Capitolo 10 di Anita Hamilton

Manca circa una mezz'oretta alla fine del mio turno e, compiute le quattro, potrò ritornare a casa e prepararmi un bel bagno caldo.
Non riesco a pensare ad altro.

Sono passate due settimane dall'inizio del college, la vita tra uno studio disperato e un lavoro giornaliero è abbastanza dura. In questi giorni sto letteralmente impazzendo, a testimonianza di ció vi è la parete alle spalle del letto che è completamente tappezzata di post-it colorati.

Mentre passo distrattamente una pezza sul bancone, Chloe spalanca la porta del retro facendomi inesorabilmente sobbalzare.

«Dannazione Chloe, ci incontreremo una sola volta in cui non rischierò di avere un infarto?» le domando rimettendo a posto i bigliettini da visita del negozio, precedentemente caduti per via del mio gomito.

«Scusami Anita, è che sono nei guai!» esclama mentre si porta le mani nei capelli, scompigliandoli più di quanto già non siano. Inizia ad andare avanti e indietro davanti al bancone e tra gli scaffali, facendomi venire letteralmente il mal di testa

«Cos'è successo?» le domando.
Ma vengo bellamente ignorata dalla ragazza che borbotta tra sé e sé imprecazioni e frasi sconnesse.

"Mi ammazzeranno" o "Sono una stupida" o ancora "Mi faranno dormire nella cuccia insieme a Spugna"

«Santissimi lumi Chloe, si può sapere che hai?» riprovo ancora, fermandomi e sporgendo la testa nella sua direzione. Si ferma anche lei e tenta di spiegarmi, ma lo fa così velocemente che non riesco a capirla.

«Non sono ancora laureata in lettere antiche, puoi spiegarmelo in modo decente?» la prego, portandomi le mani sulle tempie. Ho un mal di testa martellante e lei mi sta praticamente svenendo sul pavimento.

«Oh Anita, non puoi capire. Oggi dovevo andare a prendere mio cugino e la moglie all'aeroporto ma me ne sono completamente dimenticata e ho appena ricevuto la chiamata di mia madre ultraincazzata perchè Matt, disorientato, ha preso un taxy sbagliato e ora si ritrova chissà dove»

«Nessun altro può andarlo a prendere al tuo posto?» domando retorica.

«No, sono tutti impegnati, per questo dovevo farlo io, ma non ho chiesto la giornata libera al nonno e tra poco comincia il mio turno, non ce la faró mai!» esito, perchè so già che ció che sto per pronunciare sarà totalmente a mio svantaggio, ma temo che se non intervengo subito dovrò assistere a una vera e propria crisi nervosa da parte della giovane.

«E allora cosa stai aspettando? Sbrigati!» la incoraggio.
«Eh? Non posso, tra poco inizi...»
Deve essere proprio disperata se non ha capito il senso della mia frase.

«Ci penso io, resto qui fino all'orario di chiusura» le rivelo, osservando poi il suo sguardo prima confuso, poi sollevato e infine travolto dai sensi di colpa.

«Anita, davvero, non posso addossarti una responsabilità del genere, non è giusto nei tuoi confronti! Hai lavorato tutto il giorno, se accettassi sarei una persona terribile!» ed eccola che si porta di nuovo le mani a coprire il viso.

«Vuoi dormire nella cuccia con Spugna questa notte? No, perchè fuori si ghiaccia» se è possibile mi guarda ancora peggio. Decido di mettere fine alle sue sofferenze.

«Chloe tuo cugino ti sta aspettando, resterò qui in qualsiasi caso quindi vedi di portare il tuo bel culetto nella graziosa panda di Hello kitty parcheggiata qui dietro»
Resta lì a rifletterci così tanto che inizio a sentirmi invecchiata, quindi raggiro il bancone, le prendo il cappotto dall'attaccapanni e la incoraggio fisicamente ad uscire.
«Vai a trovarlo prima che si perda in montagna tra gli orsi!» mi chiudo la porta alle spalle poco elegantemente, per poi ritornare al bancone e riprendere a spolverare.

Sospiro rumorosamente.

Ho l'impressione che questa sarà una lunga serata.

****

Sono le 20:30 quando l'uomo con la sua ventriquattrore lascia il negozio, dandomi la possibilità di abbassare finalmente la saracinesca e terminare questa giornata lavorativa.

Le strade sono buie e deserte ed inizio ad agitarmi quando non riconosco le case che di solito colloco mentalmente come punti di riferimento.

Ma come è possibile che il mio orientamento faccia così schifo?
Manca poco che mi perda anche per trovare il bagno in camera.
IN CAMERA.

Non posso fare a meno di agitarmi ulteriormente quando, man mano che avanzo, mi accorgo invece che l'ambiente che mi circonda cambia radicalmente.

Dove diavolo sto andando?

Proprio come mi aveva spiegato Chloe giorni prima, la periferia non è un posto così sicuro come invece pensavo e che più ci si inoltrava più essa si mostrava devastata.

Non dovrei essere qui.
Non dovrei davvero essere qui, a quest'ora.

Mi irrigidisco totalmente quando credo di essere giunta nell'ultimo quartiere, e mi ritrovo ad osservare ciò che mi circonda e mi sovrasta. Lampioni che s'illuminano e si spengono ad intermittenza, cartacce di ogni tipo sulla strada poco asfaltata e zeppa di fossi, edifici poco stabili e di un grigio spento.

Luogo da brividi, insomma.

Vengo colta dai tremori quando sento il familiare rumore di un motorino avvicinarsi e, presa dall'istinto e da una brutta sensazione, m'infilo in un cunicolo stretto e buio.
Come se ciò potesse rassicurarmi!

Dopo aver ascoltato la vicenda di Violet ieri, circostanze come queste m'inducono a pensare sempre al peggio.

Il motorino si allontana ed io tiro un sospiro di sollievo. Da genio quale sono decido, poco prudentemente, di continuare su questa strada, anche perchè mi pare di sentire qualcosa in lontananza.

Qualsiasi cosa pur di non subire l'agonia di questo silenzio straziante.

Avanzo intrepida come se stessi andando verso la salvezza, faccio vari giri e percorro strade che mi allontanano dalla periferia abitata per farmi giungere davanti a qualcosa di straordinariamente immenso.

Mi sporgo dalla ringhiera che affaccia su uno spazio sconfinato e, l'altezza a cui mi trovo mi permette di osservare ogni cosa.

Nonostante la confusione dipinta nei miei occhi, l'unica certezza che posso constatare è che in quel luogo a me sconosciuto ci sono così tante persone da far venire il voltastomaco.

Il gruppo più vicino si trova alla mia destra: si tratta di giovani che stanno esultando con entusiasmo davanti a un piccolo palchetto. Su di esso vi è una ragazza dark che impugna il microfono e, insieme alla sua band, canta a tutto volume. Non riconosco la canzone ma sono piuttosto sicura si tratti di musica rock.

Volgo lo sguardo a sinistra dove una moltitudine di gentaglia circonda il perimetro di un ring improvvisato.
Scorgo le figure imponenti dei due combattenti e di tutte le banconote strette nelle mani degli spettatori.
Buffo come ad ogni pugno andato a segno dell'uomo su cui hanno scommesso, alzano con vigore le braccia e accompagnano il tutto con grida animalesche.

Vado oltre con lo sguardo e noto qualcosa che mi affascina e mi strega sotto ogni aspetto. I miei occhi brillano quando scorgo dei professionisti -perché devono esserlo per forza- di breakdance.
Osservo ammaliata quelle movenze e sento tutto il corpo fremere dalla voglia di raggiungerli e lasciarmi andare al benessere che mi procura la sensazione di sentirmi libera da ogni pensiero.

Ho sempre amato ballare, chiudere gli occhi e lasciare che la musica mi accarezzi interamente fino ad entrarmi sotto pelle.

Sospiro prima di sentire il rumore dello sfrecciare di più auto contemporaneamente; qualcuno ha appena dato il via alla corsa di due auto sportive, modificate e personalizzate a seconda del proprietario, che sfrecciano a tutto gas lungo un percorso a me ignoto.

Non posso credere che in questo posto ci sia addirittura una pista per gare d'auto clandestine! Sì, sono abbastanza sicura che in questo posto tutto sia clandestino...basta sentirne il frastuono.

Deve esserci ancora altro che non mi è concesso scrutare a pieno, ma visto che non ho idea di cosa fare e come tornare a casa, decido di inoltrarmi tra la massa informe di gente, nella speranza di trovare qualcuno che mi possa aiutare.

Mi allontano dalla ringhiera arrugginita e, attraverso una stradina secondaria in discesa, giungo nei pressi di un cancello e una linea rossa. Oltrepassata quella credo di essere ufficialmente entrata in quel luogo assurdo e pazzesco.

Passo faticosamente tra la gente, andando avanti a suon di gomitate e tocchi fastidiosi. Se non ci fosse tutta questa gente ammassata e sudata sarebbe tutto più piacevole, decisamente.
Stare a contatto con tutti questi esseri umani sconosciuti mi mette non poca agitazione. Posso davvero fidarmi di qualcuno, qui dentro?

Neanche il tempo di cercare di capire dove mi trovo che, immersa nei miei pensieri, la mia spalla colpisce con violenza quella di qualcun'altro.

Indietreggio visibilmente e, una volta alzato lo sguardo, i miei occhi sprofondano in quelli spaventosamente verdi del volto familiare che mi si presenta davanti.

Mi prendo alcuni secondi per identificarlo nella mia mente e poi sobbalzo quando finalmente riconosco l'identità dell'uomo.

Deve essersene ricordato anche lui, dal momento in cui il suo sguardo si riduce ad un'espressione torva e alcune rughette si formano sulla sua fronte.

«E tu che ci fai qui?» mi domanda, innervosendosi di botto.
Vedo la vena del suo collo iniziare a pulsare e, inevitabilmente, mi vengono i brividi.

Possibile che questo tizio mi odi così tanto pur non conoscendo nulla di me?
Avanzo verso di lui e lo fronteggio senza timore.

«C'è per caso qualche legge che mi impedisce di essere qui? No, perchè fuori non ho visto alcun cartello che mi vietava l'accesso» incrocio le braccia al petto in segno di sfida.

«Ovvio che non puoi entrare qui, questo è un posto riservato a noi e non alle Fiorenti nane con l'equilibrio instabile e la puzza sotto il naso» mi risponde a tono.

«Ma come ti permetti? Sei tu che mi sei venuto praticamente addosso, sei così ingobrante che con un colpo del genere avresti fatto volare anche John Cena!» sbotto irritata, mettendo su un terribile broncio. Questo ragazzo tira fuori il peggio di me.

Nessuno può comandarmi in questo modo, tantomeno lui che, nonostante non mi conosca, si diverte ad articolarmi con parole di cui ignoro il significato.

«Si può sapere chi diamine siano questi "Fiorenti"? Non fai altro che ripetermelo ma non ho la più pallida idea a cosa tu ti stia riferendo!» ed ecco che ho mandato, in maniera poco elegante, a quel paese l'ultimo briciolo di pazienza che covavo in me.

Si prende qualche secondo per scrutarmi da capo a piedi per poi irrigidire la mascella virile.

«Non fare la finta tonta, te lo dico per l'ultima volta: questo non è il posto per te, vattene subito».
Detto questo si volta per tornarsene da dove è venuto. Ecco bravo, vattene tu. Non sopporto la sua arroganza.

Mi guardo alle spalle con l'intenzione di scorgere il cancello dal quale ho fatto il mio ingresso. Lo guardo per alcuni secondi, contemplando quale sia l'idea migliore: allontanarmi da questo posto e vagare tra i quartieri da sola di notte per chissà quanto altro tempo ancora, oppure continuare la mia esplorazione di questo posto alla ricerca di una persona che m'ispiri fiducia.
Alla fine un po' per disperazione, un po' per dispetto nei confronti di quello scorbutico, avanzo tentennante sui miei passi.

Sono quasi nei pressi dello scontro di box, o almeno credo si tratti di questo,  quando sento sulla mia schiena uno sguardo insistente. Mi guardo freneticamente intorno dieventando d'un tratto guardinca.

Penso quasi di essermi fatta semplicemente fregare dalla paranoia quando mi ritrovo a incrociare lo sguardo di un tipo che mi guarda in modo talmente intenso da farmi venire la pelle d'oca.

La sua espressione poco affidabile non mi piace per nulla, tanto che distolgo immediamtamento lo sguardo, ma non prima di averlo visto toccare la spalla si un tizio accanto a lui e fargli un cenno col capo nella mia direzione.

Una brutta sensazione si irradia in tutto il mio essere, tanto che sento la necessità di allontanarmi di lì. Lo faccio velocemente, con le spalle tese e irrigidite.

Tento di allontanarmi dalla marea di persone, alla ricerca di quanta più aria possibile da far circolare nei polmoni.

Pessima scelta dal momento in cui pochi minuti dopo sento una presa salda sulla mia spalla.

«Ehi dolcezza, dove scappi così velocemente? Ho come l'impressione che tu ti sia persa, non è così?» una voce rauca e divertita mi giunge all'orecchio e mi irrigidisco così tanto che, per un attimo, prendo in considerazione l'idea di non voltarmi e di cimentarmi in una folle corsa il più lontano possibile.

Ma purtroppo le cose non vanno così e quando avverto la presa farsi insistente mi decido a voltarmi e a scrollarmi di dosso quella mano e il suo tocco fastidioso.

«No...è tutto okay, grazie» parlo a voce così bassa che probabilmente nessuno dei presenti mi avrà capita.
Mi prendo un secondo per passare in rassegna i loro volti scarni e le loro stature vigorose.

Sono in quattro, sono tutti uomini, puzzano tantissimo di alcool e chissà cos'altro.

Il panico inizia ad impossessarsi di me quando mi rendo conto di essermi allontanata davvero tanto dall'incontro di box e di essere finita quasi ai confini della spaziosa area, in un pezzo meno illuminato e decisamente sgombro.

Cazzo, intuisco di trovarmi dietro il palco. La musica a palla risuona nell'aria, nessuno può sentirmi.

«Non semba dalla tua espressione, guarda che possiamo aiutarti, perchè non vieni con noi?» a parlare questa volta è l'unico biondo dei quattro.

«Dai su, divertiamoci un po' insieme, che ne dici?» un altro mi si avvicina pericolosamente e l'alito nauseabondo che emana mi fa strizzare gli occhi.
Sul mio viso si forma un'evidente smorfia di disgusto.

«Io...io in realtà devo andare via, i miei amici mi stanno asaspettando» non ho mai provato così tanta paura in vita mia come ne sto provando in questo momento.

L'idea che questi ragazzi mi facciano seriamente del male mi fa letteralmente inorridire, sono cosiì spaventata che fiotti di lacrime iniziano a scivolare giù dalle guance, fino a inondarle completamente.

Uno di loro mi afferra il braccio, racchiudendolo interamente nella sua mano grande e incallita.
La sua presa è così forte che, per via del dolore, mi scappa un gridolino strozzato.

Prendo fiato per cacciarne uno più forte, nella speranza che venga udito da qualcuno, ma non faccio in tempo visto che un secondo uomo appoggia la sua mano sulla mia bocca, serrandola così tanto da impededirmi quasi di respirare.

Le lacrime sgorgano a fiumi e bagnano anche la mano dell'uomo che avvicina il suo viso al mio collo, strusciandoci contro il naso.

«Facciamo che per qualche ora diventiamo noi i tuoi nuovi amichetti, sì?»
Presa dall'adrenalina che sta circolando nel mio corpo, mischiata alla paura e all'istinto di sopravvivenza dimeno la testa tanto da sfuggire al suo controllo e, appena mi è possibile, non esito a mordere la sua mano.

Ci metto tutta la forza di cui sono in grado, tutto il disgusto che mi stanno provocando, tutta la voglia di liberarmi dalle loro luride mani.

Non mi stacco fino a che non lo sento urlare dal dolore e indietreggiare d'impulso.

«Questa stronzetta mi ha quasi staccato un pezzo di pelle!» urla infuriato tenendosi  in grembo la mano dolorante.

Provo a slanciarmi in avanti, ma me lo impediscono. Mi circondano, mi sovrastano.

L'ennesimo uomo si avvicina, alza la mano, vuole colpirmi. Indietreggio fino a che la mia schiena non aderisce al gelido muro alle mie spalle.

Sono in trappola.

Porto le braccia a parare il viso, stringo gli occhi e mi faccio piccola piccola. Ma prima che accada il peggio, una voce sicura e autoritaria ferma ogni cosa.

«Si può sapere che cazzo sta succedendo qui?!»

Angolo autrice:
Salve a voi cari pinguini, come state? Spero che stiate passando le festività Pasquali serenamente.
In questo capitolo è successo di tutto e di più, e la nostra Anita si è messa seriamente nei guai. Cosa ne pensate? Chi credete che sia colui che ha parlato?
Fatemi sapere nei commenti!❤
Un bacio.
//Lucy🐧

















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