Capitolo 6: Cicatrici
Meno un minuto...
Non rimanendole niente da fare, si sedette sul letto a baldacchino, fissò la porta di fronte a se, sperando che alla fine Helias non venisse.
Tuttavia, alle ventitré spaccate, almeno secondo il suo orologio da polso, sentì bussare alla porta.
Toc, toc, toc...
Da lì, il silenzio. Dopo qualche secondo, Esther utilizzò tutta la poca voce che le rimaneva per dire: Avanti...
La porta si aprì, ed entrò nella camera un uomo piuttosto alto, che indossava dei pantaloni blu notte ed una camicia bianca. I capelli erano biondi, pettinati accuratamente, la pelle pallida, e gli occhi freddi ma pericolosi come il ghiaccio.
-Buona sera, Esther. -
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Helias si chiuse la porta alle spalle, poi le rivolse uno sguardo da predatore, incisivo e bramoso. Le si avvicinava lentamente, come pregustando ciò che sarebbe avvenuto dopo. Esther fissava la porta, ci concentrava tutte le sue energie, le sue attenzioni, le sue riflessioni, tutto, pur di non pensare al vampiro davanti a lei.
Helias le arrivò di fronte, le prese il mento tra le dita, ma inversamente a come avrebbe pensato fu lui ad avvicinarsi. Con la mano libera le prese la spalla e la calò lentamente sul letto.
Esther non oppose resistenza, lasciandosi stendere sul morbido materasso. Helias si poggiò leggermente su di lei. Teneva ancora il viso tra i suoi capelli.
Le liberò la gola da quella massa setosa e profumata, dopodiché appoggio le labbra sul suo collo.
Esther avvertì un brivido, ma fu di breve durata.
Poiché immediatamente Helias piantò i canini nella sua carne viva.
Per una frazione di secondo stette per svenire dal dolore, ma tenne duro. Nulla di quello che le era stato detto l'aveva mai portata ad immaginare un dolore talmente atroce. Molti in futuro le avrebbero chiesto cosa si provasse, e lei avrebbe risposto la maggior parte delle volte: pensa se due trapani elettrici ti perforassero allo stesso tempo la gola sulla vena giugulare. Quello, ma poi scopri che è un vampiro, e che in realtà potrebbe farti molto peggio.
Ma in quell'esatto momento, l'unica cosa a cui riusciva pensare era di non piangere, di non farlo assolutamente, non lì, non ora, non con lui sopra di lei.
I suoi propositi divennero un poco più difficili quando Helias iniziò a spingere ancora di più i denti nel suo collo. Le sembrava di percepire il sangue che da lei passava nella sua bocca. Era disgustoso e terrificante allo stesso tempo.
Emise un gemito, e le parve di sentire Helias irrigidirsi. Si fermò un attimo, e Esther fu certa di sentire dei rivoli di una sostanza liquida (il suo stesso sangue) scorrerle lungo la spalla. Sentiva le spalle strette tra le mani del mostro che era su di lei.
Tuttavia, Helias ricominciò immediatamente, penetrando ancora più nella carne, provocandole un urlo involontario. Fu istintivo, e durò solo qualche secondo, ma Helias sembrò apprezzare, perché il sangue iniziò a scorrere ancora più velocemente, tanto che sempre più gocce atterravano sui loro corpi.
Esther non ce la fece più, un piccolo gemito, poi un altro, e un altro ancora, finché non sfociarono tutti in un grido disperato. Dopo quello si placò un poco, ma senza essersene resa conto iniziò a piangere.
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Quella fu per Esther la notte più lunga della sua vita. E vuol dire tanto, pensando a quante notti prima di esami aveva dovuto vivere.
Fatto sta che si svegliò agitata e scombussolata, cercando di connettere i vari ricordi che le affollavano la mente.
Quando si rese conto di cosa fosse avvenuto la sera prima, un brivido la scosse. Era ancora stesa a letto, si alzò e rimase sconcertata da ciò che vide. Il letto, e gli specchi che ricoprivano la stanza dal pavimento al soffitto erano cosparsi da macchie rosse, di un rosso scuro, come quello del sangue secco.
Ma la visione davvero sconvolgente era se stessa. Il suo vestito nero era stropicciato, i capelli disordinati e aggrovigliati (anche se quello sempre di mattina) ma soprattutto il suo volto. Le era bastato osservarlo per un attimo, e già aveva chiuso la palpebre, non riuscendo a sostenere ciò che i suoi occhi le mostravano
No, no, no, ti prego no!...
Si piegò su se stessa, e portò le mani al viso. Se lo accarezzò lentamente, come per rincuorarsi, per convincersi che andava tutto bene, mentre bene non andava niente.
Raccolse il corpo e il suo spirito feriti.
Sempre tenendosi il viso ta le mani si incamminò lentamente verso il bagno, attenta a non sfiorare nemmeno le pareti.
Appena entrata liberò il volto, e si diresse con passo incerto verso lo specchio piccolo.
Ci arrivò.
Ci si specchiò.
Iniziò a piangere.
Si accasciò sul pavimento, stringendo la stoffa del vestito come se volesse strapparla, distruggerla, strozzarla. Strozzarla come la sua voce, che a fatica emetteva parole come basta, basta, voglio tornare a casa, basta, la mia faccia, la mia faccia, il mio collo!...
Già. Il suo collo. Se si distoglieva l'attenzione dal suo volto, sfondo bronzeo con decorazioni sanguigne, se si fosse scesi più in basso, a destra del suo elegante collo, si sarebbero notati due forellini, che più avanti sarebbero diventati cicatrici, di un rosso vivo, come se sanguinassero ancora.
Non lo sa ancora, ma quelli per Esther sarebbero diventati un marchio, e un promemoria.
Ma al momento, lei era semplicemente una ragazza spezzata dentro, sofferente, che piangeva su di un pavimento, privata della sua dignità, e della sua libertà.
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