Capitolo 24 di Anita Hamilton
Acqua rigorosamente gelida scivola sulla mia pelle accaldata, scioglie i miei muscoli indolenziti e si districa tra i miei capelli umidi. Con gli occhi chiusi e la schiuma che mi accarezza il corpo, mi pare di udire nitidamente proiettili di metallo e il suono freddo e acuto degli spari rimbombare nella stanza. Mi copro le orecchie con la debole speranza di farli sparire, di ritornare a sentire soltanto il forte rumore dell'acqua che sgorga impetuosa dal soffione. Ma essi non cessano, aumentano d'intensità in maniera proporzionale al mio desiderio di placarne il suono. Che stupida, non c'è modo di annientare i mostri se questi dimorano nella mente.
Batto con forza la mano sulle piastrelle lucide della doccia e, disperatamente, resto ad ascoltare il rumore delle gocce d'acqua che dal mio corpo scivolano sul pavimento. Strofino il telo asciutto sulla mia pelle, come se volessi annientare le tracce delle mani sudicie che mi hanno toccata con l'intenzione di ferirmi, di giocare con me come se fossi una bambola di pezza insignificante.
Da quando sono qui, è accaduto di tutto. A volte, mi sveglio nel cuore della notte e mi pare di percepire ancora l'odore di alcool e un uomo stringermi la gola, poi penso che sia tutto finito e, invece, compare davanti a me il volto di Connor e subito la sua risata sadica riempie le pareti della camera.
Osservo il mio riflesso nello specchio macchiato dal vapore e non vedo altro che una persona sbiadita, persa. Sospiro pesantemente. Non posso permettere che tutto questo acquisti la forza necessaria ad abbattermi, rendendomi un Anita che non voglio essere, facendomi sentire una persona che non sono mai stata, neppure nei momenti più difficili.
Passerà, tutto questo passerà.
Ma lo farà soltanto quando sarò sicura che la paura che provo rimarrà solo semplice paura e che non si trasformerà mai in un incubo pericoloso dal quale non posso svegliarmi.
Lascio un post-it rosa sul frigorifero per avvisare Violet del mio turno pomeridiano e mi richiudo la porta alle spalle. Non compio neppure pochi passi che urto contro la spalla di qualcuno.
«Dovresti stare più attenta, Anita»
«Scusami tanto, vado di fretta» rivolgo delle scuse al ragazzo contro il quale mi sono scontrata e avanzo velocemente.
Ho perso troppo tempo in doccia, arriverò in ritardo.
Soltanto quando agguanto la maniglia della porta che vi è alla fine del lungo corridoio, qualcosa mi fa letteralmente rabbrividire.
Mi volto indietro quasi meccanicamente, come se avessi paura di trovarmi alle spalle un serial killer mascherato pronto a sgozzarmi.
Ma non c'è nessuno, il ragazzo sconosciuto è scomparso.
E con lui è scomparso anche il mio nome pronunciato dalle sue labbra.
***
«Sono in terribile ritardo, lo so» annuncio al signor Denver. In fretta e in furia abbandono la mia giacca per poi infilarmi dietro al bancone, pronta per cominciare questo turno estenuante.
«Che hai? Sembri uno zombie»
«Davvero? E io che pensavo di essere fresca come una rosa» fingo indifferenza e la butto sullo scherzo. Manca soltanto che rivelo al mio datore di lavoro di essere coinvolta in un losco affare illecito.
«Non sei spiritosa. Avanti, a me puoi dirlo se hai passato una notte di fuoco con qualche belloccio e avete fatto tutto tranne che dormire»
Un rumore assordante riecheggia tra le pareti del negozio. Tutti i pacchi che stavo dilingentemente trasportando mi precipitano sui piedi, provocandomi un dolore non indifferente. Le mie guance diventano rosse quanto le custodie lucide degli enormi dischi.
«Signor Jack, ma le sembrano domande consone da porgere?» impazzita mi copro il viso bordeaux con le mani, e quasi quasi mi sembra di scorgere la mia dignità sprofondare negli abissi.
«Stavo scherzando, bimba. E anche se fosse, non ti avrei di certo giudicata» la risata fragorosa del vecchio, possibilmente, mi avvilisce ancora di più.
«Dovrebbe darmi un aumento solo per l'mbarazzo che mi reca ogni volta che sono qui» gli rispondo di rimando mentre mi appresto a raccogliere con cura i pacchi.
«Dovrei congratularmi con me stesso per riuscire ancora a sopportare la tua sbadataggine» sorride fiero toccandosi i baffi stravaganti con un dito.
«Touchè».
Durante il turno molti sono i clienti che entrano nel negozio e che mi appresto a servire gentilmente. Un grandissimo fan dei mitici Queen, dei ragazzini dai capelli conciati in due creste esorbitanti, un collezzionista di dischi vintage e una graziosa nonnina...aspetta cosa?
«Salve signora, come posso aiutarla?» mi rivolgo gentilmente all'anziana signora che ha appena attraversato l'uscio dell'ingresso.
Lei mi guarda un po' spaesata, con piccoli occhi chiari come il mare incastonati su un delicato viso ovale. Lunghi capelli grigi conciati in una comoda treccia poggiano sulla spalla ossuta. Sistema la sua borsa marrone sul bancone in legno, tirando fuori da essa una busta blu di palstica.
Estrae tre dischi più piccoli del normale, sistemati in custodie rosse e nere.
«Vorrei vendere questi tre dischi di Bob Dylan, Quincy Jones e Lionel Richie»
Le sue dita tremano leggermente mentre con sofferenza li accarezza e li ammira come lo si fa con le cose preziose, quelle da cui non vorresti mai separarti.
«Ne è sicura, signora? Sembra tenerci particolarmente...»
«No, no, certo che sono sicura!» quasi rimango stupita dal suo modo di porgersi, come se la mia domanda l'avesse in qualche modo allarmata.
«Mi dispiace, non volevo offenderla. Mi perdoni» sento di dovermi scusare, forse non dovrei impicciarmi...
«Mi perdoni lei, signorina» abbassa lo sguardo mortificato per poi osservare nuovamente i tre dischi immobili sul bancone tra me e lei.
«Quei dischi appartenevano a mio marito, defunto sette anni fa. Non me ne sono mai separata fino ad ora, a volte mi sembra ancora di vederlo lì, sulla sua poltrona vecchia, con gli occhi chiusi a gustare il suono di quelle voci meravigliose che tanto amava. Erano i suoi artisti preferiti, guai a chi osava offenderli in sua presenza...- un sorrisino amaro e nostalgico le si dipinge sul viso.
Sento il petto vibrare dalla tristezza, credo sia la consapevolezza. Può esserci una sola motivazione se la signora è costretta a vendere degli oggetti tanto preziosi e significativi: i soldi. Quelli sono alla base di tutto, sempre. Il mondo gira intorno ai soldi, non intorno al Sole.
Ed è una cosa che proprio non riesco a tollerare. Diamine, al mondo dovrebbe esserci qualcosa che vale di più, più di qualche pezzo di ferro o di carta, no?
Stringo i pugni lungo i fianchi e quasi digrigno i denti per la rabbia. Forse, c'è qualcosa che posso fare per donare un po' di sollievo all'anima di questa signora.
«Qual è il suo preferito tra questi?» le domando, lei sembra pensarci su prima di indicare quello del grande Quincy Jones.
«È quello che avrebbe scelto anche lui»
«Mi sembra un'ottima scelta, suo marito era un uomo di gran gusto» affermo con gentilezza, per poi rimetterglielo con cura nella busta e porgerle i soldi dell'acquisto di tutti e tre i dischi.
Lei osserva attentamente i miei movimenti e i soldi nel palmo della sua mano, fa per aprire bocca, ma le intimo di non dire nulla con un cenno della mano. Mi guarda negli occhi e non posso fare a meno di notare i suoi divenire lucidi mentre stringe al petto la custodia di plastica.
Le sorrido sinceramente e mi accorgo che il mio turno è ormai concluso.
«Se attende un secondo, l'accompagno alla porta» mi rivolgo alla vecchietta che annuisce ancora commossa.
Afferro la mia giacca e, dopo aver riposto nella cassa i soldi della differenza, la infilo per bene.
Busso alla porta del retro e saluto il signor Denver, avvisandolo della mia uscita.
Ritorno all'ingresso e porgo il mio braccio alla signora, lei mi sorride e intreccia subito il suo. Non ho mai conosciuto i miei nonni materni, ma ho sempre provato molto affetto nei confronti degli anziani della città. Persone adorabili, sempre pronte ad aiutarti in caso di necessità, con la gentilezza al posto del sangue e tanta saggezza da condividere.
Giunte sul marciapiedi opposto, le raccomando di coprirsi meglio perchè il freddo gioca brutti scherzi e di fare attenzione nel tragitto verso casa. Mi ringrazia ancora e mi stringe la mano tra le sue piccole e calde, poi mi chiede di rivelarle il mio nome.
«Anita, signora, mi chiamo Anita Hamilton»
«Non dimenticheró mai questa gentilezza, Anita. Sei una brava ragazza». Mi saluta calorosamente prima di intraprendere la strada verso il quinto quartiere.
Mi guardo un po' intorno, sto per attraversare quando un pick-up nero svolta l'angolo e quasi non mi investe.
Il finestrino si cala lentamente, rivelando la sfacciataggine della persona che ancora non ero pronta a rivedere.
«Ma sei impazzito? Volevi farmi volare in aria, per caso?» porto le mani sullo sportello e ancora con il cuore a mille gli sbraito contro. Lui mi guarda con quel dannato sorrisino che vorrei tanto strappargli dalle labbra.
«Non ti avevo vista» Dio, che idiota.
«Perdonalo, è gasato perchè non vede l'ora di averti a casa nostra» la testa bionda di Dylan sbuca alle spalle di Ashton, rivelando il suo sorriso euforico.
«Parla quello che da stamattina non ha fatto altro che chiedere quando saresti arrivata per poterti parlare della sua principessa»
«Traditore, avevi promesso di tenere la bocca chiusa»
«Anche tu, idiota»
«Avete finito?» domando retoricamente incrociando le braccia al petto.
«Ah, sei ancora qui. Avanti, sali» più che un invito sembra un ordine e quasi quasi sono tentata di mandarlo a quel paese e proseguire a piedi. Ebbene sì, dopo il turno sarei dovuta andare a casa di questi due disgraziati per programmare le dinamiche di questa sera.
«Salgo soltanto perchè Dylan mi sta praticamente implorando con lo sguardo» gli rivelo, indicando il volto del ragazzo in questione ancora impegnato in una buffa smorfia che dovrebbe intenerirmi.
Dylan esulta e ammicca verso Ash.
«Nulla da fare, amico. Questa ragazza mi ama» l'interessato continua a tenere lo sguardo sulla strada, indifferente alle parole dell'amico, mentre io, per l'ennesima volta sento le guance scaldarsi.
Appena rientrati in casa, i due si afflosciano sul divano, invitandomi a fare altrettanto.
Avanti Anita, per una volta comportati educatamente e mostra la tua compostezza a questi due cavernicoli. Io ho sempre saputo che sei una ragazza graziosa, avanti puoi farcela.
Mi stravacco completamente sulla poltrona trovandola molto comoda, tanto da sprofondarci dentro. Anche a casa mia avevamo una poltrona simile, ci saltavo sopra come se fosse un materasso, adorabile.
Come non detto.
«Allora, cosa facciamo stasera?» ecco Dylan che arriva diretto al sodo della questione.
«Sì, allora, avevo pensato di fare in questo modo: stasera la inviterò in un nuovo ristorante del centro, una volta arrivati, prima che possa ordinare sarò sparita, al chè ti farai avanti tu e data la prenotazione non potrà fuggire da nessuna parte. Tu avrai la tua occasione e lei si svagherà un po'. Però stai attento, perchè qualora tu dovessi ferirla, me ne fregherò altamente della gratitudine e verrò a staccarti i testicoli»
«Chiaro?» domando, indifferente agli sguardi confusi che si lanciano tra di loro.
«Come la luce» esordisce Dylan.
«Perfetto. Allora mi raccomando, sii te stesso e falla ridere, ne ha bisogno» lui annuisce vigoroso.
«E tu cosa farai?» domanda in seguito.
«Io...beh, io usciró dal ristorante e poi...ehm...non lo so?- rispondo alla fine, sorridendo imbarazzata.
«Probabilmente me ne tornerò in camera ad aspettare il suo ritorno, sperando che la sua furia non si abbatta totalmente su di me» alzo le spalle come per generalizzare la cosa.
«Oppure...» non mi piace per nulla il suo sguardo «Oppure, fuori dal ristorante potresti andare con Ash a fare un giretto, magari un giretto vero» e a tale proposta Ash digrigna i denti e io sento improvvismanete il sudore appiccicarsi alla pelle.
«Non se ne parla nemmeno!»
«Assolutamente no!» rispondiamo allo stesso tempo.
«Avanti Ash, non vorrai mica farla tornare a casa sola soletta in tarda serata» si diverte a stuzzicare l'amico.
«Ti odio» l'unica parola di Ash prima di lanciargli un cuscino dritto in faccia.
«Nah, mi ami troppo per odiarmi» risponde Dylan facendogli l'occhiolino e rilanciandogli il cuscino di rimando.
Inaspettatamente mi trovo a sorridere per quanto sia assurdo vedere questi due giganti prendersi letteralmente a cuscinate. È una scena così buffa che quasi scoppio a ridere, tanto da ritrovarmi con delle piume nei capelli e un cuscino in grembo.
«Chi ha osato coinvolgermi nella vostra disputa?» domando alzandomi lentamente mentre simulo un'ira che non esiste ma che, teoricamente, dovrebbe divertire me e spaventare loro.
«È stato lui!» esclamano puntandosi a vicenda come due idioti.
E questi sarebbero i tanto temuti delinquenti della periferia?
Angolo autrice:
Ehilà cari pinguini, come butta?
Spero tutto bene! Ecco a voi un nuovo capitolo, cosa ne pensate? Chi è il ragazzo che Anita ha scansato? L'incontro con la vecchietta della periferia sarà stato casuale? Riuscirà il piano di Anita ad assicurare a Dylan un primo appuntamento con Violet?
Un abbraccio ❤
//Lucy🐧
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