Capitolo 29 di Violet Price

Apro gli occhi cerchiati dalla stanchezza, infastidita completamente dal suono meccanico della sveglia.
Allungo un braccio verso il comodino per spegnere l'aggeggio irritante, ma pur tastando ripetutamente la fodera di seta non riesco a trovare il pulsante di arresto.
Con i nervi a fior di pelle, allora, mi accingo a mettermi seduta sul letto; girando il capo, mi accorgo che la sveglia non è accanto a me come al solito.
Allo stesso tempo la testa non è più accaldata come ieri e, mentre immagini remote si sbiadiscono nella mente, ricordi irregolari filtrano via dall'oblio, delineando una fitta consapevolezza in me stessa.
Le parole di David mi hanno spezzata in due, centrando il bersaglio in pieno. Non sono riuscita a digerirle e tutt'ora causano una sofferenza insopportabile, ma non fa niente, starò bene.
Mi alzo di scatto dal letto, seguendo il suono fastidioso che non smette di riecheggiare nella camera. A passo lento raggiungo la scrivania mentre qualcosa bolle nel mio cervello, facendomi aprire le labbra in un sorriso smagliante.

«Dylan, la sveglia è alle cinque...»
«Sh...Adesso riposa. Non farti tutte queste paranoie».

Gli occhi mi si illuminano all'istante, non ha dimenticato le mie parole.
05:00. Impeccabile. Preciso. Sorprendente.
Mi viene voglia di piangere per la gioia e lo faccio, fingendo che gli occhi mi stiano lacrimando unicamente per felicità, aggrappandomi a questo piccolo appiglio per ovviare alla baraonda di frecce puntate contro il mio cuore. So a cosa non devo pensare e oggi non perderò le forze che ho a causa di David, non cederò. Sarò forte per me stessa.
La mia sveglia!, annuncio ad alta voce, correndo ad alzare le tapparelle, tutta infervorata.
Mi sento come quando una bambina affamata riceve una fetta di torta al cioccolato.
Cerco gli occhi profondi di Anita per contemplare la situazione in sua presenza, ma solo adesso mi accorgo che lei non è accanto a me.
Spremo le meningi per ricordare e alla fine tutto assume logicità e chiarezza.
Mbf, sussulto, voltandomi di scatto. Scorgo Anita rannicchiata contro la porta, ricordandomi che ieri sera è stata con Ash ma che 'stamattina è tornata.
La scruto per bene, indecisa su cosa fare, mentre lei si lecca le labbra, inconsapevole, come una gattina assonnata, tenendo le palpebre chiuse.
Mi avvicino, sedendomi al suo fianco, sperando che non si svegli d'improvviso a causa mia. La spintono con la mano facendo attenzione a non farle male, ripetendo il suo nome come se fosse il ritornello di una ninna nanna.

«V-Violet...» biascica ad una certa, sfoderando uno sguardo afflitto e straziante. Mille pieghette le incoronano gli occhi e le occhiaie scure, contro cui sbattono le ciglia tremanti, simili ad uccelli spaventati dalla luce sfavillante di un catarifrangente.
«È tutto okay?» le domando stupidamente: chiunque capirebbe che qualcosa non va.

Lei borbotta qualcosa, ma è come se stesse parlando a bocca piena poiché alle mie orecchie non giunge altro che un turbinio di lettere incomprensibili.

«Ash?» domando all'istante, ancor prima che io possa riflettere se sia il caso nominarlo o meno. La bocca si spalanca spontanea, producendo l'unica parola che avrei dovuto deglutire. Non ho ben capito.

La mia coinquilina sbarra gli occhi, arriccia il naso e poi scuote la testa, farfugliando l'ennesima frase che si mescola al venticello mattutino, prima che io possa acciuffarla.
Devo abbassare le tapparelle.

Mi avvio verso la finestra, dove un forte trambusto sembra animare il cortile del Poison.
«Anita, svegliati!» alzo la voce, pregando il mio subconscio affinché scacci via tutti i pensieri che stanno penetrando ogni singola cellula del mio corpo.

Anita non sembra essere contrariata, infatti si alza e dice, come se tutto filasse liscio come l'olio: «Dimmi, Violet», quindi due sono le cose: mi sto facendo troppe paranoie inutilmente oppure Anita sta seriamente male come credo e il fatto che si sia messa in piedi all'istante è ancora più preoccupante di qualsiasi altro comportamento che avrebbe potuto assumere.

«Cosa è successo?».

Lei abbassa lo sguardo, non risponde subito, si tortura le unghie e comincia a passarsi freneticamente le mani tra i ricci sgonfi, andando avanti e indietro senza dire nulla. La guardo, ma non ho il coraggio di fare il primo passo perché so che nasconde qualcosa di molto pesante ed io non posso permettermi né di confortarla né di confortarmi. In queste settimane ho imparato ad ascoltarla, ma ho anche capito che non si conosce mai una persona fino in fondo e chi pensa che sia così sa soltanto ciò che gli è stato permesso di sapere. Nonostante la marea di punti interrogativi che fluttua nella mia mente senza alcuna tregua, debellando ogni minima consapevolezza che cerco di ipnotizzare a me, so che i suoi occhi non saprebbero mai mentirmi fino in fondo e quello che adesso non mi stanno comunicando è già una risposta troppo lunga per essere formulata a parole.

Quindi stringo Anita al mio petto, come ieri Dylan ha fatto con me, insegnandomi che i problemi non possono essere risolti schioccando le dita, ma che a volte la buona compagnia riesce a non farti impazzire del tutto. Stringo Anita al mio petto come se fosse mia sorella, illudendomi di vagheggiare i miei gesti come se fossero pane per i suoi denti e coperte accoglienti per le sue braccia tremanti.
Star male insieme è semplicemente raccapricciante: non fai in tempo a recuperare ciò che hai perso, che devi ricominciare da capo per sostenere chi hai accanto anche quando l'unica forza che hai è il nulla assoluto. Ma star bene in due è incomparabile.
Il tempo mi ha resa consapevole di così tante cose che ora non vorrei dare alcuna importanza a nessuno; ma so che in questa stanza, tra le mie braccia, c'è la persona che per destarmi dai pensieri ha dato anima e corpo. Non posso voltarle le spalle in questo modo.

Se solo pensassi alla coincidenza che ci ha rese coinquiline, al rapporto che abbiamo instaurato in poco tempo e allo scambio di mentalità che ci siamo permesse di attuare, mi renderei conto di quanto sia parte di me.

Trovo il coraggio di parlarle, rassicurandola con delle carezze, supplicandole di spiegarmi ogni singolo dettaglio, dall'inizio alla fine.
Inaspettatamente Anita racconta; subito dopo sorride con gli occhioni lucidi e manda giù i suoi stessi lacrimoni, troppo salati per le sue labbra.

Ash è stato un bastardo ma, quando io provo ad esprimere questo pensiero, lei prorompe, dicendo che lui non è quello che sembra. Mi spiega di non avere alcuna intenzione di credere alle sue parole, perché mentre le stesse le sputavano in faccia, gli occhi le tenevano fermi i piedi, implorandola di restare. Io sono confusa, ma ho capito cosa intende.

Ho imparato a comprendere Dylan e ho capito che i "cattivi ragazzi" non sono altro che i "ragazzi della periferia". Avrei sfidato chiunque ieri sera a capirmi così tanto come ha fatto lui, ma non credo che altri nella sua stessa situazione e con le sue stesse consapevolezze e responsabilità si sarebbero presi cura di me.

Ai ragazzi della periferia sono stati messi soltanto i piedi in testa, ma non li ferma nulla, non dimenticano di venire dalla strada e sono fieri di portare nel cuore ogni ferita.

Anita è delusa e terribilmente arrabbiata, ma nei suoi occhi riesco a scorgere una sottile linea di speranza che mi porta a credere che lei non riuscirà davvero ad ignorare Ash, semmai dovessero rivedersi.

«L'unica soluzione è provare a parlargli, di nuovo» mi dice, nervosa, ma io scuoto la testa.
«Lui ti ha trattata male, non merita la tua presenza. Se vuole vederti, allora...»
«A volte bisogna rincorrere le persone...»
«Non quelle che ti incolpano di ogni cosa»
«Lo so».
Ci guardiamo negli occhi alla ricerca di risposte, ci misuriamo con gli sguardi e alla fine è il suono del campanello a destarci.
Ci accigliamo entrambe: com'è possibile che qualcuno sia qui a quest'ora?
Mi avvicino alla porta e la apro, stranita: «Buongiorno...Steve?!»
Il mio amico mi prende per mano con un'irruenza folle.

«Ascoltami. Dovete scendere», parla facendo saltare di qua e di là i suoi occhi marroni che stonano con la carnagione bianca. Tira su con il naso provocando lo stesso rumore che farebbe una tromba otturata e deglutisce: «Questa notte...in sala informatica c'è stato un furto!».

Anita alza lo sguardo quando l'ultima parola giunge alle sue orecchie e sbotta, preoccupata:
«Come, un furto?»
«È stata danneggiata la maggior parte dell'attrezzatura digitale e...»
«Com'è possibile?»
«Non lo so! Sono qui perché Fiore vuole che tutti gli studenti scendano giù, sto passando per avvisare»
«Mica siamo su una lista nera? Devo portare la mazza di...», interrompo Anita, facendole comprendere che tutta la sua agitazione è inutile. Come se non le avessi detto nulla, lei sgrana gli occhi, mentre io faccio notare a Steve che è poco fattibile la presenza di tutti gli studenti nella hall. Forse non avrei dovuto appellarmi a questa cavolata.
Lui infatti comincia a spiegarmi che Fiore si rivolgerà ai ragazzi del primo anno, che sono sotto suo affidamento, e poi continua col fornirmi più informazioni di quante ne volessi avere. Steve ci raccomanda di prepararci in tempo e poi esce dalla stanza. 

Io e Anita ci guardiamo negli occhi, sospiriamo perché se il buongiorno si vede dal mattino questa è sicuramente la nostra giornata poco fortunata. Poi, ci dividiamo: io vado a lavarmi e lei va a fare colazione.
                                                                                          ***
Mentre le labbra di Fiore si muovono all'unisono, io e Anita ci teniamo per mano, incredule e inorridite.
Già la consapevolezza di un furto proprio qui, al Poison, ci aveva destabilizzate e messe sull'attenti, ma tutte le notizie che stiamo ascoltando, emergono, buttandoci a terra senza alcun ritegno.
Due sospettati.
Due giovani.
Due uomini.
Dylan e Ash.
Due parole. Le uniche che mai avremmo immaginato.
Il rullino delle telecamere riprende perfettamente i loro volti, il momento in cui le luci si accendono e poi le guardie dietro di loro, che si guardano e un momento dopo fuggono via, spintonando Jake e Christian.
La mente mi sottopone a domande che non riesco a metabolizzare perché sapere di essere stata tra le sue braccia mi fa rabbia più di qualsiasi altra cosa. Ho il palato secco e il cuore in mille pezzi. Mi sembra di star completamente perdendo la testa. Tutto quello che vorrei è che qualcuno venisse a dirmi che stavo soltanto sognando, che non sono in un college che non avrei mai voluto frequentare, non sono stata con un ragazzo che mi ha tradita per l'ennesima volta e che non ho passato la notte tra le braccia di uno sconosciuto, protagonista di un furto troppo grave per essere vero.
Anita è arrabbiata almeno quanto me; leggo nei suoi occhi la cenere e le fiamme divampare. Non ci siamo ancora rivolte la parola, ma posso immaginare come si sente perché so cosa significa restare delusa.

«Chiunque abbia notizie su questi due ragazzi, le riporti a noi senza alcun ripensamento. Grazie».
Gli astanti si muovono in masse disomogenee e si dileguano, raggiungendo man mano le proprie camere, prima della lezione di giurisprudenza.
Qualcuno mi spinge, mi volto di scatto, è Anita, che come una peste marcia in direzione della nostra camera. Scivolo al di sotto delle braccia dei ragazzacci alti e muscolosi e provo a raggiungerla.
«Anita, calmati!» le urlo dietro, è un fulmine, ma sinceramente la capisco. Non mi aspettavo un comportamento del genere da parte di Dylan, non dopo ieri sera. Mi sento così ingenua! Cosa ne voglio sapere io di lui e della sua stupida vita?
«Adesso vado lì e lo prendo a schiaffi in faccia fino a quando non mi darà delle spiegazioni accettabili!» sbotta Anita, irritata ancora di più dalla carta che non riesce a permetterci l'accesso in camera.
«Tu non hai bisogno di spiegazioni, Anita»
«Non mi importa, io pretendo la verità! Perché dopo tutto quello che ho sopportato in quell'auto...»
«Quale verità, Anita? È palese che loro...»
La mia coinquilina viene a mettersi di fronte a me, mi prende il viso tra le mani e dice, vulnerabile e visibilmente agitata: «Smettila di credere a tutto ciò che ti si viene detto, non puoi accusarli di qualcosa che non hai visto»
«Anita, ascoltami, sono la prima ad aver pensato che quel filmato non fosse una prova lampante per accusarli, ma resta che erano qui, 'sta notte» abbasso la voce:«dopo essere stati con noi. Che senso avrebbe tornare?»
«Ho bisogno di spiegazioni»
«Possono darti tutte le delucidazioni del mondo, adesso, ma la realtà è quella che hai visto»
«Io lo ammazzo!» esclama per i corridoi, che percorre in pochi secondi. Seguo Anita correre per le scale, spingere tutti e fregarsene delle lamentele degli studenti intenti a ripetere.
«A che ora abbiamo lezione, Violet?»
«Alle otto, Anita. Cosa pensi di fare?»
Lei guarda la soglia del cancello del Poison e poi me, ma alla fine sceglie di fare ciò che sente: uscire per evadere dal calore che ci sta attanagliando lo stomaco.
Io respiro profondamente, rimuginando, ma poi mando al diavolo tutto, perché non posso lasciarla sola e non posso restare qui, non riuscirei a focalizzarmi sulle materie da portare all'esame nemmeno se lo volessi.
Rincorro Anita in un attimo, chiedendole di smettere di piangere. Incontrare i suoi occhioni grandi, affogati dalle lacrime, è la scena più triste che oggi potessi vedere.
Ripenso a tutto quello che abbiamo affrontato, ancora titubante su ciò che sto facendo. Sto perdendo tempo, giorno dopo giorno sto rimpiangendo me stessa, rendendomi conto di non aver mai vissuto realmente come avrei voluto. 

Anita fa bene a volere delle spiegazioni, lei ha messo il cuore in ogni discorso rivolto ad Ash. Per quanto lui possa essere uno sconosciuto, lei non ha fatto altro che seguirlo ovunque, andando persino contro ciò che le raccomandavo. So cosa significa tutto ciò e per questo motivo la sto assecondando. Voglio che lei viva completamente questa storia. Voglio che Dylan e Ash abbiano il coraggio per affrontarci senza troppi giri di parole e che ci dicano una volta per tutte come stanno le cose.
Ho capito di non aver più bisogno di amici o conoscenti disonesti, né di bugie da aggiungere alla collezione che conservo dentro. Ora come ora, voglio soltanto che mi si venga mostrata la realtà. Voglio avere la mia vita in pugno, non sarà mai più il contrario da adesso in poi. Ho promesso a me stessa di andare oltre, non importa quanto il cammino sarà distante rispetto a quello che ho costruito. Voglio lasciar marcire nel passato tutto quello che mi è capitato e ricominciare da capo. Non mi va di bruciare il libro della mia vita, non voglio  accantonarlo in qualche scaffale superfluo.
Soprattutto, voglio che Anita non segua i miei stessi passi né tanto  meno che soffra come un cane come è capitato a me. Probabilmente fra qualche ore sarò in camera a consolarla, a breve lei crollerà davanti agli occhi del ragazzo che credo le piaccia davvero, ma dopo andrà tutto meglio e giorno dopo giorno sempre più.
So come funzionano queste cose, fortunatamente o sfortunatamente so quanto l'amore sia decisamente, platonicamente viscerale, ma per viverlo non resta altro che sbatterci contro la testa. Farà male, ma nessuno sa se ne varrà ogni singola pena.

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