Capitolo 25 di Violet Price

Stasera non ho assolutamente voglia di fare nulla, ma mi tocca prepararmi, e pure in fretta, perché Anita ha organizzato una cenetta romantica tra coinquiline e sono già in ritardo. Il posticino in questione è un ristorante a quattro stelle molto gettonato, ma io non ho forze e nonostante stia mangiando pochissimo in questi giorni, non ho nemmeno fame. Ho perso due chili e mezzo in una sola settimana e la differenza è abbastanza evidente: allo specchio mi vedo magra il quadruplo e non riesco proprio ad accettarlo. Sfilo dall'armadio un top arricciato e a maniche lunghe di un rosa scuro, particolarmente freddo, e una gonna bianca, lunga fino ai piedi, per nascondere le gambe troppo magre e le sneakers che sostituisco ai tacchi. Opto per una collana che scivola benissimo intorno al collo e indosso i miei anelli.

«Pronta?» domanda Anita, bussando alla porta due volte, ma io non ho ancora cominciato a truccarmi. Le dico di darmi una decina di minuti, che dovrebbero essere sufficienti dato che non ho voglia di mettermi in ghingheri. Lego i capelli in una coda alta e poi spruzzo un po' di lacca sul cuoio capelluto, prima di applicare ombretto, mascara, blush e gloss.

Apro la porta e recupero la mia borsa dalla pila di  libri che sto studiando da mesi. La settimana prossima darò i miei primi tre esami, ho deciso.

«Sei...Violet!...»

Anita mi guarda con i suoi grandi occhioni da cerbiatto. «Stai benissimo»

«Beh, tu mi vedi sempre bella, ma sinceramente io mi sento pronta solo per tornarmene nel letto»

«Dai», mi dà un colpetto sulla schiena, «Ci aspettano una bella serata e tanto divertimento. Ne hai bisogno, credimi»

Le sorrido. «Comunque anche tu non scherzi, eh» ammicco alla mia coinquilina, nel momento in cui il mio sguardo si posa sulla salopette di jeans che le ho comprato giorni fa. Il tessuto è di un bianco perlaceo intenso, che si sposa benissimo con i suoi ricci vaporosi e i suoi occhi color liquirizia.

«Andiamo? È tardi, su! Non vogliamo mica far aspettare...la nostra cena?» sorride, con un sorrisetto colpevole sulle labbra e io la guardo stranita.

                                                                                                ▪▪

Il ristorante è vicinissimo al college, non pensavo ci volessero soltanto tre minuti per raggiungerlo. Quando oltrepassiamo la soglia dell'entrata, un uomo ben vestito s'inchina con una penna luccicante tra le mani grosse. Ci guarda ammirato, poi ci fa un cenno per incitarci a parlare.

«Tavolo Hamilton» apre bocca Anita.

«Siete al corrente del cambio di programma, giusto? Perché lì...», ma la mia coinquilina inizia a  tossire come un tricheco asmatico. Mi indica un porta-tovaglioli situato in fondo all'ambiente e dice:

«Ci penso io, vammi a prendere un fazzoletto»

Annuisco mentre le rimprovero il fatto che già ci siamo fatte riconoscere. Se la serata inizia così...

Comunque faccio come mi è stato detto ma, quando ritorno dove ero prima, Anita non c'è.

«Violet!» alza la voce ad un tratto, facendomi segno di raggiungerla come se stessimo al mercato. Gli astanti mi guardano e io voglio sotterrarmi. Cavolo, Anita, le regole di Bon Ton le hai divorate insieme alla sobrietà?

La raggiungo, camminando tra i tavoli in vetro e le luci artificiali, e le chiedo per cortesia, stringendo i denti: «Potresti abbassare un pochino la voce, soprattutto quando siamo in pubblico?»

Lei annuisce, sorride e si siede, rifiutando i miei tovaglioli. Resta in silenzio, senza capire. Poi si guarda intorno, incrocia il mio sguardo e sorride ancora in imbarazzo. Ma cosa le prende?

«Devo andare in bagno, è urgente» sgattaiola via, senza darmi nemmeno il tempo di replicare. Cammina fissandomi, indietreggiando, e per poco non rischia di cadere addosso ad un cameriere con quattro piatti di aragoste sulle braccia. Si volta, scusandosi teneramente, e poi la sua figura scompare oltre le porte scorrevoli.

Mi porto le braccia al petto con praticità, i minuti scorrono e, quando non ne posso più dell'attesa estenuante, poggio la testa sul tavolo. Al diavolo le ricche civette, ormai già si saranno fatte ottocentomila idee strane su di me.

Non capisco per quale motivo ogni cosa non funzioni, potrebbe andare tutto liscio come l'olio e invece no, non accade mai. Probabilmente sono stata maledetta e sono soltanto la protagonista di una tragedia che non ricorderà nessuno.

«Ciao» alzo subito la testa dal tavolo. L'uomo che ho davanti indossa una camicia celeste scoperta leggermente sul petto, dove sono cosparsi un mucchio di peli disgustosi. Il tizio in questione mi fissa con i suoi occhi verdi, toccandosi la barba rossiccia con trepidazione e mordendosi un labbro.

Le parole mi si sciolgono sulla punta della lingua, mi viene da vomitare.

«Ehi, Violet»

Mi volto di scatto. «Dylan?»

«È un tuo amico?» domanda Dylan, venendomi vicino.

«N-no, non lo conosco» rispondo, totalmente a disagio. Poi mi volto e con la scusa di osservare qualcosa oltre le sue spalle, mormoro a lui: «e non conosco nemmeno te, in realtà»

Mi infastidisco e tutto sembra avere un senso: lui è qui perché Anita è con Ash. Che follia quella ragazza.

«Grazie per avermi tenuto il posto, gran bel gesto»  parla Dylan ironico, rivolgendosi all'uomo per poi aspettare che si alzi.

Lui non si muove.

Dylan incrocia la mia espressione preoccupata, si volta, sorride fintamente e poi si siede sul bordo del tavolo, guardando negli occhi il quarantenne che ha davanti: «Si alza lei o lo sbatto fuori io?»

L'uomo va via a gambe levate, Dylan resta, forse mi dice qualcosa, ma io non lo ascolto, lo evito e provo a chiamare Anita. Una, sette, ventitré volte, trenta. Dovrebbero abolire la segreteria. Che senso ha avere un telefono per poi non rispondere?

Alla fine mi alzo e vado a controllare nel bagno. Una puzza assurda mi assale con una pesante ondata di calore. Mi lascio ricadere a terra, contro la porta e le lacrime cominciano a scendere sul mio viso. Sono nervosa e a pezzi.

Non me l'aspettavo così questa nuova routine, mi sento male, qualsiasi cosa io faccia. Perché tutto a me?

«Violet! Sei lì dentro?» mi asciugo le lacrime che raccolgo tra le mani e poi mi ripulisco gli occhi bagnati e le labbra corrucciate, sporche di mascara.

«Allora?»

Apro la porta di scatto, infuriata: «Cazzo, Dylan, cosa vuoi? Sei qui per tenermi compagnia mentre Anita sta con Ash? Perché sai, fine del gioco, puoi anche andare a casa: non ho bisogno di lei, né tantomeno di te»

«Volevo soltanto restituirti la borsa»

Ok. Questa risposta è ancora più irritante di tutte quelle che avevo immaginato.

Prendo ciò che mi appartiene, lo sorpasso e vado verso il maggiordomo. «È possibile annullare la prenotazione?»

Lui mi guarda incerto, scuote la testa: «Almeno metà del conto va pagato, perché non abbiamo accettato altri ordini per riservarvi il posto»

Seccata, apro il mio portafogli. Dylan mi precede:

«Quanto le devo?» e alla fine paga per me e Anita.

«Non mi ringrazi nemmeno?» domanda quando siamo fuori al ristorante.

«Se prima non ti sopportavo, adesso che hai pagato per me ti odio con tutto il cuore»

«Miglioriamo, dai»

Alzo gli occhi al cielo e mi dirigo verso il Poison.

«Se non fosse per me, a quest'ora staresti ascoltando le avance di Mr.Carota»

«Ah, grazie. Faró una preghiera ogni giorno per venerarti, sei il mio salvatore»

«Hai mangiato pasta e acidità prima di uscire?»

«No, Dylan, mi è bastato semplicemente vederti»

Lui sospira: «Se ti fermassi e parlassimo? Vedo che non va tutto bene come vuoi che sembri»

«Cosa ne sai tu di quello che voglio!»

Oltrepasso la soglia del college.

«Dico che potrei aiutarti»

«Davvero? Soltanto perché indossi uno smocking e delle scarpe eleganti? Noleggiati, oltretutto. Sono sincera con quello che sono, a differenza tua»

«E con questo?»

Non rispondo. «Credi che io non sia me stesso?»

«No! Capisco che tu sia venuto perché volevi lasciare il tuo amichetto da solo con Anita, ma addirittura pensare che potessi temporeggiare con me per via dell'outfit è da folli!»

«Non sono venuto per lasciarli soli, cazzo!»

«No? Allora perché? Per me, Dylan?» sento la rabbia sgorgarmi dentro: «Non mi sorprenderei nemmeno, dato che mi hai praticamente salvato la vita da uno stupido, stupidissimo pervertito. Forse dovrei rifletterci meglio e fartela per davvero una stramaledettissima preghiera»

Raggiungo la soglia dell'entrata principale con i nervi a pezzi, seguita da lui che imperterrito non gira sui tacchi per andare via. Non dovrebbe entrare qui, ma a me poca importa: c'è Fiore nei paraggi e sicuramente lo beccherà qualcuno.

Salgo le scale e poi apro la porta con la carta magnetica, ma quando faccio per chiuderla, Dylan ci infila un piede. Alzo lo sguardo e incontro le sue iridi celesti. Sbuffo, incerta sul da fare, per poi scegliere di non aprire bocca ed evitare di giocare al gatto e al topo. Vado in bagno e mi svesto per infilarmi una felpa dell'Adidas, un paio di pantaloncini del pigiama e dei calzini. Sciolgo la coda e mi strucco, piangendo in silenzio e con una quantità assurda di rabbia accumulata in corpo. Ho una voglia matta di urlare, ma non ce la faccio. Mi sento debole e accaldata. Poi, il telefono squilla. Credo sia Anita, e lo spero, gliene dirò di tutti i colori. Mi preparo a dirgliene quattro, ma poi mi accorgo che lo schermo è illuminato da una scritta nera. Una scritta che ho atteso per tanto, troppo tempo:

"David".

Mi tremano le mani mentre lascio scorrere le dita verso l'icona verde e tutto sembra riprendere senso ora che ho la possibilità di parlare con l'unica persona che odio e amo nello stesso tempo.

«E-ehi...V-Violeret»

Il cuore sobbalza nel petto come un incontrollabile malato, quando la sua voce alterata giunge alle mie orecchie come se fosse quella di un tossicodipendente.

«Come vvv-va tesssssoro»

«David?» ansimo soltanto, mentre nel cervello le sue parole compiono giri indescrivibili. Le lacrime si accumulano agli angoli degli occhi nel momento in cui urla come un matto: «Sto volaandoo!»

«Sei ubriaco?» piagnucolo, ma lui ride con una strafottenza agghiacciante prima di ritornare serio ed ebbro «Tuo padre mi ha sbattuto fuori casa»

«Cosa?» 

«Mi ha trovato nel nostro letto con Shiley, ma io stavo solo...giocando. Il mondo mi sembrava bello, tutto...Lei era bellissima, non si preoccupava del fatto che stessimo insieme e...»

Allontano il telefono dalle mie orecchie quando percepisco una forte pressione alla testa. Lo stomaco mi brontola e non riconosco più nulla da piegarmi su me stessa, così tanto che Dylan mi si avvicina senza nemmeno pensarci su due volte per reggermi. Io abbandono il cellulare dalle mie mani e guardo il vetro spaccarsi sotto il mio sguardo. Oscillo a destra e sinistra: «Mi sto...mi sto sentendo male»

«Violet?»

«Violet, porca puttana che cazzo hai?»

Sento passi oltre la stanza, ma non vedo più nulla. Nemmeno mi reggo in piedi e sono sicura del fatto che se le mani grandi, che percepisco strette al tessuto della mia maglia, non ci fossero, mi spaccherei in tanti piccoli pezzettini che poi assorbirebbe il pavimento.

Mi ha abbandonata?

Respiro a tentoni, mentre la stanza mi gira intorno come se fossi su una montagna russa. Questa consapevolezza ineluttabile mi sta divorando le ossa, i timpani, le pupille e mi sembra di essere sul punto di dissolvermi nel nulla. «Prendimi un po' di zucchero, pr...una bibita nel frigo...» mormoro e sembra trascorra un'eternità prima che Dylan ritorni con un bicchiere di tè alla pesca colmo fino all'orlo. Me lo porge, standomi vicino, tenendo una mano sulla mia spalla.

«Bevi» mi supplica, dopodiché prende i vestiti che sono sul letto e li sposta sul cassetto:«non ti preoccupare, non li ho stropicciati. Mi hai fatto spaventare, cazzo»

Faccio per alzarmi, ma non ci riesco e affondo con la testa tra le lenzuola, senza ricordare come ci sia finita sul letto. Dylan si alza e va ad aprire la finestra per far passare aria. «Vuoi qualcosa?»

«Prendimi da mangiare, per favore»

Lui annuisce e ritorna con un pacco di biscotti al cioccolato.

Non ho forze. Avrei dovuto mangiare in questi giorni.

Mando giù un paio di biscotti e poi mi metto a sedere sul letto, man mano che acquisisco lucidità. «Non ho capito più niente, te lo giuro»

«Nemmeno io. Ho visto le tue labbra bianchissime e poi gli occhi semichiusi. Ti ho odiata»

Chiudo gli occhi per un attimo per lasciar liberare le lacrime: «Mi ha tradita, Dylan»

«Cosa significa "mi ha tradita"?»

«Mio padre l'ha cacciato, ha cacciato il mio ragazzo perché l'ha beccato con un'altra»

Dylan resta in silenzio mentre sonda la mia espressione.

«Capisci cosa significa? Cosa dovrei fare adesso? »

Guardo il mio cellulare ridotto in frantumi.

«Ti rendi conto? Si è portato a letto un'altra, mentre io ero a piangere per lui! Dopo tutto quello che ho fatto...Dopo tutto quello che c'è stato. Io devo andarmene da qui, devo ritornare a casa. Merito delle spiegazioni» prendo la valigia con fatica e comincio a buttarci dentro tutto quello che vedo.

Come ha fatto a farmi questo dopo avermi letteralmente giurato amore?

«Non mi ha nemmeno chiesto scusa! Rideva! Cosa cazzo ridi? Cosa... cosa cazzo ridi? Crede forse che io stia ai suoi piedi per sempre? Io vado lì, gli sbatto in faccia tutto quello che ho provato in questi mesi, io...» tossisco, stremata.

Le lacrime bruciano sul mio viso, ho pianto più per lui quest'anno che per tutto quello che mi è successo prima di conoscerlo.

«Con chi mi sono fidanzata?» mormoro persa in me stessa. Sento un flusso di emozioni che circola nella mia mente e poi nel mio petto, senza fermarsi, senza riuscire a tranquillizzarmi.

Dylan mi viene vicino per abbracciarmi.

«Pensi che tutto si risolva così? Mi ha tradita, Dylan, e me l'ha detto senza farsi problemi! Io voglio soltanto sotterrarmi in questo momento, per tutte quelle volte che ci sono stata, per tutte quelle volte che l'ho messo al primo posto e che...l'ho scelto tra tutti. Non avrei mai dovuto farlo, mai, perché in fondo sapevo a cosa sarei andata incontro. Invece non ho seguito me stessa! E per cosa, poi? Per "amore"»

«Violet, adesso calmati»

«Calmarmi?» mi stacco da lui. «Tu non sai quante ne ho passate per il mio ragazzo, non lo sai »

Dylan mi prende le mani: «Guardami negli occhi» , ma io non ci riesco, sento i miei colmi di lacrime.

«Basta» mi stringe al suo petto e tutto quello che faccio è piangere sulla sua maglietta.«Andrà tutto bene, te lo giuro»

Una parte di me vorrebbe allontanarsi, lui è soltanto uno sconosciuto ed io non lo conosco, ma sento di aver bisogno di sentirmi stretta a qualcuno per non cedere.

«Non puoi far girare la tua vita intorno a quella di un coglione»

Resto con le braccia stese contro il mio corpo, lasciando che i singhiozzi cullino me e il mio battito acceleratissimo. Un giorno sarebbe successe anche questo, avrei soltanto preferito avere molte più energie per affrontarlo.

«Disse di amarmi, lo giurò»

«Le persone dicono tante cose...»

Rivoli bollenti gocciolano contro il mio collo:

«Non ho fatto abbastanza»

«Hai fatto tutto quello che hai potuto. Non prenderti alcuna colpa, perché mi arrabbio»

«Mio padre si era fidato ciecamente di lui. Non l'avrei mai detto...Ha rovinato tutto. I miei sogni. La mia famiglia. Me»

«Non ti ha rovinata, si è rovinato»

«Guarda come mi sto consumando»

Dylan mi si allontana, va a sistemarmi le coperte:

«Non ti stai consumando, stai capendo soltanto cosa è giusto fare. Se non ci sei ancora arrivata, te lo suggerisco: mandalo affanculo»

«Come potrei perdonarlo di nuovo? E' tutta colpa mia, non avrei dovuto...»

«È tutta colpa sua, invece, e tu non devi assumerti le responsabilità delle sue azioni»

«Ho dato il mio primo bacio a lui!»

«E chi se ne frega, conta a chi dai l'ultimo»

«Per me era davvero importante, credimi, e speravo fosse l'unico uomo della mia stupida vita»

«È soltanto un bacio, Violet. Poi...non so se...»

«Sì Dylan, siamo andati anche a letto insieme, se è questo che intendi»

Lui si schiarisce la voce, poi mi guarda: «Cosa pensi di fare?»

«Non lo so. Non farmi queste domande. Se l'avessi saputo, già avrei agito»

«Va bene»

«No, non va bene un cazzo»

«Scusa, ok» sbotta, sprofondando in un pouffe.

Le labbra si aprono appena.

«Quello era un sorriso?»

«Ma ti pare?»

Mi alzo, camminando verso il frigo per riempirmi un'altra tazza di pesca.

«Che intenzioni hai? Tanto credo che Anita avrà altro da fare stasera»

«Io non ti lascio sola»

«Ci sono i fantasmi, infatti»

«Sei svenuta e stai male, non sono uno stronzo»

«Diciamo» lo stuzzico prima che possa accorgermene, ma in realtà no. Non lo è, anzi.

Angolo autrice: Ciao a tutti, come state? Volevo farvi sapere che per circa una settimana ho riscontrato dei problemi con Wattpad e l'accesso alla piattaforma, motivo per cui è stato difficile rispondere ai commenti e leggerli. Fortunatamente c'era Lucia, quindi inviavo i capitoli corretti a lei, che si premurava di postarli. Non so che problemi abbiano avuto il mio computer e il mio cellulare, ma fortunatamente sembra che ora si sia tutto sistemato. Tutto ciò per dirvi che mi scuso in anticipo per aver risposto in ritardo e per ringraziarvi per le belle parole. Grazie davvero.

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