Capitolo 7: Party


Da quel momento in poi, cominciò per Esther il periodo peggiore della sua vita.

Si svegliava presto, un sequestro non poteva cambiare le abitudini di una vita. Si alzava dal letto a baldacchino, si dirigeva verso il bagno, e si faceva una lunga doccia fredda. Non sapeva perché, ma l'acqua troppo calda la infastidiva. Molto probabilmente la rilassava troppo. Ed Esther non aveva più tempo per rilassarsi.

Dopo tornava in camera, dove magicamente trovava un cambio di vestiti e una colazione sostanziosa e deliziosa sul letto perfettamente rifatto. Non aveva ancora capito come fosse possibile che gli oggetti comparissero così all'improvviso, e solo quando lei non era presente.

Dal primo giorno si era preoccupata delle lenti a contatto, ma si diede della stupida quando controllò nei cassetti nel bagno: cerano decine di pacchetti della marca che usava. Non controllò la gradazione, e neanche si chiese cosa sarebbe successo quando sarebbero finite: sicuramente sarebbero ricomparsi altri pacchetti immediatamente dopo. In quanto alla marca, non era certo la più famosa, ma se sapevano l'orario del treno che prendeva, perché non la marca di lenti a contatto che usava, o la sua gradazione? Ormai era certo che la spiassero da tempo.

Da lì in poi non le rimanevano molte cose da fare. Aveva disfatto in parte la valigia, riempiendo gli scaffali vuoti sopra la scrivania dei suoi libri. Ne aveva portati tantissimi, circa il venti, venticinque per cento del contenuto del bagaglio.

Dopo aver mangiato si e no una fetta di pane col burro e aver bevuto del succo di frutta il cui gusto variava quasi ogni giorno, ripensava a delle possibili vie di fuga, ma fino ad ora non le era venuto nulla in mente. Stanca di riflettere inutilmente si metteva leggere, sperando che l'ispirazione le giungesse all'improvviso. Oppure ammirava il panorama affascinante del giardino e della campagna intorno. Non lo avrebbe mai ammesso, ma le sarebbe piaciuto avere una casa così, un giorno. A parte il fatto che costerà sicuramente milioni di euro. Ma lasciamo perdere.

Verso l'una le veniva fame, e non sapeva come sarebbe avvenuto l'arrivo del cibo, dato che si trovava...

-Dovrei smetterla di farmi certe domande

Entrò nella cabina armadio, ci rimanè per qualche minuto, e quando tornò nella camera principale, c'era il solito vassoio con la cloche sopra la scrivania. Ogni giorno un pasto diverso. Esther era meravigliata dalla fantasia di chiunque cucinasse. Omelette, vellutate di verdure, stufati, soufflé, arrosti, tutto tranne che gli asparagi, perché lei li odiava. E non sia mai che si siano dimenticati qual'è uno dei pochi alimenti che la persona che stalkerano da almeno un anno odia!

Il pomeriggio era un altalenarsi di leggere, rovistare nei cassetti del bagno e della cabina armadio in cerca di qualcosa di utile, e giocare con un Arcade portatile degli anni Ottanta che suo padre le aveva regalato e non aveva mai usato. Se l'era portato per darlo a sua sorella, ma a quanto pare lo avrebbe usato lei.

Unito a diversi tentativi di aprire al porta della camera e cercare delle auto che passassero davanti alla villa, queste erano le giornate medie di Esther. 

Esternamente potrebbe sembrare che fosse determinata e fredda, ma in realtà dentro di lei si sta combattendo una guerra psicologica: cercava di pensare a tutto meno che alla sua famiglia, ai suoi affetti, perché se lo avesse fatto non ne sarebbe più tornata. 

Chi sapeva se avrebbe più rivisto i suoi genitori? Delle persone così severe, si poteva dire che l'avessero forgiata nella pazienza e nella resilienza. Ma quanto potevano rivelarsi affettuose delle persone, quando realizzavi i loro sogni. La sua borsa di studio, i suoi successi scolastici, anche il fatto che si lamentasse poco e ringraziasse sempre, li avevano sempre resi fieri di lei. E sua sorella, il disastro ambulante più geniale che lei avesse mai visto. Sapeva che spesso i bambini iperattivi avevano il QI superiore al normale, ma Kara era un caso a se. Aveva voti più alti di quelli che Esther aveva alla sua età, e gli insegnanti si complimentavano sempre con i loro genitori per il suo carattere calmo e la sua attenzione costante in classe. Dove le lasciava queste caratteristiche quando stava a casa? Ad ogni modo, sarebbe la peggiore delle bugiarde se dicesse che non le volesse bene.

Poi pensava ai suoi amici. Felicia, brava in tutti gli sport esistenti e un po' scorbutica, ma che l'aveva accolta come una sorella sin dal primo giorno. Elle, silenziosa, ma sempre aperta con lei, non le nascondeva mai niente. Matthew, l'unico ragazzo con i capelli rossi ma senza lentiggini che sia mai esistito sulla Terra. La delicatezza fatta persona, con i suoi commenti detti sempre al momento giusto e la sua gentilezza. Aveva anche una senso dell'umorismo piuttosto perverso, ma almeno le battute facevano ridere. Aveva iniziato a parlare con Esther verso l'inizio del secondo anno, visto che frequentavano alcuni corsi insieme. Era un umano, e inizialmente Esther aveva pensato di piacergli, ma aveva capito che per lui lei era solo un'amica. Era di un anno più grande di lei, e aveva appena finito il quarto anno di Università, perciò alla festa della foto non aveva partecipato.

Loro tre erano i primi che le venivano in mente, ma sapeva di essere piena di persone che le volevano bene, e che lei a sua volta amava. Tuttavia, pensare anche ad una sola di loro le riempiva gli occhi di lacrime. In un modo o nell'altro ognuna di loro l'aveva segnata, e ora rischiava di perderle. Per sempre.

A quel punto di solito era troppo triste e sola anche solo per pensare, e sentiva che un'oscurità senza fine stava per risucchiarla. Smetteva di fare qualsiasi azione stesse compiendo, e si concentrava su cinque fatti importanti:

1 Lei non doveva vivere per nessuno, solo per se stessa.

2 Chiunque amasse stava bene, perciò non stava piangendo per loro, ma per se stessa.

3 Non doveva piangersi addosso.

4 Le avevano tolto la libertà.

5 Nessuno poteva togliere la libertà.

Allora ricominciava a cercare metodi per scappare. Questa parte non era complicata.

I problemi arrivavano verso le otto di sera, quando le arrivavano la cena, e un abito nero da indossare. Allora ricominciava a pensare a Helias, a quando le avrebbe piantato i canini nel collo...quello era troppo per lei.

Nei due giorni consecutivi al primo non era riuscita a compiere nessuna azione diversa dal lavarsi via il sangue secco dal corpo e magiare quel poco necessario per sopravvivere.

Non ce la faceva proprio. Era più forte di lei. Si imponeva di essere forte, di non mostrare segni di debolezza, ma il semplice fatto che un essere così disgustoso e odioso ogni singola notte entrasse nella sua camera, la trattasse con dolcezza e raffinatezza, per poi renderla vittima di simili atrocità, angosciava Esther. Ogni notte si diceva di non piangere, e ogni notte si sgolava in urla disperate e in pianti silenziosi, che duravano anche dopo che Helias usciva chiudendo a chiave la porta, augurandole una buona notte. Verme schifoso.

Ormai Esther si era fatta un'idea di come fosse fatto. Lui sembrava uno di quegli uomini che vivevano alla giornata, libero, ma in realtà era molto scrupoloso. Chi altri avrebbe spiato una ragazza per più di un anno e avrebbe allestito tutto questo per una semplice fonte di sangue umano? Un folle? Un perfezionista? Un sadico tremendamente ricco? Esther sospettava che Helias fosse tutte questa cose messe insieme in un mix affascinante e insidioso.

Non che le importasse più di tanto. 

Più o meno. 

Il punto è che sono molte le cose che Esther doveva ancora capire e conoscere sul conto del vampiro che l'aveva rapita.

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Aveva fatto cura di non perdere il senso del tempo. Erano passati ventisei giorni da quando era stata rapita. Era il sedici Luglio, quando insieme alla colazione, la mattina, le fu recapitata anche una lettera. Esther arricciò il naso. Era dal primo giorno che Helias non gliene lasciava, e non che la cosa le dispiacesse. Tutte le cose che le voleva dire gliele diceva la sera, quando si incontravano, e non le piacevano tutte. 

Jedoch...

Ultimamente Helias era mancato due sere di fila. Ieri aveva pensato di chiedergli spiegazioni, ma aveva lasciato perdere. Le avrebbe risposto qualcosa del genere: perché, ti manco?  Forse le avrebbe detto il motivo lì.

Aprì la busta chiara e la buttò per terra. Spiegò un foglio, dove c'era scritto:

Liebe Esther,

è con piacere che ti informo che sta sera si svolgerà un ricevimento qui alla villa.

Indossa l'abito che preferisci, basta che sia bianco, e preferibilmente lungo.

Non c'è bisogno che ti trucchi. Dentro alla busta ho messo un regalo per te.

Passerò da te alle diciotto.

Helias.

Il suo primo sentimento fu di sorpresa. Come, prima non la fa neanche uscire dalla camera, e poi le dice che dovrà partecipare ad un ricevimento? Un ricevimento in cui sicuramente parteciperanno anche altre persone?

Lo sconcerto di Esther era immenso. Ma poi rilesse la lettera. E corse a recuperare la busta. Sperando che nulla di quello che c'era dentro si fosse rotto, estrasse un sacchetto di stoffa. Tirò il nastro che lo chiudeva, e fece ricadere sulla sua mano una catenina metallica con un ciondolo. Solo che non era un semplice ciondolo. Era un diamante, e pure grosso.

Lo shock di Esther aumentava di secondo in secondo. Gioielli come quello nei migliori negozi di Vienna valevano migliaia di euro. E ora lei ne possedeva uno.

Dimenticò questo pensiero. Non era suo. Lo aveva comprato Helias per lei, ma solo per renderla più bella, per fare bella figura davanti alle persone che avrebbe invitato, per mostrare la sua ricchezza, usandola come un manichino. Declassata per l'ennesima vota ad oggetto, e non a persona, ad essere senziente con dei sentimenti.

-Cosa pensi, di potermi comprare con dei gioielli?!

Esther lo aveva quasi urlato. Non sapeva se ci fossero delle telecamere nella stanza (ci aveva pensato altre volte, ma non aveva trovato niente) ma se sì, almeno Helias avrebbe saputo cosa ne pensava dell'intera situazione.

Non era solo scioccata, ora era anche arrabbiata. Era obbligata ad andare al ricevimento, altrimenti Helias l'avrebbe punita. Sbuffò. La situazione stava degenerando. 

Anche se...forse alla festa sarebbe riuscita a trovare qualcuno...qualcuno che...

Qualcuno che mi porti via da questo inferno

Le probabilità erano davvero poche, ma pensandoci (la spuntò un sorriso ironico) non erano molte neppure le probabilità di farsi rapire da un vampiro.

Andare o non andare? La scelta si stava rivelando ovvia.

C'era un solo piccolo, insignificante problema. Al momento erano le otto del mattino. Come avrebbe fatto ad aspettare fino alle diciotto, ovvero tra dieci ore? 

Compiendo l'attività che lei aveva più deriso e rinnegato nella sua vita. Scegliere cosa indossare per un evento.

-Se Matt mi vedesse in questo momento riderebbe così tanto da spaccare i vetri alle finestre

Commentando in questo modo, entrò nella cabina armadio, riemergendone solamente dopo qualche ora.

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Incredibile ma vero, Esther era riuscita a far passare quella giornata. Non aveva idea di come, ma ce l'aveva fatta.

Erano le sei meno dieci. Di sera. E per la prima volta da ventisei giorni non aveva paura del momento di quando la porta della sua camera si sarebbe aperta. Era quasi eccitata. Era troppo tempo che non usciva. Non vedeva niente di nuovo. Non respirava niente di nuovo. Non parlava con nessuno di nuovo. Persino lei, che aveva sempre amato la tranquillità e la pace, si sentiva sempre di più un animale rinchiuso in una gabbia. Una gabbia lussuosa, ma pur sempre un gabbia.

Fremeva d'impazienza, quando sarebbe arrivato Helias?! Mancavano solo cinque minuti.

Aveva indossato un abito su cui aveva riflettuto molto. E con "molto" intende più tempo di quanto consideri giusto sprecare per un vestito. Era bianco, come aveva chiesto Helias, lungo fino ai piedi, con un piccolo strascico. Davanti l'unica caratteristica era il mezzo collo, ma a renderlo davvero elegante come aveva desiderato Esther era la scollatura della schiena. 

Ora che ci penso, è proprio per questo che mi  piaciuto

Semplice, grazioso, la gonna a sirena che accentuava la sua statura. Elegante.

A completare il tutto c'era la collana di Helias, che aggiungeva luce al suo volto. 

Niente di più. Giusto un po' di mascara, per far risaltare gli occhi. Ai piedi, delle ballerine, anch'esse bianche.

Le diciotto in punto, e Helias non era ancora arrivato.

Pazienza, sarà in ritardo

Non ci credeva neanche lei. Esther sapeva bene che in quasi un mese di appuntamenti sempre allo stesso orario, Helias era sempre arrivato puntuale. O c'era qualcosa che non andava, o Helias si era dimenticato di lei.

Scacciò immediatamente l'ultimo pensiero.

Es ergibt keinen Sinn! 

Le fa recapitare una lettera cui le dice di prepararsi per un ricevimento dopo due giorni di assenza, una collana con diamante, e poi non si presenta nemmeno? 

Le diciotto e un quarto. Ormai Esther ha perso la speranza.

Si alzò dal letto, dove fino ad adesso aveva aspettato. Scosse la testa, scompigliandosi leggermente i capelli che aveva pettinato in grandi onde. Quindi era tutto finito? Dopo tutte le speranze che vi aveva riposto, questa fantomatica opportunità di rivalsa era sfumata nel nulla?...

Rumori di oggetti metallici. Lo scatto della serratura. Ed Helias era entrato nella stanza, bellissimo, con i capelli biondi pettinati accuratamente per sembrare disordinati, il completo nero e la cravatta dorata. Le fece un sorriso teso.

-Guten Abend, mein Esther! Sei davvero bellissima. Scendiamo?

Esther non se lo fece ripetere due volte. Helias le tenne aperta la porta, e dopo essere anche lui uscito la chiuse. 

Percorsero alcuni corridoi. Ester non li ricordava tutti, ma le tornò in mente che per arrivare dal grande salone centrale alla sua camera avevano fatto un giro tortuoso. Ma quanto era grande "Villa Clara"?

Alla fine si fermarono davanti ad una porta. Che poi, porta era un eufemismo per descrivere quelle due ante alte almeno quattro metri, in legno, scolpite e decorate da dipinti raffiguranti fiori rossi e blu. 

Helias prese Esther sottobraccio, e le parve di sentirlo piuttosto rigido. Helias era...nervoso? Esther non riusciva a capire perché dovesse. Non era neanche sicura di poterne godere. In qualche modo la causa della tensione di Helias avrebbe influito anche su di lei?

Tuttavia non ebbe molto tempo per pensarci, poiché la porta si aprì, trascinandola in un turbinio di luci, suoni e colori.


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