Capitolo 31 di Anita Hamilton

Non voglio crederci, non posso.

Per me, immaginare quei due come gli artefici di una rapina a danno del mio college è impossibile. Davanti ai miei occhi ho i loro sguardi sereni e divertiti mentre cuscini di piume volano da una parte all'altra del salone e, al solo pensiero di quello che adesso potrebbe capitare, sento lo stomaco accartocciarsi su se stesso come una carta sporca.

Perchè avrebbero dovuto farlo? Per soldi, per divertimento, per sentirsi grandi?
No, loro non sono questo. Quei due valgono molto di più, ed io non crederò a nessuna prova che non siano le loro più sincere parole.

Questa volta, non accetterò avvertimenti, bugie o atti eroici che prevedono un mio rapido allontanamento, non muoverò un solo muscolo fino a che, guardandomi negli occhi, Ashton non mi avrà raccontato ogni cosa. 

Questo pensiero mi offre la forza necessaria per poter correre sempre più velocemente, oppressa dal timore di arrivare lì e acquisire l'amara consapevolezza di essere giunta in ritardo, quando ormai è troppo tardi.
L'idea di non vederli, di non accertarmi che stiano bene, di poter ancora credere che nonostante tutto se la caveranno anche questa volta, è talmente frenetica da non permettermi di pensare alle gambe che mi duolono.

Non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di quei due che vagano nella scuola di notte, le spalle di Ashton voltarsi e il suo viso apparire completamente nell'obiettivo della telecamera di sicurezza, Dylan compiere dei segni sconosciuti con le mani, abbassarsi e rialzarsi velocemente nel buio più totale.

E mentre corro, scuoto la testa con forza per eliminare quel che i miei occhi hanno visto e, in qualche modo, vorrei fare le stesso con quello che il mio cuore continua a percepire; scuoterlo fino a fargli dimenticare quello per cui non riesce a smettere di battere incessantemente.

Ho capito di non essere pronta a mettere la parola "fine" a tutto, ci sono troppe cose in ballo che non posso permettermi di perdere. Io...io non voglio perderlo.

La verità è che lui mi ha stravolto la vita, completamente. Sin da quel momento in cui i miei occhi hanno incrociato i suoi in quel vicolo buio e umido, sin dai primi avvertimenti sulla periferia, dai primi modi bruschi a causa dell'incomprensione e dalle prime gentilezze, da un "grazie" sussurrato per orgoglio e un "mi fido" detto d'impulso, senza pensare. Sin dal momento in cui mi ha tenuta dietro di sè, proteggendomi col corpo e con l'anima, sin dal momento in cui ha preso la mia mano e mi ha portata in alto, mostrandomi un cielo pieno di stelle e la sua anima piena di mancanze.

Questa volta ci diremo davvero addio?
Quello che, per un motivo o per un altro, rimandiamo ogni volta come se il dolore di non sentirci accanto fosse proporzionalmente maggiore a quello che potremmo infliggerci prestandoci a questi sentimenti che un momento sono vividi e posso sentirli nel palmo della mia mano e l'altro sembrano sfuggire, scivolarmi come olio tra le mani.

Ma quanto è bizzarro il destino che ci ha voluti qui, uno dinanzi all'altro, a contemplarci, a realizzare il fatto che nonostante tutto quello che si precipita contro di noi troviamo sempre il modo di evitarlo senza farci male e ricongiungerci per poi ferirci fino a sanguinare.

I capelli umidi, i muscoli tesi, il petto imperlato di sudore coperto da una semplice canottiera bianca. Fuori ci sono tre gradi e lui pensa di potersene andare in giro vestito così, perchè ovviamente Ashton Taylor non sente il freddo, non sente nulla.

Dopo interminabili secondi, con quel pensiero nella mente trovo il coraggio di avvicinarmi e lasciarmi andare, prendere tutte le ansie, tutte le paure, tutto il dolore e scaraventarglielo addoso.
Così, magari avrebbe compreso cosa significhi trascinarsi dietro tutto quello che è  riuscito a gettarmi addosso, straziandomi dentro.

«Tu!» avanzo a passo felpato nella sua direzione, con l'indice già puntato sul suo petto.
«Ma io dico, sei completamente impazzito?!»
«Mi devi spiegare cosa diavolo ti è passato in quella testolina bacata che ti ritrovi per non essere riuscito ad attivare quei due neuroni che ti sono rimasti e pensare seriamente a quello che stavi facendo!»
«Siete consapevoli del casino che avete fatto? Dei guai che adesso potreste passare? Ma avete la minima idea del concetto di "conseguenza" che subentra ogni qual volta si prende la maledetta decisione di compiere un atto tanto grave?»

«Io lo sapevo che eri un cazzone, ma non ti credevo un cazzone così stupido! Siete in tutti i video delle telecamere, c'è la tua faccia lì sopra. Perchè lo avete fatto, eh?» come se fossi indemoniata, continuo a trasformare in aspre parole tutto quello che sento dentro, tutti i dubbi che mi divorano, tutti gli insulti risparmiati, tutte le reazioni camuffate e inghiottite.

Lui è lì, immobile, con gli occhi spalancati. Mi guarda ma non mi vede, mi sente ma non mi ascolta, sono io ma non mi riconosce.

E io impreco, sbraito, gli dico che non è giusto quello che ha fatto, che non avrebbe dovuto entrare di soppiatto nell'università e uscirne con la forza recando danni non indifferenti. Trasformo le lacrime in parole, perchè sono consapevole di quanto entrambe facciano male. E in quelle determinate parole ci metto tutta me stessa, tutta la situazione insostenibile che si è creata tra di noi.

«Dannazione Ashton, sto parlando con te, dammi una risposta!»
Non fiata, il suo corpo teso sembra essersi paralizzato e potrei dire lo stesso della bocca.
«Che c'è, adesso che devi parlare non lo fai? Adesso che è il momento giusto per parlare, ti tiri indietro? Cosa farai, scapperai ancora una volta?» imperturbabile silenzio regna intorno a noi, mentre dentro accade il finimondo.
   
«Dimmi qualcosa, Ash, qualsiasi cosa, ma fallo qui e ora!» apre la bocca come per dire qualcosa, ma poi la richiude. È come se dentro di lui fosse in atto una guerra tra due parti distinte della sua coscienza, ma alla fine le sue labbra tornano ad essere una linea dritta che fa ombra sul suo viso e  la mia speranza si spegne come la fiamma di una candela al primo soffio di vento.

«Credi di poter fare quello che vuoi? Di sconvolgere ogni cosa e poi sparire? Io mi sono fidata di te, Ash. L'ho fatto senza alcuna garanzia e tu mi hai ferita cacciandomi via dalla tua vita, e adesso? Non merito neppure una risposta da te?»
Sento le mie mani sul suo petto, lo spingo con tutta la forza che ho una volta, due volte, tre volte e ancora.

«Anita...»
«Ti sei divertito a fare a pezzi quella stanza, Ash? Magari pensavi che causando danni al college in cui studio mi avresti fatto un dispetto? Che mi sarei messa a piangere nuovamente? Che mi avresti fatto ancora più male di quelle parole ripetute nella mia testa come se fossero una condanna?»

«Anita, io...»
Ormai non ci vedo più dalla rabbia, non sento neppure i suoi sussurri.
«Io ho sperato veramente che tu fossi diverso da tutte le persone che ho incontrato qui a Chicago. Da tutti quegli sguardi di disprezzo, da tutta quella ricchezza sprecata, portata in giro come un vanto. Ho creduto fossi diverso, perchè ho sempre saputo che mi trattavi in quel modo soltanto per proteggere quello che ami, perchè mi vedevi come una minaccia alla tua ricchezza personale, quella che ti porti nel cuore. Eppure l'altra sera sei riuscito a distruggere tutto e oggi non ti sei posto alcun limite. La verità è che tu sei come tutti gli altri. Sei un egoista Ashton Taylor, sei un egoista!-

«Anita, ferm...»
«Io ho creduto in te e, nonostante la paura che mi divorava il petto, ti sono stata vicina e tu, invece, non hai saputo fare altro che arrenderti e dirmi di andare via. Io...io ho corso fino a qui, senza fermarmi un secondo e non so nemmeno per quale assurdo motivo io l'abbia fatto. Dannazione, mi sento così stupida adesso!- fiotti di lacrime mi bagnano le guance.

«Io...» prova a prendermi le braccia, impedendo che queste battano nuovamente sul suo petto, ma io mi dimeno, liberandole dalla sua presa. Troppo ferita, troppo arrabbiata per fermarmi.

«Perché hai fatto tutto questo? La mia presenza ti inorridisce a tal punto? Sono un peso così fastidioso per te? Io sono una stupida e tu dei un idiota, ecco cosa siamo. Io ti odio, hai capito Ashton, io ti od...»
Quello che accade dopo avrebbe lasciato un segno indelebile nelle nostre vite che non sarebbe andato via mai più, restando intrappolato sulla nostra pelle come il sapore e il ricordo del mare.

In un istante posa le sue mani sulle mie guance accaldate e preme le sue labbra con foga sulle mie. In un istante, tutto sparisce, i rumori caotici della periferia sembrano arrestarsi, affievolirsi fino ad annullarsi. Percepisco il battito del mio cuore galoppare nel petto, quasi come se il suo chiasso rimbombasse in ogni parte del mio corpo. Le gambe sembrano cedere, come se fossero fatte di gelatina, e senza alcun preavviso mi faccio più vicina, stringo tra le mie mani il tessuto della sua maglia e mi appoggio al suo petto, trasportata dalle vivide emozioni che mi scoppiano dentro come fuochi d'artificio.

Improvvisamente, non siamo più due persone a tratti estranee uno all'altra, ma pezzi di due puzzle differenti che hanno trovato il modo di incastrarsi dopo averci provato troppo a lungo e aver fallito troppe volte. Siamo come quei due pezzi feriti che non hanno mai trovato il loro posto, scorticati dai troppi tentativi andati in fumo. E la stessa forza che prima ha distrutto senza sosta, adesso sembra essere la causa di quella conciliazione inaspettata.

Quando ci allontaniamo per riprendere fiato, rimango stordita da quella vicinanza che mi aggroviglia lo stomaco e la paura che si tratti soltanto di un sogno mi fa battere le ciglia ripetutamente. Con il viso rivolto leggermente verso l'alto, lì dove i nostri sguardi si ritrovano e si abbracciano, i miei occhi sembrano sussurrargli un'unica parola: "Perchè?"

La magia sta per finire e, presto, sarei ricaduta nel baratro dell'incertezza. Sono già pronta a farmi un mucchio di paranoie, ad aprire bocca e chiedergli il significato di quel bacio. Ma lui non è d'accordo, prende il mio mento tra le sue dita e mi osserva, accarezza i lineamenti del mio viso con sguardo attento e limpido, come se volesse imprimere quel momento nella sua mente per riviverlo in eterno.

In lontananza, sentiamo delle voci concitate, qualcuno sta facendo il nome di Ashton ripetutamente, frammento di una cantilena pronta a condanannarlo. E forse, tra le parole abbandonate al vento vi sono anche quelle pronunciate dalla voce preoccupata di Dylan, a cui non sono in grado di attribuire una posizione nello spazio che ci circonda.

I miei occhi sono ancora immersi nei suoi quando ancora una volta sceglie di avvicinarsi. E mentre credo che voglia baciarmi nuovamente, lui va oltre il mio viso e lascia sprofondare la sua testa nell'incavo del mio collo.
E lì, ispirando il profumo dei miei capelli, le sue labbra sfiorano il mio orecchio destro. Non avrei mai potuto dimenticare le sue parole sussurrate nello stesso momento in cui degli uomini in divisa lo strappano dalle mie braccia.

A rallentatore, assisto alla scena terribile che mi si pone davanti. Il gelo sembra appropriarsi delle mie ossa nel momento in cui mi accorgo della mancanza del suo corpo vicino al mio. I poliziotti lo gettano con forza contro lo sportello della vettura, ammanettandolo in fretta e in furia. Un urlo si diffonde nell'aria circostante, giungendo ovattato al mio udito per via dello stato frastornato in cui mi sento intrappolata.

Mi porto le mani sulla bocca e non permetto ai nostri sguardi di dividersi nemmeno per un secondo, perchè lui, lontano metri e metri da me, continua a guardarmi e a sorridermi amaramente. Le sue labbra si muovono, mimano qualcosa nella mia direzione, ma non riesco a sentire nulla che non sia il silenzio snervante che mi circonda, come questo bianco fastidioso che ha invaso la mia visuale rendondo ogni cosa al di fuori di lui scolorita, senza alcun valore.

Se questo è un incubo, vorrei svegliarmi. Se questo è un sogno senza lieto fine vorrei riavvolgere il tempo e arrestarlo nel momento esatto in cui le sue labbra erano sulle mie e le sue braccia avvolgevano le mie spalle come se non gli importasse altro.

«Anita, Anita, torna in te, ti prego» qualcuno mi scuote per le spalle con energia. Una voce familiare inizia a farsi strada nel mio timpano.
«Mi senti, Anita? Io sono qui con te, tranquilla, non piangere» non mi accorgo delle lacrime che colano sul mio viso silenziose e pericolose, così come non mi sono accorta che, prima, ad aver gridato ero stata unicamente io.

Il corpo di Violet mi stringe a sè, e oltre la sua spalla riesco soltanto ad intravedere la sagoma al di là del finestrino, l'auto sfrecciare via, divenire un puntino nero in lontananza e sparire dalla mia vista.
Mi accascio tra le braccia di Violet come una bambola di pezza rovinata e vuota.

Se n'è andato, di nuovo.

Angolo autrice:
Salve popolo di Wattpad, come va?
Ecco a voi il capitolo 31 in tutta la sua devastazione. Ammetto di aver sclerato non poco, dopotutto parliamo di un gesto importante: il primo bacio tra Ash e Anita. Cosa ne pensate? Che impressioni avete avuto? Vi siete emozionati?
Fatemi sapere, intanto vi abbraccio tutti. ❤
//Lucy🐧

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