Capitolo 17 di Dylan Foster

La stringo tra le mie braccia muscolose mentre lei impugna il freno a meno. Edith lancia un risolino divertito e poi mi si precipita addosso, stampandomi baci lungo la clavicola.

Le accarezzo i capelli castani.
Lucenti e setosi.

Lentamente li spazzolo con le mie mani ruvide, scostandoli appena dalla fronte.
Profumano così tanto che mi sembra di essere il ragazzo più fortunato del mondo.

Non so bene cosa stia succedendo. Ho un nodo in gola che mi fa sentire schiacciato, una paura in corpo che mi àncora alla mia immaginazione spossata e un vuoto immenso nel petto che non mi permette di ragionare lucidamente.

Mi volto e percorro i suoi tratti distesi, sorridendo come un coglione per la sua espressione.

Mi rende così vulnerabile. Le sfioro il naso, facendo attenzione a non farle del male perché non potrei mai permettermi una cosa del genere.

Sento di esserle legato più di qualsiasi altra cosa e mi piace, mi piace un casino, non so nemmeno spiegare il perché, ma mi piace per tutti quei motivi che le permettono di essere se stessa. La rivedo mentre mi inveisce contro con gli occhi e credo che sia proprio bella, bella da morire, bella come la pace dopo la seconda guerra mondiale, come un addio che non arriva mai.

Mi viene voglia di prenderla in giro soltanto per farla infuriare e per notare le sue sopracciglia corrugarsi, le braccia posarsi al petto con rabbia e praticità.

«Dylan» mi riporta Edith alla realtà. Apro gli occhi sotto forzatura e vedo due labbra sottili come uno stelo d'erba e un naso enorme. Dimentico i nei disseminati tra la fronte e la tempia sinistra della ragazza che ho davanti e solo successivamente mi obbligo a fissare le due iridi spente che ho di fronte.

Chiudo le palpebre. Nuovamente.

Lei ha gli occhi di un celeste così puro che mi ammazza. La fisso come se fosse una bambola di porcellana. La sensazione indescrivibile che mi trasmette mi trascina in un baratro di emozioni da cui non riesco più a scappare.

Ogni singolo movimento mi arpiona a lei, non solo intellettualmente parlando. L'analizzo gelosamente, come farebbe il più rinomato degli artisti con le sue opere d'arte.

Odio la mia mente perché è più malata del mio cuore.

Sento Edith fare pressione sul mio corpo con la stessa pesantezza di una damigiana colma fino all'orlo. Impreco mentalmente e poi mi maledico ad alta voce.

Devo darci un taglio: non ho bisogno di questo. Ho bisogno di lei, ma lei dov'è?

Mi abbottono i jeans cercando disperatamente un modo per recuperare ciò che ho appena visto.

Era qui, era mia...ed era bellissimo.

Scoparla non è servito a niente: non l'ha allontanato dai miei stupidi pensieri e, anzi, adesso è dappertutto. Non so cosa diavolo ci sia in lei, ma da quando è andata via non ho smesso di pensarla. E mi sento così patetico per aver pensato che una come Edith potesse sostituire Violet.

Che nome di merda è Violet? Chi chiamerebbe la propria figlia in questo modo?

«Dylan, tu non stai bene!» mi urla contro Edith prima di sbattere la portiera dell'auto con rabbia. Non ricordo cosa le abbia appena detto, ma non ribatto nulla perché è vero, ha ragione: io non sto bene, non sono più in me. Non lo sono mai stato.

Ho la testa che mi urla di essere un fallito. L'ho sempre saputo, ma questa consapevolezza accresce secondo dopo secondo, ora. Lo stomaco mi si attanaglia, diventa come un filo di cuffie annodate e genera una marea di mormorii che provo a sputar fuori con un netto colpo di reni. Tuttavia non concludo nulla, mi sento soltanto male, col respiro che diventa insostenibile e pesante, proprio come se nell'esofago avessi un ammasso di pietre aguzze.

Non mi soddisfa nulla, ho capito cosa mi manca e so quanto sia stronza questa vita. In fondo, chi l'avrebbe mai pensato? "Il ragazzo più amato dalle donne rincorre l'unica ragazza che non lo ha quasi degnato nemmeno di uno sguardo ". Dovrebbero scriverlo in un libro.

***

In auto siamo tutti e due particolarmente silenziosi, soprattutto io che resto immobile con gli occhi rivolti a fissare il paesaggio, l'altra medaglia della città; quella per cui i turisti spendono tutti i loro risparmi. Il centro è il faro rassicurante che non ha mai illuminato le strade buie della periferia. Essa è la tana dei lupi, la nostra.

Oramai non è più niente come prima, soprattutto oltre queste strade, dove le persone sono più fredde dell'inverno e si è egoisti fino alle estremità delle ossa, lì dove le emozioni non riescono ad arrivare.

Il Poison è tutta un'altra storia rispetto alle nostre strutture fatiscenti. Nei nostri quartieri è già tanto se ci sono buchi tra le pareti e cinque banchi per classe. È difficile non lasciarsi influenzare dalla rabbia quando un mondo così grande si sdoppia per andare a formare due poli opposti, che invece di attrarsi, si girano le spalle con insolenza, tracciando una linea di confine tra chi è ricco e chi è povero, dividendo chi può e chi vorrebbe, chi ottiene e chi potrebbe avere, ma non riceve.

Ash poggia il capo sul volante nel bel mezzo del traffico, ma non sembra essere scocciato.

E' stanco.

«Che hai?»

Lui alza la testa: «Sembri mia madre se lo dici con questo tono»

«E beh, allora sembro davvero figo» scherzo, ma lui mi fulmina con i suoi occhi verdastri.

«Mi sta sulle palle» rivela ad un certo punto e non c'è bisogno che dica altro perché io ho già capito tutto.

«Anita?»

Gli do una pacca sulla spalla e scendo dall'auto: «Anch'io "sto sulle palle" a molte ragazze»

Lui sbuffa: «Pensi sempre alla stessa cosa. Dovrebbero sfatare questo stupido mito secondo cui ti piace chi ti sta nella testa»

«Non ti piace?»

«No»

«A me sì»

Lui chiudo le labbra, non parla per qualche secondo. Sembra l'abbia infastidito.
«Anita ti piace?»

Sorrido, divertito, e poi pronuncio, arrotolando il suo nome tra le mie labbra: «Violet»

«Mancava una tipa di nome Violet nella lista delle tue ex»

Io scuoto la testa, Ash non capisce. Mi spiego meglio, tornando serio: «Mi piace seriamente, ma non in quel senso»

«Cosa significa?»

«Non voglio...»

«Divertirti e mollarla?»

«Ecco»

«Quante volte l'hai detto, Dylan? "E' quella giusta" e un secondo dopo la piantavi in asso»

«Sono serio. E' diversa»

Ash arriccia il naso, poco convinto, mi scruta con sguardo sbieco. «L'hai conosciuta oggi, Dylan ed è stata una grandissima stronza quando ha provato a comprarti, ma non è questo il punto, tanto già so che, se il tuo intento è averla, allora riuscirai a farci ciò che vuoi»

«Non mi ha nemmeno guardato!» sbotto, ripensando alle parole del mio migliore amico. Ogni volta che mi viene in mente tutto ciò che quella ragazza ha fatto, mi assale un impeto di rabbia in corpo e la desidero ancora di più.

«Ed è per questo che ti attrae: non ti sta dietro come una cagnolina. Non ti sta dietro come tutte le altre»

***

«E' colpa sua»

«No, è tutta colpa tua e dei tuoi fottutissimi problemi mentali»

Siamo fuori al commissariato da trenta minuti. «Guarda che non ti ho obbligato a venire»

«Certo»

«Eh?» lo guardo senza capire, ma lui tiene i suoi occhi verdissimi puntati contro il marciapiede. «E comunque sai come sono fatto»

«A te non frega niente di nessuno, Dylan. Non dirmi stronzate»

«Infatti, ma non posso sopportare...»

«Tu non sopporti che quella ragazza ti abbia trattato in quel modo»

«Ti è sembrato normale il suo comportamento? Secondo me non sapeva nemmeno con chi stesse parlando»

« "Dylan, il re della box"? A lei non frega un cazzo di noi, è una fiorente. Può venderci all'asta»

«Hai già dimenticato Giulia, Priscilla e Carla? Anche loro facevano parte dei fiorenti»

«Riformulo: a lei non interessa niente di te»

«Impossibile. Ci scommetto la cena di stasera che non esiterà a provarci. Tipico»

Ash non replica nulla. Credo che a volte resti in silenzio per quiete vivere. Tutto ciò, però, mi rende vulnerabile. Lo fisso, ma non mi dà corda. «Però fallo un sorriso ogni tanto, Ash. Quella ragazza ti ha amareggiato. Sei proprio acido»

«Non nominarla»

«Secondo te ci sarà? Cioè, verrà?»

«Anita sta sempre in mezzo. Ovvio che ci sarà»

«Parlavo di Violet»

«Violet! Aspetta, guarda quel gattino!»

«Cazzo, Violet!» sbotto a voce troppo alta. Ash mi fulmina con lo sguardo quando i tre ragazzi si girano. E' un attimo. In sincronia lo sguardo di Anita, Violet e Steve analizza le nostre figure.

«Dylan!» mi sorride Anita, che indossa dei semplici jeans neri, i suoi soliti anfibi e una maglietta di una band che non conosco. Ash mormora qualcosa, ma io non riesco a distogliere lo sguardo da Violet.

Dinanzi ai cancelli del posto più schifoso in cui potessi scegliere di essere oggi, con tutta la rabbia in corpo, le unghie sporche di residui d'olio, lei mi sembra la cosa più bella che mi sia mai capitata in tutta la mia vita. I suoi capelli castani le scivolano oltre le spalle, sono lisci e morbidi. Meglio di come li ricordavo. Indossa un vestito nero e una giacca oversize in denim lilla. Quanto è bella, posso dirlo?

«Ciao, Violet» le dico con falso distacco quando me la ritrovo davanti.

«Ciao» dice senza alcuna reale voglia di parlarmi.

«Okay, entriamo?» scocco un'occhiataccia al damerino. Oh, Steve, ringrazia Dio per essere suo amico.

«Non dobbiamo dirci nulla?» domando, perplesso.

«Tu devi dire soltanto la verità, Dylan. Non è un'interrogazione, non puoi sbagliare se sei sincero»

Ok. E poi impreco mentalmente perché qualsiasi cosa dica mi manda in bestia il cervello.

«Quelli già sanno tutto?»

«Quelli?»

Ash sbuffa platealmente: «gli sbirri, Anita. Gli sbirri» e poi la segue con lo sguardo, standole dietro a distanza debita. Quanto lo conosco...

«Vi sentite emozionati? Sentite l'adrenalina che scorre nelle vene, nei polsi, nel cervello?»

«Sento di star perdendo tempo» risponde il mio migliore amico a Steve, mentre io mi domando per quale motivo Violet sia così fottutamente sexy. «Ok. Che ansia» sospira lei, legando i capelli in una coda bassa. Rivela tre piercing per ogni orecchio, la frangetta le ricade sugli occhi azzurrissimi.

«Fermi. Entriamo prima io e Anita, okay? Ah, Steve vuoi venire con noi?»

«Perché lui sì e noi no?» sbotto. Capisco che Steve sia il loro migliore amico, ma se siamo qui tutti quanti insieme allora...Ash mi dà una gomitata, mentre i tre ragazzi scompaiono dalla mia vista. Solo ora l'ambiente circostante cattura l'attenzione dei miei occhi. Il corridoio in cui siamo è lungo e stretto, profuma di lavanda e tarassaco. Le pareti sono celesti e delimitate da librerie nere a cinque piani, che ospitano file di volumi bianchi e verdi.

«Che ti passa nella mente? Sembri un bambino di tre anni»
Mi volto, incontrando gli occhi del mio migliore amico, che se ne sta sulle sue, nella sua giacca nera.

«Ho soltanto detto che dovremmo fare le cose insieme. Perché...?»

«Dylan loro non sono nostre amiche. E noi non siamo loro amici. E mai lo saremo, mettitelo nella testa»

Mi passo una mano sul volto per prendere aria. «Tu sei tragico»

«Grazie per l'ennesimo insulto di questa giornata»

«Mi hai dato dell'infantile!»

«Ragazzi» fa' il maggiordomo dopo poco, sornione. «Potete entrare»

Raggiungo la porta in vetro e, prima ancora di entrare nella stanza, scorgo Violet seduta ad un tavolo, una gamba sull'altra, le unghie delle mani laccate di smalto beige, un anello per ogni medio. Anita se ne sta a braccia conserte con le spalle esili contro il muro, piccola piccola e con le lacrime agli occhi.

Mi dispiace vederla così e credo proprio di non essere l'unico: Ash chiude le mani in due pugni strettissimi non appena la scorge.

La stanza in cui siamo è piccola, stretta, ma comprende comunque una grande scrivania nera, che ospita un'accozzaglia di penne, fogli e cellulari cordless. Un paio di quadri per ogni parete laterale danno un tocco di vivacità all'ambiente che profuma di libri, caffè espresso e aria viziata. Le finestre sono chiuse, le tapparelle bianche calate del tutto. Una luce accesa e bianchissima è puntata contro il soffitto celeste. Gli sbirri sono tre. Uno è occupato a smanettare con il suo cellulare, è alto e scuro di pelle. Un altro sta fissando bellamente il paesaggio oltre la finestra. Il terzo mi sta porgendo la mano in questo preciso istante. Gliela stringo facendo una smorfia. Ash, invece, si limita a fare un cenno con il capo, se ne sta sulle sue, dà l'impressione di una persona a cui stanno sul cazzo i poliziotti e fa bene, perché la polizia non serve, non vede, non sente.

«Legga pure» mi dice il mio interlocutore. Un uomo basso, calvo e brutto. Ha gli occhi a palla e il naso grosso come un mandarino.

L'agente mi porge un foglio.

Due denunce.

Incornicio nella mente i dettagli.

Il cognome di Violet è Price. Violet è stata rapinata. Le hanno rubato un anello, la borsa e il cellulare. Segue la denuncia di Anita. Il cognome di Anita è Hamilton. Viene riportato l'accaduto. Poi sono menzionato io. "Dylan ha affrontato i ragazzi per me". «Lei è il signor Dylan...?»

«Dylan Foster»

«Come mai era al Covo quella sera?»

«Sono fatti miei se vado al parco, al Covo o a fare pilates la sera, no?»

«Indubbiamente, ma se vuole aiutare Anita deve...»

«Devo testimoniare e dire cosa ho visto e cosa ho sentito. Se conosco gli uomini che le hanno fatto del male devo parlare. So come funzionano queste cose ma, ripeto, non sono tenuto a spiegare i miei fatti»

«Come può aiutarci, allora?»

«I ragazzi che hanno fatto del male ad Anita sono amici di Franz. Lui le ha stretto il polso e mi ha preso a pugni prima degli altri»

«Ha maggiori informazioni su "Franz"?»

«Ha perso il lavoro sette anni fa, dopo l'assassinio del padre. Ha provato a lasciarsi alle spalle tutto il suo passato di merda. Ha lavorato come spazzino e successivamente come cameriere. I soldi erano troppo pochi e il suo padrone di casa troppo esigente. Il contratto è terminato e si è ritrovato per strada. Non so cosa faccia per vivere, ma so che era una buona persona. Se vuole cercarlo, lo trova per strada»

«Sa dov'è?»

«No»

Seguono altre domande. Inutili. Insignificanti. Se la polizia volesse, la polizia potrebbe. E' per questo che odio gli sbirri. Dicono di esserci, ma nel momento del bisogno sono sempre assenti. Mi domando per quale motivo adesso vogliano prendere provvedimenti con Franz se in passato non hanno mai mosso un dito per garantire un futuro migliore a lui e ai suoi figli.

Mi viene da vomitare e allora esco fuori dalla stanza, nel corridoio deserto, senza salutare nessuno né aggiungere altro. Ho riconosciuto dagli occhi torvi e disgustati dell'agente i suoi pensieri. Sono un reietto, una persona diversa da tutte le altre e la mia unica colpa è quella di essere cresciuto per strada e di aver abbandonato la scuola per farmi le ossa in un'officina che a tratti cade completamente a pezzi.

«Cosa ti prende? Non vuoi aiutarci?»

Mi volto per parlare, ma soltanto perché è lei.

«Se non avessi voluto, non sarei venuto qui»

«Questo l'ho capito»

«Appunto. Ma non posso fare altro, mi dispiace»

«Li stai difendendo e non è giusto»

Lei ora vuole fare la moralista con me?

«E se te lo stessi chiedendo no, non mi sento nella posizione di affermare cosa sia giusto e cosa non lo sia ma, cavolo, una ragazza stava per essere molestata. Anche nella mia vita non va tutto bene, ma non per questo faccio...»

«Ma tu che cazzo ne sai di noi, Violet» sbotto, perché mi fa incazzare letteralmente. Sono uno schiaffo alla miseria le sue parole. Scommetto che si riferisce alla nuova borsa di tremila dollari che ora è sold-out.

«E tu di me cosa sai?» replica a tono. «Apparteniamo a mondi diversi, ma in fondo, guardaci, siamo nello stesso posto»

«Cosa vuoi?»

«Che venga fatta giustizia e che quelle persone si prendano le loro responsabilità»

«Ma cosa credi?» scuoto la testa, senza parole. «Non succederà niente. E sai perché? La polizia non ha bisogno di informazioni: Franz viene continuamente denunciato. Sai qual è il problema, però? Quelli che ci hanno stretto la mano poco fa devono salvarsi la pelle, non hanno le palle per combattere per ciò che gli dà da mangiare. Fidati, non hanno bisogno della tua denuncia o della mia testimonianza»

«Allora perché sei venuto?»

Per te.

«Per dimostrarti che quelli come me non hanno bisogno di essere comprati da quelli come te»

Violet mi dà le spalle e fa per rientrare dentro, infastidita e seccata. Sono scemo.

«Fate la denuncia in anonimo» le dico ad alta voce prima che ritorni dentro.

Lei si volta appena.

«Così non potranno risalire ai vostri nomi»

«Eh, e poi?»

«Ci occuperemo io e Ash di Franz».

Angolo autrice:

Ehi, come state? Come vi avevo anticipato nell'ultimo capitolo, in questi giorni ho avuto molte interrogazioni. Questo è il capitolo di Dylan e spero vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne pensate e grazie per i complimenti che avete scritto a me e a Lu in questi giorni. Vi abbraccio <3

||Ele🦁

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