando il suo sguardo. La sua presa diventa più forte, più rassicurante. Ci sediamo su una panchina al di sotto di un albero d’arancio.

«Non puoi soffrire così tanto per un ragazzo»

«Fosse così facile come sembra, non lo farei, credimi»

Steve sfila un fazzoletto dalla tasca dei suoi jeans e me lo porge. «Aggiusta il mascara»

Lo accetto.

«Distraiamoci un po’. Cambiamo argomento. Come vanno le lezioni?»

«Tutto okay»

«Tutto okay significa “meravigliosamente bene” o “sono una noia assurda, ma non voglio sembrare diversa da tutti voi”?»

Lo guardo stranita. «Mi dai l’impressione di una persona che sa tante cose»

«Ti lascio il beneficio del dubbio.»

Rido. «Grazie per avermi aiutata»

«Sembra che tu stia per andartene e che questa frase voglia precedere la buonanotte»

«Domani ho lezione» mi giustifico, imbarazzata e infreddolita.

«Oh, anch’io, ma sono solo le otto e mezza»

«La mia coinquilina mi sta aspettando…»

«Mi sembra di averla vista uscire»

«Cosa? Lei ha la mia carta magnetica, cavolo»

«Mangia qualcosa con me, no?»

«Non…»

«Dai! Guarda che non ti pregherò se mi dirai di no»

Alzo gli occhi al cielo e lo seguo. 

Arriviamo in un piccolo bar in centro dopo pochi minuti. Il posticino in questione è un ambiente molto stretto, ma accogliente. Dietro al bancone verde, che ospita bicchieri di vino di ogni tipo e cannucce colorate, c'è una donna sorridente e dal bell'aspetto.

«È Angelica, la proprietaria del negozio. È davvero gentile, ma anche un gran chiacchierona. Quindi smettila di fissarla se non vuoi sentirla parlare per le prossime dieci ore».

Rido mentre mi accomodo con lui ad un tavolino verniciato di blu.

Steve mi offre acqua e mi compra dei pasticcini, perché rustici e pizze sono finite, ma io li rifiuto.
«Non ho affatto intenzione di ingrassare»

«Guarda che tra i due dovrei preoccuparmi io!»

«Non è vero, tu stai bene in questo modo»

«Mi hai fatto un complimento, Violet?»

«Mh, non montarti la testa, Steve. Sfortunatamente o fortunatamente il mio cuore appartiene totalmente ad un coglione che vive a poche ore da qui»

«Scherzavo, anch'io sono impegnato»

«Davvero?» sorrido, felice.«Raccontami allora, perché non me ne hai parlato?»

«Si chiama Scarlett. È più piccola di me, ha diciott'anni. Ci siamo conosciuti al mare cinque anni fa, quando eravamo davvero molto piccoli. Fra un po' verrà da me, per il Natale, sai. Staremo insieme»

«È fantastico il modo con cui parli di lei»

Steve sorride, consapevole. «A proposito, andiamocene che devo fare una cosa. Sicura che non vuoi nulla?»

Resto fedele alla mia sana, sanissima decisione e usciamo dal bar.
«Eccola lì, a breve chiuderanno!»

«Una gioielleria?» domando, senza capire.

Steve annuisce. «Voglio farle un regalo e tu mi farai da consigliera»

Batto le mani: «Sì, mi piace l'idea. Ci sto!»

Ci rechiamo in gioielleria, dove lo stomaco mi si attanaglia di nuovo al ricordo dell'anello perduto. Steve sembra non farci caso, forse perché non ne ha compreso l'importanza, e cammina dappertutto alla ricerca di una collana, un bracciale, qualsiasi cosa purché sia perfetto e adatto a Scarlett. Sono sicura che entrambi si vogliano molto bene.

Gli propongo un bracciale, ma lui mi dice di voler optare per qualcosa di più originale, così continuiamo per una buona decina di minuti a farci domande e a scegliere orecchini e collane da cui puntualmente distogliamo lo sguardo.

Steve fa facce buffe e strane quando si ritrova di fronte prezzi esorbitanti ed eclatanti ed io penso proprio di essere fortunata ad averlo accanto nella sfortuna.

Sono contenta che abbia incontrato una persona come lui. Schietta e sincera. Prontamente disponibile e speciale. Forse, il tempo potrà essere beneficiario e darmi modo di ricredermi su tutto quello che ho sempre pensato. Nel frattempo, non posso fare altro che augurarmelo e godermi tutto quello che ha in serbo per me.

Vedo Steve prendere un anello con un diamante piccolo ma elegante, portabile in ogni occasione. Lo guarda innamorato, estasiato, e dice che quello farà sicuramente impazzire Scarlett. Mi abbraccia calorosamente, tenendo il sorriso stampato in viso e, mentre paga, non smette di ringraziarmi.
«Non so come farei senza te».

«Io non ho fatto niente, Steve. Anzi, è il contrario. Tu mi hai salvata, in tutti i sensi».

Lui borbotta qualcosa, poi sospira: «Se solo fosse così...»

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