Capitolo 11.

Chiuse il diario esausto. Era seduto in salotto, la televisione era accesa, facendo scorrere le immagini di uno spettacolo, che non rammentava di conoscere. Dalla finestra filtrava una luce calda e confortevole, che disegnava giochi di luce e ombra sulle pareti rosate del soggiorno. L'acquario con i dieci pesci rossi, illuminava leggermente l'angolo buio della stanza a destra. L'angolo sinistro, invece, aveva un varco per arrivare in cucina. Dal divano scorgeva l'isola di marmo, vicino alla quale lui aveva rubato un bacio a Diamante e poi, qualche giorno più in là, su quello stesso piano avevano giocato, ballato come rondini in aria.

Sulla parete adiacente, invece, c'era il corridoio che portava alle scale e al bagno per gli ospiti. Anche lì aveva dei ricordi particolari, specialmente nella grande doccia. Ogni posto in casa sua gli ricordava la sua piccola paladina della giustizia, forse più che pensare a lei, in quel momento pensava al suo corpo, stretto fra le sue braccia. Era decisamente a quello che pensava e si faceva schifo, però non poteva farne a meno. Non l'aveva mai conosciuta con i vestiti ancora addosso, se non per quelle poche conversazioni, o meglio quei piccoli sfoghi che gli concedeva, mentre lui le carezzava la pelle pallida e la guardava con gli occhi di chi vede per la prima volta le stelle.

Al di fuori di quello, l'unico modo per vedere completamente era stato leggere il suo diario, quindi non riusciva sentirsi una morsa che gli stringesse il cuore, perché nemmeno si era interessato di conoscerla. A lui era bastato che lei non scappasse da lui, che lo baciasse con dolcezza e si abbandonasse completamente a lui. L'aveva usata ed era troppo tardi per chiedere scusa e parlare. Era passato un mese, ormai pure lui stava perdendo le speranze. Forse era già morta e tutto lo sforzo di trovare elementi utili nel diario era stata una perdita del tempo.

Senza di lei nella sua normalità, anche lui si sentiva morto. Era sbagliato starle vicino, ma solo in quei momenti si sentiva riempire i polmoni di aria pulita. Anche se non fumava da qualche anno, sentiva di soffocare a ogni azione, chiudendolo in quello che per lui era un mondo senza speranza. Non voleva più vivere in quel modo, lasciando che ogni giornata scorresse senza meritarsi un ricordo. Non voleva più sentirsi più morto che vivo, perché lo vedeva negli occhi dei suoi genitori che soffrivano a vederlo così. Non voleva nemmeno più sentirsi il peso delle colpe, perché si era deciso a cambiare e non si sarebbe arreso.

Il suono del citofono lo richiamò al presente, facendolo sospirare. Si alzò, anche se tutto il suo corpo gli chiedeva di stare seduto, e andò a vedere chi fosse. Per arrivare al citofono, passò davanti a una fotografia di lui e Diamante appesa al muro. Avevano le fronti appoggiate e un sorriso timido carezzava le loro labbra, mentre i boccoli corvini della ragazza contrastavano con la pelle bianca e andavano sul volto di Massimo, anch'egli con i capelli castani sciolti. Quella foto l'avevano scattata con Claudio, durante un pomeriggio dei primi giorni di marzo, che continuava a puntare loro il dito contro, perché quella foto non sembrava raffigurare due amici, bensì due amanti. Due innamorati dannatamente persi negli occhi dell'altro, un attimo prima di baciarsi nel sole di marzo, ancora freddo, però con qualche sfumatura di primavera.

Guardò il piccolo schermo davanti a lui e notò, con sua grande sorpresa, il volto di Vincenzo e un altro ragazzo biondo. Alzò la cornetta, tenendo fissi gli occhi sui due ragazzi.

«Vincenzo?», chiese forse titubante.

«Max? Dobbiamo parlarti, riguarda anche Alejandra, pensiamo di aver scoperto qualcosa.», disse schietto, senza aggiungere altri dettagli.

«Entrate, terzo piano, porta a sinistra. Non potete sbagliare.», aprì il cancello, abbassò la cornetta e attese che risuonassero. Poco dopo sentì il campanello e schiacciò la chiave con vicino l'adesivo "portone". Stette vicino alla porta, che per impazienza aprì e li aspettò sulla soglia. Quando li vide salire, sentì i palmi della mano sudare e il cuore battergli in gola.

«Ciao, lui è Riccardo, il mio migliore amico e fratellastro di Giorgia.», lo informò, indicando il ricciolino biondo dietro di lui, che gli porse la mando sorridendo. Massimo gliela strinse con un cenno di testa, mentre osservava gli occhi neri del giovane scrutarlo attraverso la montatura tonda degli occhiali.

Li invitò a sedersi sul divano, mentre in cucina preparava una brocca di limonata senza zuccheri, una d'acqua minerale e una manciata di patatine, grissini e arachidi. Da bravo padrone di casa portò sul tavolino il quanto e si sedette vicino a Vincenzo, spegnendo la televisione. I due si lanciavano occhiate attorno, incuriositi dagli interni della casa, rimanendo, poi, incantati a guardare qualcosa davanti a loro.

«Volevate parlarmi, no?», esordì, spezzando il silenzio che stava calando, dal momento in cui i suoi ospiti si erano persi a guardare il diario sul tavolino, chiuso, come Massimo lo aveva lasciato.

Prese parola Vincenzo: «Stamattina Virginia, appena ha visto una ragazza davanti alla nostra scuola, si è messa a gridarle contro.», iniziò per poi guardare il biondo.

«Io stavo per entrare nell'edificio, quando l'ho vista correrle addosso, gridandole di lasciare andare Alejandra, che lei era innocente e nessuno poteva proibirle di scappare con Zahir.»

«Chi sarebbe questo Zahid, Zadir o come cazzo si chiama?!», sbottò di colpo il padrone di casa, interrompendo Riccardo. Si stava sfregando le mani con un nervosismo evidente.

«Non sappiamo, speravamo potessi avere qualche notizia in più.», affermò sincero il bruno.

«Io sono arrivato al mese di febbraio, il resto del diario devo ancora leggerlo.», ammise, scuotendo leggermente la testa.

«Io invece so qualcosa», disse il biondo, attirando i loro sguardi curiosi che lo pregavano di continuare, «parlavo con Virginia poi, quando l'ho presa in braccio e portata di peso a scuola. Piangeva di sapere che ultimamente il suo conoscente, che lavora al McDonald's, si era avvicinato ad Alejandra. Anche lui voleva andare a Roma, quindi lei sapeva che sarebbero scappati. Secondo quello che mi ha detto, il piano era di far scappare lei e Virginia si sarebbe la responsabilità, però-»

«L'hanno scoperto prima. Probabilmente hanno capito che Alejandra voleva scappare e la cosa non gli andava a genio.», aggiunse Massimo, sorridendo amaro. Perché non me ne aveva parlato? L'avrei aiutata. Io avrei dato di tutto per vederla rinascere, pensò. Era ovvio che avrebbe fatto il possibile per aiutarla a rifiorire.

«Credo, sia più giusto chiederci chi sia Zahir e come hanno fatto a scoprirlo.», commentò, Vincenzo.

«Partiamo con il presupposto che Alejandra abbia voluto lasciare il Trentino, perché non ne ha parlato con nessuno di noi?», puntualizzò il biondo, sistemandosi gli occhiali, mentre portava al viso due patatine.

«Forse aveva paura che uno di noi facesse la spia.»

«Forse stiamo andando sull'estremo», sospirò Massimo, interrompendo il possibile ragionamento di Vincenzo. «Sicuramente voleva fuggire, lo scriveva lei stessa...», socchiuse gli occhi, incrociando le dita delle mani sotto al naso, «Ma perché non parlarne con qualcuno di noi?»

«Magari cercava un'avventura amorosa, qualcuno con cui fuggire che le avrebbe mostrato il mondo », suggerì il biondo.

«Non essere ridicolo», rispose in modo automatico. Lei con un altro? Gli avrebbe tagliato le mani. Lei era esclusivamente sua, dalla menarca... Sempre sua... Che cazzo pensi, Massimo?! Riprenditi. Guardò il riccio, che lo fissava cupo. Cosa aveva da guardare? Non sapeva forse che Massimo e Diamante erano una cosa sola? Il bel principino s'illudeva forse che da quella volta a ottobre che lei fu a casa sua lui avesse una possibilità? Era mia, idiota. Mia da prima ancora che la guardassi per la prima volta. Bevve un sorso d'acqua, mentre notava con la coda dell'occhio che Vincenzo scuoteva leggermente la testa.

«Tutto ciò non ha senso... C'è qualcuno che poteva sapere di questa fuga organizzata?» Chiese lo stesso, dopo aver guardato Massimo e l'altro.

«C'è», entrambi guardarono Riccardo, che aveva parlato, «Virginia sapeva di tutto, potremmo parlarle.», suppose, mangiando un'altra patatina.

«Potresti parlarci t-»

«Ci parlerò io, sarà più facile per me spiegare perché la sto cercando.», lo interruppe Massimo. In realtà, sarebbe stato più semplice perché lui la conosceva già. L'aveva incontrata nel giro, di conseguenza non sarebbe stato difficile per lui parlarle da uno che era uscito dal gruppo e voleva ritrovare una ragazza che cercava di uscire. Certo, sarebbe stato più complicato spiegarle che il motivo per cui lui fosse uscito era perché ce l'aveva messa lui stesso dentro, ma in quel momento non gli interessava più. Bastava parlarle e saperne di più su Diamante. Così lei poteva tornare a essere la sua ragazzina smarrita, la sua piccola rondine da tenere al sicuro.

«Forse dovremmo andarcene», disse il biondo.

«Oh, sì, così inizio a preparare la cena, sono già le cinque e mezza», affermò Massimo, guardando l'orologio. L'atmosfera era decisamente tensa e preferiva rimanere solo per il resto della giornata. Non avrebbe cucinato, però sapeva che con la scusa della cena se ne sarebbero andati più facilmente. Li rispettava perché erano stati amici di Diamante, ma non dovevano essere i suoi.

«Ok, allora noi ci avviamo», disse Vincenzo, alzandosi.

Massimo li accompagnò alla porta e fu felice di essere solo, appoggiò la schiena alla porta di casa e sbuffo stanco. Quanto sarebbe durato ancora quell'inferno? Non ne poteva più... La speranza di ritrovarla si era decisamente indebolita e quasi sperava di vedere al telegiornale la notizia della sua morte. Avrebbe preferito saperla morta, piuttosto che soffrente e nascosta da qualche parte. Non sapeva nemmeno più cosa volesse... La testa gli faceva sempre più male e gli antidolorifici non funzionavano più come prima. No, chiaramente funzionavano, era la sua mente a crederlo e quindi a convincerlo che gli faceva male comunque.

Guardò la foto con Diamante

«Torna da me, bimba.»

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