Capitolo 2: Macchina
Esther entrò nel pallone. Chi era che le aveva tappato la bocca e bloccato le mani? Perché lo aveva fatto? Quanto poteva essere forte, visto che riusciva a malapena a dimenarsi? Perché nessuno accorreva ad aiutarla, dato che era sicura di star urlando contro la mano del o della assalitore o assalitrice? Perché non si era accorta di avere qualcuno dietro?
Continuava a porsi domande, cercando di non pensare alla possibile risposta.
Era così impanicata, che non si rese nemmeno conto che il diretto interessato le aveva parlato.
-Mh?!?!?
-Ti ho detto di non fiatare, o rischierai ben altro che la vita.- Disse il tipo.
La voce era maschile, determinata, ma aveva un non so che di...inquietante. Sì, Esther era inquietata da quella voce, perché non aveva ombra di paura. Sembrava solo un po' impaziente. Di che cosa, non lo sapeva, e sinceramente aveva paura di scoprirlo.
L'uomo raccolse la valigia, lasciandole le mani libere, ma coprendo sempre la bocca. Lei approfittò di quell'attimo per scappare, pensando di non essere abbastanza forte per placcarlo a terra come nel corso di auto-difesa. Una cosa erano i suoi compagni, l'altra una persona con una forza...eccezionale per non dire...sovrumana...
Fu tutto inutile. Lui le afferrò la mano con una mossa fulminea che la prese di sorpresa e l'attirò a se.
-Non provare neanche a scappare, credevo fosse sottinteso.
Esther era senza parole. Non potendo scappare...avrebbe dovuto assecondare il misterioso assalitore?
Lui prese la valigia, le liberò la bocca, e stringendole con forza le mani un po' trascinandola e un po' conducendola, la portò ad una macchina nera altamente anonima che non poteva dire di aver notato prima e neanche di non averla mai vista. Pian piano si rese conto di perché nessuno si fosse accorto della scena un po' anormale: in strada non c'era un'anima. Un po' per il caldo soffocante, un po' per l'orario e un po' perché i turisti non erano ancora in molti, la strada era completamente deserta.
L'uomo le aprì lo sportello anteriore. Esther vi entrò senza emettere un suono, e allo stesso modo lui andò al posto del guidatore, inserì le chiavi e partì. I finestrini erano oscurati, ma fino ad un certo punto Esther riuscì a capire dove si trovassero.
Ciò non toglie che fosse terrorizzata. Che cosa avrebbe dovuto fare? Cercare di uscire dallo sportello mentre l'auto era in movimento? Anche se avesse voluto, si rese conto che il tizio aveva messo la sicura.
Previdente.
Pensò a molteplici alternative, ma nessuna le sembrò fattibile o accettabile, quando si ricordò di avere ancora il cellulare in tasca. Avrebbe potuto chiamare la polizia, o ancora meglio, mandare un messaggio ai genitori spiegando la situazione. Avrebbero rintracciato il numero, e l'avrebbero potuta salvare prima che accadesse il peggio. Controllò lo specchietto retrovisore. Mostrava lei, ma solo il volto.
Concentrata al massimo, allungò impercettibilmente la mano fino alla tasca dei pantaloni. Toccò il cellulare e molto, mooolto, lentamente, tentò di sfilarlo dalla tasca.
-Dallo a me
Oh Scheiße, ma come...
-Cosa?- Gli chiese con voce flebile.
-Non fare la finta tonta. Il telefono.
Ora Esther era senza speranza. Senza mezzi di comunicazione, come avrebbe fatto ad avvisare i suoi?
Gli consegno il cellulare. Lui staccò una mano dal volante per prenderlo, abbassò il finestrino, e senza un attimo di esitazione lo lanciò fuori.
Perché essere così sorpresi? Non voleva lasciarle nessuno scampo, nessun'ancora a cui aggrapparsi.
Esther si abbandonò contro lo schienale della macchina, esasperata dalla situazione.
Cercò di concentrarsi sul rumore del traffico, notando che il suono dei clacson e delle auto si stava affievolendo, segno forse del fatto che si stavano allontanando dalle strade più trafficate.
Dopo circa venti minuti di viaggio scomparve del tutto, lasciando solamente il rumore della loro auto. L'uomo non proferì parola per l'intera durata del tragitto. Anche Esther rimase in silenzio, un po' perché era ancora troppo scossa, un po' perché preoccupata dalla minaccia dell'assalitore.
Dopo quella che le sembrò mezz'ora, iniziò a sentire suoni diversi rispetto a quelli del traffico: il frinire delle cicale, il fruscio del vento sopra l'erba alta, il cinguettio degli uccelli. Esther iniziò a supporre di trovarsi in campagna.
Durante il viaggio, osservò, per quel che riusciva ad osservare, l'uomo che guidava. Indossava degli occhiali da sole con lenti e montatura neri, sembravano di buona fattura, anche se Esther non riusciva a capire se fossero di marca o meno.
Aveva i capelli biondo pallido, pettinati all'indietro con il gel. La pelle era pallida, il naso dritto e la bocca sottile. Indossava un completo da sera nero e blu.
Esther stava cercando di capire se lo conoscesse, ma almeno dalla sua posizione ( lui al volante, lei seduta dietro) non le sembrava di averlo mai visto in vita sua.
Ormai era sicura di aver fatto più di due ore di viaggio. Già da un po' si era accorta di avere fame. Ormai sarebbe dovuta essere a casa da un pezzo. La sua famiglia si sarà iniziata a preoccupare, l'avranno chiamata, ma ovviamente lei non avrebbe risposto.
Oltre la paura, iniziava a sentire dentro di sé la tristezza. Lei era stata rapita, e i suoi familiari erano preoccupati non sapendo cosa le fosse successo.
Senza nessun preavviso, la macchina fece una manovra di parcheggio e si fermò. L'uomo scese, le aprì lo sportello, e senza bisogno di parlare, fece capire ad Esther che doveva scendere dall'auto.
Lei obbedì, e quando si alzò in piedi la prima cosa che le saltò all'occhio era che erano in aperta campagna, in mezzo al nulla.
La seconda, era che davanti a lei si stagliava alta e austera una villa bianca in stile gotico.
-Ti presento la tua nuova casa. Altrimenti nota con il nome di "Villa Clara". - disse l'uomo.
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