Capitolo 28 di Dylan Foster
Quando richiudo la porta, dopo aver salutato Anita, sono totalmente frastornato.
Raggiungo la hall con la stessa allegria di un uomo destinato all'ergastolo e mi avvio in cortile, insaccando la testa nel collo per proteggermi dai cinque gradi che hanno intorbidato l'aria. I lampioni sono spenti, la strada insolitamente deserta e l'aria profuma d'asfalto e benzina.
Cammino velocemente perché questa volta ho realmente bisogno di risposte. Aumento il passo, fino a quando la mia vista non mette a fuoco le insegne colorate dei supermercati e dei discount del centro, che sfoggiano le loro saracinesche quasi tirate del tutto verso il basso.
Le gambe si muovono a stento e tutte rattrappite schiacciano malamente la polvere, bramose di toccare il pavimento di casa, dove si trova l'unica persona di cui necessito in questo momento.
Attraverso la strada ignorando il fatto che il semaforo sia rosso, guadagnandomi delle imprecazioni nel vernacolo incomprensibile di un uomo grasso e calvo, dalla testa rotonda come una mela e dagli orribili occhiali stringinaso. Oltrepasso il covo a testa alta, scrollandomi di dosso i richiami del gruppo dei rincitrulliti alcolisti.
Salgo le scale della topaia in cui abito col sorriso defunto sulle labbra e la puzza di piscio nelle narici che mi fa girare lo stomaco. Mi fiondo nella camera di Ash, senza nemmeno accendere la luce, ignorando ogni respiro che resta spiazzato nel mio petto, dove il cuore sembra non battere più quando incontra nell'angolo della stanza il mio migliore amico.
«Ash» parlo ad alta voce con il solo intento di assicurarmi la sua attenzione. Lui non replica nulla, tiene la testa ferma tra le braccia e contrae appena il viso. Ripeto il suo nome più volte, riducendomi ad ascoltare il suo respiro pesante.
Ashton tira su con il naso, scioglie i muscoli delle spalle grandi, senza mai muoversi di una virgola e questo non fa altro che accrescere la mia irritazione. Fino a quando non mi guarderà, io non aprirò bocca.
«Porca puttana, Ash!» urlo, guadagnandomi la circospezione dei suoi occhioni iniettati di sangue. Indugio un po', domandandomi se sia il caso affrontare quelle schegge affilate che mi stanno vivamente intimando di andare via.
Al contrario, io resto.
«Esci fuori da qui», sibila tra i denti, alzandosi dal pavimento e avviandosi verso la porta per aprirla e incitarmi a portare il mio culo fuori dalla sua camera. Tiene lo sguardo fisso sul mio viso, parla con voce atona, in sordina, indossando la sua solita maschera indecifrabile, mentre sento lo stridio del suo cuore contro la sua testa, lo sfrigolio delle sue responsabilità che si scagliano contro i suoi desideri. Provo a guardare oltre gli occhi, oltre le pupille, dentro la sua anima, ma è come se lui, invece di innalzare muri, si ricoprisse di teli neri, scuri, bui come la notte fonda.
«Non esco fino a quando non mi dici cosa è successo. Cosa stai passando?»
«Nulla che ti riguarda, vai di là». Articola le parole rigidamente, trascinandosi di malavoglia sul letto. Mi guarda come se volesse aprire bocca, ma poi alza gli occhi al cielo prima di reclinare il capo verso il basso e brandire il pollice e l'indice senza alcun motivo preciso.
«Nulla che mi riguarda? Tu sei il mio migliore amico. Ascolta. Se c'entra Anita la situazione si può sistemare. Certo, è arrabbiatissima perché...»
«Smettila di parlarmi di lei!» sbotta furioso, strattonandosi i capelli spettinati. Una lacrima gli riga il viso e gli bagna una guancia, mentre io resto completamente spiazzato da ciò che vedo. Non è possibile una cosa del genere, è come se vedessi un'incudine sorridere, non... «Tu piangi?» chiedo istintivamente, provando a capire. Sono confuso e sorpreso nello stesso tempo.
«Dylan, hai rotto il cazzo».
Annuisco stupidamente scrutando le sue labbra scure che riprendono a blaterare parole che non ascolto. Provano ad intimidirmi senza alcun risultato, scagliandomisi contro con la stessa violenza con cui mi minacciano le sue pupille. Mi sembra d'aver davanti un pitbull inferocito, ma io non ho paura di lui perché so chi è.
«Mi sono rotto di tutte queste cose non dette. Adesso mi spieghi cosa è successo».
Lui scuote la testa, duro: «No, io non ti spiego proprio nulla». Si alza e va a sedersi con i nervi arricciati dalla collera e la chiostra di denti bianchi celati dalla bocca tremolante.
«Calmati»
«Io ho sbagliato tutto, Dylan» mormora, chiudendo le mani in due pugni, «ho sbagliato tutto dal momento in cui sono nato».
Sospiro odiandolo a morte con tutto il bene che sono capace di provare nei suoi confronti. Ash ha sempre avuta questa stupidissima convinzione fin da bambino. Da quando lo conosco non ha smesso mai di rimproverarsi la sua nascita, nemmeno fosse dipesa da lui! La verità è che spesso imprigiona nella sua testa consapevolezze infondate, dettate dalla sua rabbia irrefrenabile. Prova a sembrare duro e impassibile, ma io riesco a vedere le crepe della sua maschera minacciarlo di frantumarsi al suolo come gelatina. Il punto è che a lui non importa, non farebbe una piega perché l'ultima persona a cui tenderebbe la mano è proprio se stesso.
«Smettila di guardarmi in questo modo e risparmia pure le parole. Ora come ora non mi va di ascoltare quelle cazzate sull'amicizia e sulle vittorie che secondo i tuoi piani del cazzo ci prenderemo insieme»
«Pensa da dove siamo partiti e guarda dove siamo!»
«Appunto!» ribatte con ovvietà, come se ciò che gli ho detto era l'ultima cosa che avrei dovuto dirgli, l'ennesima prova lampante delle sue affermazioni. «Ti rendi conto del posto in cui viviamo? In questo buco tra ragnatele e armadi rotti come topi! Non abbiamo un lavoro fisso, né una casa tutta nostra, non...»
«Non abbiamo mai avuto bisogno di questo genere di cose»
«Invece sì, Dylan, cazzo. Impara ad essere realista»
«Per quale motivo? Piangermi addosso?»
«No, per abituarti e rassegnarti al fatto che finiremo ad elemosinare pane sotto a qualche ponte mentre la pioggia ci picchietterà addosso e infradicerà i cartoni su cui vivremo. Mi fissi così perché pensi sia pazzo? Sono pazzo? No! La verità è che ci sono troppe spese da sostenere. Ci sono nonna, Ivy e Roy a cui devo badare. Per non parlare dell'officina, di me, di te e dei casini in cui mi sono immischiato!»
«Quali casini, Ash!?» domando a mia volta con i polmoni dilatati e i nervi a fior di pelle. Il sangue sta iniziando a ribollirmi e io non so in quale altro modo smaltire la quantità di parole taglienti che mi sta indirizzando. «Io non ce la faccio più e non so come liberarmi da tutto quello che c'è in me» rivela poi, mettendo da parte tutta la sua brutalità. Mi avvicino e vado a mettermi accanto a lui prima di guardarlo negli occhi e abbracciarlo: «Ascolta, tu sei il fratello migliore di questo mondo. Non puoi sempre pensare così tan...»
«Come se pensare o non pensare fosse il problema» si alza, scrollandomi da lui.
«Sì, a differenza di quello che credi. Stai sempre con la testa da un'altra parte, ti lasci logorare dai silenzi quando potresti abbatterli e rispondi sempre male senza alcun motivo per...»
«È normale che anch'io ti risponda male ogni tanto, non pensi? Non hai nemmeno la minima idea di quanto facciano schifo le mie giornate. No, che non ce l'hai, Dylan, perché tu sai come sfogarti, invece io non ne ho la possibilità. Non ho un sacco di merda a cui dare pugni o ragazze da scopare» respira intensamente e lo faccio anch'io.
«Non mi basta più niente. Sto diventando come lui. E non avrei potuto immaginare finale peggiore per la mia vita...»
Trattengo la rabbia e fisso Ash che fa per deglutire la quantità di saliva accumulata per riprendere a parlare; alla fine resta zitto e recupera il suo giubbino dal pavimento.
«La tua vita non sta finendo e sei stronzo se pensi sia così»
«Non sta finendo, Dylan? Dici? Allora mi fa piacere che tu abbia ancora un briciolo di ottimismo perché il mio si è suicidato da una vita».
Tutta questa schiettezza mi sta facendo perdere la calma.
«Dove pensi di andare?»
«Non lo so, ma via da questo posto. Non ce la faccio più»
«Dimmi cosa è successo con...», ma lui sbatte il giubbino a terra e mi viene contro, con la mascella arrovellata e il fuoco negli occhi: «Vuoi sapere cosa cazzo è successo con Anita, sì? Bene, si è intromessa nella mia vita senza pensare alle conseguenze, fingendo di non essere consapevole di quanto potessimo farci male insieme. Ha rischiato la vita, Dylan. Come me. E mi dispiace se si aspettava fossi diverso. Mi dispiace se tu ti aspettavi un migliore amico diverso, se ho mandato a puttane tutte le tue certezze, ma io non sono più la femminuccia di una volta che tirava calci contro un pallon...»
Ancor prima che io possa accorgermene e metabolizzare l'idea, chiudo la mano e di scatto tutta la mia rabbia inveisce contro il viso di Ash.
«Ma cosa cazzo sei, un masochista?» gli urlo contro mentre il mio subconscio comincia a farmi pesare ogni senso di colpa che la mia anima inizia a percepire. «Ti stai prendendo a schiaffi in faccia da solo per dei problemi a cui puoi mettere un punto chiedendo aiuto. Riprenditi Ash, riprenditi, cazzo. Stai sottovalutando un po' troppo la tua vita e questa non è la cosa giusta. Vuoi andare affanculo? Bene, vai, abbandona tua nonna, tua madre, i tuoi fratelli. Abbandonami. E credimi se ti dico che non fai schifo quando sei quello che ti hanno fatto diventare. Fai schifo quando pensi di essere solo, pur avendo qualcuno che farebbe di tutto per te!». Percepisco calore intenso tra le mie mani sporche e lo lascio andare, provando a tranquillizzare il mio istinto animalesco.
«Sei uno stronzo» sputa sangue e aria mentre la rabbia si affievolisce dal suo sguardo torvo. Trascorriamo qualche secondo nel silenzio totale, poi lui si lecca le labbra, mi scruta con lo stesso timore di un maiale al macello e mormora, con voce tremante: «È arrivata qui, Dylan, ha rovinato tutto quello che mi ero costruito...»
«Sei un coglione che ha soltanto paura»
«Io non ho paura di nessuno!»
«Ah sì? Lei ti ama, Ash, si vede lontano un miglio!»
«Amare, Dylan?» sorride amaramente, completamente convinto delle sue idee. «Hai perso la testa»
«Finiscila di dire cose che...»
«Mi conosce, Dylan. Lei mi conosce e questo mi mette terribilmente con le braccia al muro, perché potrebbe fare qualsiasi cosa per...»
«Di cosa stai parlando?»
«Faccio schifo» replica senza rispondere alla mia domanda. Non me la conta giusta e sto quasi pensando che Ashton Taylor mi stia nascondendo qualcosa. «Non posso seguirti se non mi spieghi come stanno le cose»
«L'ho trattata di merda, Dylan. Le ho detto tante parole brutte per allontanarla. Io leggevo il terrore che trasudavano i suoi occhi, ma non mi fermavo. Mi piaceva quell'espressione perché lei mi ascoltava nonostante stessi dando di matto e le stessi sbattendo in faccia la parte peggiore di me. Lei è restata, Dylan, è restata. E' restata prima, quando ancora non aveva idea di quanto facessi pena o di quanto non avessi un cuore, asciugandomi le lacrime con frasi di conforto ed è restata dopo, mentre ogni singola parte di me si frantumava dinanzi al suo sorriso, che piano piano si spegneva a causa mia. Non ho saputo apprezzarla perché non so più cosa significhi voler bene a qualcuno o guardare negli occhi una ragazza e credere in ciò che fa. Sono stato un mostro, è questa la verità, ma soltanto perché sono stato costretto a diventarlo. Ora so che non ci sono parole che possano giustificarmi. Fanno bene a volermi eliminare, fanno tutti bene a desiderare che io non faccia più parte di questa vita perché persone come me non stanno bene sulla terra, devono marcire all'inferno»
Resto per un attimo in silenzio, vittima della sua insofferenza e della mia impotenza. «Allora cosa aspetti?» blatero fingendomi convinto. «Fallo, dai. Prendi una pistola e sparati»
«Voglio farlo»
Annuisco per metabolizzare. Raggiungo la cucina in pochi secondi, con il collo bianco che palpita incontrollabilmente contro il colletto e il sangue che pulsa nelle vene innaturalmente. Afferro un coltello tra le posate e ritorno da Ash, porgendogli l'arma: «Fammi vedere cosa vuoi davvero» abbasso il capo come una bambina, messo in imbarazzo dalle mie paura, e mormoro tra le lacrime: «Manda tutto a puttane come Drake e falla finita».
Ash alza lo sguardo e io getto contro il muro il coltello, andandomene dalla camera come un pazzo indemoniato. Come può essere così stronzo e insensibile? Forse non siamo le persone più benestanti del mondo e non potremmo mai dirigere alcuna azienda, certo, ma quello che abbiamo ci permette di essere chi siamo, di essere insieme, ed è questo ciò che dovrebbe contare. Invece tiene sempre tutto dentro, si lacera in silenzio e improvvisamente ferisce per allontanare le persone da lui, come se questa fosse la soluzione, come se mi limitassi a subire la sua rabbia per decidere di lasciarlo andare.
Quando i cardini della porta cigolano, affiora il ginocchio del mio migliore amico che si trascina dietro il suo corpo e i suoi occhi verdi. Ash mi raggiunge e a me sembra di riconoscere lo stesso bambino di tanti anni fa, lo stesso a cui il tempo mi ha legato. Con le mani tremolanti mi si avvicina e alla fine riesce a fare tutto quello che volevo: mi abbraccia.
«Quando dico di essere realmente intenzionato ad andarmene, intendo che non penso che uno come me possa esservi d'aiuto. Aspetta, ascolta. Io...io ho consumato mia madre, ho odiato mio padre e non sono stato un nipote perfetto; avrei potuto essere un fratello migliore o un amico diverso, invece mi sono lasciato e mi lascio sovrastare da tutte le mie paure. Io sto male, Dylan, sto male in un modo che non credevo nemmeno possibile. Non sto bene quando sono ciò che mostro, non dormo da tre giorni e l'ultima volta che sono stato felice nemmeno la ricordo più. Mia madre dice che un uomo felice è colui che ha tutto anche quando non ha niente, ma la verità è che io non ho ricordi positivi a cui aggrapparmi e la mia coscienza è sporca più di qualsiasi altra cosa».
Ogni parola si ferma sul punto della lingua, mormoro qualcosa, ma il mio tono di voce sciorina un'incapacità di parlare che non sarei mai in grado di gestire. Ricaccio più volte le lacrime in corpo e deglutisco il nodo di saliva che si è fermato all'altezza del palato e della lingua, facendomi masticare lettere che mi impediscono di formulare frasi giuste, adatte a questo momento sbagliato.
«Tu non...» prendo aria mentre lui prova ad interrompermi. «No, ascoltami tu, ora. Tu non sei come credi. Sei cambiato, è diverso. Sei uno stronzo, non lo nego, ma ti sei sempre spezzato la schiena per tutte le persone che fanno parte della tua vita. Non tirare in ballo tua nonna, me o gli altri perché sai benissimo quant'amore ci sia in tutto quello che fai, cominciando col parlare del lavoro e finendo con i sacrifici e le mille rinunce che non hai mai fatto pesare a nessuno. Non sei invisibile agli occhi di chi hai intorno, né ai miei né a quelli della tua famiglia, anzi. Proprio perché sei così come ti mostri, le persone ti apprezzano. E non è assolutamente vero ciò che dici sempre: non sei sbagliato né inutile. Ne abbiamo passate così tante che ora non ne vale la pena stare così male per cazzate che accadono perché sì, Ash, la rabbia che provi nei confronti di te stesso, proprio come quella che nutri nei confronti di Anita, è una cazzata assurda. E, a proposito di lei, sai benissimo che le piaci, quindi...», ma lui mi interrompe: «Stai parlando come se volessimo stare insieme entrambi, ma non potessimo»
Non è così?
Mi acciglio e lui, proprio come se mi avesse letto nella mente, sbotta: «Ma non è così! Voglio che vada via dalla mia vita»
«Cosa ti ha fatto?»
«C'è stata quando non avrebbe dovuto esserci»
Abbasso lo sguardo: «Cioè?»
«Lasciami stare, Dylan» si alza e avvisa: «vado in bagno a sciacquarmi questo schifo di faccia»
«Tu devi parlare. Non puoi continuare a fare così. So che raccontare a qualcuno ciò che si ha non risolve la situazione e non è vero nemmeno che dopo ci si sente più leggeri, ma...»
«Ho la testa imbottita da complessi di merda, non è colpa mia. Son fatto così, lasciami stare, ho detto»
Non avrei mai pensato potessi trovare la giusta dose di coraggio, ma alla fine apro bocca: «Ash, ascolta, sei la cosa più bella che ho. Il tempo sistemerà le cose e se non lo farà, chi se ne frega, affronteremo tutto come abbiamo sempre fatto. Se potessi mi prenderei tutto ciò che hai in quel cervello contorto, ma non posso e allora devi fare tu qualcosa. Ti sto pregando, promettimi di riprenderti perché io non riesco a vederti in questo modo»
«Non...Non lo so...». Io abbasso il capo, senza avere la più pallida idea di cosa fare. «Mi sforzerò...» mormora subito dopo, sorprendendomi. Un sorriso spontaneo mi apre le labbra e anche lui sembra abbozzare un sorriso: «Grazie...»
«Per il pugno?» ironizzo respirando a pieni polmoni un'aria più leggera.
«Anche per quello, mi hai fatto fare un giro su Marte, quindi...»
Gli do una pacca sulle spalle: «Dobbiamo fare una cosa» gli spiego, sfilando le chiavi della macchina dalla tasca dei miei jeans.
«Illuminami» fa, ritornando ad acquisire quella nota di antipatia che fingo di odiare.
«Dobbiamo riuscire a parlare con...» i miei occhi incontrano i suoi, ma la magia svanisce all'istante, proprio nel momento in cui lui scuote la testa, convinto: «No»
«Perché no?»
Lo sguardo del mio migliore amico è rivolto oltre la finestra; una lacrima gli bagna la guancia sinistra mentre mi rivela: «Ho paura»
«Hai paura, Ash, e di cosa?»
«Ho paura di stare male, di nuovo. Non che adesso stia bene, non che adesso stia meglio, ma ho paura e te l'ho detto per essere sincero»
«Allora faremo di tutto per evitare che tu soffra il doppio di adesso»
«Io non posso credere alle promesse»
«Queste sono le mie parole, Ash»
«Sì, ma non voglio illudermi. Sono convinto che le cose non cambieranno. Dopo quello che è successo, ho smesso di crederci»
«Allora non credere più nelle cose, vivile. Le persone che incontri non sono quelle che hai incontrato. Il tuo posto non è qui e i tuoi occhi possono mentire di fronte ai suoi, ma quando incrociano i miei parlano più di quanto tu possa credere»
«Non sono sicuro»
«Devi chiederle scusa...»
«Come si fa a chiedere scusa ad una ragazza?»
Sorrido tra me e me e poi prendo dal cassetto della scrivania un cellulare vecchissimo. Io e Ash lo teniamo carico per le emergenze.
«Aspetta...cosa...?» domanda, ma io avvio la schermata video ed esclamo: «Uno, due, tre...ciak, si gira!»
«Dylan, sei stronzo, forse?» mi respinge come se gli stessi facendo il solletico. Io lo prendo in giro, in tono canzonatorio e plateale: «Dai, fai un discorso alla dolce Anita!»
Ash ride sbattendo le ciglia: «Oh, Anita!» ironizza e poi subito ritorna serio: «spegni quella roba, io non muovo il mio culo da qui»
«Almeno accompagnami da Violet, mi sono ubriacato prima di tornare e non posso guidare»
«Accompagnami da Violet, hai detto?» mi guarda malizioso; io gli do del coglione, prima di infilare velocemente il cellulare nella tasca e aprire la porta.
«Muoviti, dai!»
«Tanto aspetterò nel parcheggio» mi avvisa a qualche passo da me. Certo, vedremo.
***
«Hai sentito questo rumore?»
«Ti ho detto di stare calmo. Sembri una bambina! La prossima volta farò meglio a lasciarti a casa, non servi a niente»
«Guarda che in realtà sono previdente dato che stiamo agendo illecitamente, non so se mi spiego»
Ahia.
Mi arriva uno schiaffo dietro la testa: «Brutta capra, vuoi che ci sentano?» mi spezza i timpani in due, marchiandomi la nuca con la sua violenza.
Sono stanco marcio.
«Devi smetterla di trattarmi in questo modo, mi hai sentito? Io...» ma le labbra mi si chiudono di scatto, quando lui mi prende per il colletto della manica e mi sbatte con la schiena contro il muro, minacciandomi di rompermi tutte le ossa. «Adesso chiudi quella boccaccia, raccogli le tastiere ed esci da questa fottuta stanza facendo finta di niente. Poi ti assicuri che le telecamere siano ancora spente, provvedi ad accenderle e noi non ci siamo mai visti»
«M-ma...» le mani stringono più forte il tessuto, mi sembra di soffocare.
«Cosa?»
«Nulla, capo. Tutto chiaro»
«Bene. Hai smontato i pannelli? I computer lasciateli nell'angolo»
«Invece...»
Un tonfo.
«Capo, c'è qualcuno!» esclamo a bassa voce con l'ansia in corpo e il silenzio che mi fa un male del diavolo alle orecchie.
«Corri, corri in corridoio! Spicciati!» mi intima e io lo faccia, scappo correndo più veloce del vento.
Mani mi spingono, toccano la mia pelle come se fosse quella di una bambola di pezza e mi lasciano nel buio totale. Non so cosa io stia facendo dei giorni che mi restano. Quello di cui sono consapevole è che sono sporco fino alla punta dei piedi. Alzo lo sguardo, le vedo.
Due ombre. Due persone.
La mia vita è appena finita.
Sono nei guai.
***
Come immaginavo, Ash alla fine si decide a scendere dall'auto. Superiamo insieme in silenzio i cancelli del Poison college, camminando tra gli abeti profumati e gli alberi verdognoli, immersi nel buio pesto della notte. Quando giungiamo all'interno, nessuno viene ad accoglierci e la hall è stranamente immersa nel buio.
«Che significa? Stanno dormendo?» chiede Ash senza capire. Ci guardiamo intorno, impalati sulla soglia dell'edificio silenzioso. «Significa che è il nostro momento. Questo è un segno del destino. Su, muoviti» e sgattaiolo tra i corridoi, seguito dal mio migliore amico che sghignazza alle mie spalle. Adesso tutto quello che ci resta da fare è trovare la camera di Anita e Violet, obiettivo raggiungibile se solo ci fosse nei corridoi uno spiraglio di luce e fosse possibile vedere il numero affisso ad ogni porta.
«Aspetta, Dy, dov'è il bagno?»
«Cosa ne posso sapere io? Non riesco a vedere nulla, qua sembra siano stati tutti addormentati. Trattieni, dai!»
«Non possiamo andare da loro e chiedere di fare pipì!»
«Ehi, parla al singolare. Io sto a posto così»
«Aspetta, vedo qualcuno. Chiedo alla ragazza lì in fondo...»
«Scusa, scusa!» mi avvicino, ma la "ragazza lì in fondo" si rivela essere una statua. Io mi sbellico dalle risate, poi però torno serio: ma dove siamo? Non mi sembra di aver visto una statua quando ero con Violet.
Ash mi spinge per sbaglio, qualcosa cade per terra, quindi comincio a tastare le mattonelle andando coi piedi alla ricerca di ciò che ho perso. Poi le trovo: le chiavi della mia auto.
«C'è qualcuno?»
Una voce tremante giunge alle mie orecchie, il mio migliore amico mi dà un pizzicotto sul braccio io lo attiro a me per dirgli: «scappiamo dalle ragazze»
Quindi cominciamo a correre, sperando di evitare l'ombra che ci ha posto la domanda. Un altro tonfo squarcia l'aria e io impreco tra me e me, fottuto Poison infestato! Una porta si apre e io prego con tutto il mio cuore affinché le luci restino spente.
«Non so chi siano» replica un quarto. Poi un rumore forte, troppo per fare in modo che le preghiere ci salvino il culo.
Passi che ci sfiorano, sudore intriso nell'aria, mani che ci toccano e infine, ciliegina sulla torta, una voce a me familiare.
Io e Ash non capiamo nulla, restiamo fermi per non provocare ulteriore caos, illudendoci che quello già fatto non sia bastato, fino a quando una luce si accende a qualche passo da noi, rivelando la nostra identità.
Non so cosa stia succedendo, ma tutto quello che resta da fare è fuggire.
Mi volto di scatto nello stesso momento in cui lo fa il mio migliore amico, ma le cose non vanno come speravamo:
«Dove pensate di andare?»
Angolo autrice:
Ciao ragazzi! Scusate per la lunghezza del capitolo, ma gli avvenimenti narrati sono estremamente fondamentali per l'intera vicenda del romanzo. Fatemi sapere cosa pensate sia successo e, soprattutto, cosa pensate succederà. Da questo momento in poi, già vi avviso, le cose si complicheranno.
||Ele🦁
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